Il diaconato in Italia n° 217
(luglio/agosto 2019)
SPIRITUALITÀ
Maria modello della nostra diaconia
di Luigi Vidoni
Il cammino di santità, a cui tutti siamo chiamati, per il diacono ha un percorso privilegiato ed quello del servizio, sull'esempio di Gesù che «non è venuto par farsi servire, ma per servire e dare la vita» (Mc 10,45). Ed è nello "svuotarsi" del Figlio di Dio (cf. Fil 2,7) che il diacono trova la sua ragion d'essere; ed è in questo "farsi nulla" che trova realizzazione quell'accoglienza di chi sa farsi prossimo ad ogni sofferenza e bisogno del fratello incontrato lungo la via della vita (cf. Lc 10,25-37).
La diaconia deve essere vissuta in pienezza
Se il diacono «è costituito icona vivente di Cristo Servo» (Ratio 11), il suo cammino di santità non può essere disgiunto da un rapporto speciale con Maria, la "Serva del Signore". Il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, al n. 57 recita: «La partecipazione al ministero di Cristo Servo indirizza necessariamente il cuore del diacono verso la Chiesa e verso Colei che è la sua Madre santissima. […] L'amore a Cristo e alla Chiesa è profondamente legato alla Beata Vergine, l'umile serva del Signore, che, con l'irrepetibile e ammirevole titolo di madre, è stata socia generosa della diaconia del Figlio divino (cf Gv 19,25-27). […] A Maria guarderà con venerazione ed affetto ogni diacono; infatti la Vergine Madre è la creatura che più di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come Lei ha risposto con un amore così grande all'amore immenso di Dio».
Maria si presenta dunque come la "Serva del Signore". Con queste parole ella afferma tutta la sua grandezza: Maria è grande, perché è serva! Dice don Tonino Bello nel suo libro Maria, donna dei nostri giorni: «Quell'appellativo, Maria se l'è scelto da sola. Per ben due volte, infatti, nel vangelo di Luca, lei si autodefinisce serva. La prima volta, quando, rispondendo all'angelo, gli offre il suo biglietto da visita: "Eccomi, sono la serva del Signore". La seconda, quando nel Magnificat afferma che Dio "ha guardato l'umiltà della sua serva". […] Eppure, quell'appellativo, così autoreferenziato, non trova posto nelle litanie lauretane! Forse perché, anche nella Chiesa, nonostante il gran parlare che se ne fa, l'idea del servizio evoca spettri di soggezione, allude a declassamenti di dignità, e sottintende cali di rango, che sembrano incompatibili col prestigio della Madre di Dio. La qual cosa fa sospettare che perfino la diaconia della Vergine sia rimasta un concetto ornamentale che intride i nostri sospiri, e non un principio operativo che innerva la nostra esistenza».
Il sì di un giorno va ridetto tutti i giorni
Guardare a Maria, allora, è per il diacono (e per chiunque è chiamato ad un cammino di servizio nella diaconia della Chiesa) non soltanto coltivare un sentimento anche bello di devozione, ma guardare ad un modello da imitare, sia pur con tutte le evidenti differenze. C'è una sua parola nella quale possiamo intravvedere un costante atteggiamento della sua vita. È il suo «sì» che, pronunciato all'Angelo, sarà ripetuto per tutta la vita: «Sì» a Dio, a tutto ciò che le chiedeva, a tutto ciò che le avrebbe chiesto. Diceva Madre Teresa di Calcutta, riferendosi al "sì" di Maria, che per poter raggiungere la nostra santità, il nostro "dover essere", occorre dire: "Voglio!", ossia "Sì": dire sempre "voglio" a quanto Dio vuole. La vita, infatti, per Madre Teresa si è sempre giocata fra un "voglio" ed un "non voglio"; fra un sì e un no. Perché per raggiungere la santità non basta aver fiducia nella grazia di Dio e abbandonarvisi, ma occorre la nostra totale corrispondenza, la nostra volontà piena: "Sì, lo voglio".
