Lectio divina
Abbazia di Santa Maria di Pulsano (FG)
(3 giugno 2019)
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DOMENICA DI PENTECOSTE
ANNO C
Atti 2,1-11 • Salmo 103 • Romani 8,8-17 • Giovanni 14,15-16.23b-26
(Visualizza i brani delle Letture)
Durante il tempo pasquale la liturgia ci ha fatto meditare sulla presenza del Risorto nella Chiesa, sul dono dello Spirito, sulla Chiesa in quanto segno e annuncio della vita nuova nata dalla Pasqua del Signore. In questa solennità di Pentecoste, la prima lettura (Atti) e l'evangelo di Giovanni, pur narrando lo stesso evento con procedimenti letterari e prospettiva teologica diversi, presentano la nuova realtà della Chiesa, frutto della risurrezione e del dono dello Spirito.
Le immagini usate da Luca nel raccontare l'evento di Pentecoste permettono di stabilire un parallelo tra la Pentecoste del Sinai (cf Es 19,3-20; 31,18) e quella di Gerusalemme:
Ma nello Spirito Santo il cosmo è nobilitato per la generazione del Regno, il Cristo risorto si fa presente, l'evangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l'autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l'agire umano viene deificato» (Atenagora).
Il battesimo nello Spirito illumina la comunità sul mistero di Cristo, Messia, Signore e Figlio di Dio; fa comprendere la risurrezione come il compimento dei progetti di salvezza di Dio non solo per il popolo di Israele ma per tutto il mondo; la spinge ad annunciarlo in tutte le lingue e in ogni circostanza, senza temere né persecuzioni né morte. Come gli apostoli, i martiri e tutti i cristiani che hanno ascoltato fino in fondo la voce dello Spirito di Cristo diventano testimoni: di ciò che hanno visto, di ciò che è stato trasmesso e che hanno verificato nella loro esistenza.
Ogni comunità è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l'annuncio e la testimonianza della salvezza, nell'attività quotidiana come nelle vocazioni straordinarie. Per questo la Chiesa si struttura e prende forma attraverso doni, compiti, servizi che hanno tutti l'unica sorgente nello Spirito del Padre e del Figlio.
Tutto poi è fatto convergere dal medesimo Spirito all'«utilità comune» (cf 1Cor 12). In tal modo la pienezza e la ricca vitalità dello Spirito si manifesta attraverso una Chiesa aperta a tutti per testimoniare nelle «opere» dei credenti la presenza di Dio nel mondo (i «frutti dello Spirito» Gal 5,22-23).
La Pentecoste, dunque, non è finita; essa continua nelle situazioni in cui vive la Chiesa; tutta la vita dei cristiani si svolge sotto il segno dello Spirito. Ciascuno infatti vive sotto l'influsso dello Spirito del suo Battesimo e della sua Confermazione; è sempre lo Spirito che conferma la nostra fede e la nostra unità ogni volta che noi partecipiamo all'Eucaristia, e l'epiclesi, nelle preghiere eucaristiche, ci ricorda l'intervento dello Spirito non soltanto nella trasformazione del pane e del vino, ma anche per la solidità della nostra fede e la nostra unità nella Chiesa.
Così pure lo Spirito agisce nell'ordinazione sacerdotale per conferire a colui che è chiamato il potere di attualizzare i misteri di Cristo; lo Spirito è presente anche nella celebrazione del sacramento dei matrimonio, assicurando agli sposi la forza della fedeltà e la loro unione reciproca nella imitazione dell'unione del Cristo con la Chiesa. Noi siamo dunque in ogni istante permeati dallo Spirito.
Non vi è una riunione di preghiera, una liturgia della Parola in cui lo Spirito non agisca per permettere di pregare e di dialogare col Signore reso presente in mezzo a noi mediante la forza dello Spirito che dà vita alla parola proclamata.
Dall'eucologia:
Antifona d'Ingresso Sap 1,7
Lo Spirito del Signore ha riempito l'universo,
egli che tutto unisce,
conosce ogni linguaggio. Alleluia.
La visuale dell'antifona d'ingresso è grandiosa: lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell'universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto e conosce alla perfezione ogni sua minima "voce" o notizia, o dato o realtà. È presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l'esistenza (vedi qui anche Gen 1,1-3).
Canto all'Evangelo
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Alleluia.
Il canto all'evangelo è l'epiclesi famosa «Vieni, Spirito Santo». Si chiede che venga nel cuore, come avviene (Rm 5,5; 8,11, sono in alternativa anche Antifona d' ingresso), Fuoco trasformante di carità.
E così la Resurrezione di Cristo nello Spirito Santo deve diventare inevitabilmente la Pentecoste dello Spirito Santo per gli uomini, secondo l'assioma paolino singolare: «se a Cristo, allora anche a noi» (qui Rm 8,1-11; 6,5-8; 1Cor 6,14; 2Cor 4,14), tante volte ripetuto dai Padri. E questo mostra l'intera celebrazione di oggi.
Incarnazione Croce Resurrezione Ascensione Pentecoste Parusia nello Spirito Santo del Padre e del Figlio: tale il Mistero plenario di Cristo Signore, e tale l'anamnesi perenne della Chiesa.
Se tutto deriva dalla Croce e dalla Resurrezione che si consuma con l'Ascensione, però allora tutto è reso possibile dalla Pentecoste dello Spirito Santo.
Il prefazio così ci fa pregare:
Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale
e su coloro che hai reso figli di adozione
in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo,
che agli albori della Chiesa nascente
ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli,
e ha riunito i linguaggi della famiglia umana
nella professione dell'unica fede.
E nell'antifona alla Comunione (At 2,4.11):
«Come il Padre ha mandato me,
anch'io mando voi.
Ricevete lo Spirito Santo». Alleluia.
Nella memoria degli Apostoli di allora, anche i fedeli «oggi qui» sono riempiti tutti di Spirito Santo, per la Grazia della Parola e dei divini Misteri, e per la Grazia di essere la Chiesa, l'Unica, la Santa, la Cattolica, affidata agli Apostoli, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, dal quale verso il Trono della grazia si innalzano le lodi per «le grandi gesta» di Dio per tutti gli uomini.
La ricchezza celebrativa della Pentecoste sia della vigilia che del giorno è davvero imponente.
Il brano evangelico della messa del giorno della Solennità di Pentecoste è tratto dall'Evangelo di Giovanni 14,15-16.23-26. Una gran parte di questo brano è stato già commentato nella lectio della VI Domenica di Pasqua a cui si rimanda.
