III Domenica del Tempo Ordinario (B)
Lectio divina

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Lectio divina
Abbazia di Santa Maria di Pulsano (FG)
(15 gennaio 2018, riproposta il 18 gennaio 2021)

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ANNO B - III Domenica del Tempo Ordinario

DOMENICA «DELLLA PRIMA PREDICAZIONE DEL SIGNORE»

Giona 3,1-5.10 • Salmo 24 • 1 Corinzi 7,29-31 • Marco 1,14-20
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La pericope di oggi si inquadra così: dopo il suo Battesimo, lo Spirito Santo conduce il Signore per essere tentato dal Maligno, il Nemico suo, di Dio e del genere umano (si ricorda qui la Domenica I di Quaresima). Tentato nella sua filiazione divina, che invece nello Spirito Santo vittoriosamente riafferma. Allora nel medesimo Spirito Santo può cominciare la sua missione messianica tra gli uomini.
Occorre avere presente e chiara la "Manifestazione", il "Battesimo del Signore", ossia l'evento nel quale il Padre rivela il Figlio Monogenito, il Diletto, il suo Compiacimento, e con lo Spirito Santo Lo "unge" (At 10,38) per consacrarlo "Messia", ossia quale Profeta e Re e Sacerdote e Sposo, investito così della missione alla quale il Padre subito Lo invia.
Egli opera solo nella Potenza dello Spirito Santo. In forza della quale, come Profeta deve annunciare la Volontà del Padre, sotto la forma dirompente dell'Evangelo del Regno. Come Re buono deve strappare il regno del male a satana, il Maligno (vedi 1Gv 5,19), operando la Carità divina come il bene tra gli uomini, tutti da riportare al Regno di Dio così riconsegnato al Padre. Come Sacerdote deve riportare tutti al culto immacolato al Padre. Come Sposo deve acquisirsi la Sposa diletta con il Sangue della Croce. La Croce è l'atto supremo attraverso cui morendo il Signore dal costato della sua bontà, trafitto dalla lancia genera la Sposa, emanando lo stupefacente Mistero dell'intera Chiesa (Gv 19,34). La Resurrezione e la Gloria sono il divino Sigillo dello Spirito Santo che il Padre imprime in eterno nell'Umanità glorificata del Figlio suo, il Signore nostro (At 2,32-33) rivelandolo al mondo (Rm 1,1-7; At 2,36). Il Tempo per l'Anno offre la contemplazione di tutto questo, nel mirabile necessario continuo narrativo dell'Evangelo.
Questo quadro va tenuto sempre presente per comprendere meglio gli episodi evangelici che si susseguono ogni Domenica; essi non sono isolati e non sono isolabili, ossia non vanno presi a sé, poiché nel continuo della proclamazione evangelica formano un unico e mirabile contesto che è il Mistero di Cristo con lo Spirito del Padre.

Antifona d'Ingresso Sal 95,1.6
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra;
splendore e maestà dinanzi a lui,
potenza e bellezza nel suo santuario.


La divina liturgia inizia con l'invito alla lode del Signore poiché davanti a Lui si svolge nel cielo e sulla terra un'immensa celebrazione e il suo santuario celeste e terrestre appare un'indicibile e magnificante gloria che attrae i fedeli nella gioia e nella santificazione. L'assemblea esortata da due imperativi a "cantare " il cantico nuovo celebra l'irresistibile vittoria Di Dio.
Il rimando storico è al "cantico del Mar Rosso (Es 15,1-18) che celebra il passaggio dalla morte alla vita. L'esodo forma dunque una tipologia: quando il Signore salva fa fare esodo; così i profeti annunciano il nuovo esodo dall'esilio fino all'ultimo esodo di Cristo al Padre nella gloria della Resurrezione. Il canto dell'esodo è sempre il medesimo ma sempre nuovo per la novità della vita che suppone già avvenuta. Per questo l'intera terra si unisce alla gioia dell'acquisita salvezza.

