XX Domenica del Tempo Ordinario (A)
Lectio divina

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Lectio divina
Abbazia di Santa Maria di Pulsano (FG)
(10 agosto 2020)

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ANNO A - XX Domenica del Tempo Ordinario

DOMENICA «DELLA DONNA CANANEA»

Isaia 56,1.6-7 • Salmo 66 • Romani 11,13-15.29-32 • Matteo 15,21-28
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Nell'Evangelo di questa XX Domenica il momento di svolta nella vita di Gesù si definisce sempre più chiaramente nella sua decisione di camminare verso luoghi lontani e solitari (exelthòn … anechóresen). Gesù continua a prendere le distanze:
  1. dalle folle che lo seguivano, le quali mostrano di attendere da lui ciò che egli non può darle
  2. e dai luoghi nei quali avvenivano sempre più di frequente controversie con farisei e sadducei, sempre più accaniti nel rifiuto della sua parola.
Gesù vede dunque crescere sempre più il rifiuto della sua persona e la prospettiva di un rigetto fino alla persecuzione violenta. Solitudine, silenzio e preghiera sono dunque per Gesù dimensioni essenziali per il suo ascolto del Padre e per il discernimento della sua vocazione alla luce delle sante Scritture, al fine di inoltrarsi in quel cammino che lo conduce verso un esodo pasquale (cf. Lc 9,31), ma al caro prezzo della croce.
Per sfuggire ai suoi avversari che gli rimproverano di trasgredire le pratiche giudaiche relative all'impurità (Mt 15,18), Gesù si ritira verso la regione pagana di Tiro e Sidone (nel sud del Libano). Ma anche qui ritrova la questione dei confini tra il puro e l'impuro: la supplica di una cananea gli mette di fronte il problema della salvezza dei pagani. Stranamente, Gesù, in un primo momento tace, come se condividesse il particolarismo arrogante dei giudei nei confronti di quei «cani di pagani». Si direbbe che esiti, e quando finalmente si decide a rispondere alla donna, lo fa con durezza, senza mezzi termini. Il motivo è che c'è in gioco il disegno di Dio, che vuole radunare dapprima le pecore perdute d'Israele, e soltanto in seguito, a partire da questo popolo rinnovato, accogliere i pagani, secondo la misura della loro fede, che farà appartenere anch'essi alla grande famiglia di Abramo, il padre dei credenti. Come si conclude allora l'episodio della donna cananea? Essa non pensa di avere un qualche diritto al pane dell'amicizia divina riservato in primo luogo ai giudei. Chiede soltanto le briciole, ma con tanta fede e con tanta umiltà che riceverà alla fine integralmente la salvezza sperata. Nell'accoglienza riservata da Gesù a questa straniera, i cristiani del primo secolo hanno visto un modello profetico di come loro stessi dovevano comportarsi nei confronti dei credenti venuti dal paganesimo. Bisognava uscire dai limiti di una religione di élite, per proporre una salvezza universale legata non alla razza, ma alla fede.
Chiediamoci anche noi, oggi, se siamo, capaci di vivere un Evangelo senza frontiere, lasciandoci alle spalle la tranquilla sicurezza delle nostre abitudini e dei nostri pregiudizi. Con qualche briciola sottratta alla nostra tavola, molti dei cosiddetti «pagani», con la loro fede umilmente ostinata, potrebbero restituirci il sapore di un pane universale, offerto e ricevuto gratuitamente.

Dall'eucologia:

Antifona d'Ingresso Sal 83,10-11
O Dio, nostra difesa,
contempla il volto del tuo Cristo.
Per me un giorno nel tuo tempio,
è più che mille altrove.


Facciamo ancora nostra oggi l'orazione dell'antifona d'ingresso (Sal 83,10-11 CS) della solenne celebrazione domenicale che si apre molto bene con la preghiera epicletica del Salmista, il quale, impersonando tutta la Comunità orante, chiede al suo Signore che come Sovrano e unico loro Protettore riguardi i suoi fedeli qui adunati (3,4; 30,5; 5,17), e rivolga lo sguardo anche sul volto del suo Unto, gr. Christós, il suo Consacrato dallo Spirito Santo (Is 11,1-2; 61,1-2) Su questo Egli ha concentrato il suo Compiacimento, perché deve eseguire il suo Disegno (79,15) (v. 10). Attratta dalla sublimità, della divina comunione, la Comunità riconosce che anche un solo momento vissuto alla Presenza del Signore nel suo santuario, è preferibile a «mille giorni», il numero dell'illimitatezza, i quali passerebbero invano per l'esistenza dei fedeli (36,16; Pr 15,16; 16,8; 17,1) (v. 11a).

Canto all'Evangelo Cf Mt 4,23
Alleluia, alleluia.
Gesù predicava la buona novella del Regno
e curava ogni sorta di infermità nel popolo.
Alleluia.

