Il diaconato in Italia n° 200
(settembre/ottobre 2016)
MEMORIA
Sfogliando e rileggendo i 200 numeri della Rivista
di Enzo Petrolino
Sfogliando e rileggendo i duecento numeri della Rivista si può cogliere - anche se in modo sintetico ma significativo - come la Comunità del diaconato in Italia abbia percorso il suo cammino di riflessione teologia e pastorale, attraverso la Rivista Il diaconato in Italia, tenendo conto di quanto la Chiesa italiana ha proposto ed offerto con gli orientamenti decennali alle nostre chiese locali.
Roma, Loreto, Palermo, Verona, Firenze: i cinque convegni della Chiesa italiana sono da considerarsi come momenti emergenti della ricezione del Concilio Vaticano II nel nostro Paese. Cinque convegni, cinque piani pastorali che hanno segnato il cammino delle nostre comunità nei decenni trascorsi dall'evento conciliare: «Evangelizzazione e sacramenti» (anni '70), «Comunione e comunità» (anni '80), «Evangelizzazione e testimonianza della carità» (anni '90), «Comunicare il vangelo in un mondo che cambia» (2000), e per il prossimo decennio «Educare alla vita buona del vangelo» (2010).
Come è stato più volte osservato, senza le aperture e gli orientamenti del Concilio queste manifestazioni, che costituiscono l'originale "via" italiana, non avrebbero avuto luogo. Si sa che la ricezione dei concili, in particolare di un concilio di transizione e di natura pastorale come è stato il Vaticano II, è sempre lenta e difficoltosa. Non poche resistenze, almeno nel percorso posto in atto dai primi due convegni, forse sopravvivono ancora. Luci ed ombre hanno quindi accompagnato il cammino ultracinquantennale della comunità cristiana nell'Italia del post-concilio, un percorso che ha evidenziato alcune questioni fondamentali, ancora oggi presenti, come quello di concentrare la pastorale sulla pratica sacramentale-liturgica [1].
Sulla scorta di tali acquisizioni, cominciava dunque un cammino difficile che si è via via andato qualificando anzitutto come un impegno di prima evangelizzazione [2]. Il primo documento della CEI, pubblicato nel 1973 col titolo Evangelizzazione e sacramenti, con insistenza ribadiva «il necessario primato dell'evangelizzazione». Si imponeva un chiaro cambiamento. Non si poteva più continuare come nel tempo in cui la fede era anche un fatto sociologico e si trasmetteva quasi automaticamente di generazione in generazione. La Chiesa italiana si interrogava sulle nuove esigenze dell'evangelizzazione nel mondo del lavoro, della cultura, della liturgia, dell'emarginazione, della famiglia, della presenza e del ruolo della donna, dell'impegno politico... con un costante riferimento al problema della promozione umana. Evangelizzazione "e" promozione umana: le due azioni andavano viste nella loro continuità e connessione interna. Più volte si sottolineava la forza di quell'«e» che legava strettamente insieme i due campi di azione, di annuncio e testimonianza di una fede incarnata nella storia. La promozione umana fu presentata decisamente come parte integrante dell'evangelizzazione, secondo una dizione già in voga allora e che troverà sempre più ampie conferme nel futuro; Giovanni Paolo II arriverà a parlare più precisamente di "parte essenziale" della missione ecclesiale.
Al di là della terminologia, si prendeva decisamente atto che non si trattava di attività senza rapporto fra loro, ma di dimensioni complementari dell'unico annuncio di salvezza. L'accentuazione dell'impegno storico si inseriva in quel vasto movimento di pensiero e di azione che, a partire dall'inizio degli anni '70, accoglieva sensibilmente le teologie della speranza "politica" e della liberazione che, provenienti da parti diverse, convergevano tutte nell'affermazione della necessità di coniugare insieme la fede e l'impegn o nella storia. Il mondo non è soltanto da contemplare, ma da trasformare nella fedeltà a Dio e all'uomo.
È del dicembre del '71 il documento fondamentale della reintroduzione del diaconato nella Chiesa italiana, La restaurazione del diaconato permanente in Italia. Il diaconato, in esso, è visto come il dono di una «grazia sacramentale» destinata a rendere «più profonda la comunione ecclesiale», a «ravvivare l'impegno missionario», a promuovere «il senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio», ad «accentuare la dimensione comunitaria e missionaria della Chiesa e della pastorale», col fine di «una più diffusa evangelizzazione», per «la salvezza dell'umanità» (cf. artt. 6, 8, 9, 16). Secondo l'indirizzo dell'episcopato, il diacono deve promuovere una «presenza pastorale capillare» (art. 16) e diventare l'animatore di «comunità minori», viste soprattutto come articolazioni delle parrocchie (art. 19).
Molti ed interessanti erano i temi che avevano in questo ministero il loro punto focale: con un'espressione che li racchiude sinteticamente, c'era da stabilire e ripensare da una parte l'impegno dei diaconi intesi come parte determinante dell'azione della Chiesa, e dall'altra le modalità per ravvivare l'impegno missionario delle comunità. La Rivista a riguardo dedica interamente due numeri [3], mentre in un altro [4] si riportavano tutti i documenti sul diaconato che erano stati pubblicati fino a quell'anno (1972). Se la scelta dei poveri rimaneva prioritaria nell'agenda della comunità cristiana, per quanto concerneva più a fondo la funzione della Chiesa si prendeva gradualmente sempre maggiore coscienza della sua missione salvifica. «Servire l'umanità è la ragione stessa dell'essere Chiesa», affermava p. Sorge in quella che è stata chiamata ufficialmente la "sintesi dei lavori del primo convegno di Roma del 1976", ma che in realtà fu forse il momento culminante e decisivo del convegno stesso. Un cammino aperto su un presente da conoscere e migliorare e affacciato su un futuro da costruire secondo orientamenti nuovi e coerenti.
Gli anni '90 si aprono con la pubblicazione di un documento dedicato a Evangelizzazione e testimonianza della carità (ETC). Ancora il tema dell'evangelizzazione in evidenza, come un grande contenitore che racchiude l'intera ricezione conciliare da parte della Chiesa italiana. Ma l'attenzione si concentra ora sempre di più sulla "testimonianza", la via maestra per rendere visibile ed efficace l'opera di annuncio e di catechesi (cf. n. 10; 24). Ma veniamo al diaconato. Nel documento ETC veniva dichiarato esplicitamente che i vescovi intendevano offrire per gli anni a venire speciale attenzione ai diaconi, «segno della Chiesa che serve in mezzo ai fratelli» (n. 26). Non solo, ma in Orientamenti e Norme (ON) veniva affidato loro un particolare servizio per l'«educazione dei giovani al vangelo della carità» (n. 40) , consegna - a mio avviso - in parte disattesa che richiamava direttamente la necessità di un agire, valorizzando gli ambienti educativi ed i luoghi dove i giovani vivono, operano, crescono e si incontrano.