Oggi invece si svilupperà il commento di At 2,1-11, che è la prima lettura della festa liturgica odierna.
Il nostro brano fa parte dell'unità letteraria At 2,1-41 che si lascia facilmente dividere in due parti: il racconto dell'evento (vv. 1-13) e il discorso di Pietro con i suoi effetti sugli ascoltatori (vv. 14-41). Questa unità a sua volta fa parte della sezione introduttiva del libro (At 1,12; 2,47) che potremmo titolare: alla radice della comunità cristiana. Questa sezione si trova nella prima parte degli Atti, che è tutta dedicata alla Chiesa di Gerusalemme (At 1,12-8,la).
Il nostro racconto, pur facendo parte della sezione introduttiva, si presenta già come un punto d'arrivo, preparato al termine dell'Evangelo e all'inizio degli Atti: la promessa del dono dello Spirito fatta da Gesù risorto (Lc 24,49; At 1,2.8). Con l'effusione dello Spirito, che è all'origine della Chiesa, essa inizia la sua missione portatrice di salvezza, la cui descrizione è uno degli scopi che il libro si pone (At 1 8).
Da questo punto di vista il racconto di Pentecoste costituisce una solenne introduzione al libro degli Atti e rivela una forte somiglianza con l'inizio dell'evangelo di Luca, dove il battesimo di Gesù e il discorso inaugurale di Nazaret (Lc 3,21ss; 4,14ss), aprono il racconto della vita pubblica di Gesù. In entrambi i casi si parla infatti di una discesa dello Spirito, una effusione descritta in forma concreta (Lc 3,22; At 2,3); lo Spirito è dato per la missione (Lc 4,18; At 2,14ss.) e come compimento di una promessa dell'Antico Testamento (citazione in Lc 4,18; At 2,17ss.); nell'uno e nell'alto caso la discesa dello Spirito conclude il periodo di preparazione e inaugura quello dell'attività pubblica.
Osservando da vicino ora i vv. 1-13, notiamo che li possiamo dividere in due scene:
ESAMINIAMO IL BRANO DEGLI ATTI
v. 1 - «E mentre si compiva il giorno di Pentecoste»: Luca usa un'espressione complicata, grammaticalmente non chiara, ma di forte sapore biblico, certamente per dare solennità al racconto, ma forse anche per richiamare alla mente del lettore il pensiero del compimento della promessa fatta da Gesù (At 1,5.8) e annunciata già nell'A.T. (Gl 3,1-5).
La festa di Pentecoste è conosciuta nell'A.T. come "festa delle settimane" (Es 34,22; Nm 28,26; Dt 16,10.16 ecc) cioè delle sette settimane compiute dopo Pasqua, o anche delle primizie, della mietitura (Es 23,16; Nm 28,26) la festa che conclude la mietitura del grano e nella quale si offrivano nel tempio le primizie della raccolta sotto forma di pane. In epoca ellenistica fu chiamata Pentecoste, termine greco che significa "cinquantesimo" (il 50° giorno dopo Pasqua). Sicuramente nei secoli dopo Cristo questa festa fu associata alla tradizione della stipulazione dell'alleanza sul Sinai, ma non siamo sicuri che cosi fosse anche al tempo di Atti. In ogni caso il testo Lucano ha delle evidenti somiglianze terminologiche con il testo greco dei LXX della teofania del Sinai (Es 19,16-19; 20,18): il fuoco, il fragore, la tempesta. Ciò significa che Luca mette in relazione il suo racconto con la conclusione dell'alleanza e col dono della Legge? Forse più probabilmente egli interpreta i temi del vento e del fuoco quali simboli teofanici dello Spirito, con possibile riferimento al battesimo "in Spirito Santo e fuoco" (Lc 3,16), quello annunciato dal Battista e che ora si compie.
«Tutti erano nello stesso luogo insieme»: Al v. 2 si preciserà che questo luogo è una casa, una "camera superiore", come è stato indicato in 1,3 riguardo al luogo della riunione. Chi sono poi i "tutti" di cui si parla? Certamente gli Apostoli (1,15), ma forse anche il gruppo di donne e dei fratelli di Gesù elencati in 1,13, e anche i 120 di 1,15. Un così gran numero tutti in uno stesso posto? L'imprecisione delle informazioni relative al tempo, al luogo e sui personaggi, ci dice che all'autore non interessa certamente la cronaca degli avvenimenti, ma pone l'accento su elementi istruttivi per i lettori: il verificarsi di un momento importante della storia della salvezza, lo Spirito come realtà ecclesiale, l'unita dei presenti.
vv. 2-3: Quello che adesso viene raccontato accadere è descritto con l'immagine di fenomeni percepibili con l'udito e con la vista, potenti e misteriosi, caratteristici delle teofanie e consuete nel linguaggio apocalittico. La realtà di Dio non può essere descritta in se stessa, la si può rappresentare solo con l'aiuto di segni, di simboli che cercano di spiegarla, come qui in questa funzione saranno usati il rumore, il vento, il fuoco. In questo senso l'uso dell'avverbio "come" sta a suggerire di non soffermarsi sulla materialità di ciò che viene descritto, ricordandoci che siamo nel campo dell'analogia: la realtà può essere percepita attraverso dei segni, ma non è mai affermabile in se stessa.
v. 2 - «E ci fu all'improvviso dal cielo»: I discepoli sono in attesa di un intervento di Dio (At 1,3, Lc 24,49) ma esso avviene "d'improvviso", perché gli interventi di Dio non sono mai calcolabili dagli uomini, ma sempre e solo determinati dalla sua libera e sovrana volontà. Come questo che viene "dal cielo" cioè da Dio.
«un rumore, un fragore»: Il termine echos può significare rumore, suono e anche voce. L'immagine del vento per spiegare il termine echos vuole indicare la potenza dell'intervento divino e la sua pervasività, in quanto tutto e tutti ne vengono inondati: la casa dove si trovano e ciascuno dei discepoli.
«dove erano seduti»: I presenti sono colti in atteggiamento di ascolto o di preghiera, come era quello tenuto abitualmente nella sinagoga (ricordiamo Lc 24,49 il gr. Kathízō sedetevi - restate in città).
v. 3 - «E apparvero loro»: È il verbo tecnico usato in teofanie o nelle apparizioni del Risorto (At 7,2; 9,17; 13,31; 26,16)
«lingue come di fuoco»: Compare un altro elemento teofanico, quello del fuoco, che in se può avere valore benefico, in quanto portatore di luce e calore, ma anche distruttore, perché consuma e incenerisce, e per questo usato per indicare giudizio e castigo. Riferito a Dio simboleggia la prossimità del Dio inaccessibile e purificatore (Es 3,2s; 19,18; 24,17; Dt 4,11).
