Tempo ordinario (A) [2] - 2023



Parola che si fa vita

Commenti e Testimonianze sulla Parola (da Camminare insieme)



"Parola-sintesi" proposta per ogni domenica,
corredata da un commento e da una testimonianza.


Santissima Trinità (4 giugno 2023)
Chiunque crede in Lui non vada perduto (Gv 3,16)

Corpus Domini (11 giugno 2023)
Chi mangia questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58)

11a domenica del tempo ordinario (18 giugno 2023)
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date! (Mt 10,5)

12a domenica del tempo ordinario (25 giugno 2023)
Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri (Mt 10,31)

13a domenica del tempo ordinario (2 luglio 2023)
Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me (Mt 10,38)

14a domenica del tempo ordinario (9 luglio 2023)
Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)

15a domenica del tempo ordinario (16 luglio 2023)
Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano (Mt 13,16)

16a domenica del tempo ordinario (23 luglio 2023)
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura (Mt 13,30)

17a domenica del tempo ordinario (30 luglio 2023)
Pieno di gioia vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13,44)

Trasfigurazione del Signore (6 agosto 2023)
[18a domenica del tempo ordinario]
E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2)

19a domenica del tempo ordinario (13 agosto 2023)
Davvero tu sei Figlio di Dio! (Mt 14,33)

Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2023)
L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46)

20a domenica del tempo ordinario (20 agosto 2023)
Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28)

21a domenica del tempo ordinario (27 agosto 2023)
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)

22a domenica del tempo ordinario (3 settembre 2023)
Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25)

23a domenica del tempo ordinario (10 settembre 2023)
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20)

24a domenica del tempo ordinario (17 settembre 2023)
Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22)

25a domenica del tempo ordinario (20 settembre 2020)
Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi (Mt 20,16)

26a domenica del tempo ordinario (1° ottobre 2023)
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio (Mt 21,31)

27a domenica del tempo ordinario (8 ottobre 2023)
A voi sarà tolto i Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti (Mt 21,43)

28a domenica del tempo ordinario (11 ottobre 2020)
Molti sono chiamati ma pochi eletti (Mt 22,14)

29a domenica del tempo ordinario (15 ottobre 2023)
Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21)

30a domenica del tempo ordinario (29 ottobre 2023)
Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt 22,39)

Tutti i Santi (1° novembre 2023)
Gesù si mise a parlare e insegnava loro (Mt 5,2)

31a domenica del tempo ordinario (5 novembre 2023)
Perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8)

32a domenica del tempo ordinario (12 novembre 2023)
Ecco lo sposo! Andategli incontro! (Mt 25,6)

33a domenica del tempo ordinario (19 novembre 2023)
Prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21)

Cristo Re - 34a domenica del tempo ordinario (26 novembre 2023)
Quello che non avete fatto ad un solo di questi più piccoli non l'avete fatto a me (Mt 25,43)


_______________





Santissima Trinità (4 giugno 2023)
Chiunque crede in Lui non vada perduto (Gv 3,16)

Dopo le feste pasquali, culminate nella Pentecoste, il Tempo ordinario inizia ponendo al centro della nostra attenzione il mistero cristiano: l'amore eterno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il breve brano evangelico di questa festa ci presenta un Dio, la Trinità, che avvolge, salva, accompagna e vivifica l'esistenza degli uomini e del creato. Egli vuole in ogni momento amarci fino alla fine, ma senza schiacciare la nostra libertà.
Gesù certamente è il regalo più bello che abbiamo ricevuto e assieme a lui, il dono dello Spirito. Dio non è geloso e non trattiene nulla per sé. Per questo ci ha offerto e ci offre sempre tutto quello che ha: non solo ha amato, ma ha "tanto" amato il mondo. È il mistero di un Dio che ama senza limiti, senza pretendere di essere amato. Di fronte a questo amore infinito noi abbiamo la possibilità di lasciarci amare, come quando assetati possiamo tendere le mani a coppa sotto la sorgente d'acqua.
Dio ci considera, ci valorizza, ci tiene stretti a sé perché vuole dare tutto se stesso, non vuole perderci. È questo amore che può smuovere l'aridità dell'uomo e scaldare il suo cuore egoista. Accogliere questo amore si chiama credere. E credere in Dio oggi è una sfida, a ben guardare, vantaggiosa. Credere che solo Lui può salvarci dal peccato, dalla morte, dal male. Questo amore ci strappa dalle nostre solitudini, dai sentieri autonomi che ci creiamo per distruggerci; è l'ancora di salvezza per le nostre traversate sotto la tempesta.
Chi crede nel suo Figlio ha la vita eterna; ma credere non significa ripetere concetti o sapere definizioni. Credere significa entrare in una esperienza di amore, fare posto a quell'amore che ci chiede di lasciarci amare da Dio. E solo chi si lascia amare imparerà ad amare a sua volta. Allora la nostra vita diventa aprirsi, spendersi, avere cura dell'altro. Sarà uno stile di vita nuovo!

Testimonianza di Parola vissuta

CON OCCHI DI MADRE

Nostro figlio aveva sposato L. sull'onda della contestazione, scambiando per amore la comune fede politica. Io l'amavo come una figlia e ne apprezzavo le doti di sensibilità e attenzione verso gli ultimi della società. Quando, dopo appena un anno di matrimonio, entrambi sono venuti a comunicarci la difficoltà di continuare una vita insieme, ero quasi preparata a questo annuncio.
A perderci è stato soprattutto il nostro ragazzo, che aveva impegnato tutto se stesso nella costruzione di un rapporto coniugale vero. Quanto a L., più che giudicarla, ho cercato di temere presente quanto di bello e di positivo avevo colto in lei prima e di considerare la situazione con occhi di madre.
I suoi genitori, constatando che dalla nostra bocca non era uscita mai, né con loro né con altri, una parola di giudizio nei confronti della figlia, hanno espresso la loro stima per quest'atteggiamento e hanno continuato a mantenere con noi un rapporto fraterno. Da allora sono passati molti anni. L. ci considera ormai un punto fermo della sua vita.

F.B. - Francia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



Corpus Domini (11 giugno 2023)
Chi mangia questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58)

Il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore Gesù, di cui oggi celebriamo la solennità, è memoria viva della sua Pasqua. Mentre ascoltiamo la sua Parola e spezziamo il suo Pane, egli ci fa sentire noi, ci fa passare dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce.
La finale del capitolo 6 del vangelo di Giovanni, che la liturgia della Parola ci propone, ricorda come "parola viva" per tutti noi, la grande novità che "pane" e "vita" sono strettamente uniti. Questo è il messaggio più volte ripetuto e che siamo invitati ad accogliere: chi mangia, vive; chi digiuna, prima o poi, muore. Gesù ha preso l'elemento del pane dalla vita di tutti i giorni. E poiché la parola di Gesù è sempre una buona notizia, egli ci ricorda che chi mangia, chi si nutre spesso, chi si siede alla "sua" tavola, avrà la vita. Gesù è il pane vivo, disceso dal cielo. È bellissima questa espressione "pane vivo", cioè "pane che dà vita", che fa crescere, che sazia, che rialza, che dà forza. Il pane che è Gesù, se mangiato, nutre e porta frutto.
Il Maestro chiede di credere che lui stesso è quel pane da spezzare, da condividere, da mangiare, per viverne. Non è sufficiente guardarlo, osservarlo in lontananza, ammirarlo e prenderlo solo ogni tanto. Gesù è e vuole far parte della nostra vita e della storia che stiamo costruendo. Come il pane non può mancare sulle nostre tavole, così Gesù non deve mancare sulla tavola della nostra vita.
Per noi cristiani, Gesù è al centro dell'esistenza umana: siamo noi, purtroppo, che talvolta decidiamo di fare a meno di lui. Ma non facciamo fatica a scoprirci bisognosi di Dio, di un Dio che rende piena la nostra vita, perché essa diventi una forte testimonianza di fede, cioè di "altri Gesù" oggi. Dio vuole che viviamo come Lui "vita del mondo", vuole che le azioni, le decisioni, le iniziative siano prese nell'amore che ci previene e ci sostiene.

Testimonianza di Parola vissuta

COME MARIA

Pregavo il rosario quando, giunta al 2° mistero gaudioso (la visita di Maria a Elisabetta), ho avvertito la spinta a far visita a un'anziana con l'Alzheimer. Mentre andavo e mi chiedevo se mi avrebbe riconosciuta e cosa dirle, mi sono ricordata che poche ore prima avevo ricevuto l'Eucaristia e, fatte le debite proporzioni, anch'io – come Maria – portavo Gesù in me: lui sì avrebbe saputo cosa fare e cosa dire a quella sorella ammalata.
Dopo averla abbracciata, le ho fatto sentire sul mio smartphone una preghiera che iniziava così: "Prendi le mie mani, Signore. Stammi sempre vicino". E intanto anche noi ci siamo prese le mani e ci accarezzavamo le braccia, il volto. Lei, che in genere si lamenta e stenta a parlare, ripeteva gioiosa: "È bellissimo!".
Al pensiero che in lei abbracciavo tutti coloro che si sentono soli e, identificati con Gesù sulla croce, soffrono nel corpo e nello spirito, ho provato un'emozione fortissima. Sono tornata a casa con una gran voglia di trascorrere quella giornata in continuità col momento di grazia appena sperimentato.

Giovanna - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



11a domenica del tempo ordinario (18 giugno 2023)
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date! (Mt 10,5)

Oggi la liturgia della Parola fa memoria della nascita di due comunità: ai piedi del Sinai, Israele si trasforma in "regno di sacerdoti e nazione santa"; davanti alla "messe di Israele" è presentata la comunità dei Dodici, il vero popolo sacerdotale della nuova alleanza.
Nell'ultima sera della sua vita terrena, Gesù aveva dichiarato: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16). In quel momento Gesù evoca il giorno in cui aveva inviato i suoi discepoli per una prima esperienza missionaria. Questo giorno è descritto nel brano evangelico odierno. Gesù si era attorniato di discepoli non per formare una scuola, ma per creare una comunità di testimoni. Per questo aveva dedicato tanto del suo tempo proprio alla loro formazione, vivendo in intima comunione con loro.
I contenuti della missione sono indicati in tre punti fondamentali. Innanzitutto, è sottolineato l'impegno di carità, a cui il discepolo è chiamato: essere attento alle sofferenze degli uomini, in tutte le forme in cui esse si rivelano, sia interiori sia fisiche. A ricordarci che l'impegno della carità è parte integrante dell'essere comunità cristiana, la solidarietà e il volontariato sono scelte costanti.
C'è poi l'annuncio che "il regno dei cieli è vicino": atti e parole, guarigioni e discorsi, salvezza e vangelo sono state le due componenti della missione terrena di Gesù: così deve essere per la comunità cristiana. Infine, Gesù circoscrive l'area dell'impegno missionario soltanto alle "pecore perdute della casa di Israele". Solo dopo la Pasqua egli invierà i discepoli ad "annunziare a tutte le nazioni". Gesù vuole così una comunità aperta agli altri. La missione è un servizio, un gesto di amore. La predicazione non è propaganda, ma testimonianza; non è un'imposizione ma una proposta, un dialogo. Tutto gratuitamente! Perché anche noi siamo gratuitamente amati dal Padre.

