V Domenica d Quaresima (B)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO B - V Domenica di Quaresima


DOMENICA «DELL'INCONTRO CON I GRECI»

Geremia 31,31-34 • Salmo 50 • Ebrei 5,7-9 • Giovanni 12,20-33
(Visualizza i brani delle Letture)


1. L'annunzio della morte e della vittoria (Omelia 51 di sant'Agostino, vescovo: Gv 12,12-26)
2. Il turbamento di Cristo (Omelia 52 di sant'Agostino, vescovo: Gv 12,27-36)


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1. L'annunzio della morte e della vittoria

Cristo era il grano di frumento che doveva morire per dare molto frutto. Morto a causa dell'infedeltà dei giudei, è fruttificato mediante la fede dei popoli.

1. In seguito alla risurrezione del morto di quattro giorni che il Signore compì fra lo stupore dei Giudei, alcuni di essi vedendo credettero in lui, altri per invidia si perdettero; sempre per quel buon odore che conduce alcuni alla vita e altri alla morte (cf. 2Cor 2, 15). Dopo aver partecipato alla cena, in cui Lazzaro risuscitato da morte era commensale, e durante la quale fu versato sui suoi piedi l'unguento del cui profumo si era riempita la casa; dopo che i Giudei avevano concepito nel loro cuore perverso la vana crudeltà e lo stolto e delittuoso proposito di uccidere Lazzaro; dopo che di tutte queste cose, come abbiamo potuto e con l'aiuto del Signore, abbiamo parlato nei precedenti sermoni, invito ora la vostra Carità a considerare i frutti copiosi prodotti dalla predicazione del Signore prima della sua passione, e quanto numeroso sia stato il gregge delle pecore perdute della casa d'Israele, che ascoltò la voce del pastore.

2. Ecco le parole del Vangelo di cui avete appena ascoltato la lettura: L'indomani, la gran folla venuta per la festa, sentendo che Gesù si recava a Gerusalemme, prese i rami delle palme e gli andò incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12,12-13). Le palme sono un omaggio e un simbolo di vittoria; perché, morendo, il Signore avrebbe vinto la morte, e, mediante il trofeo della croce, avrebbe riportato vittoria sul diavolo principe della morte. Il grido "Osanna" poi, secondo alcuni che conoscono l'ebraico, più che altro esprime affetto; un po' come le interiezioni in latino: diciamo "ahi!" per esprimere dolore, "ah!" per esprimere gioia, "oh, che gran cosa!" per esprimere meraviglia. Al più "oh!" esprime un sentimento di ammirazione affettuosa. Così è per la parola ebraica "Osanna", che tale è rimasta in greco e in latino, essendo intraducibile; come quest'altra: Chi dirà "racha" a suo fratello (Mt 5,22). La quale, come riferiscono, è una interiezione intraducibile che esprime un sentimento di indignazione.

L'umiltà non è scapito della sua divinità
3. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. "Nel nome del Signore" sembra doversi intendere nel nome di Dio Padre, quantunque si possa intendere altresì nel nome di Cristo, dato che anch'egli è il Signore. Per questo altrove sta scritto: Il Signore fece piovere da parte del Signore (Gen 19,24). Ma è il Signore stesso che ci aiuta a capire queste parole, quando dice: Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi avete accolto; se un altro viene in nome proprio, lo accogliereste (Gv 5,43). Maestro di umiltà è Cristo, che umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,8). E non perde certo la divinità quando ci insegna col suo esempio l'umiltà: in quella egli è uguale al Padre, in questa è simile a noi. E in quanto è uguale al Padre ci ha creati perché esistessimo, in quanto è simile a noi ci ha redenti perché non ci perdessimo.

Non promozione ma degnazione
4. La folla gli tributava questo omaggio di lode: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. Quale atroce tormento doveva soffrire l'animo invidioso dei capi dei Giudei, nel sentire una così grande moltitudine acclamare Cristo come proprio re! Ma che cos'era mai per il Signore essere re d'Israele? Era forse una gran cosa per il re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non era re d'Israele per imporre tributi, per armare eserciti, per debellare clamorosamente dei nemici: egli era re d'Israele per guidare le anime, per provvedere la vita eterna, per condurre al regno dei cieli coloro che credono, che sperano, che amano. Che il Figlio di Dio quindi, uguale al Padre, il Verbo per mezzo del quale sono state create tutte le cose, abbia voluto essere re d'Israele, non fu una elevazione per lui ma un atto di condiscendenza verso di noi: fu un atto di misericordia non un accrescimento di potere. Colui infatti che in terra fu chiamato re dei Giudei, è in cielo il Signore degli angeli.

5. Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra. Qui vien narrato con grande concisione ciò che gli altri evangelisti raccontano con ricchezza di particolari (cf. Mt 21,1-16; Mc 11,1-11; Lc 19,29-48). Giovanni conferma questo fatto con una testimonianza profetica, per sottolineare che i maligni capi dei Giudei non comprendevano che in lui si adempivano le profezie da essi conosciute: Gesù trovato un asinello, vi montò sopra, secondo quel che è scritto: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina (Gv 12,14-15; Zac 9,9). Fra quel popolo c'era la figlia di Sion (Sion è lo stesso di Gerusalemme); ripeto: in mezzo a quel popolo, cieco e riprovato, c'era tuttavia la figlia di Sion alla quale erano rivolte le parole: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina. Questa figlia di Sion, cui era rivolto l'oracolo profetico, era presente in quelle pecore che ascoltavano la voce del pastore; era presente in quella moltitudine che con tanta devozione cantava le lodi del Signore che veniva, e che lo seguiva compatta. Ad essa il profeta diceva: Non temere, cioè riconosci colui che acclami, e non temere quando lo vedrai soffrire; perché il suo sangue viene versato per cancellare il tuo peccato e ridonarti la vita. Il puledro di asina sul quale nessuno era ancora salito (è un particolare che troviamo negli altri evangelisti), simboleggia il popolo dei gentili, che ancora non avevano ricevuto la legge del Signore. E l'asina (ambedue i giumenti furono portati al Signore) simboleggia il suo popolo proveniente dalla nazione d'Israele, non certo quella parte che rimase incredula ma quella che riconobbe il presepe del Signore.

6. Sulle prime, i suoi discepoli non compresero questo, ma quando Gesù fu glorificato - cioè quando egli manifestò la potenza della sua risurrezione - si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui, e queste gli avevano tributato (Gv 12,16), cioè non gli avevano tributato se non quanto di lui era stato scritto. Ripensando infatti alla luce delle Scritture le cose che si realizzarono tanto prima che durante la passione del Signore, si accorsero pure che egli si era seduto sul puledro dell'asina proprio come era stato predetto dal profeta.

7. La folla, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro dal sepolcro e lo aveva risuscitato dai morti, gli dava testimonianza. E anche perché aveva udito che egli aveva fatto questo miracolo, la folla gli andò incontro. I farisei, allora, si dissero: Vedete che non riusciamo a nulla! Ecco, il mondo gli è corso dietro (Gv 12,17-19). La folla turbava la folla. Perché, o folla cieca, provi invidia nel vedere che il mondo va dietro a colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto?

Il bacio di pace sigillo dell'unica fede
8. C'erano alcuni gentili tra i pellegrini venuti per adorare durante la festa. Costoro avvicinarono Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo va a dirlo ad Andrea; Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù (Gv 12,20-22). Sentiamo cosa rispose il Signore. Ecco che i Giudei vogliono ucciderlo, mentre i gentili vogliono vederlo; e di questi gentili fanno parte anche quei Giudei che lo acclamano gridando: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12,13). Circoncisi e incirconcisi, erano come due pareti di opposta provenienza, convergenti mediante il bacio di pace nell'unica fede in Cristo. Ascoltiamo dunque la voce della "pietra angolare". Gesù risponde loro: È venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato (Gv 12,23). Qualcuno potrebbe pensare che egli si considera già glorificato, per il fatto che i pagani volevano vederlo. Non è così. Egli prevedeva che i gentili d'ogni nazione avrebbero creduto in lui dopo la sua passione e risurrezione; perché, come dice l'Apostolo, la cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti (Rm 11,25). Prendendo quindi occasione da questi gentili che volevano vederlo, annuncia la futura pienezza delle genti; e assicura che la sua glorificazione celeste, in seguito alla quale le genti crederanno in lui, è ormai imminente. Così era stato predetto: Innalzati sopra i cieli, Dio, e su tutta la terra spandi la tua gloria (Sal 107, 6). Questa è la pienezza delle genti di cui parla l'Apostolo: La cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti.

