IV Domenica di Pasqua (C)
Letture Patristiche

torna all'indice



Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO C - IV Domenica di Pasqua

DOMENICA «DEL PASTORE BUONO»

Atti 13,14.43-52 • Salmo 99 • Apocalisse 7,9.14b-17 • Giovanni 10,27-30
(Visualizza i brani delle Letture)


1. Io e il Padre siamo uno (Agostino, Omelia 48)
2. Dalle parole del vangelo di Giovanni 10,30: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Agostino, Discorso 139)


_______________




Io e il Padre siamo uno

Se gli uomini sono diventati dèi a motivo della parola di Dio rivolta loro, come può non essere Dio il Verbo stesso di Dio che è presso Dio. Se gli uomini diventano dèi partecipando alla parola di Dio, non sarà Dio la Parola di cui partecipano?

1. Non dimenticate mai ciò che insistentemente ho fatto notare alla vostra Carità, e cioè che san Giovanni evangelista non vuole alimentarci sempre con latte, ma vuole sostenerci con cibo solido. Chi però non è ancora in grado di ricevere il cibo solido della parola di Dio, si nutra col latte della fede, accettando senza esitazione la parola che non riesce a comprendere. La fede è un merito, e l'intelligenza ne è la ricompensa. Nello sforzo che il nostro intelletto fa per penetrare la parola di Dio, si purifica, liberandosi dall'inevitabile foschia umana e si chiarisce alla sua luce. Quando si ama, non ci si sottrae allo sforzo. Sapete infatti che chi ama non sente fatica; mentre anche la minima fatica è pesante per chi non ama. Se tante fatiche impone la cupidigia agli avari, la carità non dovrà esigere da noi alcuna fatica?

2. Ascoltate con attenzione il Vangelo: Si celebrava a Gerusalemme la festa dell'Encenia (Gv 10, 22). L'Encenia era la festa della Dedicazione del tempio. Καινòν in greco vuol dire nuovo. Il giorno in cui si inaugurava qualcosa di nuovo veniva chiamato Encenia; parola che poi è passata nell'uso comune: quando uno, ad esempio, indossa una tunica nuova si usa il verbo "enceniare". I Giudei celebravano solennemente il giorno della dedicazione del tempio; si celebrava appunto questa festa, quando il Signore pronunciò il discorso che è stato letto.

Chi crede si avvicina, chi nega si allontana
3. Era d'inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei gli si fecero attorno e gli dissero: Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo diccelo chiaramente! (Gv 10,23-24). Essi non cercavano la verità ma macchinavano un complotto. Si era d'inverno ed erano pieni di freddo, perché non facevano niente per avvicinarsi a quel fuoco divino. Avvicinarsi significa credere: chi crede si avvicina, chi nega si allontana. Non si muove l'anima con i piedi, ma con l'affetto del cuore. In loro si era spento del tutto il fuoco della carità, e ardeva soltanto il desiderio di far del male. Erano molto lontani, benché fossero lì; non si avvicinavano con la fede, ma gli stavano addosso perseguitandolo. Volevano sentir dire dal Signore: Io sono il Cristo, e forse di Cristo avevano un'opinione soltanto umana. I profeti avevano annunziato Cristo; ma se neppure gli eretici accettano la divinità di Cristo secondo la testimonianza dei profeti e dello stesso Vangelo, tanto meno i Giudei quindi, finché rimane il velo sopra il loro cuore (2Cor 3,15). Ora il Signore Gesù, in altra circostanza, sapendo che essi nutrivano nei riguardi del Cristo opinioni secondo l'uomo, non secondo Dio, opinioni che tenevano conto della sua natura umana, ma non della natura divina che permaneva in lui anche dopo l'incarnazione, disse loro: Che ve ne pare del Cristo? di chi è figlio? (Mt 22,42). In base alla loro opinione, essi risposero: di David. Così infatti avevano appreso dalle profezie, e a questo si fermavano: avevano letto anche della sua divinità, ma non l'avevano compresa. E il Signore, volendo tenere sospeso il loro animo affinché cercassero la divinità di colui del quale disprezzavano l'infermità, rispose loro: Come, dunque, David, ispirato, lo chiama Signore, dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se, dunque, David lo chiama Signore, come è suo figlio? (Mt 22,43-45). Non negò di essere figlio di David ma pose loro una domanda. Che nessuno, di fronte a questa risposta, pensi che il Signore Gesù abbia voluto negare di essere figlio di David. Se Cristo Signore avesse negato di essere figlio di David, non avrebbe illuminato i ciechi che così lo invocavano. Passando, infatti, una volta, due ciechi che stavano seduti lungo la via, lo invocarono: Figlio di David, abbi pietà di noi! (Mt 20,31). A quella invocazione, si commosse, si fermò, li guarì, diede loro la luce, mostrando così di gradire quel titolo. A sua volta, l'apostolo Paolo dice: È nato dal seme di David secondo la carne (Rm 1, 3); e scrivendo a Timoteo: Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di David, è risuscitato dai morti secondo il mio Vangelo (2Tm 2,8). Il Signore era della stirpe di David, perché la vergine Maria discendeva dalla stirpe di David.