Testimonianza di Parola vissuta

PROFUGHI

Avendo saputo che un giovane profugo albanese cercava alloggio, lo aiutiamo nella ricerca e intanto lo ospitiamo a casa nostra. I nostri parenti non sono d'accordo, ci mettono davanti tanti problemi e ci dicono che siamo degli incoscienti, ma forse proprio anche per questa rottura momentanea, troviamo nell'unità tra noi due la forza per andare avanti comunque.
Dopo pochi giorni si trova un appartamento. Assieme a B., un artigiano che aveva deciso di assumere un albanese, ci rechiamo alla caserma per concretizzare la cosa. L'impatto con quel luogo, dove centinaia di persone attendono una sistemazione, è duro. Ci sentiamo impotenti, ma B. alla fine decide di assumere non uno ma tre albanesi, di cui uno minorenne, che terrà egli stesso in affidamento.
Sono sufficienti pochi mesi perché i tre giovani si inseriscano nel lavoro e si integrino anche nella vita del paese, dove abbiamo cercato di coinvolgere più gente possibile per dar loro modo di sentirsi parte di una grande famiglia.

S. E. - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



12a domenica del tempo ordinario (25 giugno 2023)
Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri (Mt 10,31)

Il brano evangelico di questa domenica è tratto dal "discorso missionario" del capitolo 10 di Matteo. Esso è la seconda delle grandi dichiarazioni programmatiche di Gesù, che sostengono l'intera struttura del primo vangelo. Matteo, partendo dall'esperienza della sua comunità ecclesiale sottoposta a forti contestazioni dalla sinagoga giudaica, delinea la figura dell'apostolo come quella di un "confessore della fede", di un vero testimone.
Liberato dalla tentazione della "catacomba" e della segretezza, superata la fase della formazione della comunità, che non può essere il grembo sicuro in cui ci si ritira per sempre, il cristiano è affidato al rischio del mondo e della vita. E come per il bimbo appena uscito dal grembo materno, l'impatto col mondo può essere traumatico: persecuzioni, incubi, pericoli. Ma in questa tempesta, che fa intravedere persino il rischio della eliminazione finale, si sente una voce: è il comando di Cristo ribadito per quattro volte come un ritornello insistente, garanzia e pegno di vittoria e di liberazione: "non abbiate paura", non temeteli.
I "passeri" citati da Gesù, erano i più piccoli uccelli commestibili, il cui prezzo era bassissimo. A ricordarci l'attenzione paterna anche alle realtà microscopiche della natura. Essa diventa cura amorosa di Dio verso il suo fedele. Fidarsi di Dio e confidare solo in lui e nel suo amore, vuol dire liberarsi dalla paura del non-senso di tutte le cose e degli eventi gioiosi o tristi della vita.
Non è possibile ridurre il nostro cristianesimo ad una polizza di assicurazione da esibire in caso di sinistro. Chi vuole essere discepolo di Gesù, rischia dietro a lui tutta la sua vita. Con una certezza: l'amore e la cura di Dio sono più forti di tutto. La vittoria sulla paura è il dono del "timore di Dio", che ci porta a fidarci di lui: egli prende a cuore tutte le sue creature, ne segue con trepidazione il cammino, l'agire e il soffrire, in maniera discreta e rispettosa della nostra libertà, da lui stesso a noi donata.

Testimonianza di Parola vissuta

LE SORPRESE DI DIO

Un'auto col servosterzo era il mio sogno, sia per una guida più comoda sia per averne una con l'aria condizionata al posto della mia "carretta". Si era in pieno agosto e programmavo anche un viaggio, ma le necessità di una famiglia nei guai mi hanno fatto indirizzare a loro la somma destinata alla nuova auto… Dio, ne avevo la certezza, avrebbe provveduto.
Un giorno, andando all'ospedale dove lavoro, si è liberato un posto per parcheggiare proprio all'ombra di un albero. Questa coincidenza mi ha fatto sorridere. Piccoli segnali quotidiani come questi sono diventati incentivo per un dialogo sempre più intenso con Dio.
Avevo già dimenticato il viaggio, quando sono stata invitata dal mio vescovo a recarmi con altri operatori diocesani in Giordania, Egitto e Palestina. Nel giro di alcuni mesi, ho poi ricevuto degli arretrati legati al nuovo contratto e per lavori che pensavo non mi pagassero più.
Risultato: l'intera somma data a quella famiglia mi è tornata indietro inaspettatamente. Con Dio le sorprese diventano pane quotidiano.

Cecilia - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



13a domenica del tempo ordinario (2 luglio 2023)
Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me (Mt 10,38)

Il brano evangelico di questa domenica porta in sé l'invito ad interrogarci sul nostro essere discepoli. Ascoltandolo ci sembra che tra le parole di Gesù e noi ci sia una distanza abissale. E sorge un interrogativo: a che cosa abbiamo ridotto, noi cristiani dell'Occidente, il cristianesimo? Ai Sacramenti che spesso sono solo dei riti? A sentire tanti cristiani sembra che la fatica più grossa consista nell'andare a messa la domenica e nel ricordarsi di dire una preghiera al mattino e alla sera. Il rapporto con Gesù è superficiale, non incide in nessuna scelta e spesso si risveglia solo nei momenti di bisogno per dare luogo ad un'invocazione magica, che attende soluzioni immediate. Allora le parole evangeliche di oggi sono utili per destarci dal nostro torpore e per riconoscere seriamente la proposta di Cristo.
Certo, nella vita di ogni giorno ci sono espressioni comuni e comportamenti che cozzano con le sue parole. Lui ci chiede di amarlo più del padre e della madre, del figlio e della figlia e noi rispondiamo col "tengo famiglia". Lui ci prospetta la possibilità di andare incontro alla croce e noi ci adagiamo sul "così fan tutti", che è espressione del nostro attaccamento ad una vita comoda e tranquilla. Lui ci evoca la possibilità di perdere la vita e noi ce la teniamo ben stretta. Gesù sembra esigere da noi, che vorremmo essere suoi discepoli, il coraggio di fare scelte precise, controcorrente.
Prendere come bussola le sue parole non è una decisione di poco conto. Cambia la vita, la getta per sentieri poco battuti, la apre a scelte difficili e costose, la condanna talvolta alla riprovazione di chi ci è accanto. Ma quando prendi sul serio la Parola di Gesù senti che la tua vita ha una pienezza straordinaria, e ti radichi sempre più nell'amore di Dio. E la tua vita diventa cammino. Non per supereroi, ma semplicemente per chi con cuore umile, sa mettersi nelle mani del Maestro. E lui ci spiega come il vero senso della vita sia contenuto nel gesto di spenderla, di regalarla, di donarla. La croce infatti è il libro aperto che ci racconta l'infinito amore di Gesù per ciascuno di noi.

Testimonianza di Parola vissuta

ANDARE VERSO GLI ALTRI

Mi sono sempre considerato a posto con gli altri, ma quando mia figlia ha cominciato a drogarsi la mia sicurezza si è sgretolata.
Ho capito che dovevo saltare il fosso del mio isolamento e andare verso gli altri.
Ho avuto così occasione di avvicinare due amici di mia figlia, che erano appena usciti dal carcere, perché trovati in possesso di droga. Li ho avvicinati privo di ogni giudizio. Si è stabilito così un rapporto di amicizia e, mentre mia figlia ritrovava un rapporto con me, anche questi ragazzi hanno avuto la forza di reinserirsi nella propria famiglia.

M. T.-Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



14a domenica del tempo ordinario (9 luglio 2023)
Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)

Il brano del vangelo odierno con delicatezza ci consegna il cuore di Gesù e ci fa entrare nella lode che il Figlio esprime al Padre. Innanzitutto Gesù loda il Padre perché il suo mistero di amore che viene a visitare l'uomo e lo salva, è una realtà che riguarda i "disponibili", coloro che si lasciano amare, intercettare, perdonare, sollevare da lui. Riguarda tutti quelli che non fanno dipendere da sé stessi la propria salvezza, ma hanno bisogno del Signore e, avendolo incontrato, lo conoscono e lo amano.
L'invito di Gesù non è per chi è già perfetto, ma per tutti gli oppressi che sopportano stanchezze di ogni genere. Gesù non toglie la malattia, non preserva dalla morte, non difende dalla calunnia e dal male. Come vorremmo che fosse così! Invece Gesù si carica sulle spalle la mia vita e la rende più leggera. Il suo "giogo" non è per la schiavitù, ma per la vita. Un peso addirittura leggero, se condiviso con il Salvatore. Un bagaglio trasformato in dolcezze, se la nostra vita diventa imitazione di Cristo.
"Imparate da me": la mitezza e l'umiltà del cuore sono atteggiamenti interiori oggi in via di estinzione. Sono discepolo di una Maestro mite, che non alza la voce, che non spegne il lumicino, che non spezza la canna incrinata. Dio ha i suoi criteri e tocca a noi, se vogliamo essere e diventare sempre più discepoli, cercare di capirli e di seguirne gli insegnamenti. È la vita che cambia perché benedetta da Dio che si rivela non a chi crede di sapere, ma a chi rinuncia alla sua vita, ne fa dono, la mette con gioia e semplicità nelle mani del Signore. Per questo è necessario non smettere mai di imparare da lui. Egli è il modello, il compagno di viaggio, il Maestro da cui lasciarsi guidare, la fonte che dà vita e sostegno.
E si scopre che la strada da percorrere è quella dell'amore, della comprensione, del dialogo, dell'accoglienza, della condivisione e della fraternità Proprio come ha fatto lui che si offre nostro compagno di fatica affidabile e con noi porta il giogo dolce e leggero dell'essere cristiani.

Testimonianza di Parola vissuta

UN SEGRETO PREZIOSO

Andando a lavorare nella piantagione, passavamo sempre davanti alla casa di due coniugi anziani e poveri. Abbiamo cominciato a salutarli e a offrire loro i frutti del nostro raccolto. È nata una bella amicizia che ha riempito la loro solitudine.
Un giorno lui ci ha invitato a entrare in casa loro: "Siete benvenuti, come nostri figli. Vogliamo comunicarvi un segreto e fare testamento davanti a voi".
Il segreto era il dolore di non essere sposati regolarmente; il testamento consisteva nel desiderio di regolarizzare la loro posizione.
Li abbiamo aiutati a preparare le nozze, coinvolgendo vicini e amici per fare una festa. La vigilia del matrimonio ci hanno confidato: "Siamo veramente felici, sentiamo Dio vicino perché abbiamo trovato tanti figli e tanti fratelli".

F.K. – Uganda

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



15a domenica del tempo ordinario (16 luglio 2023)
Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano (Mt 13,16)

Il brano del vangelo di questa domenica dà inizio al discorso in parabole di Gesù e ci presenta la parabola del seminatore e la sua spiegazione, con un intermezzo sul "perché" Gesù parli in parabole. I discepoli infatti rivolgono a Gesù una domanda diretta: "Perché parli loro in parabole?", come a dire che la parabola sembra incomprensibile. E come se la storia, di per sé molto chiara (un seme gettato che incontra tipologie diverse di terreno e se incontra quella giusta produce moltissimo), abbia bisogno di qualcosa d'altro, di qualcuno che spieghi, rifletta e faccia ragionare.
Noi sappiamo che questo qualcuno è semplicemente Gesù. Non si può fare a meno di lui se si vuole essere discepoli che accolgono veramente il seme della Parola e impediscono al Maligno di rubarlo dal cuore, all'inganno della ricchezza di soffocarlo, alle tribolazioni, alle sofferenze e alle persecuzioni di creare ostacolo, che non gli permette di portare frutto. Quel Gesù, che sta parlando ai discepoli e che oggi parla a noi, è colui che dona la capacità di ascoltare la Parola e di comprenderla.
Sappiamo poi che questo "comprendere" significa mettere in pratica; significa decidersi per il Signore. Questa parabola allora diventa un'occasione per chiedersi "chi è Gesù per me?", e che cos'è per il terreno della mia vita la sua Parola? Perché può essere che da anni non riusciamo a mettere insieme il seme buono e la "nostra" terra. Allora sentiamo necessaria questa proposta del Maestro: "Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano". Mettersi ai piedi di Gesù, ascoltare la sua Parola con autenticità, permettere che essa entri nelle nostre vite, è un momento di verità e di onestà. Se iniziamo in questo modo e prendiamo sul serio la sua Parola, quel seme può incontrare tratti di terra buona e produrre frutto in abbondanza.