Glorificazione attraverso l'umiliazione
9. Ma bisognava che la sublime grandezza della glorificazione fosse preceduta dall'umiliazione della passione. Perciò il Signore aggiunge: In verità, in verità vi dico: se il granello di frumento non cade in terra e vi muore, resterà solo; se, invece, muore, porta molto frutto (Gv 12,24-25). Parlava di se stesso. Era lui il granello che doveva morire per moltiplicarsi: sarebbe morto per la incredulità dei Giudei, si sarebbe moltiplicato per la fede dei popoli.

10. E invero, esortandoci a seguire le orme della sua passione, egli dice: Chi ama la propria anima, la perderà (Gv 12,25). Il che può intendersi in due modi: Chi ama perderà, cioè: Se ami la tua anima, devi essere disposto a perderla; se vuoi conservare la vita in Cristo, non devi temere la morte per Cristo. E in altro modo si può intendere la frase Chi ama la propria anima, la perderà: cioè non amarla se non vuoi perderla, non amarla in questa vita se non vuoi perderla nella vita eterna. Questa seconda interpretazione ci sembra più consona al senso del brano evangelico. Il seguito infatti dice: e chi odia la propria anima in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv 12,25). La frase precedente, quindi, va così completata: Chi ama la propria anima in questo mondo, costui la perderà; chi invece odia la propria anima, sempre in questo mondo, questi la conserverà per la vita eterna. Solenne e meravigliosa affermazione, che dice come dipenda, la salvezza o la dannazione dell'uomo, dall'amore o dall'odio che egli porta alla sua anima. Se ami in modo sbagliato, tu odi; se odi in senso buono, ami. Beati coloro che sanno odiare la propria anima in maniera da salvarla, evitando, per un malinteso amore, di perderla. Ma per carità non ti venga in mente di sopprimerti, intendendo così l'odio che devi portare alla tua anima in questo mondo. Così intendono certuni, malvagi e perversi, e tanto più crudeli e scellerati omicidi in quanto uccidono se stessi: essi cercano la morte gettandosi nel fuoco o nelle acque, o precipitandosi dall'alto. Non è questo che insegna Cristo. Anzi, al diavolo che gli suggeriva di precipitarsi dall'alto, rispose: Indietro, Satana! sta scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo (Mt 4,7). A Pietro al contrario, indicandogli con qual morte avrebbe glorificato Dio, disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai (Gv 21,18-19). Parole queste che abbastanza chiaramente ci indicano che chi segue le orme di Cristo deve lasciarsi mettere a morte dagli altri, non deve essere lui a darsela. Quando però si pone l'alternativa, di trasgredire il comandamento di Dio o di morire sotto la spada del persecutore, dovendo scegliere tra le due cose, uno scelga allora la morte per amore di Dio piuttosto che la vita offendendo Dio; così avrà in senso giusto odiato la propria anima in questo mondo al fine di salvarla per la vita eterna.

11. Chi mi vuol servire mi segua (Gv 12, 26). Che vuol dire mi segua, se non mi imiti? Cristo infatti soffrì per noi - dice l'apostolo Pietro - lasciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1Pt 2,21). Questo è il senso della frase: Chi mi vuol servire mi segua. E con quale frutto, con quale ricompensa, con quale premio? E dove sono io - dice - ivi sarà anche il mio servo. Amiamolo disinteressatamente, per ottenere, come ricompensa del nostro servizio, di essere con lui. Come si può star bene senza di lui, o male con lui? Ascolta che parla in maniera più esplicita: Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà (Gv 12,26). Con quale onore, se non con quello di poter essere suo figlio? Questa frase: Il Padre mio lo onorerà, appare come una spiegazione di quella precedente: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo. Quale maggiore onore può ricevere il figlio adottivo di essere là dove è il Figlio unico, non uguagliato nella sua divinità, ma associato a lui nell'eternità.