La scelta dell'immagine delle lingue è fatta in previsione di ciò che si dirà nel v. 4. La parola "glossa" significa sia l'organo della bocca che serve a parlare e conseguentemente anche linguaggio, ciò dialetto nel quale ci si esprime. Ma potrebbe essere usata metaforicamente: tutto ciò che ha forma di una lingua. In questo caso "lingue come di fuoco" sarebbero sinonimo di fiamme.
Se si dividono ciò significa che nella loro origine divina sono una e che ciò che viene dall'alto è per ciascuno dei presenti, singolarmente interessati.
v. 4: Infatti tutti ad uno ad uno, "furono riempiti di Spirito Santo". Ciò a cui ci si era riferito usando il linguaggio teofanico, ora viene esplicitamente nominato: è lo Spirito Santo, la stessa pienezza della potenza divina. Questo è un evento unico (infatti si usa il verbo "essere riempito" all'aoristo che indica un'azione puntualmente avvenuta nel passato) ma che rimarrà e con effetti duraturi " cosi come lo Spirito dava loro di esprimersi" (il verbo dare viene usato all'imperfetto, che indica la continuità di un azione).
Lo Spirito comunicato sarà da questo momento continuamente operante nella Chiesa per guidarne la missione, per rendere idonei gli Apostoli al loro compito di testimonianza. Lo Spirito è la novità escatologica che caratterizza per sempre l'esistenza dei discepoli. Sono riempiti dello Spirito Santo: Pietro (At 4,8), gli Apostoli (At 4,31), Stefano (At 6,5; 7,55), Paolo (At 9,17; 13,9), Barnaba (At 11,24), i discepoli delle comunità fondate (At 13,52).
«Cominciarono a parlare in altre lingue»: Come sarà chiaro nel commento dei versetti successivi, qui Luca parla di un parlare intelligibile: tutti i discepoli sono resi capaci di parlare a una moltitudine di gente di lingua diversa, usando la loro stessa lingua. È il dono della xenolalia, e non quello della glossolalia, parlare estatico, inintelligibile, che a sua volta richiede un altro dono per poter essere comprensibile. II miracolo della xenolalia, unico nel Nuovo Testamento, rivela un intento teologico molto caro a Luca, quello dell'universalismo: l'Evangelo deve essere annunciato e compreso in tutte le lingue e in tutte le nazioni.
v. 5 - «Ora a Gerusalemme soggiornavano uomini devoti, Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo»: La seconda scena del racconto ci presenta un secondo gruppo di personaggi sui quali si noteranno gli effetti di ciò che è stato narrato prima. Sono giudei che sono venuti dai quattro angoli della terra ad abitare nella città santa: infatti il termine usato suggerisce di più residenza stabile, piuttosto che l'arrivo e il soggiorno temporaneo nella città per la festa di Pentecoste. I motivi per il ritorno a Gerusalemme per essi potevano essere vari ma sempre si carattere religioso: fedeltà alla legge, ritorno dalla dispersione previsto dai profeti, attesa del Messia (Zc 14,4; Mi 3,1) Infatti essi erano uomini devoti, cioè giudei che si "attengono solidamente", osservanti rigorosi delle leggi e delle prescrizioni del Signore, come lo stesso Luca li definisce (Lc 1,6).
Quindi Luca, fedele alla sua linea teologica nell'interpretazione del fatto ci dice che l'evangelo viene dapprima annunciato ai soli Giudei, membri del popolo d'Israele; nella città di Gerusalemme, centro religioso della storia della salvezza, dove Gesù è morto ed è apparso risorto ai discepoli e da dove inizia la loro predicazione; ma originari di tutte le nazioni, ciò che simboleggia l'universalismo definitivo dell'annuncio cristiano.
v. 6 - «Quando ci fu quel fragore»: È il rumore del v. 2, qui indicato con un termine che la traduzione greca dei LXX usa nella teofania del Sinai (Es 19,16.19): "fone". Si raduneranno in una gran folla ed erano confusi. La confusione e il suo motivo saranno spiegati nelle frasi che seguono.
«ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua»: È questo il miracolo di Pentecoste.
Adesso ci si sofferma su l'aspetto uditivo dell'evento, dopo che nel v. 4 si è specificato il suo carattere vocale: parlavano!
v. 7: Luca, cosi come si concludono i racconti di miracolo, presenta la reazione della folla usando i verbi caratteristici che servono per descrivere la reazione dinanzi a un fatto straordinario, a una manifestazione divina: "Erano fuori di se e si meravigliarono". I verbi usati sono "existanai", essere fuori di se e "thaumazein", meravigliarsi.
Il meravigliarsi attesta il carattere straordinario del parlare in lingue e prepara il discorso di Pietro.
v. 8 - «li sentiamo parlare…»: La folla dei presenti espone ora come propria esperienza, ciò che l'evangelista ha fatto conoscere già al lettore al v. 6 e gli permette di introdurre l'elenco dei popoli e di specificare ancora una volta la natura del miracolo: ognuno intende nella propria lingua nativa quello che i discepoli dicono.
Il v. 11b permette inoltre di conoscere il contenuto del loro annuncio: le meraviglie di Dio, le "megàleia" secondo l'usuale linguaggio dei LXX e del giudaismo. Esse sono gli interventi portentosi che il Signore ha operato a favore del suo popolo, prima di tutto quelli della prima Pasqua d'Israele, cantati spesso nei salmi e negli inni liturgici. Anche se qui non viene specificato, sicuramente presentate compiute nell'opera del Messia, morto e risorto, contenuto essenziale della proclamazione dell'evangelo.
v. 9 – 11a: I nomi sulla lista delle nazioni presenti a questo punto del racconto sono numerosissimi. Ricorderemo qui qualche riflessione ma a noi basta sapere che, qualunque sia la sua origine, Luca la usa per sottolineare un concetto teologico che a più riprese ha presentato nel nostro brano: l'universalità della salvezza.
