Lectio divina
Abbazia di Santa Maria di Pulsano (FG)
(20 agosto 2018, riproposta il 16 agosto 2021)
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ANNO B - XXI Domenica del Tempo Ordinario
DOMENICA «IV DEL DISCORSO EUCARISTICO»
Giosuè 24,1-2a.15-17.18b • Salmo 33 • Efesini 5,21-32 • Giovanni 6,60-68
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Al termine del discorso sul pane della vita, Gesù ha ripetuto con insistenza: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna». A questo punto l'incredulità si insinua anche nel gruppo dei discepoli e molti se ne vanno, rinunciando a seguirlo.
Per la verità, Gesù è un maestro sconcertante. Ha costruito tutto il suo discorso sulla parola «carne», la sua carne che bisogna mangiare per ricevere la vita, ed ora conclude: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla». Né la carne né il sangue bastano a condurre alla professione di fede: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Bisogna infatti attendere che la carne e il sangue acquistino il loro significato definitivo nella pasqua di Gesù, perché sia possibile l'adesione decisiva: quando vedrete «il figlio dell'uomo salire là dov'era prima...». «Forse anche voi volete andarvene?». La domanda di Gesù, carica di tristezza, ci costringe a prendere posizione di fronte a lui. Dobbiamo decidere se allontanarci anche noi con i discepoli che smettono di seguirlo o se rimanere col gruppo dei Dodici, che si esprime attraverso le parole di Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». È il rischio della fede, che non è mai una certezza evidente e scontata, ma è piuttosto la decisione di seguire il Cristo ogni giorno, sostenuti dal pane che egli ci dona, affidandoci a lui solo. Se un cristiano si sforza di essere davvero credente, non potrà non toccare con mano la distanza che separa la sua professione di fede da ciò che egli riesce a tradurre nella realtà concreta della sua esistenza. Ma la fragilità stessa di questa fede è come un'invocazione che il Padre ascolta in modo particolare ogni volta che ci dona, nell'Eucaristia, la vita del suo Figlio per correre insieme il rischio dell'amore.
Seguiamo dunque il filo guida della preghiera eucologica:
Antifona d'Ingresso Sal 85,1-3
Tendi l'orecchio, Signore, rispondimi:
mio Dio, salva il tuo servo che confida in te:
abbi pietà di me, Signore;
tutto il giorno a te io levo il mio grido.
Nell'antifona d'ingresso (Sal 85,1a.2b-3, SI) l'assemblea orante, rappresentata dalla voce del Salmista, si pone davanti al Signore e gli innalza una serie di 4 epiclesi. Anzitutto, affinché il Signore tenda l'orecchio (30,3; 87,3), e ascoltando esaudisca la preghiera che gli giunge (v. 1a). Poi per chiedere il dono della salvezza gratuita e immeritata di chi si proclama servo del Signore, membro della sua santa alleanza, e che ha sempre sperato solo nella sua bontà (v. 2b). Infine, per chiedere la sua divina misericordia (vv. 5.16; 33,2; 36,2), ricordando al Signore la continuità e l'intensità della preghiera che sale a Lui tutto il giorno e ogni giorno (v. 3).
Canto all'Evangelo Gv 6,63.68
Alleluia, alleluia.
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.
Alleluia.
Questo è il culmine della pericope evangelica e tutta l'assemblea loda il Signore con le parole di Pietro che dice: le Parole Tue sono Spirito e Vita e che Tu hai la Parola della Vita eterna.
Il grande discorso è terminato, l'insegnamento del Maestro, una grande testimonianza di amore e di dedizione, è stato dato (come ci ricorda il v. 59); adesso è necessario per tutti operare una scelta. Possiamo anzi affermare che tutte e tre le letture ripropongono l'esigenza, la necessità, l'obbligo di una decisione, di una scelta.
Gli ebrei nell'assemblea di Sichem sono chiamati a pronunciarsi per JHWH; gli sposi cristiani a incarnare nella loro vita in comune lo stesso amore di Cristo per i fratelli; i discepoli di Gesù a saper accettare i disagi, le privazioni, fino alla morte per adempiere il disegno di Dio e cooperare al bene dei propri simili.