Canto all'Evangelo Mc 1,15
Alleluia, alleluia.
Il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo.
Alleluia.

L'Alleluia orienta la proclamazione evangelica. Qui dalla pericope evangelica di oggi è ripreso e cantato il testo della prima predicazione del Signore. Egli, appena battezzato dallo Spirito Santo, annuncia al suo popolo anzitutto che da Dio i tempi hanno ricevuto ormai la loro completezza e definitività, perciò il Regno è venuto con Cristo e con lo Spirito Santo, che sono questo Regno (Mt 12,18; Lc 11,20), quindi incombe la necessità e l'urgenza di convertirsi al Signore e di credere nel suo Evangelo.

II Colletta
O Padre, che nel tuo Figlio
ci hai dato la pienezza della tua parola e del tuo dono,
fa che sentiamo l'urgenza di convertirci a te
e di aderire con tutta l'anima all'Evangelo,
perché la nostra vita
annunzi anche ai dubbiosi e ai lontani
l'unico Salvatore, Gesù Cristo,
Egli è Dio...


Anche la preghiera di colletta seconda ci suggerisce il tema conduttore della liturgia della parola odierna che può essere colto nell'invito evangelico a convertirsi, poiché il Regno di Dio si è fatto vicino. Un impegno che, mediante gli apostoli, si estende in chiave missionaria attraverso i tempi e i luoghi fino ad oggi e qui. Anche noi dunque siamo i destinatari e nello stesso tempo i trasmettitori di questo annuncio della conversione, sconvolgente e determinante per l'esistenza di ogni persona.
Nel nostro tempo e in questo contesto sociale, teso a rendere sempre meno rilevante la fede cristiana, si colloca l'odierno invito di Gesù: «Convertitevi e credete all'evangelo».
Non ci attarderemo in un'analisi del mondo contemporaneo per evidenziare i molteplici tentativi volti a rendere insignificante la fede cristiana, perché questo ci porterebbe fuori dal nostro attuale impegno che è quello di riconoscere, attraverso la preparazione e la celebrazione della sua Parola, il primato di Dio ed evitare di appropriarci avidamente e di abusare del mondo come ci appartenesse. Forse è l'espressione «pescatore di uomini» dell'odierno evangelo che ha suggerito l'accostamento con l'episodio di Giona, oppure il testo della prima lettura è stato scelto perché la predicazione di Giona e la risposta dei Niniviti al suo messaggio anticipano i motivi presenti nell'Evangelo di Marco sulla predicazione di Gesù: la brevità del tempo a disposizione e l'urgenza della conversione.