Non i propri interessi ma quelli di Cristo
12. Piuttosto dobbiamo chiederci cosa si intende per servire Cristo, servizio al quale viene riservata una così grande ricompensa. Se per servire Cristo intendiamo provvedere alle sue necessità corporali, cucinare e servirlo a tavola, versargli da bere e presentargli la coppa, ebbene questo è quanto fecero coloro che poterono godere della sua presenza fisica, come Marta e Maria allorché Lazzaro era uno dei commensali. In questo senso, però, anche il perfido Giuda servì Cristo. Egli infatti teneva la borsa; e, quantunque fosse solito rubare sacrilegamente il denaro che vi metteva dentro, tuttavia provvedeva il necessario (cf. Gv 12,26). Perciò, quando il Signore gli disse: Ciò che devi fare, fallo al più presto, alcuni credettero che il Signore gli avesse ordinato di preparare il necessario per la festa, o di dare qualche elemosina ai poveri (cf. Gv 13,27-29). Il Signore non pensava certo a siffatti servitori quando diceva: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, e: se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà. Vediamo infatti che in tal senso Giuda era servitore di Cristo, condannato e non onorato. Ma perché cercare altrove cosa si deve intendere per servire Cristo, quando possiamo apprenderlo da queste medesime parole? Dicendo infatti: chi mi vuol servire, mi segua, egli ha voluto farci intendere che chi non lo segue non lo serve. Servono dunque Gesù Cristo, coloro che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2,21). Mi segua vuol dunque dire: segua le mie vie, non le sue, così come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare così come egli camminò (1Gv 2,6). Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità, non deve cercare in quel gesto altro che l'opera buona, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra (cf. Mt 6,3), di modo che l'opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo; e giustamente sarà detto di lui: Ogni volta che l'avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25,40). Chi compie per Cristo, non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona [e qualsiasi opera è buona se tiene conto del principio che il fine di tutta la legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10,4)], egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo. Perché anche questo dirà riferendosi alle sue membra: Quanto hai fatto per essi, lo hai fatto per me. A questo riguardo egli stesso si degnò farsi e chiamarsi servo, quando disse: Come il Figlio dell'uomo non venne per farsi servire ma per servire, e dare la sua vita per molti (Mt 20,28). Donde ne segue che ciascuno è servo di Cristo per quelle medesime opere per cui anche Cristo è servo. E chi serve Cristo in questo modo, il Padre suo lo onorerà con quel singolare onore di accoglierlo con suo Figlio in una felicità senza fine.

13. Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone.

(Omelia 51 di sant'Agostino, vescovo: Gv 12,12-26)

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2. Il turbamento di Cristo

Cristo ci ha trasferiti in sé; ha voluto provare in sé, il nostro capo, le emozioni e l'angoscia delle sue membra. Egli, il mediatore tra Dio e gli uomini, che ha suscitato in noi il desiderio delle cose supreme, ha voluto patire con noi le cose infime.

1. Dopo che il Signore Gesù Cristo, con le parole che abbiamo letto ieri, ebbe esortato coloro che lo servono a seguirlo; dopo aver predetto la sua passione dicendo che se il chicco di frumento non cade in terra e vi muore, resta solo, mentre se muore porta molto frutto (Gv 12,24); dopo aver stimolato coloro che vogliono seguirlo nel regno dei cieli a odiare la loro anima in questo mondo per conservarla nella vita eterna; ancora una volta si mostrò condiscendente verso la nostra debolezza, pronunciando le parole con cui inizia la lettura di oggi: Ora l'anima mia è turbata (Gv 12,27). Perché è turbata la tua anima, Signore? Poco fa hai detto: Chi odia la sua anima in questo mondo, la conserva per la vita eterna (Gv 12,25). Vuol dire che tu ami la tua anima in questo mondo, e per questo essa è turbata vedendo avvicinarsi l'ora di uscire da questo mondo? Chi oserà affermare questo dell'anima del Signore? Gli è che lui, il nostro capo, ci ha trasferiti in sé, ci ha accolti in sé, facendo proprie le emozioni delle sue membra; e perciò non bisogna cercare fuori di lui la causa del suo turbamento: Egli stesso si turbò (Gv 11,33), come nota l'evangelista in occasione della risurrezione di Lazzaro. Bisognava infatti che l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, così come ci sollevò alle più sublimi altezze, condividesse con noi le esperienze più umilianti.