Testimonianza di Parola vissuta

L'INCONTRO CON L'ALTRO È UNA OPPORTUNITÀ

Il suo è un quartiere grande, nella città del porto, che negli anni ha raccolto abitanti di tutte le etnie. In particolare in quei palazzi abitano tantissime famiglie dell'America Latina. Per loro è sempre festa, c'è allegria smisurata e a qualsiasi ora.
Una sera Aurora torna a casa e sugli scaloni dell'ingresso del condominio trova un gruppo ben affiatato che canta e suona. E soprattutto beve. Sì, perché le bottiglie della birra vuote sono già moltissime, ma ancora di più quelle piene.
«Ciao ragazzi, allora cosa si festeggia stasera qui?». Domanda Aurora e Juan le presenta Hugo che compie ventotto anni.
«Auguri, fate una bella festa», poi nell'aprire il portone Aurora fa una piccola richiesta: «Allora, ancora buona festa e se potete, senza eccedere con l'alcol. Poi quando finite se potete, raccogliete le bottiglie e i tappi. Nell'ingresso del condominio e lungo il carrugio sta proprio male tutta quella monnezza abbandonata».
«Stai tranquilla - le rispondono - lasceremo tutto pulito».
Aurora sale in casa e ricorda di avere in dispensa un bustone di patatine e uno di noccioline. S'affaccia dal balcone del quarto piano e con un fischio e un urlo chiama i ragazzi. Lega un cesto alla corda e manda sotto le vivande. Dalla strada si leva un grazie corale.
I festeggiamenti continuano fino a notte fonda.
Al mattino Aurora è curiosa di vedere come troverà il selciato e l'ingresso del condominio: tutto perfetto. Per terra non una bottiglia, non un tappo, né i bicchieri e tantomeno la carta.
Divieti, ordinanze, appelli, si possono superare così. Sapendo che l'incontro con qualunque altro è una opportunità per stabilire una relazione tra persone e per costruire rapporti di reciprocità autentici.

Silvano Gianti – Genova

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



16a domenica del tempo ordinario (23 luglio 2023)
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura (Mt 13,30)

Il brano del vangelo ci rivela che il Regno, inaugurato da Gesù sulla terra, è qualcosa di invisibile, che sfugge alla limitatezza dello sguardo umano. C'è, ma il suo effetto lo si capisce "dopo": cresce, fa fermentare, ma è necessario attendere con pazienza l'opera di Dio. La parabola del buon grano e della "zizzania", a cui segue anche la sua spiegazione, è forse uno dei racconti più sorprendenti di Gesù. Un padrone ha seminato nel suo campo un buon seme, ma poi di notte un nemico entra e vi sparge zizzania.
Sembra il racconto di una vicenda contemporanea, nella quale assistiamo a vicini di casa che litigano, che si fanno dispetti, che non si salutano più. Il campo di cui racconta Gesù è lo stesso. Sono i protagonisti che si avvicendano. Il primo fa tutto alla luce del sole, il secondo agisce nel buio. Il primo è "amico" della sua terra e vi sparge della buona semente, il secondo è un "nemico" e non ha a cuore né il campo, né il raccolto conseguente.
La sorpresa è la tranquillità del padrone. Egli sembra non scomporsi. È un padrone che sa chiamare con il proprio nome persone e avvenimenti. Egli non chiama "bene" il "male" e neppure "grano" la "zizzania". Però ciò che sta a cuore al padrone è che il grano cresca. La vocazione di quel campo è che faccia frutto e la forza di quel grano è che cresca, nonostante la zizzania.
I servi vorrebbero attuare una soluzione rapida, immediata, operativa: "Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?". Gesù impedisce che, strappando il male, i servi facciano danni al bene. Sradicando la zizzania è possibile danneggiare anche il grano. La pazienza alla quale il padrone invita i servi spinge ciascun ascoltatore ad un profondo e mai concluso discernimento. Soprattutto a non abituarci al male che spesso ci circonda.
Siamo chiamati a riflettere, scacciando l'idea mediocre che non è poi così grave avere anche un po' di erbaccia nel giardino della nostra vita. Facciamo crescere in noi il buon grano: che possa diventare spiga matura. Perché questo resterà. E sappiamo rimarrà solo l'amore. Quello di Dio che è già eterno e il nostro che daremo con generosità.

Testimonianza di Parola vissuta

L'ESPERIENZA CHE DIO MI AMA

Ero finito al reparto rianimazione con un'emorragia cerebrale. Unico sostegno: la fede in Dio e l'amore di mia moglie e degli amici. Durante il periodo di degenza sono entrato in crisi riguardo a tutto quello che avevo fatto prima e aveva dato senso alla mia vita.
Ma proprio in questo dolore ho scoperto una cosa ancora più importante: resta il bene che Dio mi vuole.
Quando sono tornato a casa ho dovuto imparare tutto da capo.
Oggi, dopo tanti anni, ho ripreso a lavorare, mi sento bene. Ma devo dire che sono grato per l'esperienza fatta perché mi sono reso conto di ciò che vale nella vita.

E.Z. - Austria

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



17a domenica del tempo ordinario (30 luglio 2023)
Pieno di gioia vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13,44)

I testi della liturgia di questa domenica da una parte scaldano il cuore e, dall'altra, sono molto impegnativi. Il vangelo ci racconta del Regno di Dio con tre parabole. Nelle prime due sono descritti uomini catturati dal tesoro nel campo o dalla perla di grande valore. Essi per i due beni sono disposti a vendere tutto. Sono "pazzi" per quel bene. L'esempio proposto da Gesù richiama la tradizione ebraica: Dio è da amare con "tutto" il cuore, con "tutta" l'anima e con "tutte" le forze. Dio merita tutto, come la perla e il tesoro nel campo.
Le parabole non si soffermano nei particolari: il primo personaggio è uno che "si imbatte" casualmente in un tesoro, nel campo che gli è stato affittato; un tesoro probabilmente nascosto dal proprietario, forse per non farlo trovare durante la guerra o dai predoni. Il personaggio della seconda parabola è invece un cercatore di perle preziose. Le due condizioni sono molto differenti, come del resto è la vita di ciascuno: c'è chi Dio l'ha incontrato fin da bambino, c'è sempre stato nelle esperienze che via via ha maturato. C'è invece chi ha fatto più fatica, chi è andato inutilmente alla ricerca di Dio, chi l'ha smarrito. Però i due personaggi delle parabole, il contadino e il cercatore di perle, hanno il merito di "mollare" tutto e di comprare campo e perla. Con gioia vendono, cioè si spogliano di tutto, perché si innamorano di quell'unico bene. L'immagine usata da Gesù è splendida: amare è voce del verbo "perdere", vendere.
Il contadino con il suo modo di fare ci suggerisce un grande insegnamento. Ci stimola ad essere uomini e donne che si sorprendono, che riescono a comprendere come la propria vita non è già tutta programmata, ma c'è sempre posto per la scoperta. Quando si incontra Dio, quando si vive l'amore, quando si vive il perdono, si è davanti ad un tesoro nascosto, che in quel momento viene svelato. Quel tesoro chiede a ciascuno di noi, secondo le nostre vocazioni specifiche, di essere persone che mettono con gioia le cose che valgono al primo posto. Cerchiamo, in questa settimana, di vivere il nostro cristianesimo, non come un dovere, ma come una gioia.

Testimonianza di Parola vissuta

LA FORZA DELLA PREGHIERA

Da due settimane mio figlio non partecipava alle lezioni di educazione fisica perché non aveva le scarpe di ginnastica. Non avevamo i soldi per comprarle e con tutta la buona volontà non riuscivo a risparmiare il denaro necessario nemmeno per acquistare le più economiche.
Un giorno mi sono venute in mente le parole del Vangelo: "Chiedete ed otterrete...", ed ho chiesto a Dio che mi aiutasse a risparmiare per comprare le scarpe a mio figlio.
La mia emozione è stata grande quando, proprio quel giorno, il ragazzo è arrivato dalla scuola con un paio di scarpe da ginnastica, più un altro paio di scorta: gliele avevano comprate con i fondi del progetto di sostegno a distanza in cui siamo inseriti.
Come non scorgere in quel fatto la risposta dell'amore concreto di Dio, proprio nel momento in cui ne avevo più bisogno, per rendere felice anche mio figlio?

E.B- - Bolivia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



Trasfigurazione del Signore (6 agosto 2023)
[18a domenica del tempo ordinario]
E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,2)

Questa grande manifestazione del mistero che si nasconde sotto l'uomo Gesù avviene a metà strada dell'itinerario che sta portando il Cristo a Gerusalemme. Essa è quindi un'anticipazione della rivelazione definitiva della risurrezione. La Trasfigurazione, commenta san Pietro nella seconda lettura di oggi, è lo svelamento della verità di Cristo. Al centro di questa liturgia "pasquale" c'è quindi il Cristo glorioso e redentore.
Questa solennità è l'occasione per ritrovare la radice in Cristo della nostra fede. È il giorno in cui siamo invitati a contemplare la luce divina presente nel Cristo. È il giorno in cui possiamo conoscere chi è Gesù per poterlo amare con tutto il cuore e la vita. Gesù è proclamato il "Figlio amato". Gesù è quindi la "tenda" definitiva in cui Dio si fa conoscere e si rende presente e noi possiamo incontrarlo.
In questa esperienza del monte, riservata ai discepoli preparati e formati nella fede, il Maestro è solennemente identificato con il Messia annunciato dalla Legge (Mosè) e dai Profeti (Elia): è il punto di convergenza dell'intera Bibbia. Una serie di simboli aiuta a rendere sperimentabile questa proclamazione di fede: l'alto monte, luogo dell'incontro con il Dio dell'alleanza, la luce, che è il Signore stesso, la nube e l'ombra, che richiamano la presenza di Dio, Mosè ed Elia, convergenza dell'antica alleanza con la nuova, la voce divina che permette la "comprensione della fede". Tutti questi simboli ci ricordano che la Trasfigurazione di Gesù riguarda ciascuno di noi: siamo invitati anche noi a fare l'esperienza straordinaria dei tre amici, l'esperienza del Tabor.
È l'invito ad approfondire la nostra unione con Gesù attraverso la preghiera, la meditazione della sua parola, la contemplazione della sua vita; a scoprire l'importanza dei momenti di raccoglimento con lui, cioè di quei momenti nei quali egli può e vorrebbe manifestarsi anche a noi con la sua luce e il suo amore. E così anche noi saremo trasformati in lui.