Oltre che ispirato ed evangelicamente sapiente questo richiamo dei vescovi, andava qualificato con competenza, per la quale spesso non basta la semplice "buona volontà" del singolo ministro, ma necessita dell'impegno della comunità diocesana di «formare i formatori» [5] - un intervento di "investimento" a lungo termine – per i nuovi tempi e le nuove esigenze che i diaconi si trovano a dover affrontare per poter puntare su proposte essenziali e forti. La questione della corrispondenza tra ministero e testimonianza [6] ripropone quindi il tema antico - drammatico ed irrisolto - della formazione dei candidati e dei diaconi già ordinati. Formare alla vita unitiva con Cristo servo non è affare da poco e, soprattutto, non consiste in un indottrinamento sterile, ma in un serio itinerario formativo, capace di un discernimento spirituale che permette di orientarsi nel ministero diaconale secondo criteri omogenei e scelte unitarie. Discernimento e formazione [7] sono stati i due aspetti che la Comunità attraverso la Rivista ed i Convegni ha sempre privilegiato. Il tema del Discernimento e il suo approfondimento hanno caratterizzato e scandito tutto il '98 culminando poi nel Convegno Nazionale. Proprio in questo contesto è stato pubblicato il numero monografico Discernere oggi. «Il testo, che vuole essere - come si legge nella prefazione - un servizio a quanti sono interessati alla diaconia ministeriale nella nostra Chiesa, è nato da una esigenza avvertita dal basso, e da una precisa richiesta dei diaconi italiani e della maggioranza dei delegati, i quali hanno individuato tema e ambito di una specifica ricerca sul discernimento. Tale ricerca doveva rispondere non solo alle esigenze emergenti dalla ordinaria pratica pastorale, ma anche al problema aperto di una formazione permanente dei ministri ordinati, presbiteri e diaconi, più proficua e funzionale. Già nel '93, con molta chiarezza, nel documento Orientamenti e Norme i vescovi italiani affermano che «la vocazione al diaconato non è semplice momento organizzativo dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell'intera comunità» (n. 11). Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita pastorale della chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all'origine della chiamata ed è lui che dispone ogni itinerario ministeriale.
Non può passare sotto silenzio che dai luoghi preposti alla formazione, con le prevedibili eccezioni, oggi sta venendo fuori una generazione di diaconi poco plasmati dal primato della Parola [8], intenti a favorire pratiche devote, aggrappati a rassicuranti strettoie liturgiche, orientati verso un impegno pastorale ripetitivo, formale, attenti a sopravvivere nel "già si è visto". Questa visione di professionalizzazione, poco ecclesiale e affatto testimoniale, e in ogni caso poco attenta alla complessità della vita, ha incoraggiato in questi anni il ruolo clericale, accentuando l'aspetto cultuale e formale di chi si appaga di officiare in abiti sacri nelle cerimonie solenni con il vescovo, oppure enfatizzando l'aspetto intimistico svincolato da ogni riferimento alla Parola e alla vita. Insomma, si privilegia l'apparire, il riuscire, il presenzialismo che esalta le molteplici incombenze esteriori, rinchiudendo tutta la prassi pastorale in consuetudini abitudinarie o nell'andazzo di una pastorale di conservazione, piuttosto che in un vero e paziente servizio ministeriale kerygmatico e missionario.
Una Chiesa serva e povera
Sicuramente un tratto che ha contraddistinto la Rivista è l'aver trasversalmente approfondito, riportando anche tante esperienze e testimonianze, il ministero diaconale in rapporto ad una chiesa serva e povera, perciò ministeriale e missionaria [9]. Pertanto, «la scelta conciliare dei poveri» ha sollecitato i diaconi ad una vera e propria conversione di pensieri e di atteggiamenti [10]. Gli ultimi dati ci dicono che in Italia ci sono più di otto milioni di persone sulla soglia della povertà. Tre milioni non hanno nulla. Tali disagi hanno investito anche i diaconi, soprattutto quelli che svolgono il loro servizio a tempo pieno o sono in pensione. Ma dentro il grande contenitore di una crisi che sappiamo generalizzata, esistono situazioni differenti di sofferenza e livelli diversi di disagio. «Povertà, disoccupazione, emigrazione: La povertà - scrive l'episcopato - è un fenomeno generale complesso e multidimensionale, che tocca aree dell'intero Paese. I dati negativi si concentrano però nelle regioni del Mezzogiorno, caratterizzate dalla presenza di molte famiglie monoreddito, con un alto numero di componenti a carico, con scarse relazioni sociali ed elevati tassi di disoccupazione. Questa situazione è favorita dalla bassa crescita economica e da una stagnante domanda di lavoro, che a loro volta provocano nuove povertà e accentuano il disagio sociale» (Il mezzogiorno alle prese con vecchie e nuove emergenze, 10).
In un passaggio del messaggio che i partecipanti al IV Convegno ecclesiale di Verona hanno consegnato alle chiese particolari a conclusione dei lavori, si parlava della priorità della«solidarietà che si china sul povero e sull'ammalato come espressione di fraternità». Se di fatto al Convegno non si è parlato esplicitamente di diaconato, credo che in questo brano del messaggio conclusivo si possano trovare molti elementi che potevano aprire una prospettiva per il diaconato nella Chiesa.
Un numero della Rivista [11] porta proprio il titolo "Un impegno dal Convegno di Verona: ridare speranza ad ogni fragilità". Nell'ambito del Convegno, infatti, sono state proposte alcune specifiche linee-guida lungo le quali il diaconato poteva muoversi ed operare, rivelandosi tra la gente quale autentico «ministero di umanità e di condivisione». Tra queste linee, al primo posto si poneva: il recupero, nella prassi ordinaria (non solo comunitaria), del primato dell'ascolto della Parola di Dio, della preghiera, della comunione alla mensa eucaristica, della spiritualità alimentata dallo studio, dalla vita sacramentale, dal discernimento comunitario e, subito dopo, l'invito esplicito rivolto alle comunità ecclesiali di dare accoglienza ed assicurare al diaconato lo spazio che gli spetta, per contribuire al riconoscimento del valore e dello straordinario rilievo di questo ministero proprio "per il" e "nel" servizio alle persone fragili. Una sfida quella della fragilità che porta i diaconi ad essere presenti, nella comunità e nei luoghi d'incontro della gente e con la gente.
Educare alla vita buona del vangelo è lo specifico impegno della Chiesa italiana per il decennio che sta per concludersi. Fiducia e speranza, dunque, si richiamano reciprocamente e sono il segnale identificativo di un rapporto educativo efficace e vibrante di umanità. L'identità della persona si costruisce lungo il corso della vita, nelle varie esperienze - gioie e speranze, tristezze, angosce, fatiche e dolori - che nei vari ambienti ciascuno quotidianamente vive e sperimenta. I diaconi, educati nella luce del Vangelo ed insieme educatori ai valori evangelici, sono chiamati a prendersi cura dell'interezza della persona, nei vari momenti - anche contraddittori o comunque drammatici - della sua esistenza: non può, l'educare, dimenticare la vulnerabilità che accompagna le diverse tappe del vivere, del nascere come del morire, anche metaforicamente intesi. Un'educazione e un impegno dei diaconi che rimuovesse questa dimensione costitutiva della vita, rischierebbe di mantenere, nonostante le buone intenzioni, persone fragili di fronte al dolore ed incapaci di "com-passione". Dentro una "pastorale diaconale", questa attenzione ai momenti fragili della vita, e alla fragilità delle persone che ne sono coinvolte, non può mancare.