La diaconia della Parola
Nel Direttorio, sempre al n. 57, si legge: «Quest'amore particolare alla Vergine, Serva del Signore, nato dalla Parola e tutto radicato nella Parola, si farà imitazione della sua vita [di Maria]. Sarà questo un modo per introdurre nella Chiesa quella dimensione mariana che molto si addice alla vocazione del diacono».
Il diacono è chiamato quindi ad esprimere il suo servizio ecclesiale nella "diaconia della Parola". E ci chiediamo: come Maria può indicarci uno stile originale, alieno da ogni clericalismo, per portare a tutti la Parola, che è Gesù, in uno stile tipicamente diaconale?
Maria non è venuta per predicare, ma per dare Gesù al mondo. Questa è la vera opera di Maria, dare Gesù al mondo. Il Vangelo ci mostra Maria in questo atteggiamento, unico: «Serbava tutte queste cose nel suo cuore» (cf. Lc 2,19; Lc 2,51). Quel "silenzio pieno" emana un fascino speciale per un'anima che guarda a Maria come ad un modello a cui ispirarsi: quel suo "silenzio" così importante per noi che siamo chiamati a parlare per evangelizzare, sempre allo sbaraglio, lanciati fuori nelle periferie… Anche Maria ha parlato. E ha dato Gesù. Nessuno mai al mondo fu evangelizzatore più grande, nessuno ebbe mai parola come lei che diede alla luce il Verbo incarnato! E Lei "tacque" in quel particolare servizio alla Parola, dove sempre la parola deve poggiare su un silenzio, come un dipinto sullo sfondo. Maria tacque perché creatura, perché il "nulla" non parla. Ma su quel "nulla" parlò Gesù e disse: Se stesso!
Siamo chiamati a svuotarci per accogliere
In questo cammino di santità il diacono, chiamato, ad imitazione di Maria, ad essere "un nulla d'amore", a "svuotarsi" per accogliere il fratello ed in lui il Signore, fa tacere in sé la creatura e sul quel silenzio lascia parlare lo Spirito affinché Gesù viva in sé e nella persona che accoglie in una reciprocità che diventa beatitudine (cf. Gv 13,1-5.12-17). San Luigi Maria Grignion de Montfort dice che le anime mariane sono anime "sedentarie". Con questa espressione il santo intende dire che non sono delle attiviste che vanno qua e là e credono di costruire loro il mondo, ma lo lasciano costruire a Dio con il quale collaborano. Nella nostra vita spirituale, infatti, ci sono dei doveri che vengono prima e dei doveri che vengono dopo. L'amore di Dio, ad esempio, viene senz'altro prima dell'amore del prossimo, perché se non sono capace di dire: "Mio Dio e mio tutto", anche il mio amore per il prossimo è piuttosto scarso, o non è nella giusta dimensione, o non è pieno.
È in questo nostro atteggiamento interiore che possiamo vivere questa particolare diaconia della Parola, in questo dare al mondo Gesù come Maria: occorre che la Parola mi abiti perché possa poi manifestarsi. Non si può quindi non vedere Maria se non come Colei che è tutta rivestita della Parola di Dio. Dice san Massimo di Torino: «L'arca conservava nel suo interno la Legge. Maria portava in sé il Vangelo… dall'arca si sprigionava la voce di Dio, Maria recava in sé il Verbo, la Parola vera fatta carne».
L'originalità di Maria
L'originalità di Maria, quindi, - pur nella sua perfezione unica - è quella che dovrebbe essere di ogni cristiano: ripetere Cristo, la Verità, la Parola, secondo il carisma proprio di ciascuno. Se Maria è Parola di Dio vivente, ella sta quindi in testa alla schiera dei discepoli di Cristo quale prima discepola. E Lei, per la sua «tipicità» (come l'ha definita Paolo VI) rappresenta per ciascuno il modello, il nostro "dover essere".
