a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 7/2018)
ANNO B – 29 luglio 2018
XVII Domenica del Tempo ordinario
2Re 4,42-44
Ef 4,1-6
Gv 6,1-15
(Visualizza i brani delle Letture)
XVII Domenica del Tempo ordinario
2Re 4,42-44
Ef 4,1-6
Gv 6,1-15
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ANDARE A MESSA E DIMENTICARE DIO
Un grande successo: cinque mila uomini vengono nutriti con cinque pani d'orzo e due pesci. E vengono nutriti in un banchetto che è immagine di quello promesso da Dio per mezzo dei profeti. È il banchetto della Pasqua, celebrato dagli uomini liberati da qualsiasi asservimento e schiavitù. Eppure questo successo è, in realtà, un grande fallimento. E Gesù ne è consapevole.
Un fallimento, perché questa folla segue Gesù solo «perché vedeva i segni che compiva sugli infermi», cioè perché vede un Dio che risolve i problemi, che può essere un tappabuchi delle umane difficoltà. Un fallimento, perché la gente «visto il segno che egli aveva compiuto» prende una decisione: vuole impossessarsi di Gesù, "catturarlo", farlo re. La folla lo interpreta secondo i propri desideri: vuole impadronirsi di lui e renderlo un oggetto, un idolo. La gente vuole un messia con un programma mondano, vuole un Dio a propria disposizione che risolva i problemi.
L'esito di questo fallimento causato dal successo è il ritiro di Gesù: sul monte, solo. Sa che la gente non ha capito. Sa che i suoi non hanno capito. Noi con bella ingenuità pensiamo di avere fede. Abbiamo fede o siamo soltanto religiosi? Cioè, ascoltiamo la parola di Gesù e ci fidiamo di essa, oppure cerchiamo segni per credere e vogliamo un Dio tappabuchi? È facile essere religiosi, in cerca di un Dio che si impone e si fa valere, di un Dio che risolva i problemi. È facile andare di santuario in santuario a riscuotere grazie .. ma ascoltare la parola di Dio? Fidarsi di una promessa?
La domanda è decisiva, perché in questo segno il centro non sta nella capacità magica di Gesù. La narrazione si snoda, infatti, attraverso la prova a cui Gesù sottopone i suoi, proprio come aveva fatto Dio nel deserto quando diede la manna. La risposta di Filippo a questa prova è scoraggiante: pensa solo in termini economici. La proposta di Andrea va su una linea differente: lui guarda cosa c'è a disposizione ed è disponibile a metterlo in gioco. Anche lui, però, si arena nella paura dell'insufficienza: «Ma che cos'è questo per tanta gente?». I discepoli non superano quindi la prova.
Il gesto che Gesù compie è segno della misericordia di Dio che accoglie senza condizioni e promuove la libertà delle persone. È segno della nuova logica di condivisione che i discepoli debbono apprendere. E Gesù di nuovo la insegna ai discepoli.
Nella vita cristiana si ha sempre poco davanti al bisogno: la catechesi è sempre insufficiente, rispetto alle domande di vita degli adulti; la parrocchia ha sempre poche forze per la pastorale giovanile; la comunità è sempre insufficiente rispetto ai bisogni del territorio a cui rivolgere il Vangelo. La risposta non sta nella ricerca di mezzi più potenti. Sta nello stile. Senza condivisione nessun mezzo, per quanto forte, evangelizza. È una Chiesa che condivide ciò di cui c'è bisogno, non una Chiesa che eroghi servizi o risolva problemi.
È vero quindi: possiamo andare a messa e dimenticare Dio! O di celebrare una finta immagine di Gesù, quella del mio desiderio; di partecipare al rito e promuovere una falsa identità di Chiesa. La Chiesa, quella di Gesù, accetta la solitudine, il suo essere in minoranza. A questa Chiesa basta promuovere la libertà delle persone e farlo gratuitamente.
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