I Domenica di Quaresima (A)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO A - I Domenica di Quaresima

DOMENICA «DELLE TENTAZIONI DEL SIGNORE»

Genesi 2,7-9;3,1-7 • Salmo 50 • Romani 5,12-19 • Matteo 4,1-11
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1. Quaresima (Agostino, Discorso 210 - PL 38, 1047-1054)
2. Universalità e significato della tentazione (Origene, La preghiera, 29,1-30,3)
3. Il cristiano ha la possibilità di vincere le tentazioni (Gregorio Nazianzeno, dai «Discorsi»)
4. Le tentazioni del Redentore (Gregorio Magno, Hom. 16, 1-6)
5. Non c'indurre in tentazione (Cirillo di Gerusalemme, Catech. V Mistag. 17)


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Quaresima

Alcune domande
1. 1. È arrivato il tempo sacro che ci esorta ad umiliare la nostra anima con le preghiere e con i digiuni e a castigare il nostro corpo più che negli altri tempi dell'anno. Ma perché questo tempo si celebra all'approssimarsi della solennità della passione del Signore? E quale mistero racchiude il numero quaranta? Poiché alcuni solitamente si pongono queste domande, doverosamente ci accingiamo a parlarvi di questo argomento, dato che il Signore si è degnato di farci il dono di parlarne alla vostra Carità. Sappiamo che essi desiderano apprendere queste cose non per farne delle dispute ma con l'unico scopo di conoscerle: la loro fede e la loro pietà ci aiuteranno molto ad impetrare quanto dovremo dire.

Perché il digiuno quaresimale prima del Battesimo?
1. 2. Si è soliti porre la questione: perché il Signore Gesù Cristo - il quale, assunto un corpo umano e fattosi uomo, è apparso in mezzo agli uomini proprio per darci l'esempio di come vivere, come morire e come risorgere - digiunò non prima di battezzarsi ma dopo il battesimo? Così è scritto infatti nel Vangelo: Appena battezzato Gesù uscì subito dall'acqua ed ecco si aprirono i cieli e vide lo Spirito di Dio scendere e venire sopra di sé. Ed ecco una voce dai cieli che diceva: questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto. Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Egli, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente ebbe fame (Mt 3,16-17; 4,1-2). Noi invece, insieme a coloro che dovranno ricevere il battesimo, digiuniamo prima che arrivi il giorno del loro battesimo, che coincide con il giorno di Pasqua; dopo Pasqua invece per cinquanta giorni mitighiamo i nostri digiuni. Questo fatto giustamente susciterebbe una certa inquietudine se fosse lecito battezzare o farsi battezzare soltanto nel solennissimo giorno di Pasqua. Mentre però in nessun giorno dell'anno è proibito amministrare il battesimo secondo la necessità e la volontà di ciascuno - così ha concesso colui che diede loro il potere di diventare figli di Dio (Cf. Gv 1,12.) - è lecito celebrare l'anniversario della passione del Signore soltanto in un determinato giorno dell'anno che si chiama Pasqua. Ne consegue che non bisogna assolutamente identificare il sacramento del battesimo con la Pasqua. Il battesimo lo si può ricevere in qualunque giorno; la Pasqua invece la si può celebrare soltanto in un solo e determinato giorno dell'anno. Il battesimo è dato per ricevere la vita nuova; la Pasqua serve per ricordare un fatto importante della nostra fede. Che la maggior parte dei battesimi che si debbono conferire confluisca nel giorno di Pasqua dipende non dal fatto che in quel giorno la grazia della salvezza è più abbondante, ma li attira la maggiore gioia di quella festa.

Il Battesimo di Gesù e quello di Giovanni
2. 3. Che cosa si può dire anche sul fatto che bisogna distinguere il battesimo di Giovanni che Cristo ricevette dal battesimo di Cristo che i suoi fedeli ricevono? Infatti, per il fatto che Cristo è migliore del cristiano, il battesimo con cui è stato battezzato Cristo non è migliore di quello con cui viene battezzato il cristiano. Ma proprio perché è di Cristo, questo battesimo va preposto a quello che ha ricevuto Cristo. Giovanni infatti battezzò Cristo riconoscendo di essere inferiore a Cristo; Cristo invece battezza il cristiano, mostrando di essere più grande di Giovanni. Così come migliore della circoncisione della carne, che anche Cristo ha ricevuto ma che nessun cristiano oggi riceve, è il sacramento della risurrezione di Cristo. Con questo il cristiano viene come circonciso per spogliarsi della vita vecchia vissuta secondo la carne, seguendo la raccomandazione dell'Apostolo: Come Cristo risuscitò dai morti per la gloria del Padre, cosi anche noi camminiamo in una vita nuova (Rm 6,4). Così come la stessa antica Pasqua, che è prescritto di celebrare con l'uccisione di un agnello (Cf. Es 12,1ss ), non per il fatto che Cristo l'ha celebrata insieme ai suoi discepoli (Cf. Mt 26,17ss ) è migliore della nostra Pasqua nella quale Cristo è stato immolato. Fu necessario infatti, per dare a noi un esempio di umiltà e di pietà, che Cristo venendo sulla terra si degnasse di accettare anche quei sacramenti che preannunciavano la sua futura venuta; con questo ci ha mostrato con quali sentimenti di devozione noi ora dobbiamo accogliere i sacramenti della nostra fede che ci annunciano la sua già realizzata venuta. Pertanto per il fatto che Cristo subito dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni iniziò il digiuno, non bisogna pensare che con ciò abbia voluto darci come una regola di condotta, come se si dovesse cominciare a digiunare subito dopo aver ricevuto il battesimo di Cristo. Semplicemente con questo esempio ci ha insegnato che bisogna digiunare quando la lotta con il tentatore si fa più aspra. Infatti Cristo, che si è degnato di nascere come uomo, non ricusò neanche di essere tentato come uomo, affinché il cristiano, ammaestrato dal suo esempio, potesse non essere superato dal tentatore. Quando l'uomo deve sostenere una simile lotta nella tentazione sia subito dopo il battesimo, sia anche dopo qualunque periodo di tregua, bisogna digiunare: affinché il corpo, mortificandosi, sia in grado di portare a termine la sua lotta e l'anima, umiliandosi, possa impetrare la vittoria. Nel caso del Signore la causa del suo digiuno non è stata dunque il battesimo nel Giordano ma la tentazione del diavolo.