Il versetto all'Evangelo, che deve essere riletto con Mt 9,35 («Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando l'Evangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità»), è la sintesi del ministero messianico del Signore, che consiste, come si è ripetuto tante volte, nel compiere la Divina Liturgia del Padre nello Spirito Santo, e quindi nell'Evangelo, nelle opere prodigiose e nel culto al Padre.
Prima di affrontare la "salita" battesimale a Gerusalemme, e dunque alla Croce, compiendo il programma che il Padre gli consegna donandogli lo Spirito al Giordano, il Signore nostro cerca di toccare molte "città e villaggi" (cf. Mt 9,35-38), annunciandolo l'Evangelo e insegnandone la dottrina, operando la carità o le "opere del Regno", riportando tutti all'adorazione di lode e di azione di Grazia al Padre, e formando i discepoli per la "prova" suprema, la sua Morte, e per la sua Teofania gloriosa, la Resurrezione.
Il Regno di Dio è per tutti i popoli perché tutti sono chiamati alla salvezza, tutti sono redenti dal Figlio, tutti devono poter chiamare Dio col nome di Padre.
La proclamazione dell'Evangelo di amore a tutti i popoli della terra e la costituzione di un'unica Assemblea di fede e di carità fin da questo mondo è il tema centrale delle letture della Parola di Dio di questa XX Dom. per annum A.
Le tre letture proposte dalla liturgia della Parola, sviluppano il tema della risposta di Dio di fronte ad ogni forma di esclusione. L'esistenza cristiana è il riflesso dell'appello di Dio alla salvezza e alla pienezza di vita, che si manifesta come occasione offerta gratuitamente nei confronti dell'uomo, in qualsiasi situazione egli si trovi. Il passaggio di Dio trasforma l'esistenza e richiede un cammino di liberazione da intraprendere.
Nella prima lettura il Signore rassicura due categorie di esclusi: gli stranieri e gli eunuchi. Per esigenze a noi sconosciute però il brano liturgico (Is 56,1.6-7) omette alcuni versetti (vv. 2-5.8) e riduce il testo all'essenziale.
Secondo la legge di Dt 23,2-9, gli eunuchi e, salve poche eccezioni, gli stranieri erano esclusi dalla comunità cultuale di Gerusalemme. Dopo l'esilio il problema si presentò in termini nuovi quando non solo aumentarono gli stranieri, ma crebbe anche il numero degli eunuchi. Tra i rimpatriati si trovavano anche persone che, assunte al servizio della corte babilonese e persiana, avevano dovuto subire la castrazione. Mentre le misure di Neemia e di Esdra sanzionarono la separazione della comunità dagli stranieri, la posizione di Isaia è diversa e offre una nuova soluzione al problema, prospettando la volontà divina di accogliere anche gli stranieri e gli eunuchi. I versetti omessi dalla pericope liturgica riguardano proprio quest'ultima categoria; sono scelti invece i due versetti relativi agli stranieri.
Anzitutto vengono precisate le condizioni richieste: è necessario che gli stranieri aderiscano al Signore, Dio di Israele, con l'intenzione di «servirlo», cioè di prestargli culto esclusivo, e di «amare il nome del Signore»; inoltre devono rimanere fermi nell'osservanza del patto, impegnati a praticare tutte le norme della legge, prima fra tutte quella del sabato, come segno tipico di appartenenza al giudaismo.
In secondo luogo il profeta si fa portavoce delle promesse divine a favore degli esclusi: accolti nel santuario di Gerusalemme, monte santo e casa di preghiera, anche gli stranieri potranno offrire sacrifici graditi al Signore, il quale promette di colmarli di gioia. Infine compare una formula che riassume una visione teologica: il tempio di Gerusalemme sarà chiamato «casa di preghiera per tutti i popoli» (v. 7). Determinante è questa aggiunta finale, che sanziona l'accoglienza universale. Non per niente questa espressione sarà citata dagli evangelisti a proposito dell'intervento di Gesù nel tempio (cfr. Mc 11,17).
La menomazione e la diversità culturale non possono costituire, agli occhi di Dio, un motivo di disprezzo e di sospetto. Nemmeno possono essere un motivo di rimpianto, fonte di autoesclusione: le vie di accesso a Dio non sono dettate dagli uomini. La condizione esteriore, l'arbitrarietà dei giudizi umani non costituiscono criterio per la discriminazione. Dio stesso interviene manifestando la sua predilezione per i poveri e gli esclusi, sovverte le categorie interpretative e rilancia proponendo criteri diversi: la giustizia, la fedeltà all'alleanza.
Nella seconda lettura Paolo, riflettendo sul mistero della storia della salvezza e sul ruolo insostituibile dell'Israele di Dio, prende atto dell'apertura universale, a tutte le genti, della misericordia di Dio. Nelle sue considerazioni l'apostolo richiama con forza la vocazione sacerdotale del popolo eletto e invita i cristiani a non chiudere le porte agli ebrei. C'è sempre il pericolo, infatti, per chi si è sentito vittima di un'esclusione, di diventare "escludente", per chi si è integrato in una cultura di trasformarsi in un razzista verso un'altra etnia... insomma anche tra i poveri c'è chi sfrutta chi è più povero perché si trova sempre una categoria inferiore su cui infierire.
Nell'Evangelo la donna cananea, determinata a rischiare per ottenere la guarigione della figlia, non esita, con costanza e tenacia, a sfidare l'apparente ineluttabilità di un rifiuto. Gesù si arrende, potremmo dire, si converte di fronte alla fede della donna e concede il miracolo con un commento ammirato. Si tratta dell'unico uso dell'aggettivo "grande" per definire la fede nell'Evangelo di Matteo, il quale spesso (cf Evangelo XIX Dom. Tempo Ord. A) usa l'aggettivo 'piccolo' per descrivere la fede dei discepoli. Emerge, nella pericope, la grande forza della preghiera e dell'invocazione, che riecheggia il «chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto» come atteggiamento confidente necessario verso Dio.