4. I Giudei contavano molto su una risposta affermativa. Se infatti egli avesse risposto: Io sono il Cristo, dato che essi consideravano il Cristo come proveniente unicamente dalla stirpe di David, lo avrebbero accusato di volersi arrogare un potere regale. La sua risposta fu ancor più compromettente: essi volevano accusarlo di arrogarsi il titolo di figlio di David, egli rispose di essere il Figlio di Dio. E ascoltate in quali termini: Rispose loro Gesù: Ve l'ho detto e voi non credete; le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste testimoniano di me; ma voi non credete perché non appartenete alle mie pecore (Gv 10,25-26). Avete già appreso sopra chi siano le sue pecore. Cercate di essere tali anche voi! Le sue pecore sono quelle che credono, che seguono il loro pastore, che non disprezzano il loro redentore, che entrano per la porta e ne escono trovando il pascolo, e partecipano della vita eterna. Come mai allora disse a costoro: Voi non appartenete alle mie pecore? Perché sapeva che erano destinati alla rovina eterna, e non alla vita eterna come quelli che sono redenti col prezzo del suo sangue.

In paradiso tutto è verdeggiante e rigoglioso
5. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, e mi seguono. Io do loro la vita eterna (Gv 10,27-28). Ecco il pascolo. Se ricordate, prima aveva detto: entrerà, e uscirà e troverà pascolo (Gv 10,9). Siamo entrati quando abbiamo creduto, usciamo quando si muore. Ma allo stesso modo che siamo entrati per la porta della fede, così dobbiamo uscire dal corpo come fedeli; è così che si esce per la medesima porta, se si vuole trovare il pascolo. Viene presentata la vita eterna come un buon pascolo; l'erba non inaridisce dove tutto è sempre verdeggiante e pieno di vita: c'è un'erba di cui si dice che è sempre viva. In quel pascolo si trova soltanto la vita. Io - dice - darò la vita eterna alle mie pecore. Voi imbastite accuse, perché pensate soltanto alla vita presente.