Ma occorre essere abitati dalla Parola, quella Parola che come una spada trafigge l'anima, secondo la profezia di Simeone (cf. Lc 2,35). Questa spada è la Spada della Parola a cui Maria, "resa tutta grazia" secondo le parole dell'Angelo all'annunciazione, come "la serva del Signore" si offrì con fede e amore senza limiti affinché tutto fosse fatto "secondo la Parola" divina (cf. Lc 1,38). La medesima Spada della Parola trafiggerà il cuore di tutti i fedeli che nel battesimo sono chiamati ad un'esistenza di fedeltà e di testimonianza (cf. Mt 10,32; Mc 8,38; Lc 9,26). È una Spada affilata, a doppio taglio, che penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, che divide i pensieri più nascosti del cuore e che rivela ogni più segreta realtà, quella alla quale si deve rendere conto (cf. Eb 4,12-13).
Nel nostro impegno ad imitare Maria c'è una condizione essenziale: custodire in noi soltanto la Parola di Dio. E col nostro santificarci con la Parola potremmo generare in noi Gesù, per noi e per gli altri, in modo da poter dire, in certo modo, anche per noi: «… benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù» (Lc 1,42). E san Gregorio Magno afferma che «se uno con la sua parola fa nascere nell'anima del prossimo l'amore per il Signore, questi quasi genera il Signore […] e diventa madre del Signore».
Partecipi della maternità divina di Maria»
Imitare Maria nel vivere la Parola è partecipare, in un certo senso e facendo le debite distinzioni, alla sua maternità divina. Maria, perché ha generato il Verbo è madre di Dio, essendo madre dell'umanità dell'unica persona del Verbo intimamente legata al Padre ed allo Spirito Santo. E Maria, che si contempla contenuta nella Trinità, perché Madre di Dio è contenente, in un suo modo particolare, la Trinità a causa del Figlio. Dio, nel suo amore sconfinato per questa creatura privilegiata, si è in certo modo "rimpicciolito" di fronte a Lei. San Paolo, parlando di Gesù che è Dio, dice che "svuotò se stesso" (cf. Fil 2,7). E questo, nell'incarnazione, iniziò nel seno della Vergine Maria. Sant'Efrem scrive: «Nel seno di Maria divenne bambino Colui che è uguale al Padre suo dall'eternità: dette a noi al sua grandezza e si prese la nostra piccolezza».
Il mistero della piccolezza di Dio
Contemplando Maria Madre di Dio - e per questo fatta da Dio capace di contenere, in certo modo, Dio, la Trinità - san Luigi Grignion de Montfort scrive: «Nel paradiso medesimo, Maria è il Paradiso di Dio e il suo mondo ineffabile, in cui il Figlio di Dio è entrato per operarvi meraviglie, per custodirlo e per trovarvi le sue compiacenze. Dio ha fatto un mondo per l'uomo viatore, questo nostro; ha fatto un mondo per l'uomo beato, il Paradiso; ma ne ha fatto un altro per sé e gli ha dato il nome di Maria». E san Sant'Andrea di Creta scrive, in occasione della festa della natività di Maria: «Questo è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore». Possiamo allora contemplare Maria - secondo una felice immagine di Chiara Lubich - quel cielo azzurro che contiene il sole, la luna e le stelle; in una parola la creatura, resasi "nulla d'amore", che contiene il Creatore: profezia del destino dell'umanità di cui Maria ne è la sintesi.
La finitezza delle categorie umane
Secondo la logica evangelica, trinitaria, l'ultimo è primo perché è ultimo ed il primo è ultimo perché è primo. Infatti, «il Verbo di Dio - come scrive Pasquale Foresi -, incarnandosi in Gesù, riassume in sé pur rimanendone anche distinto, tutto il cosmo e l'umanità intera, sì che anche Maria è riassunta in Gesù».