Dopo aver letto, nelle Domeniche precedenti, due importanti episodi del capitolo 14, la liturgia omette lo scontro polemico con i farisei sul tema della purità (Mt 15,1-20), perché viene letto nell'anno B secondo Marco (Mc 7,1-23: 22a domenica). Però nella lettura semi-continua di Matteo è necessario tener conto di questa controversia che induce Gesù a recarsi in territorio pagano nella zona di Tiro e Sidone, a nord della Galilea, abitata prevalentemente da fenici: così inizia infatti la pericope evangelica di oggi. Il contrasto fra l'atteggiamento "purista" dei farisei e la fede grande di una donna straniera è voluto e sottolineato dal fatto di giustapporre i due racconti. Continua infatti la sezione cosiddetta «dei pani», appartenente alla tradizione antiochena, testimoniata dall'accordo fra Matteo e Marco, mentre è assente in Luca. Questo episodio, che narra una guarigione compiuta da Gesù in terra straniera, è di duplice tradizione (Mt-Mc), ma fra le due redazioni ci sono molte differenze: seguiamo dunque il racconto secondo Matteo.
Gesù e la Cananea è uno degli episodi più toccanti dell'Evangelo ed è presentato con un delicato realismo non usuale in Matteo; questo racconto è l'unico caso infatti in cui la narrazione di Matteo è più circostanziata di quella di Marco (cfr. 7,24-30). Al centro dell'attenzione non sta il miracolo di guarigione o l'esorcismo, quanto piuttosto il dialogo tra la madre implorante e Gesù: dalla loro relazione scaturiscono conseguenze per le sorti della donna e di sua figlia, ma anche sulla comprensione del rapporto cristiano con gli stranieri.
La madre si rivolge a Gesù col titolo di Signore (vv. 22.25.27) e di figlio di Davide (v. 22). Trasformando le parti narrative di Mc 7,24-30 in dialoghi, Matteo ha cambiato il ruolo della donna in quello di una supplicante. L'osservazione finale di Gesù nel v. 28 («grande è la tua fede!») suggerisce che il motivo per cui è disposto a guarire la figlia è appunto il suo riconoscimento della grande fede della madre. Così Matteo propone la madre come un altro modello di fede supplichevole.
Nel racconto matteano di Gesù che guarisce la figlia della donna cananea abbiamo un esempio del modo in cui Matteo tratta i racconti miracolosi di Marco dal punto di vista letterario e ci viene proposta una questione di particolare importanza per la comunità matteana: la posizione rispettivamente dei Giudei e dei pagani nel piano salvifico di Dio.
Matteo ha rimaneggiato il racconto di Marco in diversi punti. Tecnicamente Mc 7,24-30 è una storia di guarigione che presenta la conversazione tra una donna siro-fenicia e Gesù. Partendo da questo spunto, Matteo amplia considerevolmente l'elemento interlocutorio di modo che la donna si rivolge a Gesù tre volte (vv. 22.25.27) e Gesù risponde due volte (vv. 24.28). C'è inoltre un intervento dei discepoli e la relativa risposta di Gesù (vv. 23-24). La versione matteana è chiaramente un dialogo, imperniato sulla malattia della ragazza e la guarigione operata da Gesù.
Diversi elementi del racconto, ma soprattutto il contenuto teologico, si ritrovano già nella guarigione del servo del centurione di 8,5-13. Dall'episodio della Cananea emergono degli elementi che toccano sul vivo uno dei problemi più scottanti di tutta la teologia biblica: il problema della salvezza messianica estesa ai gentili.
Nella concezione anticotestamentaria il genere umano è diviso in due: Israele, il popolo di Dio da una parte, e le nazioni pagane dall'altra.
A Israele appartengono i divini privilegi: l'elezione, l'alleanza, le promesse (cfr. Rm 9,4, II lett. Dom. scorsa); le nazioni sono tutti coloro che non conoscono JHWH e non beneficiano perciò dei favori che egli elargisce al suo popolo.
Eppure nelle intenzioni di Dio anche le nazioni dovevano entrare nel disegno di salvezza, poiché a tutta l'umanità si estende la sua volontà salvifica.
La salvezza non è appannaggio esclusivo d'Israele, ma dono offerto all'umanità.
Già la I lettura attribuita al terzo Isaia (cc. 56-66) si orienta verso questa apertura della salvezza agli stranieri «che hanno aderito al Signore per servirlo... e restano fermi nella mia alleanza» (Is 56,6s). Salvezza preannunziata e proclamata dal servo di JHWH fino ai confini del mondo ancora in Is 42,1-4; 49,6.
Una curiosità: la pericope di Mt 15,21-28 sulla donna cananea si proclama nel lezionario delle Chiese bizantine la Dom. 17 dopo Pentecoste. Questa Domenica tuttavia si celebra se la Pasqua è "alta", ossia se cade al 22 di marzo. Ogni altra data pasquale fa che il numero delle 17 Domeniche dopo Pentecoste, nelle quali si proclama l'Evangelo di Matteo, sia ristretto in proporzione per giungere alla Festa fissa dell'Esaltazione della Croce, il 14 Settembre. La Domenica 17a così, con altre eventuali, si elimina. Però se la Pasqua cade tra il 15 e il 25 aprile, la Domenica 17a di Matteo si celebra prima della Domenica del Pubblicano e del Fariseo, per completare di 1 settimana la serie delle Domeniche di Luca.
Le variazioni del calendario liturgico del periodo "mobile", ossia che dipende dalla "data della Pasqua", fa sì che questa Domenica in pratica sia "sospesa" per tanti numeri di anni, da risultare quasi una "cometa". Per fare un esempio, dal 1880 al 2012, ossia per 133 anni, la data del 22 aprile ricorre nel calendario gregoriano solo nel 1962; 1973; 1984; in quello giuliano nel 1907; 1918; 1929. così la presente pericope della fede della madre cananea non sarà mai sufficientemente conosciuta dal popolo celebrante, mentre essa contiene uno straordinario insegnamento evangelico. Va comunque spiegata al popolo in altri contesti.