Credere per giungere alla sapienza
6. E non periranno in eterno; sottinteso: voi perirete eternamente, perché non siete delle mie pecore. Nessuno me le strapperà di mano (Gv 10,28). Ascoltate ora con la massima attenzione: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto (Gv 12,29). Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Non rovinano se non chi è predestinato alla morte. Di quelle pecore, invece, di cui l'Apostolo dice: Iddio conosce quelli che sono i suoi (2Tm 2,19), e ancora: Quelli che egli ha preconosciuto, li ha anche predestinati; quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli infine che ha giustificati, li ha anche glorificati (Rm 8,29-30): di queste pecore nessuna il lupo può rapire, né il ladro rubare, né il brigante uccidere. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro del loro numero. È questo il senso delle parole: Nessuno le rapirà dalla mia mano; e di quelle altre riferite al Padre: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto. Qual è la cosa più grande di tutte che il Padre ha dato al Figlio? Gli ha dato di essere il suo unigenito Figlio. Che significa dunque gli ha dato? Esisteva già colui al quale ha dato, oppure il Padre glielo ha dato generandolo? Poiché se esisteva prima che gli fosse dato di essere Figlio, vorrebbe dire che c'è stato un tempo in cui esisteva e non era Figlio. Non è possibile che ci sia stato un tempo in cui Cristo Signore sia esistito senza essere Figlio. Questo si può dire di noi: c'è stato un tempo in cui eravamo figli dell'uomo e non eravamo figli di Dio. È per grazia infatti che noi siamo diventati figli di Dio, mentre Cristo è Figlio per natura, perché così è nato. Né puoi dire che egli non esisteva prima di nascere, perché non c'è stato tempo in cui egli non fosse nato, lui coeterno al Padre. Chi può capisca; chi non capisce creda, si nutra e capirà. Il Verbo di Dio è da sempre col Padre, e da sempre è Verbo; e appunto perché Verbo è Figlio. Da sempre dunque è Figlio e da sempre uguale al Padre. Non è uguale per essere cresciuto, ma per nascita, colui che è nato da sempre: Figlio dal Padre, Dio da Dio, coeterno dall'eterno. Il Padre è Dio, ma non da parte del Figlio; il Figlio è Dio, procedente dal Padre, perché il Padre, generandolo, ha dato al Figlio di essere Dio, generandolo gli ha dato di essere con lui coeterno, a lui uguale. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. In che senso il Figlio è la vita e ha la vita? Egli è ciò che ha. Tu, invece, non sei ciò che hai. Tu hai, ad esempio, la sapienza; sei forse la sapienza? È tanto vero che tu non sei ciò che hai, che se perdi ciò che hai ritorni ad esserne privo; e così ora lo perdi, ora lo ricuperi. Così, il nostro occhio non ha in se stesso la luce in maniera continua: se si apre la riceve, se si chiude la perde. Non è certo in questo senso che il Figlio di Dio è Dio; non è in questo senso che egli è il Verbo del Padre: non così è il Verbo che non passa come un suono, ma che permane dalla nascita. Egli possiede la sapienza sì da essere egli stesso la sapienza e da rendere sapienti gli altri; egli possiede la vita sì da essere egli stesso la vita e da far vivere gli altri. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. Volendo parlare del Figlio, l'evangelista Giovanni osserva il cielo e la terra; li osserva e li oltrepassa. Al di sopra del cielo contempla le innumerevoli schiere angeliche, col suo pensiero oltrepassa l'universo creato, come l'aquila oltrepassa le nubi; essendo andato oltre ogni cosa creata, per quanto grande, pervenne a colui che è più grande di tutte le cose e proclamò: In principio era il Verbo (Gv 1,1). Ma siccome colui del quale Cristo è Verbo, non procede dal Verbo, mentre il Verbo procede da colui al quale appartiene, Cristo dice: Ciò che mi ha dato il Padre - di essere cioè il suo Verbo, di essere il suo unigenito Figlio e lo splendore della sua luce - è più grande di tutto. Perciò nessuno rapirà le mie pecore dalla mia mano. Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.

