Intreccio di due vite:
dialogo tra padre e figlio


Il diaconato in Italia n° 210/211
(maggio/agosto 2018)

INTERVISTA


Intreccio di due vite:
dialogo tra padre e figlio

di Luigi e Matteo Vidoni

Presentiamo questa conversazione che il padre diacono intrattiene col proprio figlio. Un "dialogo-intervista" che ripercorre in sintesi lo svolgersi dell'impegno diaconale del padre Luigi che si intreccia con la vita e le aspettative del figlio Matteo.


Matteo, da tempo non vivi più con i tuoi genitori e neanche con tua sorella Micol che ha la sua famiglia. Non sei più un ragazzo. Tuttavia, ricordando non soltanto il periodo quando eri più giovane, ma anche ora, vorrei chiederti: sei contento della tua famiglia?
Sì, certo! Ovviamente non esistono le famiglie perfette, ma sono stato molto fortunato e i miei genitori mi hanno sempre sostenuto nelle mie scelte. Come tutti i figli ci sarà sempre qualcosa da recriminare ai genitori, ma ho scelto di non fare l'errore di molti e cioè di dare la colpa ai genitori per quel che siamo. Ad un certo punto ti rendi conto che tu sei quello che sei per le tue scelte e i genitori non c'entrano più niente. Se c'è qualcosa che non va in me, non guardo a voi o al passato: faccio i conti con me! Sono io ora l'unico responsabile di quello che sono.

Ripercorrendo un po' la nostra storia, quando io sono stato ordinato diacono eri un adolescente. Che ricordi hai di quel periodo? Sicuramente ci saranno state domande e perplessità, soprattutto vedere tuo padre, vestito in modo "strano", dietro l'altare e non insieme a te, a tua madre o a tua sorella, in mezzo a tutti gli altri.
Ricordo che alla mia ordinazione, nella nostra parrocchia di origine, tua madre e tua sorella avevano un posto a lato sul presbiterio (un modo visibile di partecipazione, voluto dal vescovo). Tu invece hai preferito confonderti con i chierichetti.
Ti sentivi imbarazzato e giudicato dai tuoi compagni?

A quel tempo ero un chierichetto, un bravo chierichetto. Mia madre è sempre stata al tuo fianco in tutte le tue scelte, mia sorella era troppo piccola per capire a fondo. Io invece ero un adolescente e cominciavo a voler pensare con la mia testa. Perciò il modo migliore per partecipare a quel momento era stare in un posto neutro. Non mi interessava per niente stare in mostra davanti a tutti. Era un evento in parrocchia, tutti avevano grande rispetto, e molta curiosità, ma pochi secondo me, tra presbiterio e pubblico, sapevano cosa significasse diventare ed essere diacono. Io mi ero fatto già un'idea a riguardo e volevo stare in disparte. C'era rispetto da parte mia, ma non entusiasmo. Avevo paura che la scelta di mio padre definisse in modo improrogabile le cose che per lui erano sempre state importanti, ma che per me, spesso, erano incomprensibili.

Tu hai un bel rapporto con tua madre, sincero e molto confidenziale. Con me è stato un po' diverso. Consideravi tuo padre un po' troppo lontano, preso dai "suoi impegni" e con poco tempo da dedicare a te?
Questa è una domanda difficile. Mia madre è stata un punto di riferimento e un'amica. Mi ha insegnato la compassione. Tu mi hai insegnato l'onestà, che tra l'altro è la cosa più difficile da attuare al mondo. Quello che penso è che non si può essere diaconi se non si è prima mariti e padri. Il diaconato si differenzia, fortunatamente, dal sacerdozio proprio perché è frutto dell'esperienza in famiglia. Ne è una conseguenza. Il matrimonio e la genitorialità sono le basi per il diaconato. Finalmente un diacono può ambire a parlare di certe cose perché le conosce, ne è parte, e dovrebbe avere molta e profonda esperienza, a differenza dei preti. Non è la tua scelta religiosa che non ci ha aiutati a relazionarci sempre serenamente, ma l'ordine d'importanza, la priorità e l'equilibrio delle tre cose insieme: una moglie, dei figli, la parrocchia. Non mi hai mai fatto mancare niente, però è vero: ho avuto molto spesso la sensazione che, emotivamente, tu fossi più concentrato verso i "tuoi impegni".

Ad un certo punto, alcuni anni fa, la nostra famiglia ha fatto delle scelte importanti: per le esigenze del mio impegno diaconale mi fu chiesta la disponibilità ad un trasferimento in un'altra città e tutta la famiglia ne fu coinvolta ed interpellata. Allora eravamo tutti d'accordo, coscienti di fare una cosa bella e positiva, ma hai dovuto lasciare (come pure tua sorella) la tua città, i tuoi amici, la tua scuola e ricominciare da un'altra parte. Come hai vissuto quel momento?
Con i miei amici al liceo parlavamo spesso di andarcene un giorno da Trieste. In quel momento la nostra città viveva un periodo di depressione. Poi alla fine, io sono l'unico che se n'è andato veramente, gli altri sono ancora tutti là. Perciò ho preso la notizia come un'opportunità per un cambiamento. Ero curioso del mondo e, anche se non è stato per niente facile, ero eccitato e curioso all'idea di cambiare vita. Avevo 16 anni quando l'ho saputo, 17 quando sono arrivato a Roma. Vivo nella Capitale, lavoro in centro, faccio il lavoro che mi piace e, per il momento, sono felice così. Mi dispiace per te e mia madre che non avete invece goduto a pieno del trasferimento e ne avete anche sofferto, anche se per motivi differenti. Anche io ho vissuto momenti difficili, ma fortunatamente stiamo tutti bene e spero sempre di vedervi sereni.