È importante rilevare anche il contesto in cui tale scelta viene operata: l'antico santuario di Sichem (I Lett.) [Nota: Sichem era, a causa della sua posizione centrale, un luogo favorevole alle assemblee delle tribù (cf. 1Re 12) e, a causa del suo passato, un luogo predestinato alla stipulazione di patti religiosi: Abramo vi aveva edificato un altare (Gen 12,6-7), Giacobbe vi aveva acquistato dei diritti (Gen 33,18-20) e sotterrato gli idoli portati dalla Mesopotamia (Gen 35,1-4).] e la sinagoga di Cafarnao con il popolo radunato per la santa convocazione liturgica.
È la storia della pazienza amorevole e misericordiosa di Dio che stipula continuamente con l'uomo un patto di salvezza: mentre nella I Lettura Giosuè rinnova l'Antica Alleanza del Sinai, nell'evangelo Gesù propone la celebrazione della Nuova Alleanza mediante la celebrazione eucaristica.
Paolo nella lettera agli Efesini ci ricorda come nella coppia umana si deve riprodurre il Grande Mistero delle Nozze di Cristo con la Chiesa. Un invito alle coppie a recuperare e testimoniare il sacramento del matrimonio che li ha inseriti nel mistero della Nuova Alleanza in modo singolare e privilegiato.
I lettura: Gs 24,1-2a.15-17.18b
La terra della promessa è finalmente occupata da Israele, alle 12 tribù sono lottizzati con equità i territori rispettivi e prima che ciascuna di esse si rechi a vivere secondo l'assegnazione, Giosuè le convoca tutte nell'antico santuario di Sichem, dove per il momento sta custodita l'arca e ai principali tra i capi e i responsabili delle tribù tiene un grande discorso nel nome del Signore (vv. 2-13) per rinnovare l'alleanza divina, vincolo religioso e fraterno, politico, morale e sociale (vv. 1-2a).
Perciò espone il kerygma della fede, che consiste:
1. nella Promessa divina ai Padri (vv. 2-4),
2. nel grande evento dell'esodo (vv. 5-10)
3. nell'occupazione della terra della promessa (vv. 11-13).
Poi Giosuè fa appello alla responsabilità grande assunta dal popolo accettando il vincolo dell'alleanza ed esorta all'adorazione del Signore e al rigetto degli idoli (v. 14). Tuttavia, per assicurarsi della fedeltà del popolo, lo esorta, se non vuole dare culto al Signore, a tornare a quello degli idoli vecchi che avevano seguito i Padri prima di essere chiamati dal Signore. Quanto a lui e al suo gruppo, la decisione è presa per sempre, servire solo il Signore (v. 15).
Allora il popolo a grande voce riafferma la sua fedeltà al Signore, che mai abbandoneranno per voltarsi agli dèi falsi (v. 16), poiché mai si dimenticherà della liberazione dall'Egitto e delle gesta potenti che la resero possibile e proseguirono nella vita nel deserto, con la difesa dai popoli ostili (v. 17). E proclama che vuole servire il Signore, il Dio dell'alleanza fedele (v. 18b).
Il Salmo responsoriale: 33,2-3.16-17.18-19.20-21.22-23, AGI
Prosegue e termina adesso il Sal 33, sul quale vedi anche le 2 Domeniche precedenti. Per il versetto responsorio ancora il v. 9a che canta il "gustate e vedete che soave è il Signore".
L'Orante procede nella sua azione di grazie e riconosce davanti ai fratelli che il Signore guarda sempre con benevolenza i suoi giusti, i poveri che si affidano a Lui e i pii che Lo venerano nel timore (Sal 32,1; Sap 5,16) e sta sempre in attento ascolto delle loro preghiere (v.16; e vv. 5.7; Pr 15,29; Gv 9,31). E insieme rivolge il suo Volto adirato verso i malfattori dentro il suo popolo (minacce già in Lv 17,10; Am 9,4; Ger 44,11), e alla fine li disperde, cancellando perfino la loro memoria dalla terra (v. 17; 20,11; 108, 15; Pr 10,7).