7. Di mano a me e di mano al Padre mio. Che significa: nessuno le può rapire di mano a me, e: nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio? È forse una sola la mano del Padre e quella del Figlio, oppure il Figlio stesso è la mano del Padre suo? Se per mano intendiamo la potestà, unica è la potestà del Padre e del Figlio, perché unica è la divinità; se invece per mano intendiamo ciò che dice il profeta: Il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Is 53,1), la mano del Padre è il Figlio. Il che non significa che Dio abbia forma umana, e perfino membra corporee; ma che per mezzo di lui furon fatte tutte le cose. Anche gli uomini sono soliti chiamare mani proprie altri uomini, dei quali si servono per operare ciò che vogliono; e qualche volta vien chiamata mano di un uomo anche l'opera eseguita dalla sua mano: così si dice che uno riconosce la propria mano, quando riconosce un proprio scritto. Ora, se sono molti i significati che si danno alla mano dell'uomo, che pure in senso proprio fa parte delle membra del suo corpo, tanto più sarà lecito intendere non in un solo senso la mano di Dio che non possiede alcuna forma corporea. E perciò, in questo passo, per mano del Padre e del Figlio preferiamo intendere il potere del Padre e del Figlio, onde evitare che sentendo dire qui che il Figlio è la mano del Padre, qualche mente grossolana cominci a cercare un figlio al Figlio, ravvisando in esso la mano di Cristo. L'espressione quindi: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio, significa: Nessuno me le può rapire.

8. E se ti rimane qualche incertezza, ascolta quello che segue: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30). Fin qui i Giudei erano riusciti a sopportare; ma quando sentirono: Io e il Padre siamo una cosa sola, non resistettero più; e, duri com'erano, al solito ricorsero alle pietre. Diedero di piglio alle pietre per lapidarlo. Ma siccome il Signore non si assoggettava a quei patimenti che non voleva - difatti non patì se non quello che volle patire -, continuò il suo discorso a quelli che volevano lapidarlo. I Giudei presero delle pietre per lapidarlo. Rispose loro Gesù: Molte buone opere vi ho mostrato che vengono dal Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare? Ed essi risposero: Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per una bestemmia, e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio (Gv 10,31-33). Così risposero alla sua affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola. Vedete come i Giudei hanno compreso ciò che non intendono gli ariani? Essi si infuriarono appunto perché si resero conto che non si potrebbe dire Io e il Padre siamo una cosa sola, se il Padre e il Figlio non fossero uguali.

9. Nota la risposta che il Signore dà a questi spiriti tardi. Vedendo che essi non riescono a sopportare lo splendore della verità, egli cerca di stemperarla. Non è scritto nella vostra legge, cioè nella legge che vi è stata data, Io dissi: Voi siete dèi? (Gv 10,34). In un salmo, per bocca del profeta, Dio dice agli uomini: Io dissi: Voi siete dèi (Sal 81,6). Il Signore chiama legge tutta la Scrittura in genere; quantunque altrove distingua la legge dai profeti, come ad esempio quando dice: La legge e i profeti fino a Giovanni (Lc 16,16), e quando dice: su questi due precetti poggiano tutta la legge e i profeti (Mt 22,40). Qualche volta invece distingue la Scrittura in tre parti, come quando dice: Si deve adempiere tutto ciò che nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi, sta scritto di me (Lc 24,44). Qui invece include nella legge anche i salmi, dove sta scritto: Io dissi: Voi siete dèi. Se la legge - egli continua - chiama dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, e non si può distruggere la Scrittura, perché a me, che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono il Figlio di Dio? (Gv 10,35-36). Se si possono chiamare dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, come può non essere Dio il Verbo stesso di Dio, che è presso il Padre? Se in virtù della parola di Dio gli uomini diventano dèi, dèi per partecipazione, non sarà Dio colui del quale essi sono partecipi? Se le luci illuminate sono dèi, non sarà Dio la luce che illumina? Se al calore di questo fuoco salutare gli uomini diventano dèi, non sarà Dio la sorgente del loro calore? Avvicinati alla luce e sarai illuminato e annoverato tra i figli di Dio; se ti allontani dalla luce, entri nell'oscurità e ti avvolgono le tenebre; quanto a questa luce, né si avvicina né si allontana da se medesima. Se dunque la parola di Dio vi fa dèi, come può non essere Dio il Verbo di Dio? Il Padre dunque ha santificato il Figlio e lo ha mandato nel mondo. Forse qualcuno dirà: Se il Padre lo ha santificato, allora vuol dire che c'è stato un tempo in cui non era santo? No, lo ha santificato nell'atto stesso del generarlo. Generandolo gli ha dato di essere santo, poiché lo ha generato santo. E infatti, se quel che si santifica non fosse già santo, che senso avrebbe dire a Dio Padre: Sia santificato il tuo nome (Mt 6, 9)?