Testimonianza di Parola vissuta

LA PREGHIERA CI TRASFORMA

Pregavo il rosario quando, giunta al 2° mistero gaudioso (visita di Maria a Elisabetta), ho avvertito la spinta a far visita a un'anziana con l'Alzheimer. Mentre andavo e mi chiedevo se mi avrebbe riconosciuta, cosa dirle, mi sono ricordata che poche ore prima avevo ricevuto l'Eucaristia e, fatte le debite proporzioni, anch'io – come Maria – portavo Gesù in me: lui sì avrebbe saputo cosa fare e cosa dire a quella sorella ammalata. Dopo averla abbracciata, le ho fatto sentire sul mio smartphone una preghiera che iniziava così: «Prendi le mie mani, Signore. Stammi sempre vicino». E intanto anche noi ci siamo prese le mani e ci accarezzavamo le braccia, il volto. Lei, che in genere si lamenta e stenta a parlare, ripeteva gioiosa: «È bellissimo!».
Al pensiero che in lei abbracciavo tutti coloro che si sentono soli e, identificati con Gesù sulla croce, soffrono nel corpo e nello spirito, ho provato un'emozione fortissima. Sono tornata a casa con una gran voglia di trascorrere quella giornata in continuità col momento di grazia appena sperimentato.

Giovanna – Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



19a domenica del tempo ordinario (13 agosto 2023)
Davvero tu sei Figlio di Dio! (Mt 14,33)

Il vangelo di questa domenica presenta tre situazioni. L'inizio collega al racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. La folla ha mangiato e si è saziata. Gesù costringe i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, mentre lui si ritira sul monte, solo, a pregare: una solitudine dei discepoli, soli nella barca senza Gesù, e una solitudine del Maestro abitata, nella preghiera, dal Padre. Il secondo quadro è dato dall'avvicinarsi di Gesù ai discepoli e il suo farsi riconoscere nella loro paura. La narrazione si chiude con Gesù che riporta tutto alla calma. I discepoli si prostrano davanti al Signore, con Pietro che invoca il Maestro: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".
Gesù si ritira a pregare, ma prima pensa ai discepoli. La preghiera per Gesù non è un rifugio che isola e impedisce alle condutture del male e del peccato di raggiungerlo. È il canale grazie al quale può sopportare tutto, anche il tradimento dei suoi, la poca fede di coloro che sono a lui più vicini. I discepoli, al contrario, sono sulla barca sballottata dalle onde, col vento contrario, chiusi dentro la loro solitudine. I discepoli senza Gesù sono incapaci di qualsiasi cosa. Gesù fa il primo passo, va verso di loro, li raggiunge nella loro agitazione. La sua voce squarcia il silenzio generato dalla paura: "Coraggio… non abbiate paura!".
Pietro a nome di tutti chiede un segno, ma crede poco che le parole di Gesù siano vere. Anche per noi: se ci fidiamo troppo di noi stessi, affondiamo. Se accogliamo lui, pur nella sofferenza e nella prova, stiamo a galla. "Signore, salvami": è la preghiera di Pietro, che possiamo fare nostra più volte al giorno. La paura di per sé non è negativa. È lo strumento che può servire a farci incontrare il Signore nella vita. Nella nostra preghiera Gesù ci chiede di tirarlo sulla barca della nostra esistenza e lì, nonostante la paura e la poca fede, possiamo riconoscerlo Figlio di Dio.
La preghiera di Gesù fa nascere anche la nostra preghiera. Quando Gesù, prendendo per mano Pietro, salirà sulla barca, tutto si calmerà, non solo il vento ma anche il timore. E quando lui e i discepoli sono sulla stessa barca, sono la sua presenza e la sua parola a fare la differenza. Proviamo anche noi in questa settimana a camminare insieme con Gesù.

Testimonianza di Parola vissuta

I MARTIRI DI OGGI

Quello dei 21 cristiani copti decapitati dall'Isis su una spiaggia libica il 15 febbraio del 2015 è stato definito come «il più grande caso di martirio cristiano del nostro tempo». Per la maggior parte giovani, nati tra il 1968 e il 1992, tutti egiziani tranne un ghanese, nel video raccapricciante diffuso dalla propaganda Isis colpivano per la straordinaria compostezza dimostrata nell'affrontare la morte invocando il nome di Gesù Cristo.
Erano poveri contadini di un villaggio dell'Alto Egitto andati in Libia a cercare lavoro; pochi di loro avevano frequentato le scuole, ma tutti erano in grado di recitare a memoria interi brani della Bibbia e del Vangelo per la loro consuetudine alle assemblee liturgiche. Facevano parte di un popolo cristiano, quello copto, rimasto fedele fin dalla prima epoca apostolica e dove esser martire è stato sempre motivo di orgoglio.
Appena sei giorni dopo la loro efferata esecuzione, i 21 venivano iscritti da Tawadros II, primate della Chiesa copta ortodossa, nel Martirologio dei santi copti.

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto 2023)
L'anima mia magnifica il Signore (Lc 1,46)

Il brano evangelico di oggi ci racconta di Maria che arriva da Elisabetta fino al momento in cui Maria se ne riparte. È il racconto della visita di Dio al suo popolo. Tutto il brano è il racconto dell'intervento delle due donne: Elisabetta, che proclama beata Maria perché ha creduto alla parola di Dio; e Maria che magnifica il Signore. Due donne che si parlano, ma soprattutto parlano agli altri: non parlano principalmente di se stesse, ma di Dio, di ciò che lui fa succedere e di come noi possiamo accoglierlo.
Quando Maria arriva da Elisabetta la sua presenza mette "in agitazione" Elisabetta, Giovanni Battista e lo Spirito Santo. Uno Spirito, che già conosce Maria. L'ha resa feconda. Lo stesso Spirito che "riempie" Elisabetta e "riempirà" anche Zaccaria sciogliendo la sua lingua. La benedizione per Maria di Elisabetta sgorga da un cuore colmo di Spirito Santo e Maria è beata perché ascolta la parola. Ella va da Elisabetta non per verificare se l'angelo ha ragione e se la sua anziana parente ha concepito, ma per celebrare la stessa potenza di Dio che ha operato in entrambe. La Madre del Signore e la Madre del Precursore si incontrano nella stessa grazia e nella stessa pienezza di Spirito. Colui che ha fatto grandi cose in Maria è lo stesso che ha cambiato il corso della sterile natura in Elisabetta. È quindi la storia di due donne che obbediscono al piano di Dio. E lo fanno con "fretta", con urgenza.
Quel Signore che la Vergine Maria porta in sé è lo stesso che la invita ad andare, a raccontare, a cantare le meraviglie che lui ancora compie. Sono "grandi" le opere che nel cuore della Vergine e di tutti quelli che credono possono ancora avverarsi. Per questo Maria "magnifica" il Dio che sceglie gli umili, abbassa i potenti, fa valere gli ultimi, ascolta il grido dei suoi servi, stende il braccio della sua misericordia senza limiti, rimanda a casa i ricchi, solleva i poveri. Grandi sono le opere del Signore: chi le contempla è beato.

Testimonianza di Parola vissuta

QUANTA MISERICORDIA CI VUOLE?

La guerra civile nel mio Paese aveva arrecato lutti e sofferenze anche nella mia famiglia. Mio padre e mio fratello erano tra le vittime della guerriglia; mio marito subiva ancora le conseguenze di un pestaggio. Come cristiana avrei dovuto perdonare, ma in me dolore e rancore andavano crescendo. Solo grazie alla testimonianza ricevuta da alcuni autentici cristiani sono riuscita a pregare per quanti ci avevano fatto tanto male.
Dio ha messo alla prova la mia coerenza quando, tornata la pace nel Paese, dalla capitale dove ci eravamo trasferiti abbiamo fatto ritorno alla mia città d'origine, rimasta per dodici anni in balìa di governativi e guerriglieri. Per i bambini, che più di altri avevano sofferto, abbiamo organizzato una festa a cui sono intervenuti in molti. Solo allora mi sono accorta che, fra le autorità presenti, alcune erano state coinvolte nella guerriglia. Forse fra loro c'erano i responsabili della morte dei miei.
Vinto l'iniziale moto di ribellione, mentre in cuore mi calava una grande pace, sono andata ad offrire da bere anche a loro.

Marina - San Salvador

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



20a domenica del tempo ordinario (20 agosto 2023)
Donna, grande è la tua fede! (Mt 15,28)

Gesù si sposta nel territorio dei pagani. L'incontro con una donna cananea "converte" Gesù. E mi piace pensare che anche noi ci lasciamo convertire, a imitazione del Maestro, da esempi che, pur non venendo dai "nostri" ambienti, tuttavia rendono grande la nostra fede. L'episodio che Matteo ci racconta, ai confini della Galilea, ci presenta l'incontro di Gesù con una donna di grande fede. Una fede cristallina, granitica, forte come una roccia. A differenza dei discepoli, additati talvolta come "uomini di poca fede", la madre che si rivolge a Gesù ha una fede senza tentennamenti. Il suo ritratto è quello di una donna tutta d'un pezzo: la sua vita sta ora tutta nella sua fede.
Accanto a lei l'evangelista presenta un Gesù che sembra pensare solo alle pecore perdute della casa di Israele. Tuttavia, la richiesta della donna è chiarissima, quando chiede a Gesù che "abbia pietà" di lei e lo supplica di avere un occhio di riguardo per la figlia, messa in difficoltà da uno spirito maligno. È Gesù a complicare la situazione: non rallenta il passo e la sua bocca rimane chiusa. L'intercessione parte dal cuore degli apostoli che si fanno portatori di una evidente necessità. La donna da parte sua non molla la presa: "Signore, aiutami". La donna attende, come il cagnolino fedele, che dalla tavola cada qualche frammento di pane. Si accontenta delle briciole. E Gesù finalmente risponde. La fede della donna è davvero grande e il suo desiderio supera l'appartenenza al popolo eletto e ottiene. Ed ecco allora il miracolo: la donna chiede con fede e Gesù concede con larghezza.
Qui abbiamo una donna "lontana" che parla meglio di un apostolo. Conosce il cuore di Dio ed è a questo che si affida. Non vuole essere considerata figlia, ma essere ascoltata da Gesù che può tutto. La sua fede è grande e Gesù la riconosce. È una fede che può guarire. È una fede che rende le persone discepole.

Testimonianza di Parola vissuta

HO UN PADRE

Circolava la storia di un giovane che, in stato di isolamento dovuto alla pandemia, aveva ritrovato la vicinanza di Dio, puntuale e concreta.
Riferendosi a questa esperienza, un amico uscito indenne dal contagio ha condiviso come la sua, simile: «Ho pregato come non sapevo pregare. Non per guarire, ma per entrare meglio nel mistero della vita. Il nostro Dio, essendosi fatto uomo come noi, è come se fosse un nostro "gemello". Nei nostri dolori, le nostre lacrime diventano le sue; la nostra felicità, la sua gioia; il nostro peccato, lo fa suo. Le nostre preghiere, le nostre invocazioni lo scuotono al punto che non riesce a rimanere inerte, ma, con il cuore che gli scoppia di tenerezza viene in nostro soccorso.
L'esperienza di quel giovane, qualche anno fa, l'ho vissuta io, sia pure con altre modalità. Ho capito di avere un Padre che pensa sempre a me, sa tutto di me e solo arrivare nell'intimo della mia anima. In lui mi butto ad occhi chiusi perché, alla fine, vuole assolutamente che io stia con lui».