Perché il digiuno quaresimale prima della Pasqua
3. 4. Ed eccovi il motivo per cui noi digiuniamo nel tempo che precede la festa della passione del Signore e il motivo per cui dopo cinquanta giorni (da quella festa) termina il periodo in cui limitiamo i nostri digiuni. Chiunque vuol fare un vero digiuno o mortifica la propria anima con fede sincera (Cf. 1Tm 1,5) gemendo nella preghiera e castigando il proprio corpo; oppure, avendo sofferto un certo impoverimento spirituale di verità e di sapienza a causa delle lusinghe della carne, si mette in condizione di sentirne nuovamente fame e sete. A quelli che gli chiedevano come mai i suoi discepoli non digiunassero, il Signore rispose parlando di ambedue queste specie di digiuno. Della prima specie, quella in cui l'anima si umilia, disse: Gli amici dello sposo non possono essere afflitti mentre lo sposo è con loro. Verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno (Mt 9,15.). Della seconda specie di digiuno invece, che consiste nel nutrire abbondantemente l'anima, disse continuando a parlare: Nessuno cuce un pezzo di panno nuovo su un abito vecchio, perché lo strappo non diventi maggiore; né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti gli otri si rompono e il vino si versa; ma si mette vino nuovo in otri nuovi, cosi l'uno e gli altri si conservano (Mt 9,16-17). Quindi poiché lo sposo ora ci è stato tolto, certo noi, amici di quel bello sposo, dobbiamo essere afflitti. Infatti il più bello d'aspetto tra i figli dell'uomo, sulle cui labbra era diffusa la grazia (Cf. Sal 44,3), tra le mani dei persecutori non ebbe né grazia né bellezza e la sua vita fu tolta dalla terra (Cf. Is 53,2,8). E il nostro pianto è sincero se siamo accesi d'amore verso di lui. Fortunati coloro ai quali fu concesso di averlo davanti a loro prima della sua passione, di interrogarlo su ciò che volevano, di ascoltare quanto dovevano da lui ascoltare. I loro padri, prima della sua venuta, desiderarono vedere quei giorni e non li videro, perché erano stati destinati ad un altro compito: essere i suoi profeti, non i suoi ascoltatori. Di loro parla Gesù quando dice ai suoi discepoli: Molti giusti e molti profeti desiderarono vedere quello che voi vedete e non lo videro; udire quello che voi udite e non lo udirono (Mt 13,17). In noi invece si è adempiuto quanto ugualmente Gesù disse: Verrà un tempo in cui desidererete vedere uno solo di questi giorni e non potrete vederlo (Lc 17,22).

4. 5. Chi non brucia della fiamma di questo santo desiderio? Chi non piange? Chi non si rattrista gemendo? Chi non dice: Le mie lacrime sono il mio pane giorno e notte mentre mi dicono sempre: dov'è il tuo Dio? (Sal 41,4). Noi crediamo infatti in lui che è già glorioso alla destra del Padre; tuttavia finché viviamo in questo corpo siamo pellegrini lungi da lui (Cf. 2Cor 5,6) e non possiamo mostrarlo a quelli che dubitano di lui o lo negano e dicono: Dov'è il tuo Dio? Giustamente il suo Apostolo desiderava morire per essere con lui e pensava che il rimanere nella carne non era cosa migliore per lui ma necessaria per noi (Cf. Fil 1,23-24). Timidi sono i pensieri dei mortali e poco stabili i nostri disegni (Sap 9,14); poiché la nostra dimora terrena grava l'anima nei suoi molti pensieri (Sap 9,15). Per questo è una lotta la vita dell'uomo sulla terra (Cf. Gb 7,1) e nella notte di questo mondo il leone si aggira cercando chi divorare (Cf. 1Pt 5,8): non il leone della tribù di Giuda, il nostro re (Cf. Ap 5,5), ma il leone diavolo, nostro avversario. Il nostro re, condensando nella sua persona le figure dei quattro animali dell'Apocalisse di Giovanni, nacque come uomo, operò come leone, venne sacrificato come vitello, volò come aquila (Cf. Ap 4,7). Si librò sulle ali dei venti e fece delle tenebre un velame per sé (Sal 17,11-12). Egli distese le tenebre e si fece notte e in essa s'aggirano tutte le fiere della selva (Cf. Sal 103,20). I leoncelli ruggiscono, cioè i tentatori attraverso i quali il diavolo cerca di divorare; tuttavia non hanno potere se non sopra coloro che riescono a prendere. Lo stesso Salmo così continua: e chiedono a Dio il loro cibo (Sal 103,21). Nella notte di questo mondo, così pericolosa e così piena di tentazioni, chi non teme, chi non paventa nel più profondo di se stesso di venir giudicato degno di essere abbandonato nelle fauci di un nemico tanto crudele per essere divorato? Per evitare questo è necessario digiunare e pregare.