Un simile elenco di «nazioni» già si trova nel libro in Gen 10,2-31, nonché negli scritti apocrifi giudaici come gli Oracoli sibillini 3,160-172.205-209, e in Antichità bibliche dello Pseudo-Filone 4,3-17. Sono elenchi che mettono in risalto la presenza di Giudei in vari paesi (cf cartina allegata: I presenti si recensiscono e si contano, si tratta di 15 nazioni, più 2 volte la Giudea. Sulla carta geografica si ha un semicerchio che nel territorio dell'impero romano va dalla Cirenaica fino all'Asia minore e di qui a Roma, e di un raggio che si prolunga verso la Mesopotamia, l'Elam, la Persia e la Media, in pratica i principali territori della diaspora degli Ebrei. Essi furono precisamente le principali direzioni della missione degli Apostoli, il cui centro di smistamento fu Antiochia).
L'elenco di Luca presenta, comunque, numerosi problemi. Alcuni sono problemi testuali. Si prenda il nome Giudea: dovrebbe essere veramente incluso nell'elenco (la sua presenza risulta davvero strana in un elenco di «forestieri»), oppure si tratta di una tarda interpolazione degli scribi? Parimenti, i «Cretesi e gli Arabi», riportati alla fine dell'elenco, sono anch'essi una tarda aggiunta che sciupa l'espressione culminante di «Ebrei e proseliti»? Ci sono altre questioni che riguardano l'interpretazione, come: su quale principio si basa la selezione e quale aspetto del mondo si ricava da una simile mappa? Quei nomi sono riportati solo in funzione di una densa popolazione giudaica o perché sono importanti ai fini della missione dei cristiani? Le ipotesi sono molte, ma nessuna di esse può essere dimostrata.
Tra i primi tre nomi ci sono i Parti, quelli che rappresentano l'impero che minaccia Roma a oriente. Ma i Medi (2Re 17,6; Dn 5,31) e gli Elamiti (Is 11,11; 22,6) sono antichi regni non più attivi politicamente già al tempo della redazione di Luca: «Parti e Medi» appaiono insieme come nemici di Israele in 1 Enoc 56,5.
vv. 9-10 «della Cappadòcia ...e della Panfilia»: Questi sono distretti dell'Asia Minore che nell'insieme avevano una considerevole popolazione giudaica. Il Ponto era il luogo di origine di Aquila e Priscilla (At 18,2). La sequenza geografica rende ancor più problematica la collocazione della Giudea.
«Egitto ... Cirene»: Si tratta di territori costieri del Nord Africa vicinissimi alla Palestina. Alessandria d'Egitto è la patria di Apollo (At 18,24). Cirene è la città natia di Simone il Cireneo, colui che aiutò Gesù a portare la croce (Lc 23,26), nonché la patria di alcuni missionari che predicheranno ai Greci in Antiochia (At 11,20) e anche di un anziano della comunità di Antiochia, chiamato Lucio (At 13,1).
«stranieri di Roma»: La speciale designazione usata per questi «stranieri di passaggio» (epidémountes) rafforza il v. 5 («si trovavano» = katoikountes). Il termine in questione indica coloro che dimorano in un posto come stranieri (cf At 17,21; 18,27).
v. 11 «Ebrei e proseliti»: Questa è una forma riassuntiva piuttosto che l'inserimento di un'etnia separata. Basandosi sull'idea di coloro «che soggiornano» (cf Es 23,4; Lv 16,29; Nm 9,14; Dt 1,16), che la versione dei LXX traduce con proselytos («uno che si è avvicinato»), il termine «proselite» si è trasformato in colui che si è convertito dal paganesimo al giudaismo. Nel giudaismo sono state studiate attentamente certe figure come quella di Rut, che furono poi prese a modello di simili conversioni e del proselitismo in linea generale. L'enorme abbondanza di questi brani come si trova in tutta la letteratura rabbinica, unitamente alle testimonianze neotestamentarie come Mt 23,15; At 6,5; 13,43; 15,21, per non citare poi la produzione di scritti extrabiblici, attesta la storicità del fatto che il giudaismo era una religione missionaria piuttosto attiva nel I secolo (cf Giuseppe, Antichità giudaiche 20,38-48).
«Cretesi e Arabi»: Questi nomi non sono particolarmente importanti e possono essere dovuti a interpolazione, anche se nessun manoscritto può fornire una prova a sostegno di questa tesi. Troviamo Creta nel viaggio di Paolo a Roma (At 27,7-21) e come luogo del ministero di Tito (Tt 1,5). Paolo parla anche dell'Arabia come sede del suo primo lavoro missionario (Gal 1,17).
«le grandi opere di Dio»: Il termine megaleia è utilizzato da Luca solo qui, ma ricorda un frequente adagio biblico (LXX Dt 11,2; Sal 70,19; 105,21; Sir 17,8; 18,4; 42,21; 43,15; 2 Mac 3,34; 7,17).
«Il raduno festivo di queste nazioni è dunque raggiunto dall'improvvisa effusione dello Spirito Santo, che in un certo senso richiama all'unità. Il parallelo è la «tavola dei popoli» di Gen 10 e la Torre di Babele di Gen 11,1-9: «moltitudine e peccato» che sono dispersione mortale, sono superati dall'Unico Spirito che rispetta la moltitudine ma riporta all'armonia del Disegno divino. Si fonda qui la "cattolicità" della Chiesa nelle Chiese, ossia la diversità nello scambio illimitato dei dono spirituali, delle persone e anche delle risorse materiali. Gli Atti poi ne saranno la mirabile narrazione primordiale. La Chiesa dei sec. 3° e 4° ne saranno la dimostrazione. Le eresie come bestemmie variate contro la verità "cattolica" e gli scismi come automutilazioni causate dall'odio e dall'arroganza di potere, ne saranno la dimostrazione e contrario. Questo fino alla gravissima situazione di oggi» (Tommaso Federici).
Colletta
O Padre, che nel mistero della Pentecoste
santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra
i doni dello Spirito Santo,
e continua oggi,
nella comunità dei credenti,
i prodigi che hai operato
agli inizi della predicazione dell'Evangelo.
Per il nostro Signore...
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Atti 2,1-11 • Salmo 103 • Romani 8,8-17 • Giovanni 14,15-16.23b-26
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Durante il tempo pasquale la liturgia ci ha fatto meditare sulla presenza del Risorto nella Chiesa, sul dono dello Spirito, sulla Chiesa in quanto segno e annuncio della vita nuova nata dalla Pasqua del Signore. In questa solennità di Pentecoste, la prima lettura (Atti) e l'evangelo di Giovanni, pur narrando lo stesso evento con procedimenti letterari e prospettiva teologica diversi, presentano la nuova realtà della Chiesa, frutto della risurrezione e del dono dello Spirito.