Ciò che appartiene al Signore, e l'ufficio del servo
10. Se non faccio le opere di mio Padre, non credetemi; ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché riconosciate e crediate che il Padre è in me e io nel Padre (Gv 10,37-38). Il Figlio non dice: Il Padre in me e io in lui nel senso che potrebbero dirlo gli uomini. Se pensiamo rettamente, noi siamo in Dio; e se viviamo degnamente, Dio è in noi. Come fedeli partecipi della sua grazia e da lui illuminati, siamo in lui e lui è in noi. Ben altro bisogna dire del Figlio unigenito: egli è nel Padre e il Padre è in lui, come l'uguale in colui che gli è uguale. Noi al più possiamo dire che siamo in Dio e che Dio è in noi, ma non possiamo dire: io e Dio siamo una cosa sola. Tu sei in Dio, perché Dio ti contiene; Dio è in te, perché sei diventato tempio di Dio; ma per il fatto che sei in Dio e Dio è in te, puoi forse dire: chi vede me vede Dio, come ha detto l'Unigenito: Chi ha veduto me ha veduto il Padre (Gv 14,9), e ancora: Io e il Padre siamo una cosa sola? Riconosci ciò che è proprio del Signore e ciò che è dono concesso al servo: proprio del Signore è la sua uguaglianza col Padre, dono concesso al servo è la partecipazione alla vita del Salvatore.

11. Cercavano dunque di prenderlo (Gv 10,39). Magari l'avessero preso! ma con la fede e l'intelligenza, non perseguitandolo e uccidendolo. Fratelli miei, io che parlo, che dico a voi queste cose forti io che sono debole, cose grandi io piccolo, cose solide io fragile; e voi, che appartenete a quella medesima massa cui appartengo io che vi parlo, tutti insieme cerchiamo di impadronirci di Cristo. Che significa impadronirci di lui? Se hai inteso bene la sua parola, lo hai raggiunto e lo hai preso. Ma non così volevano afferrarlo i Giudei: tu lo hai preso per averlo, essi volevano prenderlo per eliminarlo. E siccome volevano prenderlo in questo modo, cosa fece egli? Sfuggì dalle loro mani. Non riuscirono a prenderlo perché non avevano le mani della fede. Il Verbo si è fatto carne, e non era difficile per il Verbo liberare la sua carne dalle mani di carne. Prendere il Verbo spiritualmente, questo è prendere davvero il Cristo.

12. E ritornò oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva prima battezzato, e vi si fermò. E molti andarono a lui e dicevano: Giovanni non ha fatto alcun miracolo (Gv 10,40-41). Ricorderete che di Giovanni si è detto che era la lucerna, che rendeva testimonianza al giorno (cf. Gv 5, 35 33). Perché allora dissero costoro tra sé: Giovanni non ha fatto alcun miracolo? Giovanni, dicono, non ha mostrato alcun miracolo: non ha messo in fuga i demoni, non ha cacciato la febbre, non ha illuminato i ciechi, non ha risuscitato i morti, non ha sfamato tante migliaia di persone con cinque o sette pani, non ha camminato sul mare, non ha comandato ai venti e alle onde; niente di tutto questo ha fatto Giovanni; ma con tutto ciò che egli diceva rendeva testimonianza a Cristo. Per mezzo della lucerna noi possiamo arrivare al giorno. Giovanni non ha fatto alcun miracolo, ma tutto ciò che egli ha detto di costui era vero (Gv 10,42). Ecco quelli che presero Gesù, ma non nel senso che intendevano i Giudei. I Giudei volevano prenderlo, ed egli sfuggì dalle loro mani; questi invece lo presero, ed egli si fermò con loro. Ecco infatti la conclusione: E molti credettero in lui.