ESAMINIAMO IL BRANO DELL'EVANGELO

14,21 «Tiro e Sidone»: È il territorio fenicio confinante con la Galilea settentrionale. Tiro e Sidone si trovavano sulla costa mediterranea; tradizionalmente indicavano la regione pagana a nord-ovest del territorio ebraico (vedi Mt 11,22). Gesù è entrato in questa regione, oppure è solo andato in quella direzione? Oltre la «fuga in Egitto», spostamenti di Gesù fuori della Palestina propriamente intesa (la Decapoli, abitata da pagani ellenizzati, per sé era territorio palestinese) non sono narrati. L'episodio di oggi è l'unico caso in cui viene riferita esplicitamente un'attività apostolica di Gesù in territorio pagano anche se dobbiamo constare che non si dice che Gesù abbia attraversato il confine.
Tiro (dall'ebr. sur = roccia) e Sidone (dall'ebr. sùdon = luogo di rifornimento o luogo pescoso), antichissime città fenicie, marinare e mercanti, floride e molto viziose; non a caso i Profeti dell'A.T. pronunciarono diversi oracoli di sventura per tali città, e simili (cfr. ad es. Is 23,1-18; Ez 28,2-24; Am 1,9-10), predicendo la divina punizione. Eppure, il peccato di chi non accetta Cristo è stigmatizzato come immensamente superiore a quello di Tiro e Sidone, che se avessero ricevuto la predicazione dell'Evangelo si sarebbero convertite (cfr. Mt 11,21-22).

«si ritirò»: È stata corretta la vecchia trad. ("si diresse") il testo originale porta infatti il verbo anachóreó = si ritirò (da cui anacoreti, gli asceti del deserto). Il motivo di questo "ritirarsi'' è forse dovuto alla ricerca di un momento di tranquillità, fuggendo dalle folle che ormai lo opprimono; oppure da una riprova, una specie di riscontro profetico.

v. 22 «Ed ecco»: L'evangelista introduce il nuovo personaggio del racconto con una formula solenne, quasi della sopresa, per catturare l'attenzione del lettore.

«una donna cananea»: È una espressione biblica volutamente arcaicizzante (solo qui in Matteo e in tutto il N.T.) che Marco sostituisce con il termine, più moderno, di "sirofenicia".
I Cananei erano una popolazione che occupava la Palestina prima dell'insediamento degli Israeliti al tempo di Giosuè (sec. XIII a.C.). Specialmente nel nord i Cananei sopravvissero alla conquista israelitica e costituirono una continua minaccia al monoteismo ebraico.
Come nel caso della Samaritana, la Cananea ha due difetti irreparabili:
  1. anzitutto è donna, che per gli antichi – non per la Scrittura – era «un male necessario»;
  2. il secondo difetto, è biblico: è Cananea, discendente di Cam, l'indecente dispregiatore del padre suo Noè, e da questi maledetto, con un piccolo poema terribile, dove Cam è anche Canaan [Nota:
    Maledetto Canaan!
    Servo dei servi dei fratelli suoi sussista!
    Benedetto il Signore Dio di Sem,
    e sia Cam servo di essi!
    Jafet, Dio lo estenda,
    ed abiti nelle tende di Sem,
    e sia Canaan servo di essi!
    (Gen 9,25-27).
    Tale maledizione è confermata lungo le generazioni, per il fatto che i Cananei, abitanti della Palestina con altre popolazioni di varia civiltà, ma tutti idololatri e dediti a culti osceni, a prostituzione sacra dei due sessi, erano il costante pericolo di sincretismo religioso per Israele; contrarre alleanza politica, o anche nuziale, era di fatto accettare reciprocamente la cultura e la religione dell’altro contraente, ossia anche il suo culto idololatrico. I libri storici e profetici sono pieni di invettive contro i “Cananei”, diventati anche un tipo di rovina religiosa e morale.
    ]
Mentre Gesù considera il primo "difetto", essere donna, come una benedizione divina quale fu dall'inizio e seguita ad essere, per cui egli è "nato da Donna" (Gal 4,4), per il secondo difetto, questo sì vero e mortale, viene a porre rimedio: chiede la fede. E non per caso la fede del N.T. viene anzitutto dalle donne: Elisabetta, Maria Semprevergine, "il tipo" per eccellenza della fede, Anna, le Discepoli fedeli che seguono il Signore dovunque vada; un altro "tipo" della fede, la Maddalena. E prosegue l'inesauribile lista con le donne incontrate da Paolo, delle quali traccia lo stupendo elenco in Rom 16, quasi tutte provenienti dal paganesimo. E così ancora Lidia a Filippi, a cui "il Signore aprì il cuore" all'Evangelo degli Apostoli (At 16,14) e le "molte donne e non pochi uomini" greci di Tessalonica (At 17,12), e l'unica donna ateniese, Damaride, che credette dopo il discorso paolino all'Areopago sulla Resurrezione del Signore (At 17,34), e Priscilla con il marito Aquila a Corinto (At 18,2).