Perché dobbiamo digiunare in questa vita
5. 6. Tanto maggiore e tanto più frequente deve essere il nostro digiuno, quanto più si avvicina la solennità della passione del Signore. Con questa celebrazione annuale in certo modo si rinnova in noi la memoria di quella notte; evitiamo così di dimenticarcene, evitiamo che quel divoratore ruggente ci trovi addormentati non nel corpo ma nell'anima. La stessa passione del Signore infatti che cos'altro anzitutto ci insegna, nelle vicende del nostro capo Cristo Gesù, se non che questa vita è una tentazione? Per questo, quando ormai si stava avvicinando il tempo della sua morte, Cristo disse a Pietro: Satana ha chiesto che gli foste consegnati per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, Pietro, affinché la tua fede non venga meno; va' e conferma i tuoi fratelli (Cf. Lc 22,31-32). E difatti poi Pietro ci ha confermato nella fede con la sua attività apostolica, con il suo martirio, con le sue lettere. In una di queste lettere ci esorta anche a temere assai questa notte di cui sto parlando e ci ha insegnato a vigilare guardinghi alla luce consolante delle profezie, come di un lume nella notte: Noi teniamo come più ferma - dice - la parola dei profeti, alla quale fate bene a prestare attenzione, come a lampada che splende in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non si levi nei vostri cuori la stella del mattino (2Pt 1,19).

Perché è bene digiunare prima della Pasqua
5. 7. Teniamo dunque i fianchi cinti e le lucerne accese, e siamo come quegli uomini in attesa del ritorno del loro padrone dalle nozze (Cf. Lc 12,35-36). Non diciamoci vicendevolmente: Mangiamo e beviamo perché domani moriremo (1Cor 15,32). Ma proprio perché è incerto il giorno della morte e penosa la vita, digiuniamo e preghiamo ancor più: domani infatti moriremo. Un poco - disse Gesù - e non mi vedrete un poco ancora e mi vedrete (Gv 16,19). Questo è il momento di cui ci disse. Voi sarete nell'afflizione mentre il mondo godrà (Gv 16,20); cioè: questa vita è piena di tentazioni e noi siamo pellegrini lungi da lui (Cf. 2Cor 5,6). Ma io vi vedrò di nuovo - aggiunse - e ne gioirà il vostro cuore e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia (Gv 16,22). Godiamo anche ora in questa speranza, nonostante tutto - poiché è fedelissimo chi ce lo ha promesso - nell'attesa di quella sovrabbondante gioia, quando saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è (Cf. 1Gv 3,2), e nessuno ci potrà togliere la nostra gioia (Cf. Gv 16,22). Di questa speranza abbiamo anche ricevuto il pegno amabile e gratuito dello Spirito Santo (Cf. 2Cor 1,22), il quale emette dai nostri cuori gemiti inenarrabili di santi desideri (Cf. Rm 8,26.). "Abbiamo concepito infatti - dice Isaia - e abbiamo partorito lo spirito di salvezza" (Cf. Is 26,18). E "la donna quando partorisce - dice il Signore - è nel dolore perché è giunta la sua ora; ma quando ha partorito si fa grande festa perché è venuto al mondo un uomo" (Cf. Gv 16,21). Questa sarà la gioia che nessuno potrà toglierci (Cf. Gv 16,22). Con questa gioia saremo immersi, dalla vita presente nella quale dobbiamo concepire la fede, alla luce eterna. Ora dunque digiuniamo e preghiamo, perché è il tempo del parto.

Digiuniamo e preghiamo perché è il tempo della prova
6. 8. Questo sta facendo l'intero corpo di Cristo che è diffuso per tutto il mondo, cioè la Chiesa intera, quell'unità che nel Salmo prega: Dai confini della terra ti invoco, col cuore prostrato nel dolore (Sal 60,3). Di qui ci si manifesta già chiaramente perché sia stato istituito un tempo sacro di quaranta giorni destinato a questa umiliazione. Colei infatti che invoca Dio dai confini della terra col cuore prostrato dal dolore lo invoca dalle quattro parti del mondo, nominate spesso anche dalla Scrittura: oriente, occidente, settentrione e mezzogiorno. Per tutta l'estensione di queste quattro parti del mondo è stato promulgato quel decalogo della legge, che ora non si deve soltanto temere osservandolo nella lettera, ma che si deve adempiere con la grazia della carità. Sappiamo che quattro per dieci fa quaranta. Ma ancora ci troviamo nella fatica della tentazione, nella necessità del perdono dei peccati. Chi può infatti adempiere perfettamente il comandamento: Non desiderare (Es 20,17)? Perciò è necessario digiunare e pregare, senza smettere di fare le opere buone. Di questo lavoro verrà data alla fine la paga, che nel Vangelo viene chiamata denario (Cf. Mt 20,2-13). Come il ternario prende nome dal numero tre, il quaternario dal numero quattro, così il denario dal numero dieci. Questo denario unito al numero quaranta ci vien reso come ricompensa della nostra fatica. Il numero cinquanta simboleggia il tempo di quella gioia che nessuno potrà toglierci (Cf. Gv 16,22). In questa vita ancora non ne abbiamo il pieno possesso; tuttavia lo celebriamo nelle lodi del Signore col canto dell'Alleluia per cinquanta giorni dopo la solenne celebrazione della passione del Signore, a partire dal giorno della risurrezione; durante quei giorni diminuiamo i nostri digiuni.