S.R. -Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



21a domenica del tempo ordinario (27 agosto 2023)
Ma voi, chi dite che io sia? (Mt 16,15)

Se domenica scorsa, ventesima del Tempo Ordinario, abbiamo riflettuto su come chiedere al Signore con fede, oggi ci viene chiesto singolarmente di riconoscere il Signore come il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Dopo duemila anni rimane valida la domanda che interpella la gente di oggi: chi è Gesù? Chi è per le persone che si sentono a lui vicine, interessate al suo messaggio o in dovere di perseguitarlo, pronte a dare la vita per lui o ingaggiate per parlarne male? Gesù ha a che fare con la gente di sempre: la provoca, chiede una risposta, vuole che ci sia un confronto. Gesù non ha paura dei dibattiti, purché ci si guardi negli occhi e non ci si nasconda dietro le pagine dell'ultimo romanzo o ci si faccia belli pro o contro di lui, in un programma televisivo.
La domanda rimbalza con frequenza: "la gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". Cosa dice la gente di Gesù al bar, sul bus, quando muore qualche giovane di un male incurabile, quando un infarto stronca la vita di un giovane papà? Il Maestro quanto conta nella vita delle persone? Gesù sa bene ciò che la gente dice e raccoglie le grida di ciascuno. Sa bene, da quando si è fatto uomo, quanto sudore occorra per vedere Dio nelle vicende umane, soprattutto in quelle tristi, in quelle lontane dalla nostra volontà. Cosa dice la gente di Gesù?
Ma più interessante della prima, appare la seconda domanda, rivolta da Gesù ai discepoli: "Ma voi chi dite che io sia?". Gesù mi chiede: chi sono io per te? A questa domanda devo rispondere personalmente. Il resto diventa relativo. E si capisce che per rispondere non serve una sapienza umana, ma un'esperienza di vita con il Maestro. È stando con lui, ascoltando il Padre, che si può rispondere. Non cosa pensano gli altri, ma cosa dico io dopo che l'ho incontrato. Se Gesù vale più di tutto, perché so chi è, la mia vita si trasforma di conseguenza. E io, proprio nella fatica della testimonianza, divento immagine di lui.

Testimonianza di Parola vissuta

ASCOLTARE DIO CHE PARLA AL CUORE

Faccio fatica a capire una penitenza cercata attraverso gli strumenti della sofferenza. Gesù nel Vangelo parla di affanno di ogni giorno. Mi sembra perciò più attinente al Vangelo fare la volontà di Dio nel presente, che è la più potente "penitenza".
Aderirvi con tutto il cuore, la mente, le forze, è un impegno di perfezione che vorrei poter raggiungere. La vita per sé stessa è dura e difficile per la natura umana portata alla pigrizia e agli accomodamenti.
Un'adesione sincera alla volontà di Dio richiede un uscire fuori di sé in modo totale, una carità vigile e costante. E tutto questo è "penitenza" per l'uomo, che tende a trovare in sé stesso i motivi della propria esistenza. Se Dio è l'Ideale della vita, occorre spostare fuori il centro dell'anima, e questo è conquista e libertà, ma anche espropriazione di tutto ciò che è disordine.
Le strutture sociali, sia quelle alienanti della società civile che quelle santificanti della Chiesa, hanno entrambe il merito di fornire gli strumenti della santificazione più consoni al vangelo: l'affanno di ogni giorno.

S. I. – Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



22a domenica del tempo ordinario (3 settembre 2023)
Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25)

Matteo ci presenta Gesù in cammino verso Gerusalemme. E, all'inizio di questo viaggio, si rivolge quasi esclusivamente alla cerchia ristretta dei discepoli e annuncia loro che a Gerusalemme l'attendono la sofferenza e la morte.
L'insegnamento di Gesù si sviluppa in due momenti: in un primo quadro Gesù presenta il doloroso destino che l'attende nella città santa e la reazione di Pietro a tale annuncio. Il secondo quadro presenta un'istruzione sul seguire il Maestro, costituita da una catena di cinque affermazioni. Tra i due quadri si nota una corrispondenza tra il destino di Gesù e il cammino proposto ai discepoli: alla sofferenza e morte di Gesù fa riscontro la croce dei discepoli; all'annuncio della risurrezione fa riscontro La promessa della venuta gloriosa del Figlio dell'uomo.
Gesù sembra fermare il cammino e ai discepoli, ancora impigliati nei sogni di un messianismo popolare glorioso, propone tre frasi "scandalose". La prima ha al centro la croce, che il Cristo vede già profilarsi al suo orizzonte: il discepolo deve seguire il Maestro anche in questa spogliazione totale.
La seconda e la terza frase di Gesù si costruiscono in una coppia di verbi antitetici: da un lato c'è il "perdere", dall'altro il "salvare-guadagnare". Il mondo considera il primo verbo come tipico degli sconfitti, degli stolti, degli inetti; mentre il secondo, quello del guadagnare e dell'avere, lo coniuga in mille modi e tempi, considerandoli il segno del successo, dell'intelligenza e della felicità.
Cristo ribalta radicalmente questa concezione e nel perdere, nel donare, nel liberarsi dall'egoismo e dalle cose, vede il segno di un trovare, vede la via per una conquista straordinaria. È un perdere "per causa mia", è un perdersi per il Cristo, per i fratelli, per trovare la vera vita. È quel "dare la vita per la persona amata", è quel consegnare senza risparmio se stessi, le proprie energie, il proprio tempo, i propri beni ai fratelli, che ci costituisce come veri discepoli. È l'essere dono che ci permette di realizzare pienamente noi stessi. Proviamo!

Testimonianza di Parola vissuta

L'AMORE HA SEMPRE LA MEGLIO…

Un compagno di classe mi punzecchiava spesso, mettendomi sempre in cattiva luce verso gli altri e soprattutto con le ragazze. La cosa cominciò a darmi fastidio. Provai a dirglielo, ma si scusò dicendomi che non c'era nessuna cattiveria. Più tardi ne parlai a casa e ciò che mi stupì fu che i miei non mi sembrarono dalla mia parte: «Hai provato a rispettarlo di più, non soltanto a difenderti?».
Cosa fare? A un compito di matematica, materia dove sono abbastanza ferrato, mi accorsi che quel compagno era in difficoltà. Gli feci un cenno e gli passai gli elementi necessari per procedere. Nell’intervallo venne da me quasi commosso e mi diede metà della sua merenda. Non so se avevo veramente capito cosa volessero dirmi i miei genitori, ma in me s'era cancellata ogni traccia di rancore verso di lui. La ragazza di cui s'era invaghito si avvicinò a noi e, forse conoscendo le passate tensioni, commentò: «È bello vedervi così amici». Riconosco che i miei genitori, volendo il mio bene, mi aiutano a vivere con la massima dignità. Li ho ringraziati per il loro consiglio.

R.G. – Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



23a domenica del tempo ordinario (10 settembre 2023)
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro (Mt 18,20)

Matteo nel capitolo 18 ha raccolto il quarto (su cinque) dei discorsi di Gesù, che costituiscono quasi le colonne del suo Vangelo. La pagina odierna, che è stata chiamata anche "La Regola della Comunità cristiana", il "discorso ecclesiale", è attenta a definire la vita, il comportamento, il governo della Chiesa.
Una delle questioni affrontate con particolare calore è proprio quella della correzione fraterna, che è in certo senso la missione della sentinella nei confronti dei pericoli che il fratello può correre. Gesù non incoraggia affatto la caccia agli errori altrui, ma "va e ammoniscilo fra te e lui solo". Dunque la prima cosa da fare, dice Gesù, è quella di non tirarsi indietro quando si nota che il fratello ha imboccato la strada sbagliata. È necessario il dialogo personale (è questione cioè di cuore), che stabilisce un'intimità, che permette di sciogliere le incomprensioni e di rispettare meglio la dignità e l'onore del fratello.
Talvolta, però, è necessario ricorrere ad un secondo mezzo, quello dei testimoni. Infine alcune volte la situazione, molto più grave, richiede di ricorrere all'intera assemblea ecclesiale. E "se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano"; cioè, quando è stato tentato tutto il possibile, tutto viene rimesso all'iniziativa misericordiosa del Padre, cui solo spetta il giudizio definitivo.
I vv 9 e 20 chiudono il tema della correzione fraterna mettendo in luce l'efficacia della preghiera comunitaria e dell'amore reciproco, che permettono la presenza di Gesù stesso nella comunità. Perché solo una comunità unita e concorde sperimenta la presenza del Signore Risorto. Solo una comunità riconciliata, costituisce il luogo e la garanzia della presenza del Signore in mezzo ai suoi.
Il brano evangelico odierno allora permette di cogliere la vita della comunità cristiana come una realtà preziosa, nella quale ognuno è responsabile di tutti e deve impegnarsi per la salvezza di tutti con l'azione personale, la pazienza, la delicatezza, l'amore reciproco e la preghiera comune.

Testimonianza di Parola vissuta

MI SONO GUARDATA ATTORNO…

Anni fa durante un ritiro ho sperimentato una fraternità insolita. La spiegazione me l'ha data la frase del Vangelo "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Era dunque Qualcuno di cui avvertivo la presenza. Di qui la spinta interiore a vivere sempre con lui, Gesù.
Tuttavia, intravista la meta, non trovavo il modo per arrivarci. Infatti le persone incontrate al ritiro abitavano lontano. Soffrivo di solitudine. Ma credevo alle parole di Gesù: "A chi mi ama, mi manifesterò". A darmi il coraggio era il pensiero che nel mondo esistono persone che si impegnano per il bene. Non le avevo forse conosciute anch'io? A questo punto mi sono guardata attorno… e ce n'erano di bisogni!
Ho cominciato a cercare chi era solo e aveva bisogno di aiuto per qualche pratica burocratica o per essere accompagnato dal medico. Presto altre conoscenti, vedendomi impegnata in questi servizi e contenta, mi hanno chiesto di collaborare anche loro. Ora siamo un bel gruppo. Mi sembra che sia Gesù a condurci, anche nel farci raggiungere chi ha bisogno di noi.

S.R. - Francia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



24a domenica del tempo ordinario (17 settembre 2023)
Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,22)

Certamente abbiamo fatto esperienza della misericordia di Dio. È senza limiti e il suo giudizio verso i peccatori è sempre di perdono. Da questa caratteristica di Dio nasce per noi cristiani l'esigenza di perdonare il prossimo con la stessa larghezza e misericordia con cui noi stessi siamo perdonati da Dio.
Nel vangelo di questa domenica sentiamo Pietro che si avvicina a Gesù, si rivolge a lui col titolo di Signore e lo interroga sul perdono, un argomento importante nei rapporti umani. Il caso proposto da Pietro è preciso nell'indicazione degli attori. Chi pecca è "il mio fratello", cioè un membro della comunità. Pietro si considera danneggiato dal comportamento del fratello. Pietro non chiede come comportarsi, ma parte dal presupposto che l'unica reazione sia il perdono. Il problema riguarda "quante volte" si debba accordare il perdono. La risposta prospettata da Pietro pone come limite "sette volte". Alcuni testi biblici invitavano a concedere il perdono per almeno tre volte, come Dio "che perdona l'uomo due, tre volte", secondo quanto scrive Giobbe. A Pietro quindi pareva già di essere ardito e generoso immaginando un perdono fino a sette volte.
Gesù, invece, va oltre spezzando la concezione quantitativa del perdono. Egli utilizza la proposta di Pietro e la integra con una risposta, che giocando sul numero, esprime la totalità: parla di "settanta volte sette", che equivale a sempre. Il perdono dev'essere continuo, totale e assoluto. È una richiesta esigente, e Gesù la illustra con la parabola del servo spietato. La lezione che il Maestro indirizza alla sua comunità è limpida e non ammette eccezioni. Il discepolo deve essere sempre pronto e gioioso nel concedere il perdono senza ricorrere a scusanti o a distinzioni vane.
Sappiamo che questo perdono dato al fratello ha una radice profonda: dobbiamo riconoscere che noi per primi siamo dei perdonati da Dio. E la parola perdono significa "dono super": il Padre celeste infatti ci usa una misericordia senza limiti, non pone confini alla sua bontà, anche se molte volte ne approfittiamo. Chiediamo di avere il cuore di Dio!