Così si realizza «la presenza di Dio in noi. Essere in Dio significa infatti essere capaci di generarlo così come Maria ha fatto con Gesù, di rimandarlo cioè in quella forma trinitaria che ci dà di partecipare totalmente alla sua vita». Siamo chiamati pertanto anche noi, forgiati da Maria "Paradiso di Dio", ad essere nella comunità ecclesiale e degli uomini quell'accoglienza che fa del diacono porta d'accesso a quel "giardino" di Dio dove si sperimenta la fraternità secondo il disegno originale del Padre.
La diaconia deve essere vissuta in pienezza
Se il diacono «è costituito icona vivente di Cristo Servo» (Ratio 11), il suo cammino di santità non può essere disgiunto da un rapporto speciale con Maria, la "Serva del Signore". Il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti, al n. 57 recita: «La partecipazione al ministero di Cristo Servo indirizza necessariamente il cuore del diacono verso la Chiesa e verso Colei che è la sua Madre santissima. […] L'amore a Cristo e alla Chiesa è profondamente legato alla Beata Vergine, l'umile serva del Signore, che, con l'irrepetibile e ammirevole titolo di madre, è stata socia generosa della diaconia del Figlio divino (cf Gv 19,25-27). […] A Maria guarderà con venerazione ed affetto ogni diacono; infatti la Vergine Madre è la creatura che più di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come Lei ha risposto con un amore così grande all'amore immenso di Dio».
Maria si presenta dunque come la "Serva del Signore". Con queste parole ella afferma tutta la sua grandezza: Maria è grande, perché è serva! Dice don Tonino Bello nel suo libro Maria, donna dei nostri giorni: «Quell'appellativo, Maria se l'è scelto da sola. Per ben due volte, infatti, nel vangelo di Luca, lei si autodefinisce serva. La prima volta, quando, rispondendo all'angelo, gli offre il suo biglietto da visita: "Eccomi, sono la serva del Signore". La seconda, quando nel Magnificat afferma che Dio "ha guardato l'umiltà della sua serva". […] Eppure, quell'appellativo, così autoreferenziato, non trova posto nelle litanie lauretane! Forse perché, anche nella Chiesa, nonostante il gran parlare che se ne fa, l'idea del servizio evoca spettri di soggezione, allude a declassamenti di dignità, e sottintende cali di rango, che sembrano incompatibili col prestigio della Madre di Dio. La qual cosa fa sospettare che perfino la diaconia della Vergine sia rimasta un concetto ornamentale che intride i nostri sospiri, e non un principio operativo che innerva la nostra esistenza».
Il sì di un giorno va ridetto tutti i giorni
Guardare a Maria, allora, è per il diacono (e per chiunque è chiamato ad un cammino di servizio nella diaconia della Chiesa) non soltanto coltivare un sentimento anche bello di devozione, ma guardare ad un modello da imitare, sia pur con tutte le evidenti differenze. C'è una sua parola nella quale possiamo intravvedere un costante atteggiamento della sua vita. È il suo «sì» che, pronunciato all'Angelo, sarà ripetuto per tutta la vita: «Sì» a Dio, a tutto ciò che le chiedeva, a tutto ciò che le avrebbe chiesto. Diceva Madre Teresa di Calcutta, riferendosi al "sì" di Maria, che per poter raggiungere la nostra santità, il nostro "dover essere", occorre dire: "Voglio!", ossia "Sì": dire sempre "voglio" a quanto Dio vuole. La vita, infatti, per Madre Teresa si è sempre giocata fra un "voglio" ed un "non voglio"; fra un sì e un no. Perché per raggiungere la santità non basta aver fiducia nella grazia di Dio e abbandonarvisi, ma occorre la nostra totale corrispondenza, la nostra volontà piena: "Sì, lo voglio".
La diaconia della Parola
Nel Direttorio, sempre al n. 57, si legge: «Quest'amore particolare alla Vergine, Serva del Signore, nato dalla Parola e tutto radicato nella Parola, si farà imitazione della sua vita [di Maria]. Sarà questo un modo per introdurre nella Chiesa quella dimensione mariana che molto si addice alla vocazione del diacono».