Le immagini usate da Luca nel raccontare l'evento di Pentecoste permettono di stabilire un parallelo tra la Pentecoste del Sinai (cf Es 19,3-20; 31,18) e quella di Gerusalemme:
- al Sinai, tutto il popolo era stato convocato in assemblea; fuoco e vento impetuoso avevano manifestato la presenza di Dio sul monte; Dio aveva dato a Mosè la legge dell'Alleanza;
- a Gerusalemme, gli apostoli sono «tutti insieme nel medesimo luogo» (At 2,1); nella casa in cui sono riuniti si manifestano gli stessi fenomeni del Sinai (vv. 2-3); Dio dà lo Spirito della nuova Alleanza (v. 4).
Ma nello Spirito Santo il cosmo è nobilitato per la generazione del Regno, il Cristo risorto si fa presente, l'evangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l'autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l'agire umano viene deificato» (Atenagora).
Il battesimo nello Spirito illumina la comunità sul mistero di Cristo, Messia, Signore e Figlio di Dio; fa comprendere la risurrezione come il compimento dei progetti di salvezza di Dio non solo per il popolo di Israele ma per tutto il mondo; la spinge ad annunciarlo in tutte le lingue e in ogni circostanza, senza temere né persecuzioni né morte. Come gli apostoli, i martiri e tutti i cristiani che hanno ascoltato fino in fondo la voce dello Spirito di Cristo diventano testimoni: di ciò che hanno visto, di ciò che è stato trasmesso e che hanno verificato nella loro esistenza.
Ogni comunità è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l'annuncio e la testimonianza della salvezza, nell'attività quotidiana come nelle vocazioni straordinarie. Per questo la Chiesa si struttura e prende forma attraverso doni, compiti, servizi che hanno tutti l'unica sorgente nello Spirito del Padre e del Figlio.
Tutto poi è fatto convergere dal medesimo Spirito all'«utilità comune» (cf 1Cor 12). In tal modo la pienezza e la ricca vitalità dello Spirito si manifesta attraverso una Chiesa aperta a tutti per testimoniare nelle «opere» dei credenti la presenza di Dio nel mondo (i «frutti dello Spirito» Gal 5,22-23).
La Pentecoste, dunque, non è finita; essa continua nelle situazioni in cui vive la Chiesa; tutta la vita dei cristiani si svolge sotto il segno dello Spirito. Ciascuno infatti vive sotto l'influsso dello Spirito del suo Battesimo e della sua Confermazione; è sempre lo Spirito che conferma la nostra fede e la nostra unità ogni volta che noi partecipiamo all'Eucaristia, e l'epiclesi, nelle preghiere eucaristiche, ci ricorda l'intervento dello Spirito non soltanto nella trasformazione del pane e del vino, ma anche per la solidità della nostra fede e la nostra unità nella Chiesa.
Così pure lo Spirito agisce nell'ordinazione sacerdotale per conferire a colui che è chiamato il potere di attualizzare i misteri di Cristo; lo Spirito è presente anche nella celebrazione del sacramento dei matrimonio, assicurando agli sposi la forza della fedeltà e la loro unione reciproca nella imitazione dell'unione del Cristo con la Chiesa. Noi siamo dunque in ogni istante permeati dallo Spirito.
Non vi è una riunione di preghiera, una liturgia della Parola in cui lo Spirito non agisca per permettere di pregare e di dialogare col Signore reso presente in mezzo a noi mediante la forza dello Spirito che dà vita alla parola proclamata.
Dall'eucologia:
Antifona d'Ingresso Sap 1,7
Lo Spirito del Signore ha riempito l'universo,
egli che tutto unisce,
conosce ogni linguaggio. Alleluia.
La visuale dell'antifona d'ingresso è grandiosa: lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell'universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto e conosce alla perfezione ogni sua minima "voce" o notizia, o dato o realtà. È presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l'esistenza (vedi qui anche Gen 1,1-3).
Canto all'Evangelo
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Alleluia.
Il canto all'evangelo è l'epiclesi famosa «Vieni, Spirito Santo». Si chiede che venga nel cuore, come avviene (Rm 5,5; 8,11, sono in alternativa anche Antifona d' ingresso), Fuoco trasformante di carità.
E così la Resurrezione di Cristo nello Spirito Santo deve diventare inevitabilmente la Pentecoste dello Spirito Santo per gli uomini, secondo l'assioma paolino singolare: «se a Cristo, allora anche a noi» (qui Rm 8,1-11; 6,5-8; 1Cor 6,14; 2Cor 4,14), tante volte ripetuto dai Padri. E questo mostra l'intera celebrazione di oggi.
Incarnazione Croce Resurrezione Ascensione Pentecoste Parusia nello Spirito Santo del Padre e del Figlio: tale il Mistero plenario di Cristo Signore, e tale l'anamnesi perenne della Chiesa.
Se tutto deriva dalla Croce e dalla Resurrezione che si consuma con l'Ascensione, però allora tutto è reso possibile dalla Pentecoste dello Spirito Santo.
Il prefazio così ci fa pregare:
Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale
e su coloro che hai reso figli di adozione
in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo,
che agli albori della Chiesa nascente
ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli,
e ha riunito i linguaggi della famiglia umana
nella professione dell'unica fede.
E nell'antifona alla Comunione (At 2,4.11):
«Come il Padre ha mandato me,
anch'io mando voi.
Ricevete lo Spirito Santo». Alleluia.
Nella memoria degli Apostoli di allora, anche i fedeli «oggi qui» sono riempiti tutti di Spirito Santo, per la Grazia della Parola e dei divini Misteri, e per la Grazia di essere la Chiesa, l'Unica, la Santa, la Cattolica, affidata agli Apostoli, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, dal quale verso il Trono della grazia si innalzano le lodi per «le grandi gesta» di Dio per tutti gli uomini.
La ricchezza celebrativa della Pentecoste sia della vigilia che del giorno è davvero imponente.
Il brano evangelico della messa del giorno della Solennità di Pentecoste è tratto dall'Evangelo di Giovanni 14,15-16.23-26. Una gran parte di questo brano è stato già commentato nella lectio della VI Domenica di Pasqua a cui si rimanda.