Testimonianza di Parola vissuta

IL NOSTRO PERDONO NON PUÒ MAI MANCARE

La messa era giunta alla conclusione. Mentre don Carlo, il nostro parroco, impartiva una benedizione particolare a uno dei parrocchiani che aveva compiuto quel giorno il suo novantesimo compleanno, io ero intenta a scattare qualche fotografia della scena. Era presente alla cerimonia anche sua sorella, venuta per l'occasione dalla Svizzera francese.
All'uscita dalla chiesa mi sono avvicinata a lei e le ho chiesto il suo numero di cellulare così da poterle inviare l'intera serie di foto. Volentieri me l'ha fornito, ringraziando.
Più tardi lei ha telefonato a casa mia, mentre io ero assente; le ha risposto mio marito, che al mio ritorno mi fa: «Ma tu parli con quella persona, malgrado tutto quello che ci ha fatto?». Si riferiva a vecchi dissapori intercorsi tra quella signora e noi. «Certo! – mi son sentita di rispondergli –. Non voglio partire da questo mondo avendo rancore verso qualcuno! La verità è che siamo tutti fratelli, anche se a volte ce ne dimentichiamo». Mio marito non ha replicato, ma per un po' l'ho visto piuttosto pensieroso...

Loredana – Svizzera

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



25a domenica del tempo ordinario (20 settembre 2020)
Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi (Mt 20,16)

Gesù, lungo il cammino che lo porta a Gerusalemme, prosegue la formazione dei discepoli con la parabola degli operai mandati a lavorare nella vigna. Questo racconto presenta un quadro di vita quotidiana: un padrone esce di buon mattino in cerca di lavoratori per la sua vigna. Poiché la giornata lavorativa durava circa dodici ore, si capisce perché la sua ricerca sia iniziata di buon mattino. Del tutto normale anche il compenso giornaliero esplicitamente pattuito con gli interessati. Poi vediamo che il padrone della vigna esce verso la piazza più volte durante il giorno: lì incontra gente disoccupata.
Questo racconto si svolge attorno a due vertici, che ne costituiscono anche il significato profondo. Il primo è quello dell'arruolamento progressivo degli operai, ma con identico salario; il secondo è invece rappresentato dall'indignazione polemica dei "primi" assunti. Questi infatti si scandalizzano di ricevere la stessa ricompensa degli ultimi: i "farisei", i "giusti", i "primi" ricevono la stessa salvezza dei "peccatori", degli "ultimi", dei "lontani". Infatti l'operaio chiamato per primo nella parabola non reclama tanto un salario maggiore, ma lamenta soprattutto l'uguaglianza del trattamento riservato a lui e all'ultimo arrivato. La parabola si rivolge allora a gente che ricopia nel suo comportamento questi "mormoratori". Lo stile di Gesù è identico per tutti: giudei e pagani, giusti e peccatori. L'antica alleanza, basata sul diritto e la giustizia, si apre alla nuova alleanza, fondata sulla grazia e sul perdono.
Il Regno è un dono di Dio e non un salario per le opere della legge; la salvezza non è una ricompensa quasi contrattuale, ma è innanzitutto un'iniziativa divina, fatta di amore, di comunione, di gratuità a cui ciascuno di noi è invitato a partecipare con gioia, senza limitazioni e senza confronti. In fondo la misericordia è sempre scandalosa come la grazia di Dio. Scandalosa nel dono, nella tenerezza, nella bontà, nel coinvolgimento. Scandalosa per il divario che c'è tra quello che ci viene offerto e i "nostri meriti". Perché Dio fa funzionare il suo cuore di Padre. E la cosa più bella per noi è sentirci parte di questa famiglia, figli "primi e ultimi" del Padre del cielo.

Testimonianza di Parola vissuta

DAVANTI A DIO SIAMO TUTTI UGUALI

Appena sposata e con la nascita della nostra prima bambina, per aiutarmi mio marito faceva in casa tutti i lavori, perfino quelle faccende che, secondo le nostre tradizioni, sono riservate alle donne. Ciò era dovuto al fatto che, prima che ci incontrassimo, Gabriel aveva conosciuto il cristianesimo. Pur essendogli grata, mi sentivo a disagio: soprattutto quando i vicini lo vedevano, provavo vergogna per lui. Invece Gabriel pareva proprio a suo agio comportandosi cosi. Se gli domandavo di distinguere i nostri lavori e di scegliere, mi rispondeva che davanti a Dio siamo tutti uguali.
In seguito sono diventata cristiana anch'io.
Solo allora ho capito l'atteggiamento di mio marito e invece di discutere ho cominciato a fare, prima che lui rincasasse, quei lavori che ritenevo fossero più adatti a me in quanto donna. Ne è nata fra noi una gara. E ciascuno in casa cercava di fare qualcosa per amore dell'altro.
Cosi abbiamo messo Dio e la sua legge d'amore prima di ogni altra cosa, anche delle abitudini del nostro popolo.

J. T. - Africa

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



26a domenica del tempo ordinario (1° ottobre 2023)
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio (Mt 21,31)

Il quadretto di vita familiare che oggi Gesù ci presenta è semplice e immediato; in esso molte delle nostre famiglie potranno riconoscere qualche tratto della propria storia. Figli apparentemente sereni e tranquilli nascondono talvolta tormento interiore, rifiuto e insoddisfazione; mentre ragazzi dall'atteggiamento ribelle sono capaci di generosità sorprendente. C'è quindi un'obbedienza che ha il tono dell'apparenza e c'è una disobbedienza che si presenta indisciplinata, ma che in realtà ha una sostanza di impegno.
Nel primo figlio Gesù presenta l'immagine dei "formalisti", che egli vede incarnati nei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo. Nell'altro figlio invece si profila la categoria dei molti ribelli, dei peccatori, degli indisciplinati per la legge e nel giudizio comune, capaci però di gesti generosi, pronti alle cose belle pur nel deserto della loro esistenza impura. Sono i "pubblicani e le prostitute" della spiegazione, che Gesù aggiunge alla parabola.
La voce "paterna" del Cristo risuona per entrambi questi figli ed è un appello alla conversione e all'impegno anche per i ribelli perché si incamminino totalmente sulla strada del "campo", cioè della vita nuova. Il diverso comportamento dei figli, infatti, consente di ricavare dalla parabola una prima indicazione: non conta il dire, è necessario il fare. È il fare che è più importante, non l'obbedienza apparente. Le nostre parole non valgono niente se vengono contraddette dal nostro operare.
Altro elemento importante della parabola è costituito dal ripensamento del secondo figlio. C'è sempre la possibilità di trasformare il no in sì. Dio è paziente, ci dona il tempo della conversione. Perché al Signore interessa l'autenticità del nostro cuore. E sono i fatti a parlare da sé, a mostrare ciò che è avvenuto nel profondo del cuore. Che le nostre azioni nascano sempre più da un cuore retto che ama il Signore e i fratelli.

Testimonianza di Parola vissuta

LA FERITA

In certe feste do ai miei quattro figli una quota per comperare dei regali ai bambini poveri. Quest'anno il figlio minore mi ha chiesto altri soldi: aveva saputo che il padre era disoccupato e non poteva fare regali ai figli avuti da un'altra donna. Per me è stata una doccia fredda. Mio marito ci aveva abbandonati da anni e dentro la ferita era rimasta. Quella notte ho pianto tanto, mi sentivo tradita anche dai miei ragazzi. Ma forse ero io che sbagliavo e il più piccolo mi stava dando una lezione. La mattina seguente gli ho aumentato la quota.
Tempo dopo i miei figli mi hanno chiesto di aiutare il padre a trovare un lavoro. Era il colmo. Proprio loro che non avevano mai ricevuto un regalo da lui ora chiedevano questo a me! Nonostante i ricordi dolorosi, capivo che dovevo mettere in pratica il comando di Gesù di amare i nemici. Mi è costato ma ce l'ho fatta. Indescrivibile la gioia che ho visto nei ragazzi.
Ho ringraziato Dio per la loro generosità ma anche perché mi avevano dato occasione di togliere dal cuore un risentimento che mi torturava da anni.

C.C. - Colombia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



27a domenica del tempo ordinario (8 ottobre 2023)
A voi sarà tolto i Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti (Mt 21,43)

L'odierna liturgia della Parola si apre con un inno poetico: "Voglio cantare per il mio diletto un cantico d'amore per la sua vigna…". La conclusione è che l'uomo può amareggiare il cuore di Dio, ne può ferire l'amore, lo può deludere nelle attese. L'uomo amareggia e delude anche il cuore di Cristo: è ciò che fa da filo conduttore nella celebre parabola della vigna, che oggi Matteo ci racconta.
Matteo la narra avendo presente la tensione che allora correva tra la Chiesa appena nata e Israele, il popolo a cui appartenevano Cristo e i primi cristiani. Infatti la finale della parabola è esplicita: il padrone "darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo… Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti". Il rifiuto di Israele rappresenta ogni peccato e ogni incredulità, come l'accoglienza del nuovo popolo che fa fruttificare la vigna non è che la continuazione dell'Israele fedele, che accolse la voce dei profeti e credette.
Se Dio ha affidato all'uomo la sua opera, significa che ha fiducia in lui. Questa fiducia, se da una parte ricorda la grande responsa-bilità del cristiano, dall'altra è segno dell'amore di Dio per noi, un amore così grande da riporre nelle nostre mani "la via" della salvezza. Le promesse di Dio sono per coloro che si impegnano a portare frutto e ad aderire alla volontà del Padre. Solo questa è la condizione che potrà consentire alla comunità cristiana di essere amministratrice dell'eredità che ha ricevuto. Essere popolo che vive la comunione al suo interno e sa essere accogliente verso i bisognosi con l'attitudine al dono senza alcuna pretesa. Un richiamo ancora una volta a ciascuno di noi, perché porti frutto, si impegni a "lavorare per la vigna" e dia il proprio contributo alla costruzione del Regno.

Testimonianza di Parola vissuta

INVECCHIARE INSIEME

Dopo decenni di vita matrimoniale nell'amore, mi sono reso conto di essere diventato insofferente verso mia moglie. Lei non è d'accordo in tante cose che io faccio e mi ripete sempre la stessa lezione. Un giorno, dopo averla sentita una prima e una seconda volta, ho risposto con rabbia che sapevo quello che dovevo fare: me l'aveva già detto. Naturalmente lei è rimasta male, ma anch'io. Le ho chiesto perdono, ma dentro di me è rimasto il grande dolore di non aver rispettato, accettato il suo invecchiamento. Se questo succede con lei, ho riflettuto, chissà quante cose faccio io che fanno male a mia moglie.
Raccontavamo questo fatto a una nipote, venuta a trovarci con il suo compagno, quando lei, senza motivo apparente, ha cominciato a piangere mentre lui le prendeva la mano, accarezzandola. Dopo un po' di silenzio ci hanno confidato che avevano deciso di non restare insieme per le diversità di carattere riscontrate tra loro. Ascoltando però il nostro racconto, erano stati commossi dalla bellezza di invecchiare insieme e provare a ricostruire sempre l'amore.