Di fatto, i giusti si rivolgono al Signore gridando la loro tribolazione, il Signore li ascolta e li soccorre e li libera da ogni loro angoscia (v. 18; già nel v. 7). Il Signore sta sempre vicino ai suoi poveri (Dt 4,7; Is 42,3, 57,15; 66, 2; Sal 144,18; 148,14), ai tribolati di cuore (Sal 50,19; 108,17; 146,3; Gl 2,13; Lc 15,17.24, 18,13-14), e salva chi si fa umile di spirito (v. 19). In realtà, le tribolazioni dei giusti davanti al Signore sono sempre molte e gravi, ma Egli li libera sempre da ognuna di esse (v. 20; e vv. 5.23).
Il Signore custodisce le ossa dei suoi giusti una per una, da vivi e anche quando sono morti, in attesa della resurrezione e non permette che ne sia stritolata qualcuna (v. 21). Era creduto infatti che stritolare le ossa impedisse in qualche modo la resurrezione. Questo versetto è citato da Giovanni (Gv 19,36) a proposito della morte il Signore, il Giusto del Signore, l'Agnello di Dio che è il Servo sofferente di Is 53,7-8, a cui non fu riservato il crudele supplizio del crurifragio, la frantumazione delle ossa lunghe delle gambe. Qui il testo greco esclude del tutto gli agnelli pasquali, le cui ossa dovevano essere lasciate intatte (Es 12 46; Nm 9,12), poiché interviene un'altra lezione con tutt'altro significato.
Al contrario, la morte del peccatore è la peggiore che si dia (Sal 7,15-16, 36,36.38; Pr 24,19; Sap 3,19) e quanti in vita odiarono il giusto davanti a Dio scompaiono dall'esistenza anche sotto terra (v. 22).
Invece il Signore dona la redenzione alla vita dei suoi servi, sulla terra e dopo (Sal 24,22), e quanti ripongono in Lui la loro speranza mai vengono meno (v. 23).
Evangelo
Il grande discorso eucaristico di Gv 6 è passato dal segno della moltiplicazione dei pani, all'annuncio di Cristo pane di vita, alla celebrazione eucaristica in cui il «corpo» e il «sangue» offerto ai presenti rievoca la morte che Gesù subirà per compiere la sua missione e che quanti credono in lui dovranno subire. Credere in Gesù non è tanto far propria una dottrina, quanto un'esperienza di vita (cf. Gv 6,60 «Chi può intenderlo?»), per questo è faticoso, difficile.
I giudei si dileguano senza altri commenti, ma anche i discepoli rimangono perplessi; i più se ne vanno, alcuni rimangono.
Il discorso di Gesù non è facile né a capire né ad attuare; pur guardandosi attorno egli non attenua il suo discorso o le sue proposte per paura di perdere anche gli ultimi rimasti. La sua domanda «desiderate andarvene anche voi?» (cf. 6,67) è senza mezzi termini, come a dire: se volete potete andarvene, nessuno vi trattiene.
Simon Pietro, come altre volte, risponde pronto ed entusiasta a nome della piccola comunità degli apostoli: «abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Agli occhi degli apostoli Gesù è il Santo di Dio, colui cioè che Dio ha scelto e consacrato mediante il suo Spirito per dar compimento al suo disegno di amore a vantaggio di tutti. La comunità cristiana rappresentata dagli apostoli sembra compatta; nella risposta di Pietro tutti sembrano convinti, entusiasti, ma Giovanni ricorda che tra loro c'è un «nemico» (cf. 6,70).
Sono passati duemila anni ma Gesù è sempre quello e ripete a noi oggi le stesse parole che disse quel giorno a Cafarnao; Gesù sempre presente nella Parola proclamata, nel pane e nel vino divenuti suo corpo e suo sangue nella santa liturgia domenicale, offre se stesso: «Scegliete oggi chi volete servire» (I Lett.) «Desiderate andarvene anche voi?» (Evangelo) e aspetta la nostra risposta...