Dio sopra di noi, uomo per noi
2. L'ho sentito dire: È venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato; se il chicco di frumento muore, porta molto frutto. Sento che dice: Chi odia la sua anima in questo mondo la conserverà per la vita eterna (Gv 12,23-25). Non posso limitarmi ad ammirarlo, ma sono tenuto ad imitarlo. Poi le parole seguenti: Chi mi serve, mi segua; e dove sono io, ivi sarà anche il mio servitore (Gv 12,26), mi infiammano a disprezzare il mondo, e tutta questa vita, per lunga che sia, mi appare un soffio e quasi nulla; e l'amore delle cose eterne svilisce quelle temporali. Tuttavia sento il medesimo mio Signore, che con quelle parole mi aveva strappato alla mia debolezza per trasferirmi nella sua forza, sento che dice: Ora l'anima mia è turbata. Che vuol dire? Come pretendi che l'anima mia ti segua, se vedo l'anima tua turbata? Come potrò io sostenere ciò che fa tremare la tua solidità? Su chi mi appoggerò se la pietra d'angolo soccombe? Mi pare di sentire nel mio animo ansioso la risposta del Signore che mi dice: Potrai seguirmi con più coraggio, poiché io mi sostituisco a te in modo che tu rimanga saldo: hai udito come tua la voce della mia potenza, ascolta in me la voce della tua debolezza; io che ti do la forza per correre, non rallento la tua corsa, ma facendo passare in me la tua angoscia ti apro il varco per farti passare. O Signore, mediatore, Dio sopra di noi, uomo per noi! riconosco la tua misericordia, perché tu così forte ti turbi volontariamente per amore, e quei molti che inevitabilmente si turbano per la loro debolezza, tu mostrando la debolezza del tuo corpo li consoli cosicché non cadano nella disperazione e periscano.

Cristo glorificato nelle sue membra
3. Chi vuole seguirlo, ascolti ora per quale via bisogna seguirlo. Viene, per esempio, un momento terribile, si presenta questa alternativa: o commettere l'iniquità o subire il supplizio: l'anima debole, per la quale si turbò volontariamente l'anima invincibile del Signore, è turbata. Anteponi la volontà di Dio alla tua. Bada a ciò che ha soggiunto il tuo creatore e maestro, colui che ti fece e che per insegnare a te si è fatto egli stesso creatura. Si è fatto uomo colui che ha fatto l'uomo; ma rimanendo Dio immutabile, ha mutato in meglio l'uomo. Ascoltalo. Dopo aver detto: Ora l'anima mia è turbata, egli prosegue: E che dirò? Padre, salvami da quest'ora! Ma è per questo che sono giunto a quest'ora. Padre, glorifica il tuo nome (Gv 12,27-28). Ti insegna cosa devi pensare, cosa devi dire, chi devi invocare, in chi sperare, e come devi anteporre la volontà divina, che è sicura, alla tua debole volontà umana. Non ti sembri perciò che egli cada dall'alto per il fatto che vuole sollevare te dal basso. Infatti si è lasciato anche tentare dal diavolo, dal quale certamente non si sarebbe fatto tentare se non avesse voluto, così come non avrebbe patito se non avesse voluto; e al diavolo rispose ciò che anche tu devi rispondere al tentatore (cf. Mt 4,1-10). Egli certamente fu tentato ma senza pericolo alcuno, per insegnarti a rispondere al tentatore nel pericolo delle tentazioni, a non seguire il tentatore e a sfuggire il pericolo. Egli dice qui: Ora l'anima mia è turbata, così come altrove dirà: La mia anima è triste fino a morirne (Mt 26,38); e ancora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice (Mt 26,39). Egli ha preso su di sé la debolezza umana, per aiutare chiunque sia come lui colto dalla tristezza e dall'angoscia, a ripetere le parole che egli soggiunge: Tuttavia si faccia non quello che voglio io ma quello che vuoi tu, Padre. E così, anteponendo la volontà divina alla volontà umana, l'uomo si eleva dall'umano al divino. Che significano le parole: Glorifica il tuo nome, se non questo: Glorificalo nella passione e nella risurrezione? Il Padre deve glorificare il Figlio, il quale a sua volta renderà glorioso il suo nome anche nelle prove dolorose somiglianti alle sue, che i suoi servi dovranno subire. Per questo fu scritto e fu detto a Pietro: Un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorresti, per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21,18-19). E così in lui Dio glorifica il suo nome, perché in questo modo glorifica Cristo anche nelle sue membra.

4. Dal cielo venne allora una voce: L'ho glorificato e ancora lo glorificherò (Gv 12,28). L'ho glorificato prima di creare il mondo, e ancora lo glorificherò quando risusciterà dai morti e ascenderà al cielo. Si può intendere anche in un altro modo: L'ho glorificato quando è nato dalla Vergine, quando operava prodigi, quando è stato adorato dai Magi guidati dalla stella, ed è stato riconosciuto dai santi pieni di Spirito Santo; quando ricevette l'attestazione dello Spirito che discese su di lui in forma di colomba, quando fu presentato dalla voce che risuonò dal cielo; quando si trasfigurò sul monte, quando compì tanti miracoli; quando guariva malati e mondava lebbrosi; quando con pochi pani nutrì tante migliaia di persone, e comandò ai venti e ai flutti, e risuscitò i morti. E ancora lo glorificherò quando risorgerà dai morti, e la morte non avrà più su di lui alcun potere, quando come Dio sarà esaltato sopra i cieli e la sua gloria si estenderà a tutta la terra.