Simbologia dei numeri quaranta e cinquanta
6. 9. Ora dunque, carissimi, in nome di Cristo vi esorto a propiziarvi Dio con digiuni quotidiani, elemosine più generose, preghiere più fervorose, perché non veniate circuiti da satana. Questo è un tempo nel quale anche gli sposati sono esortati ad astenersi dai rapporti con le mogli e le sposate dai rapporti con i propri mariti, per attendere alle preghiere (Cf. 1Cor 7,5), anche se in tutto l'arco dell'anno in determinati giorni dovrebbero farlo. Quanto più frequentemente lo si fa, meglio è: perché anche ricercando in modo immoderato le cose concesse si offende chi le ha concesse. La preghiera è una cosa spirituale e quindi tanto più è gradita quanto più pienamente la si compie secondo la propria natura. Ma tanto più la preghiera si spiritualizza quanto più il cuore di chi prega è libero dalla passione carnale.

Continenza e preghiera
7. 9. Quaranta giorni digiunò Mosè, autore della legge (Cf. Es 24,18), quaranta giorni Elia, il più grande dei profeti (Cf. 1Sam. 19,8), quaranta giorni il Signore stesso (Cf. Mt 4,2), testimoniato dalla legge e dai profeti. Perciò si mostrò sul monte con questi due personaggi (Cf. Mt 17,3). Noi, benché non possiamo sostenere senza interromperlo un digiuno così lungo, così da non prendere nessun alimento per tanti giorni e tante notti come hanno fatto essi, almeno facciamolo secondo le nostre forze; in maniera che, esclusi quei giorni nei quali per motivi determinati la tradizione della Chiesa proibisce di digiunare, possiamo diventare graditi al Signore nostro Dio con un digiuno quotidiano o almeno frequente. Però, come non ci si può astenere per tanti giorni senza interruzione dal cibo e dalla bevanda, forse non ci si potrà astenere neanche dai rapporti matrimoniali? Mentre vediamo che in nome di Cristo molti, appartenenti ad ambedue i sessi, conservano i loro corpi consacrati a Dio del tutto liberi da tale prestazione. Penso non sia molto difficile per gli sposati astenersi fino alla festa di Pasqua dai rapporti coniugali, se i vergini lo possono per tutta la vita.

Alcuni osservano la quaresima più voluttuosamente che religiosamente
8. 10. Ormai non occorrono altre raccomandazioni, dato che vi ho spiegato meglio che ho potuto, con massima sollecitudine, che questo è tempo utile per esercitare l'umiltà dell'anima; tuttavia non posso non accennare ad una cosa, a motivo dell'errato comportamento di alcuni i quali con le loro menzognere seduzioni e le loro perverse abitudini non cessano di renderci difficile il nostro compito nei vostri confronti. Ci sono alcuni che praticano la quaresima più con voluttà che con devozione; invece di mortificare le vecchie passioni vanno in cerca di nuovi piaceri. Tutta la loro preoccupazione è quella di fare, sì, a meno degli usuali tipi e sapori di pietanze, ma con provviste abbondanti e costose di molteplici frutti; paventano il contatto dei recipienti nei quali sono state cucinate le carni considerandoli immondi, e non temono nel proprio corpo l'intemperanza del ventre e della gola; digiunano non per frenare con la temperanza l'usuale ingordigia, ma per aumentare, cambiando il modo, la smodata cupidigia. Infatti quando arriva il tempo della refezione si buttano sulle ben fornite mense come gli animali sulla greppia; rimpinzano lo stomaco di più numerose portate e se ne gonfiano il ventre; stimolano la gola con diverse specie di condimenti, fatti appositamente ed esotici, perché non si nausei dell'abbondanza dei cibi. Insomma mangiano con tanta avidità che poi neanche digiunando riescono a digerire!.

La quaresima occasione di nuovi piaceri
9. 11. Ci sono anche di quelli che non bevono vino però si procurano, non per motivi di salute bensì per piacere, altre bevande ricavate dalla spremuta di frutti diversi; così la quaresima non è più la ricerca di una devota umiltà ma diventa occasione di nuovi piaceri. Che cosa di più confacente, qualora la debolezza di stomaco non permettesse di bere acqua, che sostenerlo con un poco di vino usuale anziché andare in cerca di vini che non hanno conosciuto vendemmia, che non hanno visto torchi? E si fa così non per andare in cerca di una bevanda più monda, ma perché si rifiuta una bevanda più frugale. Al contrario che cosa di più assurdo che, nel tempo in cui il corpo va tenuto a freno con maggiore sollecitudine, si procurino al corpo tanti piaceri, tanto che la stessa concupiscenza della gola ci tiene a non perdere l'occasione della quaresima? C'è incongruenza maggiore che proprio nei giorni in cui bisogna mortificarsi, quando tutti debbono uniformarsi al vitto usuale dei poveri, si viva in maniera tale che, se si vivesse così per sempre, si e no i ricchi con i loro patrimoni se lo potrebbero permettere? Guardatevi da tutte queste cose, carissimi. Riflettete su questo passo della Scrittura: Non andare dietro alle tue voglie (Sir 18,30). È necessario accogliere sempre questa utilissima esortazione; quanto più lo è in questi giorni nei quali, se giustamente si condanna chi non limita i suoi piaceri abituali, tanto più infame sarebbe che la nostra cupidigia si soddisfi con piaceri non abituali?.