«che veniva da quella regione»: È possibile immaginare che l'episodio matteano abbia avuto luogo in territorio giudaico e che la donna pagana sia venuta dal suo paese ad incontrare Gesù che era in viaggio verso Tiro e Sidone. Questo scenario comporta che eis in Mt 15,21 venga reso con «verso» anziché con «dentro» o «nella» e che l'inciso preposizionale «da quella regione» (v. 22) sia fatto dipendere dal participio «venuta (che veniva)». Questo scenario sarebbe coerente con la direttiva di Gesù ai suoi discepoli di limitare la loro missione «alle pecore perdute della casa d'Israele» (vedi Mt 10,5-6).

«Pietà di me» (in gr. elèesòn me, kýrie): All'imperativo aoristo il quale ordina di dare inizio a un'azione nuova: quella "misericordia divina (delle viscere materne)"che aveva evangelizzato, sfamato e guarito "da molte infermità" il popolo di Israele al lago di Genesaret ora dev'essere rivolta ad una donna pagana.
Sentito di Gesù, questa Cananea gli esce incontro e gli grida un'epiclesi, dove si riflette lo strappo delle sue viscere materne, facendo appello alle viscere paterne di Cristo. Ne emerge improvvisa l'accettazione di tutta la fede dell'A.T., come dei due Ebrei, i ciechi di Gerico (9,27): "Impietosisciti di me, eléêson-me, Signore, figlio di David!" Chi ha insegnato alla donna pagana che David aveva annunciato: "Parlò il Signore al Signore mio: Siedi alla Destra mia!" (Sal 109,1), "nelle Spirito Santo" (cf. Mt 22,43-45), poiché il Signore gli aveva notificato la Promessa di un Figlio suo da venire (Sal 88,27-30), se non lo Spirito Santo? Solo dal Signore, il Re messianico, il Figlio di David adesso presente, ella si attende la salvezza da ogni male.

«Signore, Figlio di Davide»: è il titolo messianico che abbiamo già incontrato in 9,27 nell'episodio dei due ciechi. La fama di guaritore di Gesù, infatti, si era diffusa «in tutta la Siria» (4,24) di cui faceva parte appunto la Fenicia. L'invocazione della cananea è certamente mossa dalla dolorosa situazione della figlia e tale grande dolore le fa superare diverse barriere:
  1. è una donna sola che insegue un gruppo di uomini,
  2. è una cananea che si rivolge a degli ebrei,
  3. è una pagana che supplica un maestro di altra religione.
Perché si rivolge a Gesù? Perché lo chiama «Signore (Kyrie), figlio di Davide»? Il testo non ci dà alcuna spiegazione, ma è facile immaginare che le sia giunta l'eco dei prodigi compiuti da quell'uomo in Galilea e anche delle valutazioni straordinarie che di lui si davano. In Matteo il termine kyrie come appellativo per Gesù, pur essendo molto frequente (cfr. Mt 8,2.6.8; 9,28; 14,28; 15,22 ecc.), è ambiguo, perché può denotare una fede profonda, ma anche solo una grandiosa ipocrisia (cfr. Mt 7,21-23). Ma quella donna straniera vi aggiunge pure un tipico appellativo messianico (Figlio di Davide), che le può venire solo dalla testimonianza di altri: non si rivolge quindi ad un qualsiasi guaritore famoso, ma si relaziona con lui in atteggiamento di fede messianica e si affida con costante resistenza a colui che dovrebbe compiere le promesse divine.

«mia figlia è molto tormentata da un demonio» ("la figlia mia orrendamente (kakôs) è indemoniata"): Il demonio impedisce il Regno del Figlio di David. Non è chiaro se la figlia accompagni la donna o sia a casa sua. Per Mc 7,30 la figlia era rimasta a casa.
«La donna è anche un'ottima teologa, che come ogni vero teologo risponde non alle proprie idee, "i concettuzzi schematizzati a tavolino dopo cena e dopo la panoramica web dei siti social", bensì agli impulsi interiori dello Spirito. Ella insieme invoca e prega, ed espone una "lamentazione" di tipo salmico, che è versare davanti al Signore, per intero e lealmente, il proprio stato di necessità. E avere una figlia "indemoniata" è anche una vergogna religiosa e sociale. Ma la madre non indietreggia davanti a quella che adesso "sa" che è la vera occasione, e l'ultima, della sua povera esistenza materna» (T. Federici).

v. 23 «non le rivolse neppure una parola»: L'atteggiamento di Gesù è paradossale, indisponente verso quella donna che lo invoca e prega con una "lamentazione" di tipo salmico (cfr. ad es. Sal 130,1b-2a).
Di fronte a tale accorata invocazione Gesù reagisce con un silenzio assordante: non la degna neanche di una risposta. Questo è un caso particolare nei racconti evangelici, in cui il narratore sottolinea espressamente la reazione intenzionale di Gesù come rifiuto: tanto più che fa contrasto con la commozione che il maestro prova di fronte alla folla nei casi delle due moltiplicazioni dei pani, che anticipano (Mt 14,14) e seguono (Mt 15,32) questo episodio.