I fatti narrati in Gv 6,60-69 hanno un buon grado di attendibilità storica e in particolare la confessione di Pietro. Nei sinottici la defezione in massa dei discepoli non trova riscontro, però questi evangeli fanno intravedere il fallimento della missione di Gesù in Galilea e per di più prima della moltiplicazione dei pani (cf. Mc 6,1-6 e parall.). Il brano della fede nella messianicità di Gesù proclamata da Pietro trova corrispondenza nella narrazione sinottica (cf. Mc 8,27ss e parall.), come già abbiamo avuto modo di anticipare. Anche per questo passo vale quanto formulato per i due segni della moltiplicazione dei pani e della traversata del mare. Giovanni, pur disponendo di una tradizione indipendente sostanzialmente concorda con i sinottici, quindi narra un fatto realmente accaduto.
ESAMINIAMO IL BRANO DELL'EVANGELO
v. 59: Questa nota storica finale in contrasto con quella introduttoria (cf. vv. 25-26) è indice di una rielaborazione redazionale molto profonda e funziona inoltre da passaggio alla reazione dei discepoli dopo la sublime rivelazione di Gesù.
Il lungo discorso è inoltre presentato come un insegnamento fatto durante un'adunanza liturgica da un maestro, anzi il Maestro.
v. 60 - «Molti»: Polloì indica davanti l'articolo (posizione attributiva) i più, la maggior parte, mentre senza articolo davanti (posizione predicativa) indica molti, non tutti (è il nostro caso).
«discepoli»: Il sostantivo greco mathētōn indica in senso classico i seguaci di filosofi e retori; negli evangeli e nel libro degli Atti è usato 250 volte per indicare i seguaci immediati e costanti di Gesù. La denominazione «i dodici», più collegiale e ristretta, ne è una precisazione ulteriore.
L'uditorio quindi sembra ristretto ormai ai discepoli e non a tutta la gente. Forse sono quelli che hanno seguito Gesù dopo la moltiplicazione dei pani; è importante comunque la distinzione fra discepolo ed apostolo nella elaborazione redazionale del brano.
«ascoltato»: Nel testo originale l'evangelista usa lo stesso verbo akoúō con due significati diversi: "ascoltare" e "intendere". Il primo è l'udire materiale (il percepire con l'udito quello che uno dice senza esprimere adesione od avversione), il secondo è l'ascoltare obbediente nella fede (dare retta, obbedire, credere cf. Gv 8,47 e 10,26s).
«duro»: L'aggettivo sklērós connesso con skelētós (arido, secco; da cui il nostro "scheletro") significa difficile, arduo. Può indicare sia la difficoltà di venire capito in quanto esprime cose inaudite, sia una durezza contro cui si urta e ci si fa male (il che produce una reazione di ribellione, come davanti a una offesa).
Il discorso di Gesù è giudicato «duro», impossibile da accettare con la ragione umana e se non teniamo presente soprattutto il discorso sacramentale, dobbiamo confessare che è vero. Per la ragione umana è davvero un discorso paradossale, scandaloso! Qui l'uomo è costretto a scegliere tra l'accettazione nella fede di un mistero che lo sovrasta e il rifiuto del discorso come irrazionale, di un folle.
v. 61 - «i discepoli.., mormoravano»: I discepoli non si mostrano diversi dai giudei di prima, con le loro mormorazioni contro il discorso del Maestro. Non a caso il verbo gongýzō è adoperato da Giovanni per tutti e due i gruppi (cf. vv. 41.43.61 ). Come già avevano fatto Nicodemo (3,9) e il gruppo dei giudei (6,52), questi "discepoli" manifestano la loro incredulità con locuzioni simili: chi può?, come può? Essi lo dicono al solito in piccoli gruppi che cercano di non farsi sentire, e quindi fanno della "mormorazione", peccato grave, contro Gesù. Ma Gesù legge nei cuori, e li affronta con decisione, interrogandoli se questo provoca in loro "scandalo", ossia inciampo e caduta. Queste persone non sono rinate dallo Spirito, perciò non possono credere alla rivelazione di Gesù che appare loro assurda e inaccettabile.