Il diacono è chiamato quindi ad esprimere il suo servizio ecclesiale nella "diaconia della Parola". E ci chiediamo: come Maria può indicarci uno stile originale, alieno da ogni clericalismo, per portare a tutti la Parola, che è Gesù, in uno stile tipicamente diaconale?
Maria non è venuta per predicare, ma per dare Gesù al mondo. Questa è la vera opera di Maria, dare Gesù al mondo. Il Vangelo ci mostra Maria in questo atteggiamento, unico: «Serbava tutte queste cose nel suo cuore» (cf. Lc 2,19; Lc 2,51). Quel "silenzio pieno" emana un fascino speciale per un'anima che guarda a Maria come ad un modello a cui ispirarsi: quel suo "silenzio" così importante per noi che siamo chiamati a parlare per evangelizzare, sempre allo sbaraglio, lanciati fuori nelle periferie… Anche Maria ha parlato. E ha dato Gesù. Nessuno mai al mondo fu evangelizzatore più grande, nessuno ebbe mai parola come lei che diede alla luce il Verbo incarnato! E Lei "tacque" in quel particolare servizio alla Parola, dove sempre la parola deve poggiare su un silenzio, come un dipinto sullo sfondo. Maria tacque perché creatura, perché il "nulla" non parla. Ma su quel "nulla" parlò Gesù e disse: Se stesso!
Siamo chiamati a svuotarci per accogliere
In questo cammino di santità il diacono, chiamato, ad imitazione di Maria, ad essere "un nulla d'amore", a "svuotarsi" per accogliere il fratello ed in lui il Signore, fa tacere in sé la creatura e sul quel silenzio lascia parlare lo Spirito affinché Gesù viva in sé e nella persona che accoglie in una reciprocità che diventa beatitudine (cf. Gv 13,1-5.12-17). San Luigi Maria Grignion de Montfort dice che le anime mariane sono anime "sedentarie". Con questa espressione il santo intende dire che non sono delle attiviste che vanno qua e là e credono di costruire loro il mondo, ma lo lasciano costruire a Dio con il quale collaborano. Nella nostra vita spirituale, infatti, ci sono dei doveri che vengono prima e dei doveri che vengono dopo. L'amore di Dio, ad esempio, viene senz'altro prima dell'amore del prossimo, perché se non sono capace di dire: "Mio Dio e mio tutto", anche il mio amore per il prossimo è piuttosto scarso, o non è nella giusta dimensione, o non è pieno.
È in questo nostro atteggiamento interiore che possiamo vivere questa particolare diaconia della Parola, in questo dare al mondo Gesù come Maria: occorre che la Parola mi abiti perché possa poi manifestarsi. Non si può quindi non vedere Maria se non come Colei che è tutta rivestita della Parola di Dio. Dice san Massimo di Torino: «L'arca conservava nel suo interno la Legge. Maria portava in sé il Vangelo… dall'arca si sprigionava la voce di Dio, Maria recava in sé il Verbo, la Parola vera fatta carne».
L'originalità di Maria
L'originalità di Maria, quindi, - pur nella sua perfezione unica - è quella che dovrebbe essere di ogni cristiano: ripetere Cristo, la Verità, la Parola, secondo il carisma proprio di ciascuno. Se Maria è Parola di Dio vivente, ella sta quindi in testa alla schiera dei discepoli di Cristo quale prima discepola. E Lei, per la sua «tipicità» (come l'ha definita Paolo VI) rappresenta per ciascuno il modello, il nostro "dover essere".