«Esaudiscila» (imp. aoristo): Letteralmente "lasciala andare" (volg. dimitte eam), la BJ traduce "falle grazia". Suggestivo è che il vocabolo greco apolyson si trovi anche in 18,27 la parabola del servo spietato: "Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito" e 27,15 "A ogni festa, il governatore (Pilato) era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta".
L'intervento dei discepoli che fanno pressione su Gesù perché accolga le preghiere della poveretta sono poca cosa, come in altre situazioni, non fosse altro per liberarsi della sua fastidiosa insistenza (cfr. Lc 11,7-8; 18,5). La richiesta dei discepoli è infatti ambigua. Può voler dire che Gesù dovrebbe esaudire il desiderio della donna e in tal modo sbarazzarsi di lei; oppure che Gesù dovrebbe semplicemente mandarla via per evitare il fastidio che sta causando. Vista l'apparente mancanza di legame tra i vv. 23 e 24 alcuni commentatori pensano che l'oggetto di «esaudiscila [mandala via]» fosse originariamente il demonio o che «la» si riferisca alla figlia che è tormentata dal demonio.
L'atteggiamento di Gesù è comunque paradossale, indisponente: "non risponde a lei parola". I discepoli, ormai sempre meno lucidi sulle intenzioni del Maestro, "si accostano" con rispetto e gli chiedono di respingere la donna, perché dà fastidio, "grida dietro a noi" (v. 23), neppure comprendendo che quel "gridare" è preghiera: "Dalla profondità io grido (krázô) a Te, Signore! Signore, ascolta la voce mia! (Sal 129,1b-2a).

Questa preghiera continua ancora oggi:
Antifona alla Comunione Sal 129,7
Presso il Signore è la misericordia,
e grande presso di lui la tua redenzione.


L'Antifona alla comunione (Sal 129,7, SC), il «De profundis» viene a quadrare bene con il centro della pericope evangelica di oggi. Come la Cananea, noi fedeli, sappiamo che il Signore elargisce la sua Misericordia che dimora in Lui in pienezza, e che la grazia della sua Redenzione è illimitata (Sir 5,6; Is 55,7), e li raggiunge (24,22; 110,9; Tob 2,14; Lc 1,68; Mi 1,21). Così il Signore Risorto ci ammette ancora una volta «al Santo», al Tesoro, al «Pane dei figli», sotto la forma della sua Parola Cibo e del suo Convito della Vita, nella fede della Chiesa Madre che ci genera, e che per i figli suoi chiede il Dono dello Spinto Santo, amando e celebrando il Figlio di David, Cristo Signore Risorto.

v. 24 «Non sono stato inviato...»: Anche in questo caso il Maestro non fa quello che gli suggeriscono i discepoli, ma coglie l'occasione per riflettere sul senso della sua missione: egli dichiara di avere un mandato differente, apparentemente più ristretto, che non sembra consentirgli un ampliamento di destinatari tale da includere anche la cananea.
Questo discorso di Gesù è rivolto ai giudei, i quali possono comprendere facilmente l'allusione al testo di Ez 34 con la figura delle pecore perdute della casa di Israele (cfr. Mt 10,5-6): questa prima parola per i giudei prelude ad una "seconda" parola per le genti pagane, cosicché il racconto contiene in sé la rivelazione di un'azione in due tempi, come dimostra anche il secondo segno di moltiplicazione dei pani, che segue immediatamente il nostro episodio (Mt 15,29-39). Come dire che Gesù stesso inaugura e legittima una inaudita apertura ai non-ebrei.
L'affermazione di Gesù è dunque in linea con il precetto dato da lui ai discepoli di rivolgersi soltanto «alle pecore perdute della casa d'Israele» (10,6, cfr. XI Dom. T. Ord A). Il modo con cui si evita di nominare direttamente Dio, collocando il verbo al passivo e in forma impersonale si chiama passivo teologico. Gesù aveva anticipato questo atteggiamento nel "discorso della montagna", dove aveva prescritto ai discepoli ancora da istruire a fondo: "Non donate il Santo ai cani, né gettate le perle vostre davanti ai porci" (Mt 7,6). Nel parallelismo sinonimico si ha la discreta allusione anzitutto alla Realtà più santa, il Pane del Convito divino, al quale partecipano solo i "figli del Regno"; poi al Tesoro, i Beni preziosi del Regno, che spettano solo a quelli che ne sono eredi come figli del Regno. Ora, i figli del Regno sono il popolo dell'alleanza. Chi è "straniero" all'alleanza, non solo è escluso dai suoi benefici, ma è considerato come un animale impuro, da evitare con orrore, astenendosi non solo dal mangiare insieme, ma perfino dal toccarli (le norme in Lv 11; il v. 27 per i cani, il v. 7 per i porci). Non sarà un caso che animali in fondo fedeli all'uomo o almeno molto utili, come il cane ed il porco, insieme però servano da termini per manifestare il più profondo disprezzo verso persone nemiche o anche solo antipatiche, di altra razza o religione o partito.

v. 25 «Signore, aiutami»: Avere una figlia «indemoniata» era una vergogna religiosa e sociale; ma la madre non indietreggia davanti a quella che adesso «sa» che è la vera occasione della sua povera esistenza. È un imperativo presente positivo che ordina di continuare un'azione già intrapresa. Arditamente, ma con totale umiltà insieme la donna si rivolge a Gesù con parole stupende; tratte dai salmi: 70,2; 79,9; 109,26; 119,86.117.175.

v. 26 «Non è bene...»: La terza parola del Signore è insopportabile, di una inaudita violenza e di una spietata durezza. Gesù si attiene alla concezione tradizionale che vedeva soltanto negli Israeliti i «figli» di Dio, gli eredi delle promesse e che considerava i pagani come cani, esclusi dal banchetto messianico. Gesù mette davvero a dura prova l'umiltà e la fede della donna. L'asprezza del detto è alquanto attutita dall'uso del diminutivo kynarion (come a dire «i cuccioli») e dal fatto che questi sono cani che stanno in casa (15,27). Comunque sia, Gesù afferma chiaramente il principio ebraico tradizionale in materia di storia della salvezza: prima i Giudei.
Anche se appare brutale, la risposta è comunque meglio del silenzio, che nega del tutto una relazione; la parola di Gesù invece prospetta una possibile relazione, anche se subordinata.