Elemosina e perdono
10. 12. Soprattutto ricordatevi dei poveri: cosicché quanto risparmiate vivendo con maggiore parsimonia, possiate riporlo nel tesoro del cielo (Cf. Mt 19,21). Riceva il Cristo che ha fame quanto risparmia il cristiano che digiuna. La mortificazione volontaria diventi il sostentamento del bisognoso. La povertà volontaria di chi ha in abbondanza diventi l'indispensabile sostentamento di chi non possiede. Inoltre il vostro cuore mite e umile sia disposto a perdonare con misericordia. Chieda perdono chi ha recato ingiuria, conceda il perdono chi ha ricevuto l'offesa; affinché non cadiamo sotto il dominio di satana, il cui trionfo è la divisione dei cristiani. È una elemosina che apporta un grande vantaggio quella di perdonare il debito al tuo conservo affinché il Signore perdoni a te (Cf. Mt 18,35). Il divino maestro raccomandò ai discepoli ambedue queste opere buone, dicendo: Perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato (Lc 6, 7-38). Ricordatevi di quel servo dal quale il padrone si fece restituire tutto il debito che gli aveva condonato, perché egli non usò uguale misericordia con un suo conservo che gli doveva cento denari; mentre a lui era stato condonato un debito di diecimila talenti (Cf. Mt 18,26-35). Non c'è scusa che tenga per esimersi da questo genere di opere buone, perché in questo caso tutto dipende dalla buona volontà. Uno potrebbe dire: Non posso digiunare perché lo stomaco è debole. Può anche dire: Vorrei dare qualcosa al povero ma non ho niente da dargli; oppure: Ho così poco che se lo do a lui ho paura di rimanerne senza io. Benché anche in questo genere di opere buone per lo più gli uomini portano giustificazioni false, non potendone trovare di valide. Comunque chi potrà dire: Non ho perdonato a chi mi chiedeva scusa perché non me lo ha permesso la salute, oppure: Perché non avevo la mano con cui porgere? Perdona per essere perdonato. Per compiere questo atto che ti è chiesto non c'è bisogno di nessuna azione corporea e nessuna parte del tuo corpo viene richiesta in aiuto all'anima. Lo si fa con la volontà, lo si compie con la volontà. Fallo con tutta sicurezza, concedi il perdono con tutta sicurezza: non ti cagionerà nessun dolore nel corpo, niente ti verrà a diminuire nella tua casa. E inoltre, fratelli, vedete che grande male è il non perdonare a un fratello pentito da parte di chi ha l'obbligo di amare anche i nemici (Cf. Mt 5,44). Se le cose stanno così e trovando scritto: Il sole non tramonti sulla vostra ira (Ef 4,26), considerate, carissimi, se possa dirsi cristiano chi, almeno in questi giorni, non è disposto a porre fine a quelle inimicizie che mai avrebbe dovuto aprire.

(Agostino, Discorso 210 - PL 38, 1047-1054)

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2. Universalità e significato della tentazione