Oggi invece si svilupperà il commento di At 2,1-11, che è la prima lettura della festa liturgica odierna.
Il nostro brano fa parte dell'unità letteraria At 2,1-41 che si lascia facilmente dividere in due parti: il racconto dell'evento (vv. 1-13) e il discorso di Pietro con i suoi effetti sugli ascoltatori (vv. 14-41). Questa unità a sua volta fa parte della sezione introduttiva del libro (At 1,12; 2,47) che potremmo titolare: alla radice della comunità cristiana. Questa sezione si trova nella prima parte degli Atti, che è tutta dedicata alla Chiesa di Gerusalemme (At 1,12-8,la).
Il nostro racconto, pur facendo parte della sezione introduttiva, si presenta già come un punto d'arrivo, preparato al termine dell'Evangelo e all'inizio degli Atti: la promessa del dono dello Spirito fatta da Gesù risorto (Lc 24,49; At 1,2.8). Con l'effusione dello Spirito, che è all'origine della Chiesa, essa inizia la sua missione portatrice di salvezza, la cui descrizione è uno degli scopi che il libro si pone (At 1 8).
Da questo punto di vista il racconto di Pentecoste costituisce una solenne introduzione al libro degli Atti e rivela una forte somiglianza con l'inizio dell'evangelo di Luca, dove il battesimo di Gesù e il discorso inaugurale di Nazaret (Lc 3,21ss; 4,14ss), aprono il racconto della vita pubblica di Gesù. In entrambi i casi si parla infatti di una discesa dello Spirito, una effusione descritta in forma concreta (Lc 3,22; At 2,3); lo Spirito è dato per la missione (Lc 4,18; At 2,14ss.) e come compimento di una promessa dell'Antico Testamento (citazione in Lc 4,18; At 2,17ss.); nell'uno e nell'alto caso la discesa dello Spirito conclude il periodo di preparazione e inaugura quello dell'attività pubblica.
Osservando da vicino ora i vv. 1-13, notiamo che li possiamo dividere in due scene:
- quella che descrive l'evento della discesa dello Spirito Santo (vv 1-4);
- l'altra che descrive la risonanza e le reazioni che l'evento produce su quelli che sono fuori del luogo, sede della manifestazione pneumatica. Questa scena è legata alla prima attraverso il motivo del "parlare in lingue" (vv. 4,6.8.11); questo fatto - che facilita e giustifica l'inserimento della lista dei popoli (vv. 9-11a) - permette all'autore di dare all'evento il carattere di internazionalità e universalità.
ESAMINIAMO IL BRANO DEGLI ATTI
v. 1 - «E mentre si compiva il giorno di Pentecoste»: Luca usa un'espressione complicata, grammaticalmente non chiara, ma di forte sapore biblico, certamente per dare solennità al racconto, ma forse anche per richiamare alla mente del lettore il pensiero del compimento della promessa fatta da Gesù (At 1,5.8) e annunciata già nell'A.T. (Gl 3,1-5).
La festa di Pentecoste è conosciuta nell'A.T. come "festa delle settimane" (Es 34,22; Nm 28,26; Dt 16,10.16 ecc) cioè delle sette settimane compiute dopo Pasqua, o anche delle primizie, della mietitura (Es 23,16; Nm 28,26) la festa che conclude la mietitura del grano e nella quale si offrivano nel tempio le primizie della raccolta sotto forma di pane. In epoca ellenistica fu chiamata Pentecoste, termine greco che significa "cinquantesimo" (il 50° giorno dopo Pasqua). Sicuramente nei secoli dopo Cristo questa festa fu associata alla tradizione della stipulazione dell'alleanza sul Sinai, ma non siamo sicuri che cosi fosse anche al tempo di Atti. In ogni caso il testo Lucano ha delle evidenti somiglianze terminologiche con il testo greco dei LXX della teofania del Sinai (Es 19,16-19; 20,18): il fuoco, il fragore, la tempesta. Ciò significa che Luca mette in relazione il suo racconto con la conclusione dell'alleanza e col dono della Legge? Forse più probabilmente egli interpreta i temi del vento e del fuoco quali simboli teofanici dello Spirito, con possibile riferimento al battesimo "in Spirito Santo e fuoco" (Lc 3,16), quello annunciato dal Battista e che ora si compie.
«Tutti erano nello stesso luogo insieme»: Al v. 2 si preciserà che questo luogo è una casa, una "camera superiore", come è stato indicato in 1,3 riguardo al luogo della riunione. Chi sono poi i "tutti" di cui si parla? Certamente gli Apostoli (1,15), ma forse anche il gruppo di donne e dei fratelli di Gesù elencati in 1,13, e anche i 120 di 1,15. Un così gran numero tutti in uno stesso posto? L'imprecisione delle informazioni relative al tempo, al luogo e sui personaggi, ci dice che all'autore non interessa certamente la cronaca degli avvenimenti, ma pone l'accento su elementi istruttivi per i lettori: il verificarsi di un momento importante della storia della salvezza, lo Spirito come realtà ecclesiale, l'unita dei presenti.
vv. 2-3: Quello che adesso viene raccontato accadere è descritto con l'immagine di fenomeni percepibili con l'udito e con la vista, potenti e misteriosi, caratteristici delle teofanie e consuete nel linguaggio apocalittico. La realtà di Dio non può essere descritta in se stessa, la si può rappresentare solo con l'aiuto di segni, di simboli che cercano di spiegarla, come qui in questa funzione saranno usati il rumore, il vento, il fuoco. In questo senso l'uso dell'avverbio "come" sta a suggerire di non soffermarsi sulla materialità di ciò che viene descritto, ricordandoci che siamo nel campo dell'analogia: la realtà può essere percepita attraverso dei segni, ma non è mai affermabile in se stessa.
v. 2 - «E ci fu all'improvviso dal cielo»: I discepoli sono in attesa di un intervento di Dio (At 1,3, Lc 24,49) ma esso avviene "d'improvviso", perché gli interventi di Dio non sono mai calcolabili dagli uomini, ma sempre e solo determinati dalla sua libera e sovrana volontà. Come questo che viene "dal cielo" cioè da Dio.
«un rumore, un fragore»: Il termine echos può significare rumore, suono e anche voce. L'immagine del vento per spiegare il termine echos vuole indicare la potenza dell'intervento divino e la sua pervasività, in quanto tutto e tutti ne vengono inondati: la casa dove si trovano e ciascuno dei discepoli.