Il Convegno ecclesiale di Firenze ha rappresentato un passaggio importante per la vita della Chiesa italiana. Ma è ancor più importante, in un certo senso, che ci sia un "dopo Firenze". Una delle cinque vie del Convegno di Firenze era proprio coniugata con il verbo "uscire". Solo nella sintesi di questo ambito si è parlato di diaconato (assente ogni riferimento nelle altre quattro vie: annunciare, abitare, educare e trasfigurare), in quanto durante i lavori di gruppo ho voluto espressamente che si facesse riferimento ai diaconi.
La «umanità in uscita», che scopre nel rapporto credente con Gesù Cristo la sua sorgente e il suo modello, non è una realtà senza luogo; piuttosto, essa trova il suo luogo visibile e sperimentabile nel vissuto delle comunità ecclesiali. Ciò si riscontra particolarmente in alcuni tratti di questo vissuto. Un vissuto nel quale si deve innestare il servizio diaconale. Un rilievo del tutto particolare è stato riconosciuto alla cura nei confronti delle persone segnate da diverse forme di emarginazione e da ferite provocate da sofferenze o situazioni della vita. A questo livello, è emersa come questa ben visibile «costellazione di espressioni di carità» che connotano la pratica quotidiana della Chiesa, deve essere arricchita anche dal recupero conciliare del diaconato permanente, soprattutto per quei luoghi significativi dell'umanità in uscita dove bisogna porre in atto gesti e segni di accoglienza alle persone provenienti da inedite frontiere di dramma, come quella dell'esodo di popoli. L'arrivo di queste persone, fisicamente e forzatamente «in uscita» dalle loro terre, mette alla prova la nostra autentica disponibilità a non trasformare il riferimento alla via dell'uscire in un puro esercizio retorico, in quanto ci spinge a passare da progetti puramente assistenziali a progetti di «inclusione e integrazione sociale e comunitaria».
Il coraggio della speranza
Due coordinate hanno orientano in questi anni la pastorale della Chiesa e la ministerialità diaconale. L'appello conclusivo dei vescovi italiani nel documento Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno, a vent'anni dalla pubblicazione del documento Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno afferma che «Bisogna osare il coraggio della speranza! Vorremmo congedarci da voi incoraggiandovi a uno a uno, carissimi, con le stesse esortazioni della Scrittura. Anzitutto scriviamo a voi, sacerdoti [...]. A voi associamo nel nostro ricordo e nella nostra preghiera quanti faticano a servizio del santo Vangelo e dei poveri, cominciando dai diaconi, eletti dispensatori della carità» [12]. Tra le molteplici e interessanti tematiche del documento, ci sono due aspetti che riaffermano il ruolo ed il servizio che i diaconi sono chiamati a realizzare nella Chiesa. Un ministero che riassume in sé l'infaticabile passione per il Vangelo e per i poveri da un lato, e dall'altro la convergenza tra «comunione» e «diaconia»: in una parola, la condivisione ecclesiale del servizio e l'amore spirituale e concreto del prossimo, nello sviluppo di una dimensione comunionale che vada oltre la singola comunità per farsi «scambio tra singoli fedeli, comunità e Chiese sorelle», perché proprio «a partire dalla comunione di fede e di preghiera, potrà realizzarsi anche in Italia un mutuo scambio di sacerdoti, di diaconi permanenti e di laici qualificati che, spinti dalla carità, guardano oltre il proprio campanile e si prendono a cuore le sorti di chi è lontano» (Condivisione ecclesiale, 15).
Non so se si è riusciti a cogliere il rapporto di reciprocità e lo stretto legame esistente tra il ruolo del diaconato e la missione globale Chiesa, tra il modello di diaconato da perseguire e il modello di Chiesa cui tendere. Sicuramente questo legame mette in risalto non solo che la presenza del diaconato può favorire un cammino ecclesiale più vivace e fecondo, ma anche un percorso inverso, cioè che «il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministro ordinato sia chiamato ad animare e a guidare - non a sostituire - la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio» [13], generando, quindi, comunione, sia con Dio sia tra la gente. Ed i diaconi sono chiamati a vivere in simbiosi con la gente, con la loro casa fra le case, con la vicinanza agli avvenimenti familiari lieti e tristi, con la disponibilità all'ascolto e all'accoglienza soprattutto delle persone in difficoltà, con la disponibilità a passare per le case. Capire, cioè, se attraverso l'agire diaconale è maturata nelle comunità una "coscienza diaconale", ovvero la consapevolezza della comunionalità che si traduce nella partecipazione e nella corresponsabilità a tutti i livelli e nelle sue diverse forme.
Certamente una manifestazione visibile e concreta della Chiesa come comunionalità - la più alta e autentica - è la celebrazione eucaristica. Lì la Chiesa viene compresa (o almeno così dovrebbe essere, ma non è sempre scontato) non come privilegio né come potere, ma come una sfida e un compito. È una sfida ad essere sacramento di comunione nel nostro mondo così frammentato e diviso.
Tutti siamo chiamati al servizio nella comunione, perché è nella fraterna koinonìa che si apprende e si esercita la diakonìa cristiana. Su questa frontiera difficile ma ineludibile si consuma, per i diaconi, la sfida della missione: per servire il Vangelo e i poveri, essi devono «uscire dal tempio» e diventare uomini della strada che vanno da Gerusalemme a Gerico, ovvero da Gerusalemme ad Emmaus, per farsi buon Samaritano, compagni di viaggio di chi è tormentato dal dubbio, dall'insicurezza del futuro, dalla difficoltà a trovare lavoro, dalla paura di perderlo e di non poter provvedere alla propria famiglia, dall'arroganza della minaccia mafiosa di fronte alla quale si resta il più delle volte soli... dai molti interrogativi riguardanti la verità di Dio operante nella storia dell'uomo attraverso segni visibili e scelte concrete, e il senso di un presente da migliorare e di un futuro da progettare e costruire insieme.
È questa una forte provocazione che spesso è stata oggetto di diversi interventi sulla Rivista [14], in particolare l'aver riportato quanto era emerso nel Convegno promosso dalla CEI su "Diaconato - Eucaristia - Carità" [15]. E proprio questo trinomio, doveva collocare i diaconi nel loro giusto contesto ecclesiale e ministeriale, per rendere visibile lo stretto legame della mensa del corpo di Cristo alla mensa dei poveri, e dell' eucaristia alla carità. Di fatto si trattava di una sfida profonda e radicale segnata dai mutamenti storici della società del nostro tempo e dalla realtà ecclesiale che doveva spingere e convincere a maturare un profilo diaconale per certi versi nuovo, per scoprire e mettere in atto le potenzialità di servizio richieste da un tessuto sociale.