Finché sulla terra saremo circondati dalla carne che lotta contro lo spirito e la cui sapienza è nemica di Dio e non può in alcun modo sottostare alla legge di Dio (Rm 8,7), noi siamo nella tentazione. Giobbe, inoltre, con queste parole ci ha insegnato che tutta la vita dell'uomo su questa terra è tentazione: Forse che non è una tentazione la vita dell'uomo sopra la terra? (Gb 7,1). Ciò medesimo traspare dal salmo diciassettesimo: In te sarò liberato dalla tentazione (Sal 17,30). Paolo stesso, d'altronde, nello scrivere ai Corinti, dice: Non vi hanno assalito che tentazioni umane; ora Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre la vostra capacità, ma con la tentazione vi procurerà anche la via di scampo, affinché possiate sostenerla (1Cor 10,13); e ciò affermò non perché noi non venissimo tentati, ma affinché Dio ci concedesse di non esser tentati al di sopra delle nostre forze.
Chi ha mai potuto ritenere con conoscenza di causa che gli uomini non abbiano tentazioni? Quando mai un uomo sarà così al sicuro da non dover combattere per non peccare? Uno è povero? Ebbene, stia attento a non rubare e profanare il nome di Dio (Pr 30,9). È ricco? Stia allora attento a non sentirsi troppo sicuro: egli, infatti, può «divenire un gran mentitore» e affermare, insuperbendosi: «Chi mi vede?». Neppure Paolo, ricco in ogni parola e in ogni scienza (1Cor 1,5), è immune dal pericolo di inorgoglirsene e di peccare; per questo ha bisogno dello stimolo di Satana, che lo schiaffeggia per non farlo inorgoglire (2Cor 1,5). Se qualcuno, avendo compreso il bene, ha evitato il male, legga ciò che è scritto nel secondo libro delle Cronache intorno ad Ezechia, del quale si narra come sia incorso nella tracotanza del cuore (cf. 2Cr 32,25). Se poi qualcuno, dal momento che non abbiamo molto parlato a proposito del povero, si preoccupa poco, come se la tentazione, quando si è poveri, non si avvertisse, sappia che l'insidiatore tende tranelli per sconfiggere il povero e il bisognoso (cf. Sal 36,14), segnatamente in conformità a quanto afferma Salomone, dicendo che il povero non sostiene la minaccia (Pr 13,8). C'è forse bisogno di ricordare quanti, avendo male amministrato le loro ricchezze materiali, si videro inflitta la medesima pena, e nel medesimo luogo, del ricco del Vangelo? E quanti furono, peraltro, coloro i quali, mal sopportando la povertà e vivendo in maniera servile e dimessa, sconveniente ai santi, decaddero dalla speranza delle cose celesti? Come neppure sono immuni dal peccato coloro i quali si trovano in una condizione intermedia fra la ricchezza e la povertà. Chi, poi, è sano e robusto fisicamente, ritiene per questo di essere sano e robusto di fronte ad ogni tentazione? E di chi altro, se non della persona sana e vigorosa, è proprio il peccato con il quale viene violato il tempio di Dio (1Cor 3,17)? Nessuno oserà soffermarsi esplicitamente su tale brano, trattandosi di cose evidenti per tutti. D'altra parte, però, qual è mai il malato che sia riuscito a sottrarsi alla tentazione di distruggere il luogo sacro di Dio, trovandosi nell'ozio in quel periodo di tempo, e non abbia assecondato almeno qualcuno dei pensieri impuri? C'è forse bisogno di dire quante cose lo turbino oltre a queste, se non procura di serbar puro il suo cuore, con ogni sollecitudine? Molti, infatti, vinti dalle sofferenze e non essendo in grado di sopportare virilmente le malattie, finirono quasi coll'ammalarsi più con l'anima che col corpo. Altresì molti, per scongiurare l'infamia, si vergognarono di sostenere generosamente il nome di Cristo e precipitarono nella condanna eterna. Qualcuno, poi, ritiene che per lui cesserà la tentazione, il giorno in cui egli avrà conseguito gloria presso gli uomini. Per coloro i quali si inorgogliscono, come se fosse un valore, della gloria ottenuta presso molti, valgono le dure parole della Scrittura: «Ricevettero la mercede dagli uomini», e le altre parole ancora più lampanti: Come potete voi credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio? (Gv 5,44).
Non dobbiamo dunque pregare di non essere tentati (il che, infatti, è impossibile), ma di non venire sopraffatti dalla tentazione, ciò che capita, appunto, a coloro che ne sono posseduti e vinti. Se in un passo diverso dall'orazione (domenicale) sta scritto, con parole facilmente comprensibili: «Perché non entriate in tentazione», dobbiamo così rivolgerci nella stessa orazione a Dio Padre: «Non ci indurre in tentazione». Vale la pena vedere in che senso si debba intendere che Dio induca in tentazione chi non prega o chi non viene esaudito. Ripugnerebbe, infatti, ritenere che, se uno vinto, entra nella tentazione, Dio lo abbia indotto in tentazione, come se lo abbandonasse alla disfatta. Non è assurdo, infatti, convincersi che il buon Dio, il quale non può recare frutti cattivi, possa far cadere qualcuno nel peccato?
Io credo, invece, che Dio governi ogni anima razionale avendo di mira la loro vita eterna. Le anime, infatti, da parte loro, sono sempre dotate di libero arbitrio e perciò spontaneamente esse si trovano nelle migliori condizioni, fino a salire all'apice del bene, ovvero, a motivo della loro negligenza, esse discendono in vari modi verso un sempre maggior numero di mali. Ciò nondimeno, dal momento che una più breve guarigione suscita in talune persone la trascuratezza delle loro malattie al punto che, avendole essi curate così facilmente, in seguito, una volta risanati, cadono nuovamente nelle medesime infermità; allora, non senza motivo, Iddio abbandona queste anime alla loro malizia, lasciandovela crescere e diffondersi fino a diventare insanabile, affinché queste, rimaste così a lungo nel male e nel peccato sino alla nausea e alla sazietà, si rendano alla fine conto del loro danno e rimpiangano di aver intrapreso il male. In tal modo, queste anime, una volta guarite, potranno conservare con maggior sicurezza la riacquistata sanità.
Le tentazioni sopravvengono affinché appaia chiaramente ciò che siamo o perché si conoscano le cose nascoste nel nostro cuore: lo dimostra quanto viene affermato dal Signore nel libro di Giobbe, scritto altresì nel Deuteronomio, e che in tal modo suona: Ritieni che io abbia risposto a te in maniera diversa da farti apparire giusto? (Gb 40,3). Nel Deuteronomio, poi: Ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame e ti ha fatto mangiare la manna (Dt 8,3), e ti ha condotto nel deserto tra serpenti che mordono e scorpioni (Dt 8,15), affinché diventassero note le cose che sono nel tuo cuore (Dt 8,2).
Dopo aver diligentemente esaminato queste cose per chiedere consapevolmente a Dio di non entrare in tentazione, ma di essere liberati dal male e dopo avere scrutato noi stessi, una volta divenuti degni, ascoltando Dio, di essere esauditi da lui, scongiuriamolo affinché, nella tentazione, non rimaniamo mortificati, colpiti e infuocati dai dardi incandescenti del maligno (Ef 6,16). Vengono accesi, infatti, tutti coloro che hanno i cuori divenuti come fornelli (Os 7,6) come dice uno dei dodici [profeti minori: n.d.t.]; diversamente accade, invece, per coloro i quali con lo scudo della fede estinguono i dardi infuocati scagliati dal maligno (Ef 6,16) contro di loro; coloro, cioè, che hanno in se stessi fiumi di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14), che non permettono al maligno di appiccare il fuoco, ma facilmente lo estinguono con un diluvio di pensieri divini e salutari impressi dalla contemplazione della verità nell'anima di chi si sforza di diventare spirituale.

(Origene, La preghiera, 29,1-30,3)

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3. Il cristiano ha la possibilità di vincere le tentazioni