«Quando si incomincia a indagare sul «come», sopraggiunge anche l'incredulità. Così Nicodemo rimase turbato e disse: «Può forse un uomo entrare una seconda volta nel grembo di sua madre?». Allo stesso modo, costoro restano perplessi e dicono: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Dal momento che si pongono questa domanda, però, dovrebbero anche chiedersi: Come ha potuto moltiplicare cinque pani in quel modo? In realtà siamo noi che godiamo i benefici effetti di ciò che è avvenuto allora. «L'unione col Cristo avviene per mezzo del cibo che egli ci ha dato, come segno evidente del suo amore per noi. Per questo egli ha voluto unirsi a noi, fare di noi il suo corpo, in modo che fossimo una cosa sola con lui come il corpo è unito alla testa. Questo è il segno del più grande amore». (S. Giovanni Crisostomo, Omelie su s. Giovanni evangelista).
«scandalizza»: Scandalo (skandalízō) era detto qualsiasi impedimento che, posto sulla strada, faceva inciampare e cadere. Qui indica l'ostacolo che impedisce ai discepoli di continuare a credere i Gesù.
v. 62 - «vedeste»: Dal gr. theōréō che traduce uno sguardo indagatore, attento, calmo, che si rende conto di ogni particolare (ricorda Gv 20,6).
«Figlio dell'uomo»: Questa espressione gr. (anthrṓpou) traduce due espressioni ebraico-aramaiche, diverse fra loro di significato: la prima, bar-adam, indica l'uomo in quanto creatura, debole; la seconda, bar nash, indica il principe ereditario e colui che è cittadino di pieno diritto, libero.
Quest'ultima espressione passò a indicare il capo del popolo di Dio, diventando così un titolo specifico messianico. L'espressione greca quindi può assumere un significato che va da quello altissimo di principe ereditario a quello umile e famigliare che serve a indicare colui che parla in prima persona, tenendo il posto del pronome personale «io», «se vedeste... salire là dove era prima»; secondo gli esegeti si può intendere riferito:
1. al salire sulla croce; con la crocifissione lo scandalo è aumentato (allora il vostro scandalo sarebbe maggiore);
2. alla resurrezione-ascensione al cielo; allora lo scandalo sparirebbe perché la salita indurrebbe a credere.
Se rimaniamo al testo la seconda integrazione è senz'altro la più plausibile.
«Salire»: Gv 20,17 e forse anche 3,13 sta in relazione con la resurrezione-ascensione ; in secondo luogo «là dove era prima» non è certo la croce, ma il cielo. Infine Giovanni presenta Gesù come disceso dal cielo (cf. vv. 48-50) e perciò deve risalire al cielo, sia pure attraverso la croce.
v. 63 - «Spirito»: Pneûma nel senso generico semitico indica il principio vitale, ritenuto simile al fiato o a un soffio d'aria (cf. Genesi; Ezechiele; ecc.).
«carne»: Sárx nel senso generico semitico indica l'elemento passivo, incapace da solo di muoversi e pensare.
«le parole: Rhḗmata lett. può indicare le parole (= detto, enunciato cf. Mt 27,14; ad es. quelle dette da Gesù ai vv. 35-50, la descrizione del pane di vita) ma è anche la traduzione dell'ebraico dabar = parola che ha il significato di cosa, fatto, impresa, avvenimento (cf. Lc 1,37; oppure i vv. 51-58, Gesù nella realtà della carne e sangue da mangiare e da bere). Entrambe le interpretazioni si equivalgano e la scelta di una invece dell'altra è difficile.
v. 64 - «alcuni... non credono»: Se un gruppo continua a non credere, ci sono altri che continuano a credere.
«Gesù sapeva...»: È ancora una nota redazionale che vuol mettere al sicuro la preveggenza di Gesù (cf. Mc 3,13-19 e parall. per l'elezione dei 12 apostoli e i ricordo di colui che avrebbe tradito).
v. 65 - «Per questo vi ho detto...»: Ciò che segue e sarebbe stato detto da Gesù prima non si trova alla lettera, il testo più vicino è 6,44.
Ciò che lì è attrazione del Padre qui è chiamato «dono del Padre», condizione essenziale e preliminare per credere. È implicita l'accusa di respingere questo dono con l'incredulità.
v. 66 - «Da quel momento...»: L'originale gr. Ek toútou può avere anche senso causale (= Per questo motivo) oppure cronologico (il senso scelto nella traduzione).