v. 27 «È vero, Signore...»: Il testo greco dice nài, Kýrie, che va tradotto alla lettera «Ma sì, Signore» che non è solo un assenso a quanto Gesù ha dichiarato, ma è un'ulteriore insistenza nel richiedere la grazia desiderata (cfr. Ef 4,3; Fm 20).
La donna accetta di restare dentro questa relazione subordinata, così come non si era scoraggiata di fronte al silenzio. Non va via, non si offende, non si demoralizza, bensì vince pian piano le resistenze di Gesù. Infatti fa propria l'affermazione di lui e la usa come principio argomentativo: accetta di essere paragonata ad un cagnolino, ma riflette sulla scena domestica in cui anche i cani trovano un posto in casa, sebbene sotto la tavola, e hanno la possibilità di mangiare, anche se solo le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni.
La Cananea come è ovvio ignora che il medesimo Signore che ha adorato e sta implorando, aveva detto che "i figli del Regno" per le loro colpe possono essere esclusi dal Convito, mentre "molti" da ogni regione della terra saranno chiamati ed ammessi a stare a mensa con Abramo ed Isacco e Giacobbe (Mt 8,11-12; Lc 13,28-29). In un certo senso, Gesù sta proponendo alla donna un esame d'ammissione a quel Convito. E sapendo che quella è pronta. Ma vuole che lo manifesti.
E la donna lo manifesta con una parola che è un grido, dove riconosce la sua situazione di miseria, e di estraneità a quei "figli" ed al "loro pane". Il suo grido è perfino più violento delle parole del Signore, e rivela che nel suo cuore già è depositato e contenuto il Dono divino.
Il testo greco va stretto da vicino, letto alla lettera:
Nái, Kýrie,
kái gár tá kynária esthíei apó psichíôn
tôn piptóntôn apó tês trapézês tôn kyríôn autôn.

Non è un testo ovvio, innocente. In genere esso è compreso e tradotto in modo falso e fiacco, come se la madre disperata fosse disposta ad assentire ad un violento rifiuto, al quale accondiscendesse educatamente e blandamente, circa così: "Certo, certo, sì, hai ragione, tant'è vero che i cagnolini..." Si esclude così la radicale contraddizione con la parola di esclusione dei "cagnolini", mentre la parola della donna direbbe che "comunque i cagnolini" in fondo partecipano con "i figli del Regno" a "quel pane".
La versione suona così:
Ma sì, Signore!
Infatti anche i cagnolini mangiano dalle briciole
cadenti dalla tavola dei loro padroni!
Perciò anche quelli considerati come cani rognosi, e quindi esclusi fuori della sala del convito, hanno diritto al "pane dei padroni". Questi per il loro egoismo li escludono fuori. I "cagnolini" si contenterebbero anche di briciole superflue, se i padroni gliele gettassero, come Gesù stesso spiega nella parabola del povero Lazzaro (Lc 16,21). Infatti "i figli" che hanno per sé diritto di primogenitura al Pane, sono kýrioi, signori, padroni. Il "pane" è la Parola, la carità fraterna che ammette alla vita comune, è il Convito - e quante briciole lasciate cadere e disperse, allora, farebbero la sazietà di tanti "cagnolini" esclusi, che non sarebbero più né cagnolini né esclusi!
La Cananea è capace di volgere a suo vantaggio la severa affermazione di Gesù. La parola della Cananea osa resistere al Signore, se i fatti stanno come Lui afferma, allora le spettano le "briciole". La parola della madre è aggressiva. Ella osa resistere al Signore, apertamente contraddirlo, anzi rinfacciargli che se sostiene quello che ha detto, ha torto. Infatti, perfino i "padroni" lasciano cadere le briciole e non impediscono ai cani di cibarsene, quando poi non gettano ad essi pani interi. E come, proprio Lui, "il Signore", il Figlio di David", invocato, quello che è famoso per avere sempre l'éleos, la Misericordia divina verso tutti, adesso non è più Lui stesso proprio davanti a due persone nell'angoscia del male, davanti a due povere "cagnoline"? La donna con la sua fede accetta questa precedenza, solo accontentandosi di venire per ultima. Resisterà Gesù ad una così umile richiesta?