Se dopo il battesimo il tentatore, persecutore della luce, ti avrà assalito, e certo ti assalirà - infatti tentò anche il Verbo mio Dio nascosto nella carne, ossia la stessa luce velata dall'umanità - tu sai come vincerlo: non temere la lotta. Opponigli l'acqua, opponigli lo Spirito nel quale saranno distrutti tutti i dardi infuocati di quel maligno. Se ti farà presente la tua povertà – non dubitò infatti di farlo anche con Cristo, facendogli notare la sua fame perché trasformasse in pane le pietre – ricorda le sue risposte (cfr. Mt 4,4). Insegnagli quel che non sa; opponigli quella parola di vita che è pane disceso dal cielo e dà la vita al mondo. Se t'insidia con la vanagloria - come fece con lui quando lo portò sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Gettati giù» per mostrare la tua divinità (Mt 4,8) - non lasciarti trasportare dalla superbia. Se ti vincerà in questo, non si fermerà qui. È insaziabile, tutto brama; adesca anche con l'aspetto della bontà e travolge il bene in male: questo è il suo modo di combattere.
Quel ladro è un esperto conoscitore anche della Scrittura. Qui quel «sta scritto» riguarda il pane; là riguarda gli angeli. Infatti sta scritto: «Ai suoi angeli darà ordine per te, essi ti sosterranno con le mani» (Lc 4,10.11). O sofista del vizio! Perché passi sotto silenzio quel che segue? Lo comprendo esattamente, anche se tu l'hai taciuto, perché diceva: camminerò su di te, aspide e basilisco, calpesterò serpenti e scorpioni; protetto e fortificato, ben inteso, dalla Trinità.
Se ti assalirà con l'avarizia, facendo balenare in un attimo ai tuoi occhi tutti i regni come se gli appartenessero ed esigendo la tua adorazione, disprezzalo come un miserabile. Difeso dal segno della croce, digli: Anch'io sono immagine di Dio; non sono stato ancora scacciato come te, per la superbia, dalla gloria celeste; sono rivestito di Cristo; col battesimo Cristo è diventato mia eredità: sei tu che mi devi adorare.
Credimi, vinto e svergognato da queste parole, si ritirerà da tutti quelli che sono illuminati, come si è allontanato dal Cristo, principio della luce.
Il battesimo conferisce questi benefici a chi ne riconosce la forza. Offre tali sontuosi banchetti a coloro che soffrono una fame degna di lode.

(Gregorio Nazianzeno, dai «Discorsi»)

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4. Le tentazioni del Redentore

Non era indegno del nostro Redentore il voler essere tentato, lui che ;era venuto per essere ucciso. Era anzi giusto che vincesse le nostre tentazioni con le sue tentazioni, dato che era venuto a vincere la nostra morte con la sua morte. Ma dobbiamo sapere che la tentazione passa per tre stadi: la suggestione, la dilettazione e il consenso. Noi, quando siamo tentati, cadiamo per lo più nella dilettazione o addirittura nel consenso, perché siamo nati da una carne di peccato e portiamo in noi stessi ciò che ci muove tante battaglie. Ma Dio, che s'incarnò nel grembo della Vergine, venne nel mondo senza peccato e non provò in sé alcuna contraddizione. Egli poté dunque essere tentato per suggestione, ma l'anima sua non provò la compiacenza del peccato. Pertanto tutta quella tentazione diabolica fu all'esterno, non all'interno.
Ma se guardiamo l'ordine secondo cui fu tentato, capiremo quanto bene noi siamo stati liberati dalla tentazione. L'antico avversario si rivolse contro il primo Adamo, nostro padre, con tre tentazioni, poiché lo tentò di gola, di vanagloria e di avarizia; ma tentandolo lo vinse, perché lo sottomise a sé mediante il consenso. Lo tentò di gola quando gli mostrò il frutto dell'albero proibito, perché ne mangiasse. Lo tentò poi di vanagloria quando disse: "Sarete simili a Dio" (Gen 3,5). Lo tentò di avarizia quando disse: "Conoscerete il bene e il male". L'avarizia infatti non riguarda soltanto il denaro, ma anche gli onori. Giustamente si dice avarizia il desiderio smodato di stare in alto. Se il carpire onori non appartenesse all'avarizia, Paolo non direbbe, riguardo al Figlio unigenito di Dio: "Non stimò una rapina la sua uguaglianza con Dio" (Fil 2,6). In ciò poi il diavolo attrasse il nostro padre alla superbia, poiché lo spinse a quel tipo di avarizia che è il desiderio di eccellere.
Ma con quegli stessi mezzi coi quali abbatté il primo Adamo fu vinto dal secondo Adamo da lui tentato. [Il diavolo] lo tenta infatti nella gola quando dice: "Comanda che queste pietre diventino pane". Lo tenta di vanagloria quando dice: Se tu sei figlio di Dio, gettati di sotto. Lo tenta con l'avarizia degli onori quando mostra tutti i regni del mondo, dicendo: "Tutto io ti darò, se ti prostri e mi adori". Ma è vinto dal secondo Adamo proprio con quei mezzi coi quali si vantava di aver vinto il primo, così da uscire dai nostri cuori, scornato, passando per quella stessa strada per la quale si era introdotto, per dominarci. Ma c'è un'altra cosa, fratelli carissimi, che dobbiamo considerare in questa tentazione del Signore; tentato dal diavolo, il Signore risponde con i precetti della Sacra Scrittura, e colui che, essendo quella Parola, poteva cacciare il tentatore nell'abisso, non mostrò la virtù della sua potenza ma soltanto ripeté i divini comandi della Scrittura, per darci così l'esempio della sua pazienza; di modo che, tutte le volte che soffriamo a causa di uomini malvagi, siamo portati a rispondere con la dottrina piuttosto che con la vendetta. Pensate quanto è grande la pazienza di Dio e quanto è grande la nostra impazienza! Noi, se siamo provocati con qualche ingiuria o con qualche offesa, ci infuriamo e ci vendichiamo quanto possiamo, o minacciamo ciò che non possiamo fare. Invece il Signore sperimentò l'avversità del diavolo e non gli rispose se non con parole di mitezza. Sopportò colui che poteva punire, affinché gli tornasse a maggior gloria il fatto di aver vinto il nemico non annientandolo, ma bensì sopportandolo.
Bisogna fare attenzione a quello che segue, che cioè gli angeli lo servivano dopo che il diavolo se ne fu andato. Cos'altro si ricava da ciò se non la duplice natura nell'unità della persona? E' un uomo, infatti, colui che il diavolo tenta, ma è anche Dio colui che è servito dagli angeli. Riconosciamo dunque in lui la nostra natura, in quanto se il diavolo non l'avesse conosciuto uomo, non l'avrebbe tentato, adoriamo in lui la divinità, in quanto se non fosse Dio che è al di sopra di tutte le cose, gli angeli non lo servirebbero.
Ma poiché questa lettura si adatta al presente periodo - infatti, noi che iniziamo il tempo quaresimale, abbiamo udito che la penitenza del nostro Redentore è durata quaranta giorni - dobbiamo cercar di capire perché questa penitenza è osservata per quaranta giorni. Mentre l'anno è composto di trecentosessantacinque giorni, noi facciamo penitenza per trentasei giorni, come se dessimo a Dio la decima sul nostro anno, affinché, dopo aver vissuto per noi stessi il resto dell'anno, ci mortifichiamo nell'astinenza in onore del nostro Creatore per la decima parte dell'anno stesso. Perciò, fratelli carissimi, come nella Legge ci è imposto di offrire le decime di tutte le cose (cf. Lv 27,30s), così dovete cercare di offrire a lui anche la decima dei vostri giorni. Ognuno, secondo quanto gli è possibile, maceri la sua carne e ne affligga le brame, ne uccida le concupiscenze disoneste, affinché, secondo la parola di Paolo, divenga una vittima viva (cf. Rm 12,1). Certo la vittima è immolata ed è viva, quando l'uomo non muore e tuttavia uccide se stesso nei desideri carnali. La nostra carne, soddisfatta, ci portò al peccato; mortificata, ci conduca al perdono. Colui che fu autore della nostra morte trasgredì i precetti della vita mediante il frutto dell'albero proibito. Noi dunque, che ci siamo allontanati dalle gioie del paradiso per colpa del cibo, procuriamo di tornare ad esse grazie all'astinenza.
Ma nessuno creda che l'astinenza da sola possa bastargli dal momento che il Signore dice per bocca del Profeta: "Non è forse maggiore di questo il digiuno che bramo?", aggiungendo: "Dividi il pane con l'affamato, e introduci in casa tua i miseri, senza tetto; quando vedrai uno nudo, soccorrilo, e non disprezzare la tua carne" (Is 58,6.7). Dio dunque gradisce quel digiuno che una mano piena di elemosine presenta ai suoi occhi, quel digiuno che si congiunge all'amore del prossimo ed è ornato dalla pietà. Ciò che togli a te stesso, dallo a un altro, affinché ciò di cui si affligge la tua carne serva di ristoro alla carne del povero. Così infatti dice il Signore per bocca del Profeta: "Quando avete fatto digiuni e lamenti, forse avete digiunato per me? E quando avete mangiato e bevuto, forse non avete mangiato bevuto per voi stessi?" (Zc 7,5-6). Infatti mangia e beve per sé chi prende i cibi del corpo, i quali sono donati a tutti dal Creatore, senza parteciparli ai bisognosi. E digiuna per sé chi non distribuisce ai poveri quelle cose di cui si è privato temporaneamente, ma anzi le serba per darle al suo ventre in altra occasione. Perciò è detto per bocca di Gioele: "Santificate il digiuno" (Gl 1,14; 2,15). Santificare il digiuno significa offrire un'astinenza dalle carni degna di Dio, dopo aver aggiunto altri doni. Cessi l'ira, si plachino i litigi. Invano la carne è afflitta, se l'animo non si frena nei suoi malvagi desideri, come dice il Signore per bocca del Profeta: "Ecco, nel giorno del vostro digiuno si trova la vostra volontà. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui, e ricercate tutti i vostri debitori" (Is 58,3). Né commette ingiustizia chi richiede dal suo debitore quanto gli aveva prestato; è bene tuttavia che quando uno si macera nella penitenza, si astenga anche da ciò che gli spetta con giustizia. Così Dio perdona a noi, afflitti e penitenti, ciò che abbiamo fatto di male, se per amor suo rinunciamo anche a ciò che giustamente potremmo esigere.