Dopo il nostro trasferimento, hai continuato a frequentare gruppi giovanili cattolici, svolgendo anche un ruolo specifico di animazione. Come è stata questa tua esperienza, che poi si è conclusa con un tuo abbandono? Sono iniziate lì le tue crisi esistenziali e di fede?
Ti rispondo facendo un parallelo con la mia scelta vegana. Fin da bambino quando dovevo accompagnare la mamma in macelleria, io rimanevo fuori: mi sentivo male all'idea di vedere tutto quel sangue e quegli animali morti e spappolati. Animali, che tra l'altro quando li vedevo in vita, li consideravo sempre amici con cui giocare, da osservare, non cibo. Idem quando poi ho iniziato a cucinare: dovevo sempre superarmi quando prendevo in mano la carne e il tatto mi provocava ribrezzo. Poi un giorno, automaticamente, ho capito che la mia indole era un'altra. Così con la religione: è la stima e il rispetto per i miei genitori e i loro insegnamenti che mi hanno portato a stare in un mondo che fin da piccolo mi era stretto e, spesso, ingiusto, limitato. Ho cercato con molto impegno di seguire la vostra educazione, ma, ad un certo punto ho capito che la mia personalità era un'altra, il mio posto un altro. Ciò non vuol dire che io non creda nell'amicizia e nei rapporti umani, anzi… proprio per questo ci sono persone a cui sarò sempre legato.

In quel periodo è venuta in rilievo la tua vocazione artistica. Nel frattempo ti sei anche laureato in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo. Dipingevi e frequentavi l'atelier di un tuo amico. Cosa puoi raccontarci di quel periodo? L'arte per te è molto importante ed anche ora che fai l'insegnate, mi sembra che svolgi questo tuo lavoro con la stessa "sensibilità artistica" di sempre.
La prima cosa che ho fatto quando ci siamo trasferiti è stata quella di dipingere: non conoscevo ancora nessuno e mi aiutava a distrarre la mente. Poco dopo mi hai presentato un pittore francese che abitava vicino a noi e da quel momento per diversi anni ho frequentato assiduamente il suo atelier. E ti ringrazio perché è stato un periodo di profonda condivisione artistica e umana, anche con tante persone che passavano di lì. L'arte è sempre stato il mio interesse principale fin da bambino, prima col disegno e la pittura, poi c'è stata la musica e, arrivando a Roma, anche il cinema e il teatro. Puro nutrimento. La passione e, in seguito, lo studio dell'arte, soprattutto quella moderna e contemporanea, mi hanno portato ad essere curioso della bellezza attorno a me e mi hanno fatto capire e vivere il mondo con occhi liberi da pregiudizi estetici e morali. E ho imparato che si può creare bellezza anche in ogni piccola azione quotidiana. Tutti lo possono fare, ma per questo bisogna studiare, sperimentare, mettersi in discussione, ascoltare, tendere alla perfezione in ogni piccolo gesto.

Non ti sei mai sentito tradito da Dio? E la religione è qualcosa che ti è estranea? Puoi raccontarci della tua visione della vita?
Io da tempo non credo nell'esistenza di Dio, per cui non posso sentirmi tradito. E ti giuro che non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto. Anzi, proprio lo studio e la ricerca rigorosa della verità mi hanno portato a questo. Ho capito, mio malgrado, come stavano le cose, e non ho potuto fare altro che accettarlo. Di conseguenza ho imparato ad apprezzare quello che mi circondava senza pregiudizi e a dargli un valore differente. Ho scoperto la cosa più preziosa. La mia visione della vita è semplice: amo le "cose di quaggiù"! Io sono orgogliosamente "del" mondo. Io sto bene qui. Sono un terrestre. Non sono mai stato così sereno in vita e questo è molto importante. Ora mi sento me stesso. Anzi, se incontrassi un genio della lampada mi piacerebbe chiedergli l'immortalità fermandomi all'età biologica migliore (psico-fisica) della mia esistenza.

Non ti imbarazza che tuo padre sia un uomo di chiesa?
Mi imbarazzerebbe di più se tu fossi stato un politico! Io non sono mai stato contro di te, anche se non ho condiviso sempre tutte le tue scelte, o meglio, le modalità di certe tue scelte. Tu sei uno che ha una strada da compiere e vuoi farla nel miglior modo possibile. Spero che tu possa dare il tuo contributo affinché questa vocazione raggiunga la sua completezza e il posto che merita. Credo che la diaconia abbia un forte bisogno di rinnovamento e di riconoscimento. Finché si penserà al diacono come ad un prete sposato non ci sarà mai chiarezza. Spero di vedere un giorno sull'altare a concelebrare la Messa soltanto un semplice uomo di famiglia, un marito innamorato, un padre dedito, appassionato e arricchito dalla sua quotidianità in famiglia o anche solo dalla sua individualità, anche con le sue debolezze, le sue banalità, i suoi hobby, la fatica del lavoro e di mantenere i figli, insomma la vita vera. Allora sarà tutto più semplice, non serviranno parole dal pulpito. Questo sarebbe già di per sé testimonianza. Non palese, non dichiarata, silenziosa. Il diacono non deve dimostrare niente di più.


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