P.T. - Ungheria

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



28a domenica del tempo ordinario (11 ottobre 2020)
Molti sono chiamati ma pochi eletti (Mt 22,14)

Oggi Matteo ci racconta un'altra splendida parabola di Gesù, sceneggiata sullo sfondo di un banchetto nuziale solenne. Si tratta in realtà di due parabole connesse tra loro: la prima è quella degli invitati alla grande cena; la seconda è presente solo in Matteo e prende lo spunto dalla veste di cerimonia, simbolo della dignità di una persona.
Semplice è il tema del primo racconto: davanti al pranzo di salvezza e di amore offerto da Cristo, le reazioni sono antitetiche: rifiuto e accoglienza. Proprio i primi invitati, i privilegiati, rispondono con indifferenza, con fastidio, persino con ostilità e disprezzo. È la reazione che Gesù sperimenta tra i suoi ascoltatori. Ma Dio non si arrende davanti al rifiuto umano. E allora ecco che l'invito viene rivolto ora a tutte le persone che i messaggeri del re incontrano per strada: il pranzo di Dio infatti non è sospeso, l'offerta non si spegne, anzi risuona per quegli strani personaggi. È tutto un mondo di poveri, di emarginati, di esclusi dai pranzi ufficiali. È questa la nuova comunità delle Beatitudini.
Ma anche nella nuova comunità può nascere un dramma. Il re entra e scorge un invitato senza la "veste nuziale", lo rimprovera e lo condanna. La chiamata infatti ad entrare nella Chiesa è un dono e non conosce frontiere o limitazioni, ma al dono di Dio bisogna rispondere con una vita adeguata. La "veste nuziale" indica la vita nuova, che è richiesta a colui che vuole entrare a far parte della Chiesa. Sapendo che la Chiesa non è una comunità di santi già realizzati, ma di "santi" in cammino verso la santità. Il Vangelo non è una "toppa" nuova da cucire su un vestito vecchio, ma una novità assoluta di "abito" e di vita. Noi siamo stati chiamati: chiediamo al Signore di convertire il nostro cuore e di fare della nostra vita un cammino verso la santità per entrare tra gli eletti.

Testimonianza di Parola vissuta

CENTELLINARE

Quando, dopo gli ultimi esami, dal medico mi è stato annunciato che il cancro si era riaffacciato, il primo pensiero è stato per la famiglia, per i nostri figli e nipotini. Mio marito ed io ne abbiamo parlato serenamente e abbiamo deciso di vivere il periodo che mi rimane come il tempo più bello per consegnare loro l'eredità di un amore fedele fino alla fine.
Sono iniziate giornate che, pur pesanti per i dolori, hanno un colore e un calore nuovi. Non soltanto è aumentato l'amore fra tutti, ma direi che stiamo imparando a vivere il tempo "centellinandolo". Ogni gesto è unico perché potrebbe essere l'ultimo, e così pure ogni telefonata, ogni parola detta. L'attenzione all'altro, al tono della voce, a creare armonia tra noi… tutto ha preso valore.
Mio marito si sorprende di quanta gioia siano pieni questi nostri giorni e mi ripete spesso: "È l'unico bene che possiamo lasciare ai nostri figli!". Nei momenti dedicati alla preghiera sentiamo il cielo aprirsi perché è diventata soltanto un atto di ringraziamento.

G.C. - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



29a domenica del tempo ordinario (15 ottobre 2023)
Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21)

La Palestina, al tempo di Gesù, era occupata dai romani e soggetta alle leggi di Roma. Segno di questo assoggettamento era il tributo che i Giudei dovevano versare all'erario romano. Per quanto riguarda il pagamento del tributo, tra gli stessi ebrei vi erano posizioni divergenti: per gli erodiani (filo-romani) il tributo non costituiva problema; gli zeloti, contrari per principio alla presenza romana, vi si opponevano; i farisei, infine, pagavano rassegnati la tassa per evitare il peggio.
Farisei ed erodiani inviano a Gesù una delegazione con una domanda trabocchetto, messa insieme con grande abilità: "È lecito o no pagare il tributo a Cesare?". Qualunque sia la risposta Gesù è perduto: se si pronuncia contro il versamento del tributo sarà denunciato come un pericoloso sovvertitore delle leggi di Roma quindi un agitatore del popolo; se invece si dichiara favorevole al pagamento cesserà di apparire agli occhi del popolo come il Messia atteso.
La straordinaria soluzione di Gesù è un monito molto concreto e non solo una affermazione di principio. Da un lato egli proclama il dovere umano, civile e morale, di pagare le tasse, cioè di collaborare alla vita politica e al bene comune della società terrena. D'altro canto, però, Gesù afferma con vigore l'autonomia della coscienza e della dignità umana, che non può essere conculcata da nessun potere politico prevaricante.
Col rendere "a Dio quello che è di Dio" nel tempio della liturgia, della casa, della coscienza personale, il cristiano deve rendere "a Cesare quel che è di Cesare" nella città, nel lavoro, nella politica, nella società. Siamo fatti a "immagine e somiglianza" di Dio: nella nostra realtà più intima e profonda apparteniamo a Dio: per lui facciamo ogni cosa con perfezione, anche il nostro impegno di cittadini.

Testimonianza di Parola vissuta

UNA PROTESTA POSITIVA

Come cristiana, mi chiedevo se aderire o no allo sciopero (insegno in una scuola media), quale fosse la scelta più costruttiva. E proprio ragionando su cosa potesse evitare atteggiamenti di conflittualità, favorendo il dialogo fra le parti interessate, il giorno dopo mi sono recata a scuola, ma ho destinato la cifra corrispondente alla giornata di lavoro a un'associazione che si sta prodigando per un'emergenza nel nostro Paese.
Non tutti hanno compreso la mia presenza al lavoro, ma quando ho potuto spiegare la convinzione nata in me, mi è stato manifestato apprezzamento.

Maria Cristina - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



30a domenica del tempo ordinario (29 ottobre 2023)
Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt 22,39)

Raggiunta Gerusalemme per l'ultima e definitiva stagione della sua vita, Gesù è presentato da Matteo in un dibattito serrato con i teologi e i rappresentanti gerarchici del giudaismo ufficiale di allora. Quella che oggi leggiamo è la terza polemica (Matteo ne presenta cinque), la più significativa. Essa tende ad illustrare in modo vigoroso l'originalità del messaggio cristiano, che pure parte da una base biblica comune al giudaismo. "Un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova…": Gesù risponde alla domanda "Qual è il più grande comandamento della Legge?", citando il Deuteronomio "Amerai il Signore tuo Dio…" e il Levitico "Amerai il prossimo tuo come te stesso".
Gesù vuole suggerire l'amore come impostazione di fondo dell'intera esistenza. Con un atteggiamento di amore infatti tutti i comandamenti, anche i più piccoli, diventano importanti perché sono espressione di un amore permanente e totale. È come un po' quello che avviene, ad esempio, nell'amore di una mamma: il suo amore materno è come una luce di fondo che si riflette su tutti i suoi gesti, sia sull'atto eroico, sia su quello modesto, come la preparazione al mattino di una colazione o di un vestito.
Gesù mette i due amori, a Dio e al prossimo, in una perfetta posizione di parità: "il secondo è simile", cioè è importante come il primo. Per Cristo la dimensione verticale (amore a Dio) e quella orizzontale (amore al fratello) sono inscindibili, si incrociano e si vivificano reciprocamente. Quanto più Dio viene messo al centro del proprio cuore, tanto più l'uomo si ritrova al centro. Sicuri che dove c'è di mezzo Dio, protagonista è sempre l'uomo e dove c'è di mezzo l'uomo, protagonista è sempre Dio. Così ha fatto Gesù, così siamo chiamati a fare noi, discepoli di Gesù.

Testimonianza di Parola vissuta

ASCOLTO

Era dalla morte di mia moglie che non vedevo quella conoscente, venuta a trovarmi per chiedermi consiglio riguardo ad un'ingarbugliata storia di famiglia. L'ho ascoltata a lungo mentre descriveva con mille particolari e supposizioni la situazione, cercando di immedesimarmi in lei, di capire i suoi stati d'animo.
Alla fine, nel salutarmi, ha concluso: "Grazie per i tuoi consigli!". Poi, correggendosi e con un certo sorriso: "Non credo che tu abbia detto una parola, ma il tuo ascolto mi ha aiutata a vedere più chiaramente. Grazie!".

F.O. - Polonia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



Tutti i Santi (1° novembre 2023)
Gesù si mise a parlare e insegnava loro (Mt 5,2)

Il vangelo delle beatitudini che ascoltiamo in questa solennità è l'inizio del "discorso della montagna", il primo dei cinque grandi discorsi che scandiscono il vangelo di Matteo. Il discorso viene introdotto in modo solenne: Gesù sale sul monte: è come il nuovo Mosè che comunica la nuova Legge. Attorno a lui si riuniscono i discepoli e la folla, che ricevono un insegnamento che dovrà trasformarsi in vita. Gesù si mette a sedere: è come il Maestro che siede in cattedra: ha qualcosa di importante da comunicare. Poi si mette a parlare: ha creato attorno a sé un clima di attenzione, che permette alla parola proclamata di cadere "in un terreno buono". E "insegna loro": la parola che Gesù annuncia non è una parola qualsiasi, ma una parola che lascia il segno, cioè se tu l'ascolti con attenzione, se l'accogli nel tuo cuore, essa trasforma la tua vita: quelle parole la rendono santa.
Sapendo che i santi non sono persone perfette fin dall'inizio. Avevano, come tutte le creature umane, fragilità e difetti contro i quali hanno dovuto lottare per tutta la vita. Ma in tutti loro ritroviamo lo stesso profilo. A forza di frequentare la Parola di Gesù si sono lasciati modellare secondo i suoi tratti, finendo con l'assomigliargli. I santi sono stati delle persone "in cammino", appassionate della parola di Gesù e hanno fatto sì che questa Parola "segnasse" la loro vita. I santi sono semplicemente coloro che hanno lasciato che la Parola di Dio, che è Gesù, facesse qualcosa di bello e di buono, servendosi dell'argilla di cui erano impastati. Si sono fidati di Dio, gli hanno affidato la loro vita, hanno preso sul serio il Vangelo e proprio per questo è successo e succede qualcosa di inspiegabile. Nonostante le debolezze, nonostante le zone meno luminose della propria esistenza, Dio ha costruito capolavori. Lasciamoci anche noi "segnare" dalla Parola di Gesù!

Testimonianza di Parola vissuta

AL SUPERMERCATO

Comincio la mia giornata leggendo questo pensiero: "Scopriamo le povertà che abitano le nostre città… Con piccoli gesti possiamo dare un po' di conforto, ecc.".
Al supermercato per fare la spesa, alla cassa do la precedenza a una signora con poche cose nel cestino. Mi ringrazia e dopo ci presentiamo. Elena (è il suo nome) comincia a dirmi qualcosa della sua vita che ritiene infelice, della figlia internata in un istituto per disabili da quando il marito l'ha lasciata. Cerco di consolarla e le racconto di una mia amica disabile che partecipa alle prove del coro che frequento, di sua madre che si dedica a lei, vivendo la vita come una missione. A volte non è facile, ma ci aiutiamo sostenendoci con la preghiera e condividendo le nostre esperienze. "Ma loro hanno fede – obietta Elena -, mentre io non ce l'ho. Anch'io desidererei la felicità e che qualcuno mi voglia bene". E due lacrime le rigano il volto.
Avverto in me tutto il suo dolore. Ci lasciamo con la promessa che pregherò per la figlia e chiederò per lei a Dio serenità e il dono della fede.

