II Domenica di Pasqua (B)




Omelie - Il Vangelo della domenica
a cura di Goffredo Boselli
Vita Pastorale (n. 4/2024)


ANNO B – 7 aprile 2024
II Domenica di Pasqua

Atti 4,32-35 • Salmo 117 • 1Giovanni 5,1-6 • Giovanni 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)


L'AMORE PIÙ FORTE DELLA MORTE

È la sera del giorno della risurrezione di Gesù e la sua comunità è riunita. È una comunità ferita, lacerata, una povera comunità di peccatori. Sono tristi e hanno paura perché il loro Rabbi non è più con loro. Il passato è pesante: è la storia del loro maestro ucciso e appeso a una croce, maledetto da Dio e dagli uomini.
Ma è anche la loro storia, la storia del tradimento dell'amico da parte di Giuda, del rinnegamento del fratello da parte di Pietro, dell'abbandono del maestro da parte dei discepoli. Forse, tacitamente, si rimproverano l'un l'altro la mancanza di saldezza, di coraggio, di fedeltà. Chiamati a formare la comunità di Gesù non hanno saputo confermarsi a vicenda nella prova e nella tribolazione.
Eppure, il Gesù risorto viene e sta "in mezzo": non è un'indicazione spaziale ma esistenziale, viene al cuore della loro situazione personale e comunitaria. Invoca su di loro la pace mostrando le ferite, quasi che la pace fluisca da quelle piaghe, che non sono solo il segno dei chiodi e della lancia di chi l'ha materialmente inchiodato alla croce, ma sono le ferite inferte da chi l'ha tradito, ripudiato, lasciato solo uccidendolo interiormente prima che lo condannassero a morte.
Quelle ferite nel corpo gli sono state inflitte lungo tutta la sua vita, dal rifiuto dei suoi, dall'incomprensione di molti, dalla loro durezza di cuore, dal misconoscimento della sua persona e della sua missione, dall'abbandono dei suoi soprattutto nell'ora della tribolazione, quando si attendeva da loro conforto, consolazione, vicinanza e sostegno.
Gesù si manifesta con queste ferite che resteranno nel suo corpo per sempre, perché sono i segni del mite che non ha opposto resistenza, che non ha reagito alla violenza. A chi l'ha percosso sulla guancia ha presentato anche l'altra, ha amato il nemico e pregato per il persecutore per essere figlio del Padre.
L'amore grande per l'amico, il perdono non l'hanno reso invulnerabile al dolore e alla tribolazione. Anzi, è l'amore a rendere vulnerabili, perché più si ama e più si è esposti alla sofferenza, alla compassione e il Risorto porta nel suo corpo le ferite dell'amore. Vulnerata sum a charitate, dice l'amata del Cantico dei Cantici, «sono ferita d'amore». Qui è il Cristo charitate vulneratus (come canta un Alleluja gregoriano), ferito dall'amore, piagato nel suo corpo glorioso perché ha amato "fino alla fine" e ha voluto dimorare nell'amore.
L'ultima volta che i discepoli hanno visto il loro maestro era l'ora della fuga, dell'abbandono. Ma ora Gesù risorto viene lui stesso a cercarli: Gesù ha fede nei suoi; loro, invece, faticano a credere. Non danno fiducia a Pietro, a Giovanni, alle donne, ma Gesù vede nei cuori e dà fede alla volontà di bene di ciascuno. Tommaso non sa dare fede ai suoi fratelli, fatica a credere alle cose nuove che Dio ha operato, fatica a credere che il passato di infedeltà e di rinnegamento sia stato cancellato da quell'amore che è più forte della morte. E il Signore, che ha dato fede ai suoi, lo supplica: «Non essere incredulo ma credente». E dove c'è la fede, allora, giunge anche il perdono e la pace.


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