I lettura: Giona 3,1-5.10
Nessun limite può essere imposto al Dio dell'alleanza; la sua misericordia si estende anche oltre Israele. Questo il messaggio che il libretto di Giona intende trasmettere attraverso la vicenda del suo protagonista.
Tale vicenda presenta tutti i caratteri di una «finzione letteraria» di cui l'autore si è servito per insegnare questa verità. E la finzione è così costruita: Giona, profeta, riceve da Dio l'ordine di recarsi a Ninive, città pagana, per annunziarne la rovina imminente a causa dei suoi peccati.
Il profeta ragiona: se io porto questo annuncio, Ninive probabilmente farà penitenza e Dio la salverà. E un'eventualità del genere Giona non riesce a soffrirla: egli vedrebbe così volentieri l'odiata Ninive distrutta; non può sopportare di essere proprio lui il mediatore di salvezza. Perciò tenta di sottrarsi all'ordine di Dio, ma vi è ricondotto, e in maniera non proprio delicata.
Nella persona di Giona l'autore del libro ridicolizza quegl'israeliti di mentalità gretta che, a dispetto della lunga esperienza della misericordia di Dio verso di loro, sono gelosi dell'estensione di quella misericordia agli altri. L'autore scrive nel periodo dopo l'esilio, quando le preoccupazioni della restaurazione nazionale esasperavano il particolarismo e l'esclusivismo degli ebrei. Perciò si rivolge a quelli dei suoi contemporanei che, in nome dell'alleanza, volevano limitare la libertà di Dio.
La scelta dei versetti che costituiscono questa lettura mette in particolare risalto la prontezza della conversione di Ninive; prontezza che suonava rimprovero alla durezza del popolo di Israele, sordo alla voce dei suoi numerosi profeti e di Cristo stesso (cf. Lc 11,32).
La breve pericope profetica mostra dunque la difficoltà della risposta alla divina vocazione. Eppure qui è chiamato dal Signore un suo profeta, posto per la salvezza dei fratelli. Nella sua Misericordia particolare per gli iniqui Niniviti, pagani e quindi peccatori impenitenti, Egli intende inviare a essi la predicazione profetica salvifica, quella che se accettata produce la conversione del cuore e il ritorno a Lui. Perciò chiama Giona come suo inviato, ma Giona se ne fa un dramma personale, di antichi rancori sia pure giustificati umanamente, perché non vuole che la divina Misericordia sia estesa agli Assiri pagani che hanno conquistato e distrutto la sua patria e il suo popolo, Israele. Perciò cerca di fuggire via lontano (Giona 1), nel mare è ingoiato dal cetaceo, si pente davanti al Signore e Lo implora, e il Signore con la sua solita condiscendenza dispone che sia restituito dal cetaceo sulla spiaggia (Giona 2). Tuttavia il Signore nella sua pazienza infinita desidera che il suo disegno sui Niniviti vada finalmente ad effetto. Proprio le ultime parole del libro di Giona mostrano la grandiosità del progetto divino e la drammaticità della sua esecuzione che non è più dilazionabile. Infatti il Signore ha misericordia per Ninive, «la grande città» appunto, dove vivono più di 120.000 bambini innocenti, definiti come quelli che «non sanno distinguere tra la mano destra e la mano sinistra» e un grande numero di animali, creature anche esse innocenti (Giona 4,11). Il Signore quindi non rinuncia a quanto è solo suo.
Perciò chiama di nuovo Giona (v. 1), con la medesima missione della prima volta (Giona 1,2), che suona così: «Alzati, e va' a Ninive, la grande città, e annuncia quanto Io poi ti dirò» (v. 2), e lo invia. Ora, il comando divino non ha contenuti, ma Giona è profeta e legge anche dentro le realtà divine. Vede che la Misericordia del Signore è tenace e vuole raggiungere gli uomini. Questa volta Giona obbedisce e si mette in cammino verso Ninive, città grande come poche nell'antico Oriente, così estesa che per farne il giro completo occorre un cammino di 3 giorni (v. 3). Se si calcola che un buon camminatore percorre quasi 30 chilometri al giorno, il perimetro delle mura di Ninive si estenderebbe per 90 chilometri. Si può paragonare con il perimetro delle mura di Roma sotto l'impero, nella sua massima espansione, che ancora assomma oggi a più di 17 chilometri. La Scrittura qui gioca volentieri con la solita enfasi simbolica, nel senso che la Misericordia del Signore vuole raggiungere il più possibile di umanità, anche concentrata in un enorme spazio.
Giona obbedisce, arriva, e il primo giorno traversa la città e predica a essa la punizione entro 3 giorni, se i Niniviti non si convertiranno dalle loro opere malvage il Signore la distruggerà (v. 4).
I Niniviti mostrano quale debba essere l'atteggiamento davanti alla parola divina:
     1) anzitutto «credettero in Dio»,
     2) poi dimostrano la loro fede cominciando il digiuno nazionale;
     3) e si vestono di cilicio penitenziale, dai potenti ai piccoli della popolazione (v, 5).
Il Signore chiama alla conversione. Quando finalmente vede come operano gli uomini chiamati, che si convertono dalle loro opere di malvagità, insomma vede che ottiene quanto vuole per il loro bene, procede infallibilmente a perdonare (v. 10). Si sa che il Signore è il Creatore e il Sovrano di tutti gli uomini, e questi sono suoi e di nessun altro dominatore e ad essi non rinuncia mai. Perciò Egli non gioisce della morte del peccatore, ma vuole fortemente che si converta e viva. Lo ripete il messaggio inviato a ripetizione mediante i Profeti e i sapienti dell'A. T. (Ez 3,2.18; 18,23.32; 33,11; Sir 11,14; Sap 1,13; 11,24; 12,19). Messaggio che è proprio anche del N. T., dove è ribadito (2Tim 2,4.6; 2Pt 3,9). Qui si raggiunge il contenuto della pericope evangelica di oggi.