5. La folla che stava là e aveva udito, diceva ch'era stato un tuono; altri dicevano: Un angelo gli ha parlato. Gesù riprese: Non per me è risuonata questa voce, ma per voi (Gv 12,29-30). Fece osservare che quella voce non era per indicare a lui ciò che egli già sapeva, ma era diretta a coloro che avevano bisogno di una testimonianza. Come quella voce da parte di Dio non era risuonata per lui ma per gli altri, così la sua anima non si era volontariamente turbata per lui ma per gli altri.

6. Ascoltiamo il seguito: È adesso - dice - il giudizio di questo mondo (Gv 12,31). Quale giudizio dunque c'è ancora da aspettare per la fine del mondo? Il giudizio che avrà luogo alla fine del mondo sarà per giudicare i vivi e i morti, per assegnare il premio o la pena eterna. Di quale giudizio, dunque, si tratta ora? Già nelle precedenti letture ho cercato di spiegare alla vostra Carità che esiste un giudizio che non è di condanna ma di separazione, conforme a quanto dice un salmo: Giudicami, o Dio, e separa la mia causa dalla gente empia (Sal 42,1). Imperscrutabili infatti sono i giudizi di Dio, come afferma un altro salmo: I tuoi giudizi sono abissi profondi (Sal 35,7). E l'Apostolo esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi! (Rm 11,33). Di tali giudizi fa parte anche questo di cui parla il Signore: È adesso il giudizio di questo mondo: distinto da quel giudizio finale in cui definitivamente saranno giudicati i vivi e i morti. Il diavolo teneva in suo potere il genere umano e teneva soggetti i meritevoli di punizione con il chirografo dei loro peccati; egli regnava nel cuore degli infedeli e con l'inganno induceva i suoi prigionieri a rendere culto alla creatura al posto del Creatore. Ma per la fede in Cristo, fondata sulla morte e risurrezione di lui, per mezzo del suo sangue versato per la remissione dei peccati, migliaia di credenti si liberano dal dominio del diavolo e si uniscono al corpo di Cristo, e sotto un così augusto Capo le membra fedeli vengono animate da un medesimo Spirito, che è quello suo. Era di questo giudizio che intendeva parlare, di questa separazione, di questa cacciata del diavolo dai suoi redenti.

In che senso "ora sarà cacciato fuori"?
7. Notiamo quel che dice. Come se noi gli avessimo chiesto il significato della sua affermazione: È adesso il giudizio di questo mondo, proseguendo ce lo spiega: Adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori (Gv 12,31). Abbiamo sentito di quale giudizio si tratta: non di quello che avverrà alla fine del mondo, quando saranno giudicati i vivi e i morti, e gli uni saranno collocati a destra e gli altri a sinistra; ma del giudizio con cui il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. In che senso stava dentro, e in che luogo dice che dovrà essere cacciato fuori? Forse che era nel mondo e ne è stato cacciato fuori? Se egli avesse parlato del giudizio che avverrà alla fine del mondo, si potrebbe pensare al fuoco eterno in cui dovrà essere cacciato il diavolo con i suoi angeli e con tutti quelli che appartengono a lui, non per natura ma per la colpa, non perché li ha creati o generati, ma perché li ha sedotti e assoggettati; si potrebbe allora pensare che quel fuoco eterno si trovi fuori del mondo e che per questo abbia detto: sarà cacciato fuori. Siccome però ha detto: È adesso il giudizio di questo mondo, spiegando: adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori, si deve intendere che tutto questo avviene ora e si distingue da quello che dovrà avvenire in un lontano futuro, nell'ultimo giorno. Il Signore dunque prediceva quanto già conosceva, e cioè che dopo la sua passione e la sua glorificazione, in tutto il mondo popoli interi avrebbero creduto. Il diavolo si trovava allora nel cuore di essi, ma ne è stato cacciato fuori quando essi, credendo, hanno rinunziato a lui.