«Che cosa è cambiato in venti anni: Profondi cambiamenti hanno segnato in questi ultimi venti anni il quadro generale internazionale, nazionale e anche quello del Mezzogiorno. È cambiato il rapporto con le sponde orientali e meridionali del Mediterraneo. La massiccia immigrazione dall'Europa dell'Est, dall'Africa e dall'Asia ha reso urgenti nuove forme di solidarietà. Molto spesso proprio il Sud è il primo approdo della speranza per migliaia di immigrati e costituisce il laboratorio ecclesiale in cui si tenta, dopo aver assicurato accoglienza, soccorso e ospitalità, un discernimento cristiano, un percorso di giustizia e promozione umana e un incontro con le religioni professate dagli immigrati e dai profughi» (Il mezzogiorno alle prese con vecchie e nuove emergenze, 4). È innegabile che per il suo essere "nel mondo", impegnato su fronti difficili e chiamato a difendere il valore della persona "in situazione", il diacono vive le tensioni di un continuo confronto con i conflitti inevitabili nel progredire della storia. Per lui, come per altri, c'è il rischio di inasprirsi in essi, allentando talvolta i legami della speranza e sperimentando anche il disagio - tutto umano - della solitudine.
Un aspetto dove la Comunità ha cercato di trovare forme nuove per il ministero diaconale è stato quello della famiglia. Nel 1981 Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Familiaris Consortio (n. 73), indicava nei diaconi, dopo i presbiteri, i più vicini collaboratori dei vescovi nella pastorale familiare, aggiungendo che il «sacerdote, come il diacono, deve comportarsi costantemente, nei riguardi delle famiglie coe padre, fratello, pastore e maestro». Le Premesse alla I edizione italiana (1979) del Rituale su l'Ordinazione dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi, delineavano con chiarezza e profondità questo aspetto ministeriale dei diaconi che, a motivo della comune chiamata al servizio, sono speciale espressione di tale vocazione, come ministri della carità, come segno della dimensione domestica della chiesa (espressione che è scomparsa nella II edizione del 1992) e testimoni e promotori del «senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio».
Proprio l'anno scorso sulla spinta del Sinodo sulla Famiglia si è tenuto il Convegno a Campobasso che ha avuto per tema "La famiglia del diacono scuola di umanità" [16]. È emersa la necessità di far crescere sempre di più delle coppie diaconali, che ispirandosi alla fede e alla volontà di vivere seguendo Cristo, possono lavorare per i bisognosi, i poveri, con coloro che non hanno nulla, i bambini senza aiuto, le famigli in difficoltà (economiche e spirituali). È emerso, ancora una volta, che in questo servizio riveste un ruolo importante quello della sposa del diacono, con la sua presenza discreta e fattiva. Aver privilegiato in questi anni ai nostri Convegni nazionali e interregionali incontri ad hoc per le spose ed aver ospitato sulla Rivista molteplici interventi e testimonianze di spose ha messo in luce l'importanza essenziale da dare ai sentimenti e alle attese della moglie e della famiglia.
Negli anni '90 molti numeri della Rivista hanno trattato del rapporto ecumenismo-diaconato, ovvero come il diacono può essere segno efficace di ecumenismo [17]. Come affermano i Padri conciliari «il ristabilimento dell'unità da promuoversi fra tutti i Cristiani, è uno dei principali intenti del Sacro Concilio Ecumenico Vaticano Secondo» (Unitatis redintegratio = UR 1). Queste parole che il Vaticano II ci ha lasciato nel Decreto sull'ecumenismo UR segnano una svolta decisiva per l'impegno ecumenico ed il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani. Nella missione del diacono nella chiesa la speranza ecumenica conciliare di questo ministero schiude in maniera profetica una visione nuova della realtà ecclesiale concreta.
Un servizio per l'ecumenismo, quello del diacono, forse meno tangibile e gratificante di altri uffici, ma certamente non meno coinvolgente del ministero nella triplice dimensione della Parola, dell'Altare e del Povero. Un servizio rivolto alla causa dell'unità dei Cristiani, una causa che trova particolare accoglienza presso il Padre, perché costituisce il «cuore» della preghiera di Gesù nella notte in cui fu tradito (Gv 17, 20-23) e che al tempo stesso interessa il mondo intero, desideroso di unità, pace, giustizia e salvezza. Ed in questa realtà la Chiesa è chiamata ad essere segno e strumento di unità, di speranza e di salvezza (LG 9, 48). Il primato del «servizio» in ogni vocazione ministeriale assume nel diaconato una preziosa e severa valenza ecumenica; una valenza che diventa proposta, richiamo, impegno e speranza nel cammino dell'ecumenismo.
Dunque, anche in mezzo alle innumerevoli difficoltà e contraddizioni che interpellano i diaconi e sfidano il loro servizio a Dio e all'uomo, l'ultima parola la speranza sarebbe infatti un diaconato che viene meno a uno dei suoi doveri fondamentali. C'è una dimensione, della teologia della speranza, basata soprattutto sugli insegnamenti del Concilio Vaticano II, quella della storicità. E la Comunità in questi cinquantenni post-conciliari ha cercato di dare il suo piccolo contributo anche attraverso la Rivista Il diaconato in Italia ed i Convegni di studio promossi a livello diocesano, regionale e nazionale, che con tante difficoltà e gli scarsi abbonamenti, cerca di portare avanti per contribuire a dare un sostegno alla formazione dei candidati e dei diaconi.
In questo la Comunità ha ancora un suo ruolo di informazione e di indirizzo. Di fatto, in Italia, la Rivista è oggi l'unico punto di riferimento per l'informazione circa lo sviluppo del diaconato nelle nostre diocesi e nel mondo. Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita pastorale della Chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all'origine della chiamata ed è lui che dispone ogni itinerario ministeriale.
Note:
[1] Cf. E. Petrolino, Rileggendo il cammino della diaconia liturgica, in Il diaconato in Italia, 164/165, settembre/dicembre 2010, p. 24.
[2] Cf. A. Altana, Da dove parte l'evangelizzazione, in Il diaconato in Italia, luglio 1973, n.14. Cf. ancora B. Papa, Il diaconato e l'evangelizzazione, in Il diaconato in Italia, luglio 1985, n. 59.
[3] Cf. Il diaconato in Italia, marzo 1971, n. 10 e febbraio 1972, n. 11.
[4] Cf. Il diaconato in Italia, luglio 1972, n. 12.
[5] Concepire un mondo possibile significa anche concepire delle procedure per operare su di esse, cf. ]. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 2000, p. 131.
[6] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 1975: "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri".
[7] In questo percorso si è collocato il Seminario di studio su "La formazione dei diaconi permanenti", un tema di particolare interesse sollecitato dai delegati diocesani presenti al Convegno Nazionale di Assisi. Il Seminario che si è tenuto a Roma dal 18 al 19 febbraio 1999, è stato aperto a tutti i delegati vescovili incaricati per il diaconato ed ai responsabili della formazione e ha visto la partecipazione di 36 diocesi e 13 Regioni.
[8] Cf. Il diaconato in Italia, gennaio/febbraio 2006, n. 136.
[9] Cf. A. Altana, Editoriale, in Il diaconato in Italia, dicembre 1987, n. 68/69.