Lo stesso motivo incontriamo nella seconda lettura: il tempo che si è fatto breve è il tempo dell'uomo, in quanto segnato dalla presenza di Dio e che come tale diventa occasione continua da non perdere.
La comunità dei credenti radunata dalla Parola che invita alla conversione è poi provocata dal Salmo responsoriale (Sal 24 Supplica Individuale) a rispondere a questa parola, e contemporaneamente viene resa cosciente di due segni che caratterizzano la conversione:
     - la conversione è un cammino e dunque la fatica come di uomo che non è mai «arrivato»;
     - ed è insieme e soprattutto un essere ricordati da Dio: cioè essere «guardati» e «istruiti» (cf. v. 4-9).

Nella pericope evangelica distinguiamo due parti:
il primo sommario che Marco introduce nella sua narrazione (vv. 14-15), in cui troviamo le coordinate spazio-temporali degli inizi della missione di Gesù:
al sommario segue il racconto della chiamata dei primi discepoli (vv. 16-20).


ESAMINIAMO IL BRANO DELL'EVANGELO

v. 14 - «venne consegnato»: la notizia generale sull'inizio dell'attività di Gesù è connessa con l'arresto di Giovanni Battista. Il verbo «paradídomi» è teologicamente molto denso e dice letteralmente: dopo che Giovanni «venne consegnato». Non è il caso di vedere nell'uso di questo verbo un accenno a qualche tradimento (cf. Traditus della Vulgata), ma solo al fatto che Giovanni cadde nelle mani dei suoi nemici, cioè Erode Antipa ed Erodiade. È il cosiddetto passivo teologico che allude al piano di divino che si compie nella «consegna del Battista». In altre parole, Dio nella sua volontà imperscrutabile affida il giusto Giovanni nelle mani degli empi, ma anche questa drammatica consegna diventerà fonte di salvezza. Gli uomini possono incatenare i giusti, sopprimerli, ma il piano di Dio per la salvezza del suo popolo procede inarrestabile.
L'arresto di Giovanni diventa per Gesù il segnale divino per dare inizio alla propria attività pubblica. Marco infatti interrompe la lunga serie di frasi legate tra loro (nell'originale greco) dalla congiunzione kai («e»: «e fu condotto... e fu tentato... e quaranta... e quaranta... e gli angeli...») con l'avversativo de («ma», «ma dopo che...») per far risaltare una importante transizione. I tre Evangeli sinottici fanno una demarcazione temporale tra il ministero di Giovanni e quello di Gesù e non fanno nessun accenno al fatto che anche Gesù battezzasse, mentre nell'Evangelo di Giovanni i due ministeri si sovrappongono e Gesù stesso battezza (vedi Gv 3,22-24, che ha l'aria di essere in contrasto con la tradizione sinottica).

v. 15 «il tempo è compiuto»: lett. è riempita la misura, una metafora usata da Marco per indicare che, essendo piena la misura, non c'è nulla da aggiungere al tempo trascorso prima dell' avvenimento atteso.
Kairós è poi anche il vocabolo greco usato dalla bibbia per indicare il tempo di Dio; nel N.T. è il tempo segnato dalle apparizioni e dai gesti di Gesù; è il momento decisivo, il momento opportuno per prendere risoluzioni.