v. 28 «Donna, grande è la tua fede»: donna in gr. è gynai, titolo nobiliare, come dire: «signora».
L'esame-prova termina qui. Gesù ha avuto la confessione della fede che nasce dal cuore della madre. Il suo Cuore attendeva solo questo. Ed allora può rispondere come già sapeva che poi avrebbe parlato. Interpella la Cananea con un titolo di nobiltà: "Ô gynai!", che significa circa: "o signora!"; e le dà il supremo riconoscimento: "Grande è la fede tua!" («megálē sou hē pístis»).
Tale affermazione rivela al lettore le profonde motivazioni di quella donna: non era mossa solo dalla forza della disperazione, dai proprio bisogno, da una faccenda di interesse privato. Gesù conosce il cuore e lo fa conoscere ai discepoli: l'atteggiamento di quella donna è segno autentico di fede, come relazione forte e personale con il Signore Gesù, come abbandono fiducioso in lui e superamento del proprio orgoglio, come capacità di accettare il posto sotto la tavola per essere con lui e cibarsi delle sue briciole, È questa l'unica volta in cui Matteo qualifica la fede di qualcuno come «grande»: anzi in genere sottolinea che la fede dei discepoli è «piccola», adoperando volentieri il sostantivo oligopistia e l'aggettivo oligópìstos (come per Pietro nell'episodio letto domenica scorsa: Mt 14,31; cfr. anche 6,30; 8,26; 16,8; 17,20).
Gli osservanti farisei dell'episodio precedente rappresentano la tipica religiosità giudaica del I secolo, chiusa nel proprio orgoglio nazionalista che osserva con rigore tutte le norme, si considera naturalmente meritevole di stare alla tavola dei figli e disprezza gli altri come cani: di loro però Gesù dice che sono «ipocriti». Per trovare una fede grande deve andare all'estero, in terra straniera, in mezzo a popoli pagani, nel cuore di una donna, addirittura "cananea".
Come davanti alla fede straordinaria del centurione (cfr. 8,10), anche qui Gesù manifesta la sua ammirata sorpresa. Non a caso la fede del N.T. viene anzitutto dalle donne: Elisabetta, Maria Madre di Dio, Anna, le discepole fedeli che seguono Gesù ovunque vada; Maddalena, le liste di Paolo in Rm 16, At 16,14; 17,12.34; 18,2 ecc. ecc.

«Avvenga come tu vuoi»: Indica il Disegno divino. Il che significa l'immediata guarigione della figlia della Cananea. Infatti "Dio opera negli uomini sia il volere, sia l'operare a causa dell'Eudokía" sua, dice Paolo («È Dio infatti che suscita in voi il volere e l`operare secondo i suoi benevoli disegni» Fil 2,13).
Sembra un padrone assoluto. Ed invece la Scrittura ha molti testi, da farne un ricco trattato, sul tema che Dio fa la volontà degli uomini. Così affermano ed assicurano già i Profeti, perfino per un pagano come il re Ciro (Is 48;14, cf. 46,11; 41,2), per il Re messianico (Sal 19,5-6; 20,3), per il giusto, sapiente e paziente, «Confida nel Signore e fa' il bene; abita la terra e vivi con fede. Cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» Sal 36,3-4; per il fedele e devoto che si rivolge al Signore: «Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero. Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta il loro grido e li salva» Sal 144,19, altro testo esemplare.
In sintesi, per tutto il popolo santo, il Signore afferma solennemente: "Ed avverrà: prima che essi chiamano, Io già ho risposto, Io li ho esauditi mentre essi ancora parlano" (Is 65,24).
Questo si ritrova inevitabilmente nel N.T. Gesù circonda per così dire il "Padre nostro" delle assicurazioni necessarie per conferire fiducia alla preghiera dei fedeli: "Conosce il Padre vostro quello di cui avete necessità, prima che glielo chiediate" (Mt 6,8); "Cercate prima il Regno... e tutto questo vi sarà aggiunto in più" (Mt 6,33), parola a cui Gesù premette di nuovo: "Conosce infatti il Padre vostro celeste che voi avete necessità di tutto questo (Mt 6,32).
Un umile ma fervido ascoltatore di Gesù, Lo difende affermando: "Noi sappiamo, che i peccatori Dio non ascolta, ma se qualcuno è devoto, Egli fa anche la volontà di lui" (Gv 9,31), dove "lui" è Gesù che opera, e qui aveva guarito il cieco nato. Paolo da parte sua rilancia tale insegnamento: "Per questo, noi anche preghiamo sempre in favore vostro, affinché il Dio nostro vi renda degni della vocazione, e adempia ogni eudokía (dei fedeli!) di bontà, e l'opera della fede nella Potenza" dello Spirito Santo (2 Tess 1,11). Il Signore compie "il volere e l'operare"; in specie quando il volere è l'eudokía dei fedeli, la loro volontà buona di adeguarsi alla divina Eudokía per loro.
Ora, qual è il "volere" della madre cananea? Il solo bene della sua bambina. E come il Signore non compirà "il volere e l'eudokía" di una madre? "Da quel momento fu guarita", un passivo che indica l'opera della Divinità senza nominarla, e fu restituita alla madre una figlia che da innocente aveva troppo sofferto.
"Si hanno qui due figure esemplari. La madre cananea è ormai l'"immagine e somiglianza" di Dio santificata dalla fede nel Signore, il Figlio di David. Ha recuperato la sua dignità di figlia di Dio nel Figlio di Dio. Tale dignità in forza della sua fede è comunicata al frutto delle sue viscere, liberata dal demonio che le deturpava l'"immagine e somiglianza", ed anche questa è recuperata. La donna cananea è posta così come madre vera, nelle due volte che la maternità umana dovrebbe generare nell'amore totale: nella carne, ma poi nella fede verso il Signore, che ridonda nella carità trasformante verso la medesima sua carne. Le donne sono poste come benedizione dal Signore" (T. Federici).
Nella Colletta propria dell'anno A si pone l'accento sull'opera di Cristo, in modo particolare sulla mitezza e sull'umiltà di cuore, necessarie per compiere il disegno universale di salvezza pensato da Dio per l'eternità. Di fronte alla misericordia di Dio, l'uomo è chiamato a rispondere con un atteggiamento interiore, il rivestirsi dei medesimi sentimenti di Cristo, e con la testimonianza fatta di opere e parole.

II Colletta
O Padre,
che nell'accondiscendenza del tuo Figlio
mite e umile di cuore
hai compiuto il disegno universale di salvezza,
rivestici dei suoi sentimenti,
perché rendiamo continua testimonianza
con le parole e con le opere
al tuo amore eterno e fedele.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...




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