[10] Cf. G. Bellia, Editoriale, Una diaconia ingessata a che serve?, in Il diaconato in Italia, giugno 2000, n. 115.
[11] Cf. Il diaconato in Italia, dicembre 1987, n. 68/69.
[12] CEI, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, (21-02-2010), Invito al coraggio e alla speranza, 20 ...e un appello.
[13] Cf. Orientamenti e Norme. I diaconi permanenti in Italia, n. 9.
[14] Cf. A. Altana, Il diacono nella liturgia eucaristica, in Il diaconato in Italia, giugno 1982, n. 46-47; E. Petrolino, La ministerialità del diacono nel nuovo OMR, in Il diaconato in Italia, marzo/aprile 2005, n. 131.
[15] Editoriale, Il diaconato in Italia, maggio 1984, n. 54/55.
[16] Cf., Atti, La famiglia del diacono scuola di umanità, in Il diaconato In Italia, settembre/dicembre2016, n. 194/195.
[17] Cf. Il diaconato in Italia, aprile 1990, n. 78; luglio, 79; ottobre, 80.
Roma, Loreto, Palermo, Verona, Firenze: i cinque convegni della Chiesa italiana sono da considerarsi come momenti emergenti della ricezione del Concilio Vaticano II nel nostro Paese. Cinque convegni, cinque piani pastorali che hanno segnato il cammino delle nostre comunità nei decenni trascorsi dall'evento conciliare: «Evangelizzazione e sacramenti» (anni '70), «Comunione e comunità» (anni '80), «Evangelizzazione e testimonianza della carità» (anni '90), «Comunicare il vangelo in un mondo che cambia» (2000), e per il prossimo decennio «Educare alla vita buona del vangelo» (2010).
Come è stato più volte osservato, senza le aperture e gli orientamenti del Concilio queste manifestazioni, che costituiscono l'originale "via" italiana, non avrebbero avuto luogo. Si sa che la ricezione dei concili, in particolare di un concilio di transizione e di natura pastorale come è stato il Vaticano II, è sempre lenta e difficoltosa. Non poche resistenze, almeno nel percorso posto in atto dai primi due convegni, forse sopravvivono ancora. Luci ed ombre hanno quindi accompagnato il cammino ultracinquantennale della comunità cristiana nell'Italia del post-concilio, un percorso che ha evidenziato alcune questioni fondamentali, ancora oggi presenti, come quello di concentrare la pastorale sulla pratica sacramentale-liturgica [1].
Sulla scorta di tali acquisizioni, cominciava dunque un cammino difficile che si è via via andato qualificando anzitutto come un impegno di prima evangelizzazione [2]. Il primo documento della CEI, pubblicato nel 1973 col titolo Evangelizzazione e sacramenti, con insistenza ribadiva «il necessario primato dell'evangelizzazione». Si imponeva un chiaro cambiamento. Non si poteva più continuare come nel tempo in cui la fede era anche un fatto sociologico e si trasmetteva quasi automaticamente di generazione in generazione. La Chiesa italiana si interrogava sulle nuove esigenze dell'evangelizzazione nel mondo del lavoro, della cultura, della liturgia, dell'emarginazione, della famiglia, della presenza e del ruolo della donna, dell'impegno politico... con un costante riferimento al problema della promozione umana. Evangelizzazione "e" promozione umana: le due azioni andavano viste nella loro continuità e connessione interna. Più volte si sottolineava la forza di quell'«e» che legava strettamente insieme i due campi di azione, di annuncio e testimonianza di una fede incarnata nella storia. La promozione umana fu presentata decisamente come parte integrante dell'evangelizzazione, secondo una dizione già in voga allora e che troverà sempre più ampie conferme nel futuro; Giovanni Paolo II arriverà a parlare più precisamente di "parte essenziale" della missione ecclesiale.
Al di là della terminologia, si prendeva decisamente atto che non si trattava di attività senza rapporto fra loro, ma di dimensioni complementari dell'unico annuncio di salvezza. L'accentuazione dell'impegno storico si inseriva in quel vasto movimento di pensiero e di azione che, a partire dall'inizio degli anni '70, accoglieva sensibilmente le teologie della speranza "politica" e della liberazione che, provenienti da parti diverse, convergevano tutte nell'affermazione della necessità di coniugare insieme la fede e l'impegn o nella storia. Il mondo non è soltanto da contemplare, ma da trasformare nella fedeltà a Dio e all'uomo.
È del dicembre del '71 il documento fondamentale della reintroduzione del diaconato nella Chiesa italiana, La restaurazione del diaconato permanente in Italia. Il diaconato, in esso, è visto come il dono di una «grazia sacramentale» destinata a rendere «più profonda la comunione ecclesiale», a «ravvivare l'impegno missionario», a promuovere «il senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio», ad «accentuare la dimensione comunitaria e missionaria della Chiesa e della pastorale», col fine di «una più diffusa evangelizzazione», per «la salvezza dell'umanità» (cf. artt. 6, 8, 9, 16). Secondo l'indirizzo dell'episcopato, il diacono deve promuovere una «presenza pastorale capillare» (art. 16) e diventare l'animatore di «comunità minori», viste soprattutto come articolazioni delle parrocchie (art. 19).
Molti ed interessanti erano i temi che avevano in questo ministero il loro punto focale: con un'espressione che li racchiude sinteticamente, c'era da stabilire e ripensare da una parte l'impegno dei diaconi intesi come parte determinante dell'azione della Chiesa, e dall'altra le modalità per ravvivare l'impegno missionario delle comunità. La Rivista a riguardo dedica interamente due numeri [3], mentre in un altro [4] si riportavano tutti i documenti sul diaconato che erano stati pubblicati fino a quell'anno (1972). Se la scelta dei poveri rimaneva prioritaria nell'agenda della comunità cristiana, per quanto concerneva più a fondo la funzione della Chiesa si prendeva gradualmente sempre maggiore coscienza della sua missione salvifica. «Servire l'umanità è la ragione stessa dell'essere Chiesa», affermava p. Sorge in quella che è stata chiamata ufficialmente la "sintesi dei lavori del primo convegno di Roma del 1976", ma che in realtà fu forse il momento culminante e decisivo del convegno stesso. Un cammino aperto su un presente da conoscere e migliorare e affacciato su un futuro da costruire secondo orientamenti nuovi e coerenti.
Gli anni '90 si aprono con la pubblicazione di un documento dedicato a Evangelizzazione e testimonianza della carità (ETC). Ancora il tema dell'evangelizzazione in evidenza, come un grande contenitore che racchiude l'intera ricezione conciliare da parte della Chiesa italiana. Ma l'attenzione si concentra ora sempre di più sulla "testimonianza", la via maestra per rendere visibile ed efficace l'opera di annuncio e di catechesi (cf. n. 10; 24). Ma veniamo al diaconato. Nel documento ETC veniva dichiarato esplicitamente che i vescovi intendevano offrire per gli anni a venire speciale attenzione ai diaconi, «segno della Chiesa che serve in mezzo ai fratelli» (n. 26). Non solo, ma in Orientamenti e Norme (ON) veniva affidato loro un particolare servizio per l'«educazione dei giovani al vangelo della carità» (n. 40) , consegna - a mio avviso - in parte disattesa che richiamava direttamente la necessità di un agire, valorizzando gli ambienti educativi ed i luoghi dove i giovani vivono, operano, crescono e si incontrano.