«dove erano seduti»: I presenti sono colti in atteggiamento di ascolto o di preghiera, come era quello tenuto abitualmente nella sinagoga (ricordiamo Lc 24,49 il gr. Kathízō sedetevi - restate in città).
v. 3 - «E apparvero loro»: È il verbo tecnico usato in teofanie o nelle apparizioni del Risorto (At 7,2; 9,17; 13,31; 26,16)
«lingue come di fuoco»: Compare un altro elemento teofanico, quello del fuoco, che in se può avere valore benefico, in quanto portatore di luce e calore, ma anche distruttore, perché consuma e incenerisce, e per questo usato per indicare giudizio e castigo. Riferito a Dio simboleggia la prossimità del Dio inaccessibile e purificatore (Es 3,2s; 19,18; 24,17; Dt 4,11).
La scelta dell'immagine delle lingue è fatta in previsione di ciò che si dirà nel v. 4. La parola "glossa" significa sia l'organo della bocca che serve a parlare e conseguentemente anche linguaggio, ciò dialetto nel quale ci si esprime. Ma potrebbe essere usata metaforicamente: tutto ciò che ha forma di una lingua. In questo caso "lingue come di fuoco" sarebbero sinonimo di fiamme.
Se si dividono ciò significa che nella loro origine divina sono una e che ciò che viene dall'alto è per ciascuno dei presenti, singolarmente interessati.
v. 4: Infatti tutti ad uno ad uno, "furono riempiti di Spirito Santo". Ciò a cui ci si era riferito usando il linguaggio teofanico, ora viene esplicitamente nominato: è lo Spirito Santo, la stessa pienezza della potenza divina. Questo è un evento unico (infatti si usa il verbo "essere riempito" all'aoristo che indica un'azione puntualmente avvenuta nel passato) ma che rimarrà e con effetti duraturi " cosi come lo Spirito dava loro di esprimersi" (il verbo dare viene usato all'imperfetto, che indica la continuità di un azione).
Lo Spirito comunicato sarà da questo momento continuamente operante nella Chiesa per guidarne la missione, per rendere idonei gli Apostoli al loro compito di testimonianza. Lo Spirito è la novità escatologica che caratterizza per sempre l'esistenza dei discepoli. Sono riempiti dello Spirito Santo: Pietro (At 4,8), gli Apostoli (At 4,31), Stefano (At 6,5; 7,55), Paolo (At 9,17; 13,9), Barnaba (At 11,24), i discepoli delle comunità fondate (At 13,52).
«Cominciarono a parlare in altre lingue»: Come sarà chiaro nel commento dei versetti successivi, qui Luca parla di un parlare intelligibile: tutti i discepoli sono resi capaci di parlare a una moltitudine di gente di lingua diversa, usando la loro stessa lingua. È il dono della xenolalia, e non quello della glossolalia, parlare estatico, inintelligibile, che a sua volta richiede un altro dono per poter essere comprensibile. II miracolo della xenolalia, unico nel Nuovo Testamento, rivela un intento teologico molto caro a Luca, quello dell'universalismo: l'Evangelo deve essere annunciato e compreso in tutte le lingue e in tutte le nazioni.
v. 5 - «Ora a Gerusalemme soggiornavano uomini devoti, Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo»: La seconda scena del racconto ci presenta un secondo gruppo di personaggi sui quali si noteranno gli effetti di ciò che è stato narrato prima. Sono giudei che sono venuti dai quattro angoli della terra ad abitare nella città santa: infatti il termine usato suggerisce di più residenza stabile, piuttosto che l'arrivo e il soggiorno temporaneo nella città per la festa di Pentecoste. I motivi per il ritorno a Gerusalemme per essi potevano essere vari ma sempre si carattere religioso: fedeltà alla legge, ritorno dalla dispersione previsto dai profeti, attesa del Messia (Zc 14,4; Mi 3,1) Infatti essi erano uomini devoti, cioè giudei che si "attengono solidamente", osservanti rigorosi delle leggi e delle prescrizioni del Signore, come lo stesso Luca li definisce (Lc 1,6).
Quindi Luca, fedele alla sua linea teologica nell'interpretazione del fatto ci dice che l'evangelo viene dapprima annunciato ai soli Giudei, membri del popolo d'Israele; nella città di Gerusalemme, centro religioso della storia della salvezza, dove Gesù è morto ed è apparso risorto ai discepoli e da dove inizia la loro predicazione; ma originari di tutte le nazioni, ciò che simboleggia l'universalismo definitivo dell'annuncio cristiano.
v. 6 - «Quando ci fu quel fragore»: È il rumore del v. 2, qui indicato con un termine che la traduzione greca dei LXX usa nella teofania del Sinai (Es 19,16.19): "fone". Si raduneranno in una gran folla ed erano confusi. La confusione e il suo motivo saranno spiegati nelle frasi che seguono.
«ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua»: È questo il miracolo di Pentecoste.
Adesso ci si sofferma su l'aspetto uditivo dell'evento, dopo che nel v. 4 si è specificato il suo carattere vocale: parlavano!
v. 7: Luca, cosi come si concludono i racconti di miracolo, presenta la reazione della folla usando i verbi caratteristici che servono per descrivere la reazione dinanzi a un fatto straordinario, a una manifestazione divina: "Erano fuori di se e si meravigliarono". I verbi usati sono "existanai", essere fuori di se e "thaumazein", meravigliarsi.
Il meravigliarsi attesta il carattere straordinario del parlare in lingue e prepara il discorso di Pietro.
v. 8 - «li sentiamo parlare…»: La folla dei presenti espone ora come propria esperienza, ciò che l'evangelista ha fatto conoscere già al lettore al v. 6 e gli permette di introdurre l'elenco dei popoli e di specificare ancora una volta la natura del miracolo: ognuno intende nella propria lingua nativa quello che i discepoli dicono.
Il v. 11b permette inoltre di conoscere il contenuto del loro annuncio: le meraviglie di Dio, le "megàleia" secondo l'usuale linguaggio dei LXX e del giudaismo. Esse sono gli interventi portentosi che il Signore ha operato a favore del suo popolo, prima di tutto quelli della prima Pasqua d'Israele, cantati spesso nei salmi e negli inni liturgici. Anche se qui non viene specificato, sicuramente presentate compiute nell'opera del Messia, morto e risorto, contenuto essenziale della proclamazione dell'evangelo.
v. 9 – 11a: I nomi sulla lista delle nazioni presenti a questo punto del racconto sono numerosissimi. Ricorderemo qui qualche riflessione ma a noi basta sapere che, qualunque sia la sua origine, Luca la usa per sottolineare un concetto teologico che a più riprese ha presentato nel nostro brano: l'universalità della salvezza.