(Gregorio Magno, Hom. 16, 1-6)

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5. Non c'indurre in tentazione

«E non c'indurre in tentazione» Signore. C'insegna forse il Signore a pregare di non essere mai tentati? Perché dice altrove: "L'uomo non tentato non è provato" (Sir 34,10; Rm 5,3-4) e di nuovo: "Considerate fratelli suprema gioia quando cadete in diverse tentazioni" (Gc 1,2)? Però entrare in tentazione non è farsi sommergere dalla tentazione. Infatti la tentazione sembra come un torrente di difficile passaggio. Alcuni che nelle tentazioni non si lasciano sommergere l'attraversano. Sono bravi nuotatori che non si fanno trascinare dal torrente; Gli altri che tali non sono, entrati ne vengono sommersi. Così, ad esempio, Giuda entrato nella tentazione dell'avarizia non la superò, ma sommerso materialmente e spiritualmente si impiccò. Pietro entrò nella tentazione di rinnegamento, ma superandola non ne fu sommerso. Attraversò [il torrente] con coraggio e non ne fu trascinato.
Senti ancora in un altro passo il coro di santi perfetti, che ringrazia di essere scampato alla tentazione. "Tu ci hai provato, o Dio, come l'argento ci passasti al fuoco. Tu ci hai spinto nella rete, tu hai posto sulle nostre spalle le sofferente; tu hai fatto passare gli uomini sulle nostre teste. Abbiamo attraversato il fuoco e l'acqua e ci hai sospinto verso il refrigerio" (Sal 66,10-12). Vedi che parlano della loro traversata senza essere andati a fondo? (cf. Sal 69,15). E tu «ci hai sospinto al refrigerio». Entrare nel refrigerio è essere liberato dalla tentazione.

(Cirillo di Gerusalemme, Catech. V Mistag. 17)




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