Gaby - Svizzera

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



31a domenica del tempo ordinario (5 novembre 2023)
Perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8)

Si respira nel brano evangelico di oggi la pesante tensione che la chiesa matteana viveva per la frattura ormai aperta tra la nuova comunità cristiana e quella giudaica. Come è stato osservato da studiosi, si confrontano in questa pagina due comunità profondamente incompatibili.
La prima è piena di gente tradizionalista, avida di potere, intenzionata solo a portare avanti se stessa dietro il paravento di complicazioni teologiche e di sottili sofismi religiosi. È così convinta di essere nel giusto da preoccuparsi quasi esclusivamente dell'immagine pubblica che offre. E allora si allargano i filatteri, cioè le teche di cuoio che si portano ritualmente sul braccio e sulla fronte con brani biblici inseriti; si allungano le frange, promemoria degli obblighi della Legge e dell'Alleanza; si occupano i posti di pregio, si amano complimenti e riverenze e ci si fregia di tutti i titoli posseduti.
Ma c'è una seconda comunità, quella cristiana: in essa sono raccolti i discepoli di Gesù, quelli cioè che vivono la propria vita come relazione con Dio e con i fratelli. Essi non si preoccupano tanto dei loro meriti e della ricompensa divina, ma si abbandonano ad una donazione limpida e totale. In questa comunità è bandita la presunzione e si vive nella più completa fratellanza.
Gesù, in questa diatriba, sottolinea il titolo di "rabbì": maestro. Egli non respinge la missione dell'insegnamento, tant'è vero che dichiara "quanto vi dicono, fatelo e osservatelo". Egli denuncia la boria altezzosa e la scienza teologica, che disprezzano gli altri e si auto compiacciono. Gesù ci ricorda che Lui è il Maestro da ascoltare e da imitare. E questo non farlo in qualche modo, ma da fratelli che si amano e si aiutano. Insieme seguire Lui, ascoltare e mettere in pratica la sua Parola.

Testimonianza di Parola vissuta

LA VOLONTÀ DI DIO SU DI ME

Cosa significa oggi per me essere sacerdote a venticinque anni dal suo inizio? È essere contemporaneamente (per quanto è possibile a una creatura umana) Gesù del Cenacolo e Gesù del Calvario, Gesù delle folle e Gesù del Getsemani, Gesù degli osanna e Gesù del "Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Gesù della morte e Gesù della risurrezione. In una parola: vuol dire essere sempre di più, ogni giorno, un pochettino di più, Gesù, così come l'eterno Padre desidera e dispone nella sua amorosa volontà.
Vorrei aggiungere ancora qualcosa. Sarà per il momento attuale di vita, sarà per un ulteriore oscuro dono del Signore, io vivo senza il passato e vivo senza il futuro. Senza il passato: ricordo ben poco di quanto il Signore si sia servito di me. Senza il futuro: che lascio totalmente al Signore cui mi affido sicuro. Si serva di me e come vorrà.
Non ho che l'attimo presente. In esso, poter fare o no, sia umanamente sia sacerdotalmente, non conta. Conta solo essere quella volontà di Dio su di me. Questo io voglio.

C. F. - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



32a domenica del tempo ordinario (12 novembre 2023)
Ecco lo sposo! Andategli incontro! (Mt 25,6)

La "parabola delle dieci vergini", che oggi ascoltiamo, fa parte del discorso "escatologico", quello cioè che riguarda le cose ultime della nostra vita. È l'ultimo grande discorso che Matteo mette in bocca a Gesù. In particolare questa parabola invita a mantenere viva la certezza del ritorno del Signore e suggerisce come comportarsi nel tempo dell'attesa. Essa insegna che bisogna essere pronti ad ogni evenienza (anche al ritardo della venuta del Signore) e che il ritardo non deve significare darsi alla pazza gioia. È bello pensare che l'arrivo di Gesù è paragonato all'arrivo dello sposo. Quest'immagine infatti richiama conoscenza, consuetudine di vita, accoglienza, intimità, condivisione, perdono… e molto altro. Tutte quelle virtù che possono fare bella e intensa la vita cristiana.
È bello pensare al nostro rapporto con Dio con l'immagine dello sposo. Questo sposo che, pensando alla parabola, è colui che è atteso, è colui che sta arrivando, è colui che è arrivato. Davanti a lui ci siamo noi, che "usciamo incontro allo sposo". Un incontro caratterizzato dalla disponibilità e dalla prontezza.
Anche noi siamo invitati ad attendere Dio come Colui che viene. Noi, comunità cristiana, possiamo vivere il tempo presente come il tempo dell'attesa del ritorno del Signore; è necessario essere vigilanti perché nessuno conosce il momento del suo ritorno. L'olio delle lampade diventa il simbolo del fare la volontà di Dio, delle opere buone. La lampada accesa esprime il desiderio e l'impegno di rimanere sempre accanto a Dio e di lasciarci guidare dalla sua Parola e la volontà che la Legge del Signore sia lampada e luce in tutti i passi del cammino della vita, come dice il salmo "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (119,105).
Da ultimo, è bello pensare che il nostro andare verso lo sposo è in realtà un incontro, perché egli per primo viene verso di noi.

Testimonianza di Parola vissuta

PAUSA DI LAVORO
Stavo facendo due passi nel parco antistante il mio ufficio, durante la pausa lavoro, quando la mia attenzione si è spostata su un tale seduto in carrozzella. Mentre lo sorpassavo, il suo mi è sembrato un viso noto. Sono tornato indietro anche se non avevo molto tempo.
Intanto lui ascoltava con gli auricolari qualcosa e sembrava non si accorgesse di quello che succedeva attorno a lui. L'ho salutato e gli ho chiesto se avesse abitato invia tal dei tali. Sì, era proprio lui. Ci vedevamo spesso in chiesa, ma poi si era trasferito e avevamo perso il contatto.
Durante la chiacchierata così iniziata, sono venuto a sapere molte sue difficoltà familiari e di salute… Potevo fare qualcosa per lui? Ha risposto che aveva lasciato a casa il portafogli e avrebbe desiderato bere dell'acqua. Ho raggiunto il bar più vicino e gli ho preso da bere, aggiungendo anche dei cioccolatini per i nipoti.
Una volta rientrato al lavoro, avevo la sensazione di essermi arricchito di qualcosa. Chissà quante volte, preso dai miei pensieri, non mi accorgo di cosa succede attorno a me!

R. C. - Spagna

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su



33a domenica del tempo ordinario (19 novembre 2023)
Prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21)

La parabola dei talenti presenta un dramma in tre atti. Nel primo il padrone affida i suoi beni a tre servi e parte; nel secondo è descritto il comportamento dei servi durante l'assenza del padrone; nel terzo il racconto del ritorno del padrone e della resa dei conti.
È una parabola che parla del ritorno glorioso del Risorto alla fine dei tempi e del periodo intermedio che la comunità deve utilizzare nel migliore dei modi. Non possiamo permetterci di perdere le occasioni che la vita ci offre, le responsabilità che siamo chiamati ad assumere, i compiti che ci vengono affidati.
I vv 20-23 presentano la resa dei conti dei primi due servi, lodati come abili e fedeli amministratori e perciò ricompensati. Facendo fruttificare i talenti ricevuti, il padrone ha potuto verificare le loro capacità e la loro fedeltà e ora può affidare loro compiti più impegnativi e importanti. I primi due servi hanno svolto in maniera egregia il loro dovere, non per questo ora possono starsene con le mani in mano. Il Signore ha sempre qualche nuovo compito da affidare.
I due servi ricevono la stessa ricompensa che non è legata alla misura della prestazione, ma all'impegno e alla fedeltà dimostrata e, alla fine, sono invitati a prendere parte alla gioia del loro padrone. Non si tratta quindi di una restituzione, ma di un'abbondante ricompensa da parte della generosità del Signore, che vuole renderci pienamente partecipi della sua vita.
La fedeltà nelle cose quotidiane ci dona la dimora eterna. I nostri piccoli gesti di amore verso i fratelli ci fanno realizzare l'essere figli. L'amore con cui compiamo ogni azione è l'olio, che fa brillare della stessa luce del Padre. Ed Egli ci ricompensa: Egli gode e la sua gioia diventa nostra.

Testimonianza di Parola vissuta

SPAZZARE PER GESÙ

Oggi ci chiamano operatori ecologici, un tempo eravamo spazzini.
Ogni giorno, se posso, vado a Messa per prepararmi al lavoro. Qualcuno mi ha fatto notare che per pulire la strada non c'è poi tutto questo bisogno di preparazione spirituale, ma io so che Gesù è in ogni persona che incontro nella giornata, in mia moglie, nei figli, in quelli che passano sul marciapiede quando lavoro.
Vorrei fermare la gente, parlarci, stringere la mano, carezzare i bambini, parlare con quel Gesù che è in loro, ma non posso. Non potendo far altro, spazzo con più cura la strada davanti a Gesù che è dentro di loro e passa vicino a me.

Michelangelo - Italia

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5
torna su




Cristo Re - 34a domenica del tempo ordinario (26 novembre 2023)
Quello che non avete fatto ad un solo di questi più piccoli non l'avete fatto a me (Mt 25,43)

L'affresco del "giudizio universale" conclude il discorso escatologico (che riguarda le cose ultime) e può essere considerato la sintesi di tutta la predicazione di Gesù. Matteo, che ce lo dona, ha davanti una comunità cristiana, nella quale la fede sembra intiepidirsi. Allora egli scrive per ridestare l'impegno nel suo lettore e nella comunità: il Signore di certo verrà, però non sappiamo quando; proprio per questo non si deve allentare la vigilanza. Matteo suggerisce l'idea che ognuno prepara a se stesso il giudizio di accoglienza o di esclusione dal Regno nel corso della vita terrena.
In questa pagina l'evangelista ci fa conoscere quale sarà il criterio di giudizio e a tale scopo adotta ancora una volta lo stile parabolico. Gesù viene presentato come il re-messia che amministra la giustizia, come il Figlio dell'uomo che viene a realizzare il giudizio finale, come il pastore inviato a tutti i popoli. La parte preponderante del brano è costituita dal dialogo del Figlio dell'uomo rivolto a tutti gli uomini senza eccezione e senza privilegi. Il criterio, sulla base del quale è formulato, è il comportamento avuto nei confronti dei più piccoli, vale a dire di ogni persona che si trova nel bisogno. E il comportamento realizza o meno alcune elementari opere di misericordia nei confronti di chi è nella necessità.
Sono gesti semplici quelli richiesti; sono gesti che nascono dall'evidenza della situazione; sono gesti "urgenti", in quanto le situazioni di bisogno richiedono un intervento immediato. Questi atti riassumono tutto l'insegnamento di Gesù e illustrano il comandamento dell'amore. E ci ricordano anche, la possibilità che abbiamo di fallire, di "dire-male" la nostra vita (fatti per amare e non amiamo!). Viviamo quotidianamente il nostro impegno dell'amore! E quando ci accorgiamo di non essere riusciti per una volta, ricominciamo subito ad amare.

Testimonianza di Parola vissuta

L'AMMALATO "IMPOSSIBILE"

Sono alla mia prima esperienza come infermiera. Introducendomi nel reparto, i colleghi avevano ritenuto opportuno darmi qualche istruzione: "Quell'uomo è impossibile". Era un malato grave che si nutriva con sonda. Non poteva parlare e non si riusciva a comunicare con lui. Da subito ho avvertito l'urgenza di amarlo fino a sentire in me la sua malattia, i suoi limiti fisici.
Ce n'è voluto di tempo, ma da quel primo giorno in cui, vedendomi entrare, aveva girato la faccia contro la parete, le cose sono molto cambiate. Adesso, a cenni, mi chiama, mi fa capire che mi ringrazia, è più tranquillo. Collabora perfino nelle sedute di fisioterapia.

G. - Portogallo

Clicca qui per Foglio stampabile (pdf), formato A4, stampa f/r per A5


----------
torna su
torna all'indice
home