Oltre che ispirato ed evangelicamente sapiente questo richiamo dei vescovi, andava qualificato con competenza, per la quale spesso non basta la semplice "buona volontà" del singolo ministro, ma necessita dell'impegno della comunità diocesana di «formare i formatori» [5] - un intervento di "investimento" a lungo termine – per i nuovi tempi e le nuove esigenze che i diaconi si trovano a dover affrontare per poter puntare su proposte essenziali e forti. La questione della corrispondenza tra ministero e testimonianza [6] ripropone quindi il tema antico - drammatico ed irrisolto - della formazione dei candidati e dei diaconi già ordinati. Formare alla vita unitiva con Cristo servo non è affare da poco e, soprattutto, non consiste in un indottrinamento sterile, ma in un serio itinerario formativo, capace di un discernimento spirituale che permette di orientarsi nel ministero diaconale secondo criteri omogenei e scelte unitarie. Discernimento e formazione [7] sono stati i due aspetti che la Comunità attraverso la Rivista ed i Convegni ha sempre privilegiato. Il tema del Discernimento e il suo approfondimento hanno caratterizzato e scandito tutto il '98 culminando poi nel Convegno Nazionale. Proprio in questo contesto è stato pubblicato il numero monografico Discernere oggi. «Il testo, che vuole essere - come si legge nella prefazione - un servizio a quanti sono interessati alla diaconia ministeriale nella nostra Chiesa, è nato da una esigenza avvertita dal basso, e da una precisa richiesta dei diaconi italiani e della maggioranza dei delegati, i quali hanno individuato tema e ambito di una specifica ricerca sul discernimento. Tale ricerca doveva rispondere non solo alle esigenze emergenti dalla ordinaria pratica pastorale, ma anche al problema aperto di una formazione permanente dei ministri ordinati, presbiteri e diaconi, più proficua e funzionale. Già nel '93, con molta chiarezza, nel documento Orientamenti e Norme i vescovi italiani affermano che «la vocazione al diaconato non è semplice momento organizzativo dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell'intera comunità» (n. 11). Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita pastorale della chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all'origine della chiamata ed è lui che dispone ogni itinerario ministeriale.
Non può passare sotto silenzio che dai luoghi preposti alla formazione, con le prevedibili eccezioni, oggi sta venendo fuori una generazione di diaconi poco plasmati dal primato della Parola [8], intenti a favorire pratiche devote, aggrappati a rassicuranti strettoie liturgiche, orientati verso un impegno pastorale ripetitivo, formale, attenti a sopravvivere nel "già si è visto". Questa visione di professionalizzazione, poco ecclesiale e affatto testimoniale, e in ogni caso poco attenta alla complessità della vita, ha incoraggiato in questi anni il ruolo clericale, accentuando l'aspetto cultuale e formale di chi si appaga di officiare in abiti sacri nelle cerimonie solenni con il vescovo, oppure enfatizzando l'aspetto intimistico svincolato da ogni riferimento alla Parola e alla vita. Insomma, si privilegia l'apparire, il riuscire, il presenzialismo che esalta le molteplici incombenze esteriori, rinchiudendo tutta la prassi pastorale in consuetudini abitudinarie o nell'andazzo di una pastorale di conservazione, piuttosto che in un vero e paziente servizio ministeriale kerygmatico e missionario.
Una Chiesa serva e povera
Sicuramente un tratto che ha contraddistinto la Rivista è l'aver trasversalmente approfondito, riportando anche tante esperienze e testimonianze, il ministero diaconale in rapporto ad una chiesa serva e povera, perciò ministeriale e missionaria [9]. Pertanto, «la scelta conciliare dei poveri» ha sollecitato i diaconi ad una vera e propria conversione di pensieri e di atteggiamenti [10]. Gli ultimi dati ci dicono che in Italia ci sono più di otto milioni di persone sulla soglia della povertà. Tre milioni non hanno nulla. Tali disagi hanno investito anche i diaconi, soprattutto quelli che svolgono il loro servizio a tempo pieno o sono in pensione. Ma dentro il grande contenitore di una crisi che sappiamo generalizzata, esistono situazioni differenti di sofferenza e livelli diversi di disagio. «Povertà, disoccupazione, emigrazione: La povertà - scrive l'episcopato - è un fenomeno generale complesso e multidimensionale, che tocca aree dell'intero Paese. I dati negativi si concentrano però nelle regioni del Mezzogiorno, caratterizzate dalla presenza di molte famiglie monoreddito, con un alto numero di componenti a carico, con scarse relazioni sociali ed elevati tassi di disoccupazione. Questa situazione è favorita dalla bassa crescita economica e da una stagnante domanda di lavoro, che a loro volta provocano nuove povertà e accentuano il disagio sociale» (Il mezzogiorno alle prese con vecchie e nuove emergenze, 10).
In un passaggio del messaggio che i partecipanti al IV Convegno ecclesiale di Verona hanno consegnato alle chiese particolari a conclusione dei lavori, si parlava della priorità della«solidarietà che si china sul povero e sull'ammalato come espressione di fraternità». Se di fatto al Convegno non si è parlato esplicitamente di diaconato, credo che in questo brano del messaggio conclusivo si possano trovare molti elementi che potevano aprire una prospettiva per il diaconato nella Chiesa.
Un numero della Rivista [11] porta proprio il titolo "Un impegno dal Convegno di Verona: ridare speranza ad ogni fragilità". Nell'ambito del Convegno, infatti, sono state proposte alcune specifiche linee-guida lungo le quali il diaconato poteva muoversi ed operare, rivelandosi tra la gente quale autentico «ministero di umanità e di condivisione». Tra queste linee, al primo posto si poneva: il recupero, nella prassi ordinaria (non solo comunitaria), del primato dell'ascolto della Parola di Dio, della preghiera, della comunione alla mensa eucaristica, della spiritualità alimentata dallo studio, dalla vita sacramentale, dal discernimento comunitario e, subito dopo, l'invito esplicito rivolto alle comunità ecclesiali di dare accoglienza ed assicurare al diaconato lo spazio che gli spetta, per contribuire al riconoscimento del valore e dello straordinario rilievo di questo ministero proprio "per il" e "nel" servizio alle persone fragili. Una sfida quella della fragilità che porta i diaconi ad essere presenti, nella comunità e nei luoghi d'incontro della gente e con la gente.