(Agostino, Omelia 48)

torna su



2. Dalle parole del vangelo di Giovanni 10,30: "Io e il Padre siamo una cosa sola"

Cristo come l'Unigenito di Dio Padre
1. Il Signore Dio Gesù Cristo, l'Unico Figlio di Dio, nato da Dio Padre senza una madre, è nato da una vergine madre senza uomo quale padre, avete ascoltato che cosa ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv10,30). Così accettatelo, così credete, per meritare d'intendere. La fede deve infatti precedere l'intelletto, così che l'intelligenza sia il premio della fede. Il Profeta lo ha detto infatti nel modo più chiaro: Se non avrete creduto, non comprenderete (Is 7,9 (sec. LXX)). Perciò quanto viene semplicemente consegnato dev'essere accettato per fede; quanto soggiace ad un approfondimento a chiarezza, va rimandato all'intelletto. Consegue che in principio vi presentiamo il Cristo, il Figlio, l'Unico di Dio Padre, per iniziare le vostre menti a conoscere nella fede. Perché si aggiunge: l'Unico? Perché è l'Unico di colui che ha molti figli secondo la grazia. Quindi tutti gli altri giusti sono figli di Dio per grazia, egli il solo per natura. Quelli che sono figli di Dio per grazia non sono ciò che è il Padre. Infine, nessuno dei giusti ha osato dire ciò che egli, l'Unico, afferma: Io e il Padre siamo una cosa sola. Non è anche nostro Padre allora? Se non è nostro Padre, com'è che pregando diciamo: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6, 9)? Ma noi siamo figli per la determinazione della sua volontà, non figli generati dalla sua propria natura. Ha generato certo anche noi, ma, come suol dirsi, quali adottivi, non da natura, ma generati in grazia del bene dell'adozione da parte di lui. Quindi anche noi siamo detti tali perché Dio ci ha predestinati all'adozione di figli (Ef 1,5): siamo uomini adottati. Di Cristo si dice l'Unico, l'Unigenito, perché è ciò che è il Padre; noi, invece, siamo uomini, il Padre è Dio. Allora è per il fatto di essere ciò che è il Padre che egli ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola, ma ha detto il vero? Che vuol dire: Siamo una cosa sola? Siamo della medesima natura. Che vuol dire: Siamo una cosa sola? Siamo della medesima sostanza.

Il Figlio di Dio e il Padre sono di una medesima sostanza
2. Forse non riuscite a intendere che vuol dire: "di una medesima sostanza". Ci adopereremo - e Dio conceda il suo aiuto a me che parlo e a voi che ascoltate - a rendervene possibile l'intelligenza; aiuti me ad enunciare quelle implicazioni che sono vere e accessibili a voi; e aiuti voi, all'incontro, a dare prima di tutto e soprattutto l'assenso della vostra fede; poi a comprendere come potete. Che significa allora: "di una medesima sostanza"? Mi servirò per voi di similitudini, così che sia chiarito dall'esempio ciò che si presenta meno intelligibile. Come, per esempio, Dio è oro e oro è il Figlio di lui. Se non vanno approntate similitudini, comparando le cose celesti con quelle terrene, com'è che è stato scritto: E quella roccia era il Cristo (1Cor 10,4)? Quindi, tutto ciò che è il Padre, questo è il Figlio. Giacché chi dice: Il Figlio non è della medesima sostanza del Padre, che altro dice se non: Il Padre è oro, il Figlio è argento? Se il Padre è oro e il Figlio è argento, il Figlio unico ha subito uno scadimento in relazione al Padre. L'uomo genera l'uomo: la sostanza del figlio che è generato è la medesima sostanza del padre che genera. Com'è della medesima sostanza? Uomo è l'uno, uomo è l'altro; l'uno ha un'anima, l'altro ha un'anima; l'uno ha la carne e l'altro ha la carne; ciò che è l'uno, questo è l'altro.

