a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 6/2020)
ANNO A – 14 giugno 2020
SS. Corpo e Sangue di Cristo
Deuteronomio 8,2-3.14b-16a • Salmo 147 • 1 Corinzi 10,16-17 • Giovanni 6,51-58
(Visualizza i brani delle Letture)
SS. Corpo e Sangue di Cristo
Deuteronomio 8,2-3.14b-16a • Salmo 147 • 1 Corinzi 10,16-17 • Giovanni 6,51-58
(Visualizza i brani delle Letture)
UN CORPO DA MANGIARE
Come può costui darci da mangiare la sua carne? E una domanda seria quella che si fanno i Giudei. Noi siamo abituati a leggere queste parole di Gesù pensando all'eucaristia e, forse, abbiamo un po' disinnescato la portata scandalosa di ciò che contengono. Eppure, fin dall'inizio della Chiesa questo comando di Gesù era un mistero che la gente di fuori non capiva e storpiava, immaginando chissà quali banchetti umani e accusando i cristiani di cannibalismo. Forse, il problema non era dei Giudei, e neppure dei pagani; a guardarci bene il problema è nostro, che non siamo più capaci di cogliere la forza rivoluzionaria delle parole di Gesù.
In questa domenica, in cui festeggiamo il corpo e il sangue del Signore, possiamo dunque riflettere su questo mangiare la sua carne. Perché Gesù ci dice che è un gesto necessario - insieme a berne il sangue - per avere la vita? Non è solo un mistero spirituale, è anche un'esperienza profondamente umana, quella dell'amare e dell'essere amati. L'amore è molto concreto: è la decisione d'essere vicino alla persona amata anche quando è meno piacevole, quando l'altro tira fuori il peggio di sé o quando la sua debolezza richiede che sia io a sostenerlo e a caricarmi del suo peso. L'amore è questa scelta, ed è una scelta che richiede la "carne".
Sì, perché ci sono momenti in cui l'altro si mangia via pezzi di me: il mio tempo, le mie energie, la mia sopportazione... A volte si ha l'impressione d'esser consumati anche fisicamente da chi abbiamo scelto di amare. Viceversa, quando noi dobbiamo superare certi ostacoli, reggere urti pesanti della vita, o anche solo trovare la forza per imparare stili nuovi che non ci appartengono, abbiamo bisogno di "mangiare la carne" di chi ci è accanto. Lo sappiamo: non ci bastano i buoni consigli di chi ha sempre le parole giuste in teoria; ci serve qualcuno che accetti di camminare insieme a noi, di mostrarci la strada, di sostenere le nostre cadute, di esercitare quella fiducia nella vita che in tante occasioni a noi manca. Questo compito è scarnificante: è - appunto - il dono della propria carne. Capiamo allora il Vangelo quando Gesù dice che l'unico modo per avere la vita è mangiare la sua carne e bere il suo sangue, così da rimanere in lui. Ci chiede di nutrirci dell'eucaristia, certo, ma prima ancora ci invita a lasciare che il suo stile, le sue scelte... ossia tutta la sua vita diventi ciò di cui ci nutriamo.
Queste considerazioni si riflettono sull'eucaristia che celebriamo, e sono ancora più forti, dopo mesi in cui è stato impossibile vivere insieme la cena del Signore. Spesso c'è la tentazione di coglierla non come il culmine della vita cristiana, ma come l'unica cosa sufficiente che cambia misteriosamente la nostra vita. In certi casi l'eucaristia è vissuta come una devozione personale, una necessità per la cura della mia anima, che però non esprime quella forza di cambiamento che è propria del "mangiare la carne". Diventa una pratica intimistica. Certo, non sta a noi quantificare la grazia, ma se questa grazia non si esprime in impegno, scelta di dare a mia volta la carne per qualcuno, allora forse mi sto crogiolando in una serenità spirituale ben lontana dall'eucaristia. Così è per la Chiesa: chiediamoci se le nostre liturgie hanno la forza che nasce dalla carne del Signore o se sono più simili a un rito perfetto, che però non incide nella nostra vita.
--------------------
torna su
torna all'indice
home
torna su
torna all'indice
home