Un simile elenco di «nazioni» già si trova nel libro in Gen 10,2-31, nonché negli scritti apocrifi giudaici come gli Oracoli sibillini 3,160-172.205-209, e in Antichità bibliche dello Pseudo-Filone 4,3-17. Sono elenchi che mettono in risalto la presenza di Giudei in vari paesi (cf cartina allegata: I presenti si recensiscono e si contano, si tratta di 15 nazioni, più 2 volte la Giudea. Sulla carta geografica si ha un semicerchio che nel territorio dell'impero romano va dalla Cirenaica fino all'Asia minore e di qui a Roma, e di un raggio che si prolunga verso la Mesopotamia, l'Elam, la Persia e la Media, in pratica i principali territori della diaspora degli Ebrei. Essi furono precisamente le principali direzioni della missione degli Apostoli, il cui centro di smistamento fu Antiochia).
L'elenco di Luca presenta, comunque, numerosi problemi. Alcuni sono problemi testuali. Si prenda il nome Giudea: dovrebbe essere veramente incluso nell'elenco (la sua presenza risulta davvero strana in un elenco di «forestieri»), oppure si tratta di una tarda interpolazione degli scribi? Parimenti, i «Cretesi e gli Arabi», riportati alla fine dell'elenco, sono anch'essi una tarda aggiunta che sciupa l'espressione culminante di «Ebrei e proseliti»? Ci sono altre questioni che riguardano l'interpretazione, come: su quale principio si basa la selezione e quale aspetto del mondo si ricava da una simile mappa? Quei nomi sono riportati solo in funzione di una densa popolazione giudaica o perché sono importanti ai fini della missione dei cristiani? Le ipotesi sono molte, ma nessuna di esse può essere dimostrata.
Tra i primi tre nomi ci sono i Parti, quelli che rappresentano l'impero che minaccia Roma a oriente. Ma i Medi (2Re 17,6; Dn 5,31) e gli Elamiti (Is 11,11; 22,6) sono antichi regni non più attivi politicamente già al tempo della redazione di Luca: «Parti e Medi» appaiono insieme come nemici di Israele in 1 Enoc 56,5.
vv. 9-10 «della Cappadòcia ...e della Panfilia»: Questi sono distretti dell'Asia Minore che nell'insieme avevano una considerevole popolazione giudaica. Il Ponto era il luogo di origine di Aquila e Priscilla (At 18,2). La sequenza geografica rende ancor più problematica la collocazione della Giudea.
«Egitto ... Cirene»: Si tratta di territori costieri del Nord Africa vicinissimi alla Palestina. Alessandria d'Egitto è la patria di Apollo (At 18,24). Cirene è la città natia di Simone il Cireneo, colui che aiutò Gesù a portare la croce (Lc 23,26), nonché la patria di alcuni missionari che predicheranno ai Greci in Antiochia (At 11,20) e anche di un anziano della comunità di Antiochia, chiamato Lucio (At 13,1).
«stranieri di Roma»: La speciale designazione usata per questi «stranieri di passaggio» (epidémountes) rafforza il v. 5 («si trovavano» = katoikountes). Il termine in questione indica coloro che dimorano in un posto come stranieri (cf At 17,21; 18,27).
v. 11 «Ebrei e proseliti»: Questa è una forma riassuntiva piuttosto che l'inserimento di un'etnia separata. Basandosi sull'idea di coloro «che soggiornano» (cf Es 23,4; Lv 16,29; Nm 9,14; Dt 1,16), che la versione dei LXX traduce con proselytos («uno che si è avvicinato»), il termine «proselite» si è trasformato in colui che si è convertito dal paganesimo al giudaismo. Nel giudaismo sono state studiate attentamente certe figure come quella di Rut, che furono poi prese a modello di simili conversioni e del proselitismo in linea generale. L'enorme abbondanza di questi brani come si trova in tutta la letteratura rabbinica, unitamente alle testimonianze neotestamentarie come Mt 23,15; At 6,5; 13,43; 15,21, per non citare poi la produzione di scritti extrabiblici, attesta la storicità del fatto che il giudaismo era una religione missionaria piuttosto attiva nel I secolo (cf Giuseppe, Antichità giudaiche 20,38-48).
«Cretesi e Arabi»: Questi nomi non sono particolarmente importanti e possono essere dovuti a interpolazione, anche se nessun manoscritto può fornire una prova a sostegno di questa tesi. Troviamo Creta nel viaggio di Paolo a Roma (At 27,7-21) e come luogo del ministero di Tito (Tt 1,5). Paolo parla anche dell'Arabia come sede del suo primo lavoro missionario (Gal 1,17).
«le grandi opere di Dio»: Il termine megaleia è utilizzato da Luca solo qui, ma ricorda un frequente adagio biblico (LXX Dt 11,2; Sal 70,19; 105,21; Sir 17,8; 18,4; 42,21; 43,15; 2 Mac 3,34; 7,17).
«Il raduno festivo di queste nazioni è dunque raggiunto dall'improvvisa effusione dello Spirito Santo, che in un certo senso richiama all'unità. Il parallelo è la «tavola dei popoli» di Gen 10 e la Torre di Babele di Gen 11,1-9: «moltitudine e peccato» che sono dispersione mortale, sono superati dall'Unico Spirito che rispetta la moltitudine ma riporta all'armonia del Disegno divino. Si fonda qui la "cattolicità" della Chiesa nelle Chiese, ossia la diversità nello scambio illimitato dei dono spirituali, delle persone e anche delle risorse materiali. Gli Atti poi ne saranno la mirabile narrazione primordiale. La Chiesa dei sec. 3° e 4° ne saranno la dimostrazione. Le eresie come bestemmie variate contro la verità "cattolica" e gli scismi come automutilazioni causate dall'odio e dall'arroganza di potere, ne saranno la dimostrazione e contrario. Questo fino alla gravissima situazione di oggi» (Tommaso Federici).
Colletta
O Padre, che nel mistero della Pentecoste
santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra
i doni dello Spirito Santo,
e continua oggi,
nella comunità dei credenti,
i prodigi che hai operato
agli inizi della predicazione dell'Evangelo.
Per il nostro Signore...
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