a cura di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio"
Comunità di preti della diocesi di Modena-Nonantola
Vita Pastorale (n. 4/2018)
ANNO B – 29 aprile 2018
V Domenica di Pasqua
At 9,26-31
1Gv 3,18-24
Gv 15,1-8
(Visualizza i brani delle Letture)
V Domenica di Pasqua
At 9,26-31
1Gv 3,18-24
Gv 15,1-8
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LA VITE, LA PROVA E I FRUTTI
Gesù è la vera vite, il Padre è l'agricoltore, noi siamo i tralci. Si tratta di un'immagine molto particolare che ha alcune caratteristiche. Prima di tutto si inserisce in una lunga tradizione, perché più volte nell'Antico Testamento si trova l'immagine della vigna. C'è, però, una differenza nel Vangelo: la vigna non è il popolo, ma Gesù stesso. Gesù è la vigna a cui ciascun tralcio è attaccato, e il Padre è l'agricoltore. La differenza che questa identificazione di Gesù con la vigna porta, consiste nel fatto che l'immagine dice un'identità in relazione.
Gesù (la vite) si definisce in relazione con il Padre (l'agricoltore) e con noi (i tralci). La nostra identità - come quella di ogni uomo - è legata alle relazioni. Nessuno di noi vive da solo e nessuno può farlo. Un filosofo, Leibniz, immaginava l'uomo come una monade, cioè un essere senza porte e senza finestre; e senza capacità di comunicare. Gesù, al contrario, ci dice che la natura dell'uomo è un'identità che si relaziona, che si nutre dei legami e dei rapporti della vita e fa di essi il centro dell'esistenza. Quali sono le nostre relazioni? Come le scegliamo? Come le facciamo crescere?
Gesù continua a sviluppare la sua immagine e sottolinea un secondo aspetto. Noi, i tralci uniti alla vite, siamo già puri per la Parola che abbiamo ricevuto e viviamo l'esperienza della potatura. Il Vangelo mette in evidenza come la potatura sia la condizione indispensabile per la fecondità. L'alternativa è essere ramo secco e per questo essere tagliato via e bruciato. La potatura è quell'azione dolorosa che si fa sulle piante per fare in modo che esse non mettano tutte le energie nel produrre foglie, ma le orientino a produrre frutti. Un'azione molto dolorosa, tanto che quando avviene nella vigna, si dice che essa "piange", perché esce la linfa: vere e proprie gocce.
Vivere come tralci uniti alla vite vuol dire sapere riconoscere come le potature siano quelle esperienze di fatica, di umiliazione, di insuccesso, di delusione... non tanto mandate da Dio, bensì che ci permettono di orientarci più decisamente verso di lui. Non è il Signore che manda le potature, ma esse possono essere delle opportunità per liberarci da ciò che non ci aiuta a orientarci verso di lui, portando maggior frutto. Come viviamo la fatica' l'umiliazione, l'insuccesso, la delusione?
I frutti non hanno tanto la caratteristica di essere dei prodotti, ma sono un dono inaspettato. Il frutto, infatti, non è qualcosa di calcolabile e prevedibile, ma è qualcosa per cui si è grati, perché non è completamente prevedibile. Ecco allora che il Vangelo sottolinea: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Il frutto non è una cosa, un prodotto, un numero... ma è semplicemente l'essere discepoli del Signore. Si tratta di fare una rivoluzione nel considerare e valutare i nostri cammini. La vera domanda è: siamo discepoli del Signore, mentre viviamo quell'esperienza, quell'attività, quella scelta? L'immagine della vigna ci ricorda come il Signore si ponga costantemente in relazione con noi e ci chieda di fare altrettanto, di sentirci tralci uniti a lui, che è la vite, per portare frutto, cioè per vivere da suoi discepoli.
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