8. Si osserverà: Il diavolo non era stato cacciato fuori anche dal cuore dei patriarchi, dei profeti e di tutti i giusti dell'antichità? Certamente. In che senso allora il Signore dice: adesso sarà cacciato fuori? Nel senso che quanto allora era avvenuto per pochissimi uomini, ora il Signore annuncia che avverrà ormai largamente in molti popoli. La stessa soluzione vale anche per l'altro problema, simile a questo, dove Giovanni diceva: Lo Spirito Santo non era stato ancora dato, perché Gesù non ancora era stato glorificato (Gv 7,39). Infatti, non certo senza lo Spirito Santo i profeti preannunciarono il futuro: illuminato dallo Spirito Santo il vecchio Simeone e la vedova Anna riconobbero il Signore bambino (cf Lc 2,25-38), e così Zaccaria ed Elisabetta per mezzo dello Spirito Santo predissero tante cose di lui non ancora nato ma già concepito (cf. Lc 1,41-45.67-70). Tuttavia lo Spirito Santo non era stato ancora dato; cioè, non era stato ancora dato con quell'abbondanza di grazia spirituale per cui i discepoli, riuniti insieme, parlarono le lingue di tutti gli uomini (cf. At 2,4-6), annunciando così che la Chiesa sarebbe stata presente nella lingua di tutte le genti: quella grazia spirituale per la quale si sarebbero riuniti i popoli, sarebbero stati rimessi tutti i peccati, e a migliaia gli uomini si sarebbero riconciliati con Dio.

9. Ma allora, mi si potrebbe dire, se il diavolo sarà cacciato fuori dal cuore dei credenti, non tenterà più alcun fedele? Al contrario, egli non cessa mai di tentare. Ma una cosa è che egli regni dentro e un'altra cosa è che attacchi dall'esterno; a volte il nemico cinge d'assedio una città ben fortificata, e non riesce ad espugnarla. L'Apostolo ci insegna a rendere innocui i dardi del nemico, raccomandandoci la corazza e lo scudo della fede (cf. 1Ts 5,8). E anche se qualcuno di questi dardi ci ferisce, c'è sempre chi può guarirci. Perché come a chi combatte vien detto: Vi scrivo queste cose, affinché non pecchiate, così a quelli che riportano ferite vien detto: e se qualcuno cade in peccato, abbiamo, come avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto; egli stesso è il propiziatore per i nostri peccati (1Gv 2,1-2). Del resto, cosa chiediamo quando diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, se non che guarisca le nostre ferite? E che altro chiediamo quando diciamo: Non c'indurre in tentazione (Mt 6,12-13), se non che colui che ci insidia, anche se ci attacca dall'esterno non abbia a penetrare da alcuna parte, non abbia a vincerci né con l'inganno né con la forza? Per quante macchine di guerra usi contro di noi, se non occupa la fortezza del cuore dove risiede la fede, è stato cacciato fuori. Ma se il Signore non custodirà la città, invano vigila la sentinella (cf. Sal 126,1). Non vogliate dunque presumere troppo dalle vostre forze, se non volete far rientrare il diavolo che è stato cacciato fuori.

10. Non dobbiamo però ritenere che il diavolo sia stato chiamato principe di questo mondo nel senso che egli possa dominare il cielo e la terra. Per mondo si intendono gli uomini cattivi che sono sparsi per tutta la terra, così come per casa si intendono coloro che la abitano. Così diciamo: questa è una buona casa oppure è una casa cattiva, non in quanto ammiriamo o disprezziamo i muri o il tetto ma i costumi buoni o cattivi degli uomini che vi abitano. In questo senso si dice: principe di questo mondo, cioè principe di tutti gli uomini cattivi che abitano nel mondo. Si chiama mondo anche quello formato dai buoni che sono sparsi per tutta la terra; in questo senso l'Apostolo dice: Dio in Cristo riconciliava a sé il mondo (2Cor 5,19). È dal cuore di questi che il principe di questo mondo viene cacciato fuori.