Educare alla vita buona del vangelo è lo specifico impegno della Chiesa italiana per il decennio che sta per concludersi. Fiducia e speranza, dunque, si richiamano reciprocamente e sono il segnale identificativo di un rapporto educativo efficace e vibrante di umanità. L'identità della persona si costruisce lungo il corso della vita, nelle varie esperienze - gioie e speranze, tristezze, angosce, fatiche e dolori - che nei vari ambienti ciascuno quotidianamente vive e sperimenta. I diaconi, educati nella luce del Vangelo ed insieme educatori ai valori evangelici, sono chiamati a prendersi cura dell'interezza della persona, nei vari momenti - anche contraddittori o comunque drammatici - della sua esistenza: non può, l'educare, dimenticare la vulnerabilità che accompagna le diverse tappe del vivere, del nascere come del morire, anche metaforicamente intesi. Un'educazione e un impegno dei diaconi che rimuovesse questa dimensione costitutiva della vita, rischierebbe di mantenere, nonostante le buone intenzioni, persone fragili di fronte al dolore ed incapaci di "com-passione". Dentro una "pastorale diaconale", questa attenzione ai momenti fragili della vita, e alla fragilità delle persone che ne sono coinvolte, non può mancare.
Il Convegno ecclesiale di Firenze ha rappresentato un passaggio importante per la vita della Chiesa italiana. Ma è ancor più importante, in un certo senso, che ci sia un "dopo Firenze". Una delle cinque vie del Convegno di Firenze era proprio coniugata con il verbo "uscire". Solo nella sintesi di questo ambito si è parlato di diaconato (assente ogni riferimento nelle altre quattro vie: annunciare, abitare, educare e trasfigurare), in quanto durante i lavori di gruppo ho voluto espressamente che si facesse riferimento ai diaconi.
La «umanità in uscita», che scopre nel rapporto credente con Gesù Cristo la sua sorgente e il suo modello, non è una realtà senza luogo; piuttosto, essa trova il suo luogo visibile e sperimentabile nel vissuto delle comunità ecclesiali. Ciò si riscontra particolarmente in alcuni tratti di questo vissuto. Un vissuto nel quale si deve innestare il servizio diaconale. Un rilievo del tutto particolare è stato riconosciuto alla cura nei confronti delle persone segnate da diverse forme di emarginazione e da ferite provocate da sofferenze o situazioni della vita. A questo livello, è emersa come questa ben visibile «costellazione di espressioni di carità» che connotano la pratica quotidiana della Chiesa, deve essere arricchita anche dal recupero conciliare del diaconato permanente, soprattutto per quei luoghi significativi dell'umanità in uscita dove bisogna porre in atto gesti e segni di accoglienza alle persone provenienti da inedite frontiere di dramma, come quella dell'esodo di popoli. L'arrivo di queste persone, fisicamente e forzatamente «in uscita» dalle loro terre, mette alla prova la nostra autentica disponibilità a non trasformare il riferimento alla via dell'uscire in un puro esercizio retorico, in quanto ci spinge a passare da progetti puramente assistenziali a progetti di «inclusione e integrazione sociale e comunitaria».
Il coraggio della speranza
Due coordinate hanno orientano in questi anni la pastorale della Chiesa e la ministerialità diaconale. L'appello conclusivo dei vescovi italiani nel documento Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno, a vent'anni dalla pubblicazione del documento Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno afferma che «Bisogna osare il coraggio della speranza! Vorremmo congedarci da voi incoraggiandovi a uno a uno, carissimi, con le stesse esortazioni della Scrittura. Anzitutto scriviamo a voi, sacerdoti [...]. A voi associamo nel nostro ricordo e nella nostra preghiera quanti faticano a servizio del santo Vangelo e dei poveri, cominciando dai diaconi, eletti dispensatori della carità» [12]. Tra le molteplici e interessanti tematiche del documento, ci sono due aspetti che riaffermano il ruolo ed il servizio che i diaconi sono chiamati a realizzare nella Chiesa. Un ministero che riassume in sé l'infaticabile passione per il Vangelo e per i poveri da un lato, e dall'altro la convergenza tra «comunione» e «diaconia»: in una parola, la condivisione ecclesiale del servizio e l'amore spirituale e concreto del prossimo, nello sviluppo di una dimensione comunionale che vada oltre la singola comunità per farsi «scambio tra singoli fedeli, comunità e Chiese sorelle», perché proprio «a partire dalla comunione di fede e di preghiera, potrà realizzarsi anche in Italia un mutuo scambio di sacerdoti, di diaconi permanenti e di laici qualificati che, spinti dalla carità, guardano oltre il proprio campanile e si prendono a cuore le sorti di chi è lontano» (Condivisione ecclesiale, 15).
Non so se si è riusciti a cogliere il rapporto di reciprocità e lo stretto legame esistente tra il ruolo del diaconato e la missione globale Chiesa, tra il modello di diaconato da perseguire e il modello di Chiesa cui tendere. Sicuramente questo legame mette in risalto non solo che la presenza del diaconato può favorire un cammino ecclesiale più vivace e fecondo, ma anche un percorso inverso, cioè che «il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministro ordinato sia chiamato ad animare e a guidare - non a sostituire - la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio» [13], generando, quindi, comunione, sia con Dio sia tra la gente. Ed i diaconi sono chiamati a vivere in simbiosi con la gente, con la loro casa fra le case, con la vicinanza agli avvenimenti familiari lieti e tristi, con la disponibilità all'ascolto e all'accoglienza soprattutto delle persone in difficoltà, con la disponibilità a passare per le case. Capire, cioè, se attraverso l'agire diaconale è maturata nelle comunità una "coscienza diaconale", ovvero la consapevolezza della comunionalità che si traduce nella partecipazione e nella corresponsabilità a tutti i livelli e nelle sue diverse forme.
Certamente una manifestazione visibile e concreta della Chiesa come comunionalità - la più alta e autentica - è la celebrazione eucaristica. Lì la Chiesa viene compresa (o almeno così dovrebbe essere, ma non è sempre scontato) non come privilegio né come potere, ma come una sfida e un compito. È una sfida ad essere sacramento di comunione nel nostro mondo così frammentato e diviso.
Tutti siamo chiamati al servizio nella comunione, perché è nella fraterna koinonìa che si apprende e si esercita la diakonìa cristiana. Su questa frontiera difficile ma ineludibile si consuma, per i diaconi, la sfida della missione: per servire il Vangelo e i poveri, essi devono «uscire dal tempio» e diventare uomini della strada che vanno da Gerusalemme a Gerico, ovvero da Gerusalemme ad Emmaus, per farsi buon Samaritano, compagni di viaggio di chi è tormentato dal dubbio, dall'insicurezza del futuro, dalla difficoltà a trovare lavoro, dalla paura di perderlo e di non poter provvedere alla propria famiglia, dall'arroganza della minaccia mafiosa di fronte alla quale si resta il più delle volte soli... dai molti interrogativi riguardanti la verità di Dio operante nella storia dell'uomo attraverso segni visibili e scelte concrete, e il senso di un presente da migliorare e di un futuro da progettare e costruire insieme.
È questa una forte provocazione che spesso è stata oggetto di diversi interventi sulla Rivista [14], in particolare l'aver riportato quanto era emerso nel Convegno promosso dalla CEI su "Diaconato - Eucaristia - Carità" [15]. E proprio questo trinomio, doveva collocare i diaconi nel loro giusto contesto ecclesiale e ministeriale, per rendere visibile lo stretto legame della mensa del corpo di Cristo alla mensa dei poveri, e dell' eucaristia alla carità. Di fatto si trattava di una sfida profonda e radicale segnata dai mutamenti storici della società del nostro tempo e dalla realtà ecclesiale che doveva spingere e convincere a maturare un profilo diaconale per certi versi nuovo, per scoprire e mettere in atto le potenzialità di servizio richieste da un tessuto sociale.