«il regno di Dio»: Qui la traduzione pone un problema, il termine «regno» infatti è statico e fa pensare al luogo in cui il re (o la regina) governa. Il greco basileia è più attivo e dinamico, con la connotazione dell'esercizio del «regnare» da parte di Dio oltre che all'ambiente sul quale regna.

«convertitevi»: in gr. metanoéō lett. cambio mente, anche faccio penitenza, il tempo è un imperativo presente che ci indica uno stato e non un atto momentaneo e passeggero.
Prima si cambia mente, poi si crede.

«credete»: in gr. pisteúō ed è anch'esso un imperativo presente. La fede che Gesù richiede non è un generico credito alle sue parole, un mero consenso intellettuale, ma è la fede biblica, decisione pratica: "quello che hai detto noi lo faremo e lo ascolteremo".

vv. 16-20 «camminando... vide... chiamò»: aggiungiamo solo qualcosa a quanto abbiamo già detto la volta scorsa. I tre verbi sono considerati i verbi vocazionali, ma aggiungiamo qualche piccola riflessione:
     - Gesù è in cammino: è la concretezza della visita di Dio nella nostra vita, un camminare tra noi, un passare in mezzo alle nostre case ed occupazioni.
     - Gesù vede: è lo sguardo di elezione, pieno di misericordia;
     - Gesù chiama: è la Parola che irrompe nella vita e chiede obbedienza incondizionata e rottura radicale con il proprio passato.

«erano pescatori»: il mestiere che uno svolge non è solo una curiosità marginale o uno spunto per distinzioni di classe ma ci aiuta a capire come Dio chiami non in un'aria rarefatta di strane esperienze spirituali, ma all'interno della concretezza della vita, nell'esercizio di una propria attività. La medesima cosa è presente più volte nell'A. T. come con Mose, (Es 3,1), Gedeone (Gd 6,11ss.), Amos (7,15); Eliseo (1Re 19,19-21); ecc...

«vi farò diventare pescatori di uomini»: qui è la promessa di far diventare i discepoli "pescatori di uomini"; per tutti la partecipazione al suo Regno di vita eterna. Il futuro del verbo poiḗsō («vi farò diventare») guarda in avanti allo svolgimento della narrativa e alle sfide che dovranno affrontare i discepoli per tener fede all'insegnamento e alle azioni di Gesù. «Pescatori di uomini» è un'espressione da noi cristiani comunemente accettata ma biblicamente è piuttosto enigmatica. In Ger 16,16 il Signore dice che «invierà molti pescatori», nel contesto del giudizio escatologico. Altre immagini riguardo alla pesca hanno una connotazione simile o negativa (Ez 29,4-5; Am 4,2; Ab 1,14-15). Vedi anche Mt 13,47-50, la parabola della rete da pesca nel contesto del giudizio. Se fosse questo il significato del presente passo, esso contraddirebbe gli altri incarichi dati ai discepoli in 3,13-19 e 6,7-13.30. Questi incarichi positivi suggeriscono in questo passo una traduzione del tipo «quelli che vanno in cerca di uomini».

«E subito lasciarono le reti e lo seguirono»: il subito sottolinea l'obbedienza, che dice anche l'efficacia della Parola di Gesù. Il lasciare tutto, un elemento caro ai racconti evangelici (cf. l'uomo ricco di Mc 10,17-22), è mettere la propria vita nelle sue mani. Lasciare tutto non esprime solo rinuncia ma anche condivisione dei beni, farne parte agli ultimi con cui Gesù si identifica.

