a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 8/2018)
ANNO B – 12 agosto 2018
XIX Domenica del Tempo ordinario
1Re 19,4-8
Ef 4,30-5,2
Gv 6,41-51
(Visualizza i brani delle Letture)
XIX Domenica del Tempo ordinario
1Re 19,4-8
Ef 4,30-5,2
Gv 6,41-51
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ALZATI E MANGIA!
È uno sport nel quale ci sono moltissimi campioni olimpici: quello della mormorazione. Lo praticano in tanti perché è facile pensare male... Anche san Paolo deve ammonire i cristiani di Efeso di guardarsi dalla mormorazione: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità». Anche il Vangelo ne parla: «e si misero a mormorare contro Gesù».
"Mormorare" è il verbo della ribellione, il verbo del deserto: Dio aveva dato al popolo di Israele la manna dal cielo, ma loro continuavano a lamentarsi e a ribellarsi. "Mormorare" è anche verbo dell'incredulità. Quando devi fidarti ciecamente, perché non vedi e non senti, è assai facile mormorare...
È una mormorazione anche il lamento di Elia: è costretto a ripararsi nel deserto per aver salva la vita (era ricercato dalla regina Gezabele). E ora dispera della propria vita e vuole morire. Ed ecco il suo lamento nel deserto: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Il lamento si è mutato in disperazione talmente profonda da desiderare la morte, tanta è la depressione che ha invaso il suo cuore. È fuggito per aver salva la vita, e ora vuole morire. Il cielo sembra chiuso al suo lamento.
L'angelo del Signore, però, non esaudisce quel desiderio di morte, ma piuttosto quello di vita: «Alzati e mangia! Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua». Se c'è un angelo, significa che il cielo non è chiuso, perché qualcuno è sceso per soccorrerlo: «Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Elia si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti...
Il cielo, dunque, non era chiuso. L'ostilità degli altri, la fatica della lotta avevano generato in Elia paura e sconforto. Sono le paure che tolgono forza alla vita, che ci inaridiscono il cuore, fino alla depressione. Il segno che il cielo non è chiuso non è l'assenza della fatica, delle avversità, della sofferenza... ma è la voglia di vivere che riprende vigore, è la forza che sente dentro grazie al pane di vita che è venuto dal cielo.
Dio non ci solleva per portarci alla meta senza sforzo. Piuttosto lui si abbassa e viene verso di noi. È lui che scende nella nostra povertà, nella nostra ordinarietà. E anche negli abissi della nostra disperazione o depressione.
Questa discesa dal cielo è motivo di incomprensione tra Gesù e i giudei. Questo Gesù di Nazaret ha moltiplicato i pani... e ora è finito lo spettacolo? Anche lui, allora, è umano come noi! Infatti, conosciamo suo padre e sua madre. Come dunque può dire: Sono disceso dal cielo? Se uno discende dal cielo, risolve tutti i problemi! L'attesa pagana nei confronti di Dio è ben espressa dal deus ex machina che, nelle tragedie greche, scendeva dall'alto per risolvere magicamente i problemi.
Gesù è il pane vivo, disceso dal cielo, ma in un senso diametralmente opposto. Scende nel senso che si spoglia, si fa carne, e viene come pane per darci da dentro la forza di continuare il cammino della vita. È il pane umile dell'eucaristia. Si fa pane, non per toglierti la fatica nel cammino, ma per restituirti - da dentro - la voglia di vivere, la forza di camminare. Come a Elia.
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