Cristo attrae tutti a sé, come loro capo.
11. Dopo aver detto: Adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori, il Signore aggiunge: E io, quando sarò elevato in alto da terra, tutto attirerò a me (Gv 12,31-32). Cos'è questo tutto, se non tutto ciò da cui il diavolo è stato cacciato fuori? Egli non ha detto: tutti, ma tutto, perché la fede non è di tutti (cf. 2Ts 3,2). E così non si riferisce alla totalità degli uomini ma all'uomo integrale: spirito, anima e corpo: lo spirito per cui intendiamo, l'anima per cui viviamo, il corpo per cui siamo visibili e concreti. Colui che ha detto: Non un solo capello cadrà dal vostro capo (Lc 21,18), tutto attira a sé. Se però tutto vuol dire tutti gli uomini, possiamo dire che tutto è stato predestinato alla salvezza e niente andrà perduto, come ha detto prima parlando delle sue pecore (cf. Gv 10,28). Oppure tutto vuol dire tutte le categorie degli uomini d'ogni lingua e d'ogni età, senza distinzione di razza o di classe, di talento, di arte e di mestiere, al di là di qualsiasi altra distinzione che, al di fuori del peccato, possa esser fatta tra gli uomini, dai più illustri ai più umili, dal re fino al mendico. Tutto - egli dice - io attirerò a me, così da diventare io il loro capo ed essi le mie membra. Ma ciò accadrà - egli dice - quando sarò elevato da terra, sicuro com'è che dovrà compiersi ciò per cui egli è venuto. Qui si richiama a quanto ha detto prima: Se il chicco di frumento muore, porta molto frutto (Gv 12,25). Che altro è infatti l'esaltazione di cui parla se non la sua passione in croce? E l'evangelista non manca di dirlo, aggiungendo: Diceva questo per indicare di qual morte stava per morire.

12. Gli rispose la folla: La legge ci ha insegnato che il Cristo rimane in eterno, e come puoi tu dire che il Figlio dell'uomo deve essere esaltato? Chi è questo Figlio dell'uomo? (Gv 12,33-34). Essi ricordavano bene che il Signore con insistenza aveva affermato di essere il Figlio dell'uomo. In questo passo non dice: Quando sarà elevato in alto il Figlio dell'uomo; ma lo aveva detto prima, nel passo che ieri è stato letto e commentato, quando gli fu riferito che alcuni gentili desideravano vederlo: È venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato (Gv 12,23). E così, confrontando quella dichiarazione con questa di adesso: Quando sarò elevato in alto da terra, comprendendo che alludeva alla morte, essi gli obiettarono: La legge ci ha insegnato che il Cristo rimane in eterno, e come puoi tu dire che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato? Chi è codesto Figlio dell'uomo? Cioè, essi dicono, se il Figlio dell'uomo è Cristo, rimane in eterno; e se rimane in eterno, come potrà essere sollevato da terra, cioè come potrà morire in croce? Capirono che egli parlava di quella morte che essi pensavano di infliggergli. Non fu dunque la luce della divina sapienza che rivelò ad essi il significato di queste parole, ma il pungolo della loro coscienza.

Credere nella verità per rinascere in essa
13. Gesù, allora, disse loro: La luce è ancora per poco tra voi. È per mezzo di essa che potete comprendere che il Cristo rimane in eterno. Camminate dunque mentre avete la luce affinché non vi sorprendano le tenebre (Gv 12,35). Camminate, avvicinatevi, cercate di comprendere il Cristo tutto intero: il Cristo che morirà e vivrà in eterno, che verserà il sangue per la redenzione e ascenderà in alto dove condurrà anche noi. Se invece credete solo nell'eternità di Cristo, negando in lui l'umiltà della morte, vi avvolgeranno le tenebre. E chi cammina nelle tenebre, non sa dove va (Gv 12,35), e può inciampare nella "pietra d'inciampo" e nella "pietra dello scandalo", quale fu il Signore per i ciechi Giudei; mentre per i credenti questa pietra, scartata dai costruttori, diventò "pietra d'angolo" (cf. 1Pt 2,6-8). Essi disdegnarono di credere in Cristo, perché nella loro empietà disprezzarono la sua morte e irrisero il suo sacrificio; e tuttavia quella era la morte del grano che doveva moltiplicarsi, ed era la esaltazione di colui che tutto avrebbe attratto a sé. Mentre avete la luce credete nella luce, affinché diventiate figli della luce (Gv 12,36). Dato che avete ascoltato una cosa che è vera, credete nella verità, in modo da poter rinascere nella verità.

14. Così parlò Gesù, poi se ne andò e si nascose a loro. Non si nascose a coloro che avevano cominciato a credere in lui e ad amarlo, non a coloro che gli erano venuti incontro con rami di palme e acclamazioni; ma si nascose a coloro che lo vedevano e lo invidiavano, perché incapaci di vederlo veramente; anzi, a causa della loro cecità, urtavano contro quella pietra. Quando però Gesù si nascose a quelli che volevano ucciderlo (è una cosa che vi ricordo spesso perché non la dimentichiate), pensava alla nostra debolezza, non pregiudicava la sua potenza.

(Omelia 52 di sant'Agostino, vescovo: Gv 12,27-36)



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