«E subito»: l'ormai ben noto kaí euthýs fa pensare al potere della chiamata di Gesù e alla sua forza d'attrazione. Da parte dei discepoli non c'è nessuna esitazione né ripensamenti. Il verbo «lasciare» (in greco aphentes, «lasciando») anticipa l'ordine dato ai discepoli di lasciare ogni cosa per seguire Gesù (10,28-29). Il termine preferito da Marco per diventare discepoli è «seguire» (0akolouthein). Nel mondo ellenistico il verbo significa seguire in senso intellettuale, morale o religioso e comporta un rapporto personale con la persona seguita, «imitando il suo stile di vita, non semplicemente andargli dietro» (Beda, Omelia 21, in Corpus Christianorum, Series Latina). È il termine preferito da Marco per l'essere discepoli (2,14-15; 6,1; 8,34; 10,21.28).

«lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca»: Anche per Giacomo e Giovanni la risposta è immediata come nel caso di Simone e Andrea, ma qui è messa in risalto ancora maggiore dall'accenno che hanno lasciato il loro padre Zebedeo. Questo è in contrasto con la chiamata fatta da Elia ad Eliseo, il quale chiede di poter tornare a baciare suo padre e sua madre (1Re 19,20). Questo brusco distacco dal padre doveva essere considerato sconvolgente nell'ambiente culturale dei lettori di Marco (es.: Es 20,12; Dt 5,16; Prov 23,22-25; Tb 5,1; Sir 3,1-16, in particolare il v. 16: «Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore»). Anche questo però prepara il terreno per le istruzioni riguardo all'essere discepoli che verranno date in Mc 10,29-30.

«con i garzoni»: Questo dettaglio è omesso da Mt 4,18-22, che peraltro in questo episodio segue Marco molto da vicino. Giacomo e Giovanni sono presentati su un livello economico superiore rispetto a Pietro e Andrea. Costoro stanno pescando praticamente dalla riva con reti piombate, mentre gli altri posseggono una barca ed hanno dei garzoni, pescano con le reti a strascico e riescono a catturare quantità di pesce molto maggiori (vedi Lc 5,6.9; Gv 21,6-11). Questa discrepanza potrebbe spiegare perché Giovanni e Giacomo sono quelli che chiederanno a Gesù di poter occupare posti privilegiati nel suo regno (vedi Mc 10,35, dove sono di nuovo chiamati «i figli di Zebedeo»).
Il fatto che sono proprietari di una barca ed hanno dei garzoni salariati in un'industria tanto vitale come la pesca contraddice molte delle descrizioni contemporanee che presentano i primi seguaci di Gesù come una banda di contadini itineranti. Possono essere stati itineranti durante il ministero di Gesù, ma non rappresentano affatto i ceti economicamente più disagiati della Galilea.

«e lo seguirono»: Letteralmente: «e partirono dietro di lui». Le ultime parole di questa pericope («dietro di lui», opisó autou) legano questa seconda chiamata al comando iniziale di Gesù nel v. 17: «venite dietro a me» (deute opisó mou).
Chiudiamo con un invito alla riflessione ricordando l'esperienza vissuta di varie «chiamate» a seguire Gesù avuta da persone contemporanee o nella preparazione per il battesimo da adulti o in altre esperienze di «conversione da adulti». I racconti di alcune conversioni, da quella di Paolo in Gal 1,11-17 e di Agostino nelle Confessioni anche se non seguono alla lettera lo schema illustrato sopra, spesso comportano un'improvvisa e profonda esperienza di Dio che porta la persona ad uno stile di vita radicalmente diverso e si concretizza in un nuovo livello dello «stare con Gesù» e del fare quelle cose che imitano lo schema di vita di Gesù. La riflessione ancor prima di esaminare il nostro servizio vuole richiamare la nostra vita e radicarla maggiormente in Cristo: rimanere in Lui è vivere nella fede in Lui.


I Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guida i nostri atti secondo la tua volontà,
perché nel nome del tuo diletto Figlio
portiamo frutti generosi di opere buone.
Per il nostro Signore...




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