Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 8/2024)
ANNO B – 1 settembre 2024
XXII Domenica del Tempo ordinario
Deuteronomio 4,1-2.6-8 • Salmo 14 • Giacomo 1,17-18.21b-22.27 • Marco 7,1-8.14-15.21-23
(Visualizza i brani delle Letture)
XXII Domenica del Tempo ordinario
Deuteronomio 4,1-2.6-8 • Salmo 14 • Giacomo 1,17-18.21b-22.27 • Marco 7,1-8.14-15.21-23
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L'APOLOGIA DELLE MANI SPORCHE
Facendo l'apologia delle mani sporche Gesù ci libera dalla vera sporcizia. La sporcizia del formalismo legalistico fatto di quegli estenuanti rituali con i quali gli uomini religiosi acquietano la loro coscienza con quella stessa sicurezza con la quale l'ebbro si stordisce di vino. Ci libera dalla scrupolosa osservanza dei precetti di chi è convinto di salvare sé stesso salvando la forma. Giunge ad attaccare il proprio cuore alle forme esteriori della religione chi non ha mai avuto l'audacia di trasgredire gli insegnamenti e le norme ricevute dei padri, rinunciando all'ardire di prendere il fuoco tra le mani.
Facendo l'apologia delle mani sporche Gesù ci libera dalla sozzura dell'ipocrisia di chi loda Dio con le labbra ma non con il cuore, ossia chi si mostra credente a parole ma nei fatti rivela di non amare il Signore. Questo significa che ciascuno corre il serio rischio di essere un credente che frequenta regolarmente la liturgia e che confessa la fede in Dio, ma senza autentica adesione del cuore, quell'adesione che chiede di vivere ciò che si dice a parole. È questione di unità della persona, di un cuore unito, non diviso, non doppio. Per questo bisogna sempre ricordare le parole di Ignazio d'Antiochia: «È meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».
Facendo l'apologia delle mani sporche Gesù ci libera, infine, dalla più tremenda sozzura, quella di chi per osservare la tradizione degli uomini trascura, in modo consapevole, il comando ricevuto da Dio. Gesù sa che ciò che è qui in gioco è l'autenticità della vita del credente e del suo rapporto con Dio. Per questo ha una parola severa: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione». Poi porta un esempio: quando gli scribi e i farisei suggeriscono alle persone di destinare come offerta fatta a Dio (korbàn) i beni materiali con i quali dovrebbero aiutare il padre e la madre. La tradizione cultuale del korbàn annulla il comandamento di Dio: «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12).
In realtà, ben al di là di questo esempio, vi sono ancora oggi molti comportamenti verso i quali Gesù direbbe: «Annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi». Si annulla la parola di Dio in nome della tradizione religiosa quando brandendo il Vangelo con una mano e la corona del rosario nell'altra ci si fa paladini del cattolicesimo, ma poi nei fatti si incoraggiano comportamenti e si promulgano leggi che contraddicono alla radice l'insegnamento evangelico della carità verso tutti, specie verso chi è nel bisogno.
Se papa Francesco ha potuto dire che è meglio essere atei che cattolici ipocriti, allo stesso modo è meglio gente che si proclama non credente ma che mostra di custodire e garantire la dignità di ogni essere umano, piuttosto che proclamarsi cattolici a parole e dimostrarsi disumani nei fatti. Non è possibile essere umani quando si celebrano riti ed essere disumani quando si esce da chiesa.
Oggi a ciascuno di noi è chiesto di fermarsi e domandarsi: quando annullo il Vangelo di Cristo con la tradizione che ho ricevuto e a mia volta tramando?
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