Ma occorre essere abitati dalla Parola, quella Parola che come una spada trafigge l'anima, secondo la profezia di Simeone (cf. Lc 2,35). Questa spada è la Spada della Parola a cui Maria, "resa tutta grazia" secondo le parole dell'Angelo all'annunciazione, come "la serva del Signore" si offrì con fede e amore senza limiti affinché tutto fosse fatto "secondo la Parola" divina (cf. Lc 1,38). La medesima Spada della Parola trafiggerà il cuore di tutti i fedeli che nel battesimo sono chiamati ad un'esistenza di fedeltà e di testimonianza (cf. Mt 10,32; Mc 8,38; Lc 9,26). È una Spada affilata, a doppio taglio, che penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, che divide i pensieri più nascosti del cuore e che rivela ogni più segreta realtà, quella alla quale si deve rendere conto (cf. Eb 4,12-13).
Nel nostro impegno ad imitare Maria c'è una condizione essenziale: custodire in noi soltanto la Parola di Dio. E col nostro santificarci con la Parola potremmo generare in noi Gesù, per noi e per gli altri, in modo da poter dire, in certo modo, anche per noi: «… benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù» (Lc 1,42). E san Gregorio Magno afferma che «se uno con la sua parola fa nascere nell'anima del prossimo l'amore per il Signore, questi quasi genera il Signore […] e diventa madre del Signore».
Partecipi della maternità divina di Maria»
Imitare Maria nel vivere la Parola è partecipare, in un certo senso e facendo le debite distinzioni, alla sua maternità divina. Maria, perché ha generato il Verbo è madre di Dio, essendo madre dell'umanità dell'unica persona del Verbo intimamente legata al Padre ed allo Spirito Santo. E Maria, che si contempla contenuta nella Trinità, perché Madre di Dio è contenente, in un suo modo particolare, la Trinità a causa del Figlio. Dio, nel suo amore sconfinato per questa creatura privilegiata, si è in certo modo "rimpicciolito" di fronte a Lei. San Paolo, parlando di Gesù che è Dio, dice che "svuotò se stesso" (cf. Fil 2,7). E questo, nell'incarnazione, iniziò nel seno della Vergine Maria. Sant'Efrem scrive: «Nel seno di Maria divenne bambino Colui che è uguale al Padre suo dall'eternità: dette a noi al sua grandezza e si prese la nostra piccolezza».
Il mistero della piccolezza di Dio
Contemplando Maria Madre di Dio - e per questo fatta da Dio capace di contenere, in certo modo, Dio, la Trinità - san Luigi Grignion de Montfort scrive: «Nel paradiso medesimo, Maria è il Paradiso di Dio e il suo mondo ineffabile, in cui il Figlio di Dio è entrato per operarvi meraviglie, per custodirlo e per trovarvi le sue compiacenze. Dio ha fatto un mondo per l'uomo viatore, questo nostro; ha fatto un mondo per l'uomo beato, il Paradiso; ma ne ha fatto un altro per sé e gli ha dato il nome di Maria». E san Sant'Andrea di Creta scrive, in occasione della festa della natività di Maria: «Questo è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore». Possiamo allora contemplare Maria - secondo una felice immagine di Chiara Lubich - quel cielo azzurro che contiene il sole, la luna e le stelle; in una parola la creatura, resasi "nulla d'amore", che contiene il Creatore: profezia del destino dell'umanità di cui Maria ne è la sintesi.
La finitezza delle categorie umane
Secondo la logica evangelica, trinitaria, l'ultimo è primo perché è ultimo ed il primo è ultimo perché è primo. Infatti, «il Verbo di Dio - come scrive Pasquale Foresi -, incarnandosi in Gesù, riassume in sé pur rimanendone anche distinto, tutto il cosmo e l'umanità intera, sì che anche Maria è riassunta in Gesù».
Così si realizza «la presenza di Dio in noi. Essere in Dio significa infatti essere capaci di generarlo così come Maria ha fatto con Gesù, di rimandarlo cioè in quella forma trinitaria che ci dà di partecipare totalmente alla sua vita». Siamo chiamati pertanto anche noi, forgiati da Maria "Paradiso di Dio", ad essere nella comunità ecclesiale e degli uomini quell'accoglienza che fa del diacono porta d'accesso a quel "giardino" di Dio dove si sperimenta la fraternità secondo il disegno originale del Padre.
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