Obiezione degli Ariani
3. Ma l'eresia degli Ariani mi ribatte e parla. Che mi dice? Bada a quello che hai detto. Che ho detto? Che il figlio dell'uomo va paragonato al Figlio di Dio. Sì che è paragonabile: ma non, come credi, rispetto alla natura propria, ma limitatamente alla similitudine. Ma tu di' pure che intendi elaborare da qui. Non ti accorgi - dice - che è maggiore il Padre che ha generato ed è minore il Figlio che è stato generato? Come, dunque, voi giungete alle vostre asserzioni, ditemi: com'è che voi asserite infatti che sono uguali il Padre e il Figlio, Dio e il Cristo; se potete notare che quando l'uomo genera il figlio, il figlio è minore e maggiore il padre? Il sapiente! Tu ricerchi i tempi nell'eternità; dove non esistono tempi vuoi trovare le età. Nel caso che il padre è maggiore e il figlio minore, entrambi sono legati ai tempi; l'uno cresce, perché l'altro invecchia. Quanto alla natura l'uomo padre, quanto alla natura, come ho già detto, non ha generato uno inferiore, ma uno minore in età. Vuoi sapere perché non ha generato uno minore quanto alla natura? Attendi che egli cresca, e sarà uguale al padre. Infatti il neonato solo crescendo raggiunge la grandezza di suo padre. Tu, invece, del nato Figlio di Dio sostieni che è minore, così che non cresca mai fino a raggiungere, anche solo per accrescimento, la grandezza del Padre suo. Ora dunque il figlio dell'uomo, generato dall'uomo, è nato in una condizione migliore di quella del Figlio di Dio. In che modo? Perché quello cresce e giunge alla grandezza di suo padre. Cristo, invece, secondo voi, perciò è stato diminuito perché resti minore e non debba attendersi almeno la crescita per età. Parli infatti così, perché la diversità è nella natura. Ma per quale ragione lo dici se non perché non vuoi credere che è la medesima la sostanza del Figlio e del Padre? Infine, prima riconosci che il Figlio è della medesima sostanza e poi dillo pure minore. Considera un uomo, è uomo. Qual è la sostanza di lui? È uomo. Che è quello che egli genera? È minore, ma è uomo. L'età è diversa, la natura è uguale. Di' anche tu: Ciò che è il Padre, questo è il Figlio, ma il Figlio è minore. Di', fa' un passo, di' che è della medesima sostanza, ma che è minore, e giungi all'uguale. Infatti non è che tu avanzi di poco, non è che ti avvicini di poco alla verità, per la quale riconoscerai uguale il Figlio, se avrai confessato che è della medesima sostanza, ma minore. Ma non è della medesima sostanza, questo tu dici. Quindi, perché dici questo, è oro e argento; quello che dici è tale come se l'uomo generasse il cavallo. L'uomo è di una sostanza, il cavallo di un'altra. Quindi, se il Figlio è di una sostanza diversa da quella del Padre, il Padre ha generato un mostro. Infatti, quando una creatura, cioè una donna, partorisce ciò che non è un uomo, si dice mostro. Ma perché non sia mostro, chi è nato è ciò che è quello che ha generato; cioè, uomo e uomo, cavallo e cavallo, colomba e colomba, passero e passero.