Probabilmente sono presenti tutti e due: qui avviene la grande divisione, la grande crisi galilaica, che si esprime nell'abbandono della sequela di Cristo. I discepoli ritornano su se stessi e ai loro interessi. Di questa crisi galilaica ci informa anche la tradizione sinottica comune a Matteo (11,20-24) e Luca (10,13-15).
«non andavano più con lui»: Lett. "non si accompagnavano più con lui" (oukéti met᾽ autoû periepátoun). Si ricordi che per i sinottici l'andare dietro a Gesù indica il discepolato: quando infatti Gesù chiama qualcuno come discepolo dice: "venite dietro di me" (cf. Mc 1,17 e parall.) e quelli vanno dietro di lui (cf. Mc 1,20; e parall.; Mc 8,34 e parall.).
Non andare più con Gesù indica quindi il rifiuto del discepolato.
v. 67 - «disse ai dodici»: Qui Giovanni nomina i dodici per la prima volta (cf. dopo in 20,24). La domanda al piccolo nucleo dei più intimi è drammatica ed ha lo scopo di sollecitare la decisione e la proclamazione della fede.
«volete andarvene»: In gr. thélete hypágein lett. significa "desiderate ritirarvi".
Siamo davanti ad un invito libero e senza costrizioni.
vv. 68-70: È il resoconto giovanneo della confessione sinottica di Pietro (cf. Mt 16,13-20; Mc 8,27-30; Lc 9,18-21); il luogo è differente (lì è Cesarea di Filippo, qui è Cafarnao) ma se teniamo conto del lavoro redazionale dell'intero capitolo la cosa è accettabile.
«Signore da chi andremo?»: La risposta di Pietro che riecheggia il v. 63 e in un certo senso tutto il discorso è quella di un fedele di Dio.
Come si prega nei salmi "Ecco, perirà chi sì allontana da te... il mio bene è stare vicino a Dio" (Sal 73(72),27a.28a) Pietro risponde "Tu possiedi parole di vita eterna".
"Dove andare lontano dal tuo Spirito, dove fuggire dalla tua presenza" dice il salmo 139(138),7; dove non sta Dio? (leggi del Sal 139(138) i vv. 8-24).
«Tu sei il santo di Dio»: Questo titolo dato a Gesù, nei sinottici è la professione di fede che viene messa sulla bocca degli indemoniati (cf. Mc 1,24; Lc 4,34). Nella tradizione giudaica non designa il messia, ma qui esprime certamente la dignità messianica ed escatologica di Gesù. Nell'A.T. è detto dei sacerdoti ed in particolare di Aronne (cf. Lv 21,6-7; Sir 45,6).
Gesù è il sommo sacerdote che introduce liturgicamente a Dio il popolo santo (cf. Es 39,30; Sal 106(105),16); è il Santo per divina vocazione, il possessore dello Spirito fin dalla sua concezione immacolata (Lc 1,35).
«uno di voi è il diavolo...»: Nonostante l'elezione divina dei dodici apostoli, uno è un diavolo. Giovanni ci ricorda sconsolato che l'elezione, da parte del Figlio di Dio, non è stata una garanzia di fedeltà (cf. Mt 16,23; Mc 8,33 Pietro che vuol impedire il cammino della passione).
Anche fra i dodici avviene la divisione; un monito valido ancora oggi per noi a non fondarsi sulla propria sicurezza ma sul dono di Dio, da accogliere con umiltà (vedi compunzione). Il cap. 6 di Giovanni, che contiene una delle più sublimi rivelazioni del Verbo incarnato, termina con questa nota di profonda tristezza.
Consapevoli di questo pericolo come Chiesa preghiamo:
II Colletta:
O Dio nostra salvezza,
che in Cristo tua parola eterna
ci dai la rivelazione piena del tuo amore,
guida con la luce del tuo Spirito
questa santa assemblea del tuo popolo,
perché nessuna parola umana ci allontani da te
unica fonte di verità e di vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
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