Grave bestemmia asserire che il Figlio di Dio è di un'altra sostanza
4. Dio ha dato alla creature sue, alle creature mortali, alle creature terrene; ha dato, ha donato di generare ciò che sono; e tu pensi che egli, che è prima del tempo, non ha potuto riservarlo a sé? Colui che non ha inizio temporale dovrebbe generare quale figlio non ciò che egli è, dovrebbe generare un degenere? Avvertite che grave bestemmia sia il sostenere che l'unico Figlio di Dio è di un'altra sostanza? In realtà, se è così, è degenere. Se dici ad un figlio di uomo: Tu sei degenere, di che peso è l'ingiuria? E in che senso può dirsi degenere un figlio di uomo? Fa' conto che il padre di lui sia un uomo forte, quello timido e pusillanime. Chiunque l'avrà veduto e vuole rinfacciarglielo, tenendo presente l'uomo forte che è il padre di lui, che gli dice? Vattene via subito, degenere! Che significa: "degenere"? Tuo padre è stato un uomo forte mentre tu sei un pusillanime. Colui al quale si parla così è degenere per difetto, pari per natura. Quando tu dici che l'unico Figlio, il solo Figlio del Padre è degenere, altro non dici che non è ciò che è il Padre; e non dici che divenne degenere dopo la nascita, ma che è tale per nascita. Chi può tollerare questa bestemmia? Se [gli Ariani] potessero vedere con una qualsiasi capacità visiva tale bestemmia, la fuggirebbero e diventerebbero cattolici.

Gli Ariani, con l'offesa al Figlio, simulano onore al Padre
5. Ma che dirò, fratelli? Non adiriamoci nei loro confronti; al contrario, preghiamo per essi affinché il Signore conceda loro l'intelletto, perché sono forse così per nascita. Che significa: "sono così per nascita"? Ciò a cui si attengono l'hanno ricevuto dai loro genitori. Antepongono alla verità le credenze ereditate. Diventino ciò che non sono per poter conservare ciò che sono; diventino cioè cattolici, perché sussista in loro ciò per cui sono uomini; perché sopravvenga la grazia di Dio così che non vada perduta in loro la creatura di Dio. Credono infatti di rendere onore al Padre con l'offesa del Figlio. Se gli avrai detto: Tu bestemmi, risponde: Perché bestemmio? Perché dici che il Figlio di Dio non è ciò che è il Padre. Ed egli a me: Anzi, sei tu a bestemmiare. Perché? Perché vuoi rendere il Figlio uguale al Padre. Voglio rendere uguale al Padre il Figlio, un estraneo forse? Quando io credo a lui uguale il Figlio unico, il Padre si compiace: gode perché non è geloso. E Dio, in quanto non è geloso del Figlio unico, lo ha generato appunto quale egli è. Offendi sia il Figlio sia il Padre stesso, tu che vuoi rendere onore al Padre recando offesa al Figlio. Certo, per non fare ingiuria al Padre di lui, appunto per questo dici che il Figlio non è della medesima sostanza. Io sono pronto a dimostrarti che offendi entrambi. In che modo? dice. Se dico al figlio di un tale: Degenere, non sei ciò che è tuo padre, il figlio lo sente e si adira e dice: Sono nato degenere, allora? Lo ascolta il padre, e diventa furente. Ma nella sua ira che dice? Ho dunque generato un figlio degenere? Allora, se altro sono io ed ho generato altro da me, ho generato un mostro. Come mai che mentre vuoi conferire onore all'uno con l'offesa dell'altro li offendi entrambi? Offendi il Figlio e non guadagnerai la benevolenza del Padre. Quando rendi onore al Padre sacrificando l'onore del Figlio, offendi sia il Figlio che il Padre. Da chi fuggi via? A chi ricorri? Forse che incombendo su di te l'ira del Padre ripari presso il Figlio? Che ti dice? A chi ricorri, a chi hai fatto degenere? O, forse, dato che il Figlio è offeso, vai in fretta dal Padre? Ma anch'egli ti dice: A chi ti rivolgi, a chi hai detto che ha generato un figlio degenere? Vi basti: fatelo vostro, imprimetelo nella memoria, a questo date posto nella vostra fede. Ma perché possa acquisirlo l'intelligenza pregate di cuore Dio Padre ed il Figlio che sono una cosa sola.

(Agostino, Discorso 139)



--------------------
torna su
torna all'indice
home