«Che cosa è cambiato in venti anni: Profondi cambiamenti hanno segnato in questi ultimi venti anni il quadro generale internazionale, nazionale e anche quello del Mezzogiorno. È cambiato il rapporto con le sponde orientali e meridionali del Mediterraneo. La massiccia immigrazione dall'Europa dell'Est, dall'Africa e dall'Asia ha reso urgenti nuove forme di solidarietà. Molto spesso proprio il Sud è il primo approdo della speranza per migliaia di immigrati e costituisce il laboratorio ecclesiale in cui si tenta, dopo aver assicurato accoglienza, soccorso e ospitalità, un discernimento cristiano, un percorso di giustizia e promozione umana e un incontro con le religioni professate dagli immigrati e dai profughi» (Il mezzogiorno alle prese con vecchie e nuove emergenze, 4). È innegabile che per il suo essere "nel mondo", impegnato su fronti difficili e chiamato a difendere il valore della persona "in situazione", il diacono vive le tensioni di un continuo confronto con i conflitti inevitabili nel progredire della storia. Per lui, come per altri, c'è il rischio di inasprirsi in essi, allentando talvolta i legami della speranza e sperimentando anche il disagio - tutto umano - della solitudine.
Un aspetto dove la Comunità ha cercato di trovare forme nuove per il ministero diaconale è stato quello della famiglia. Nel 1981 Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica Familiaris Consortio (n. 73), indicava nei diaconi, dopo i presbiteri, i più vicini collaboratori dei vescovi nella pastorale familiare, aggiungendo che il «sacerdote, come il diacono, deve comportarsi costantemente, nei riguardi delle famiglie coe padre, fratello, pastore e maestro». Le Premesse alla I edizione italiana (1979) del Rituale su l'Ordinazione dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi, delineavano con chiarezza e profondità questo aspetto ministeriale dei diaconi che, a motivo della comune chiamata al servizio, sono speciale espressione di tale vocazione, come ministri della carità, come segno della dimensione domestica della chiesa (espressione che è scomparsa nella II edizione del 1992) e testimoni e promotori del «senso comunitario e dello spirito familiare del popolo di Dio».
Proprio l'anno scorso sulla spinta del Sinodo sulla Famiglia si è tenuto il Convegno a Campobasso che ha avuto per tema "La famiglia del diacono scuola di umanità" [16]. È emersa la necessità di far crescere sempre di più delle coppie diaconali, che ispirandosi alla fede e alla volontà di vivere seguendo Cristo, possono lavorare per i bisognosi, i poveri, con coloro che non hanno nulla, i bambini senza aiuto, le famigli in difficoltà (economiche e spirituali). È emerso, ancora una volta, che in questo servizio riveste un ruolo importante quello della sposa del diacono, con la sua presenza discreta e fattiva. Aver privilegiato in questi anni ai nostri Convegni nazionali e interregionali incontri ad hoc per le spose ed aver ospitato sulla Rivista molteplici interventi e testimonianze di spose ha messo in luce l'importanza essenziale da dare ai sentimenti e alle attese della moglie e della famiglia.
Negli anni '90 molti numeri della Rivista hanno trattato del rapporto ecumenismo-diaconato, ovvero come il diacono può essere segno efficace di ecumenismo [17]. Come affermano i Padri conciliari «il ristabilimento dell'unità da promuoversi fra tutti i Cristiani, è uno dei principali intenti del Sacro Concilio Ecumenico Vaticano Secondo» (Unitatis redintegratio = UR 1). Queste parole che il Vaticano II ci ha lasciato nel Decreto sull'ecumenismo UR segnano una svolta decisiva per l'impegno ecumenico ed il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani. Nella missione del diacono nella chiesa la speranza ecumenica conciliare di questo ministero schiude in maniera profetica una visione nuova della realtà ecclesiale concreta.
Un servizio per l'ecumenismo, quello del diacono, forse meno tangibile e gratificante di altri uffici, ma certamente non meno coinvolgente del ministero nella triplice dimensione della Parola, dell'Altare e del Povero. Un servizio rivolto alla causa dell'unità dei Cristiani, una causa che trova particolare accoglienza presso il Padre, perché costituisce il «cuore» della preghiera di Gesù nella notte in cui fu tradito (Gv 17, 20-23) e che al tempo stesso interessa il mondo intero, desideroso di unità, pace, giustizia e salvezza. Ed in questa realtà la Chiesa è chiamata ad essere segno e strumento di unità, di speranza e di salvezza (LG 9, 48). Il primato del «servizio» in ogni vocazione ministeriale assume nel diaconato una preziosa e severa valenza ecumenica; una valenza che diventa proposta, richiamo, impegno e speranza nel cammino dell'ecumenismo.
Dunque, anche in mezzo alle innumerevoli difficoltà e contraddizioni che interpellano i diaconi e sfidano il loro servizio a Dio e all'uomo, l'ultima parola la speranza sarebbe infatti un diaconato che viene meno a uno dei suoi doveri fondamentali. C'è una dimensione, della teologia della speranza, basata soprattutto sugli insegnamenti del Concilio Vaticano II, quella della storicità. E la Comunità in questi cinquantenni post-conciliari ha cercato di dare il suo piccolo contributo anche attraverso la Rivista Il diaconato in Italia ed i Convegni di studio promossi a livello diocesano, regionale e nazionale, che con tante difficoltà e gli scarsi abbonamenti, cerca di portare avanti per contribuire a dare un sostegno alla formazione dei candidati e dei diaconi.
In questo la Comunità ha ancora un suo ruolo di informazione e di indirizzo. Di fatto, in Italia, la Rivista è oggi l'unico punto di riferimento per l'informazione circa lo sviluppo del diaconato nelle nostre diocesi e nel mondo. Certo il diaconato è un ministero, e il ministero è sempre in funzione della vita pastorale della Chiesa. Tuttavia un ministero non nasce semplicemente come risposta della comunità a un bisogno che si manifesta. È Dio che sta all'origine della chiamata ed è lui che dispone ogni itinerario ministeriale.
Note:
[1] Cf. E. Petrolino, Rileggendo il cammino della diaconia liturgica, in Il diaconato in Italia, 164/165, settembre/dicembre 2010, p. 24.
[2] Cf. A. Altana, Da dove parte l'evangelizzazione, in Il diaconato in Italia, luglio 1973, n.14. Cf. ancora B. Papa, Il diaconato e l'evangelizzazione, in Il diaconato in Italia, luglio 1985, n. 59.
[3] Cf. Il diaconato in Italia, marzo 1971, n. 10 e febbraio 1972, n. 11.
[4] Cf. Il diaconato in Italia, luglio 1972, n. 12.
[5] Concepire un mondo possibile significa anche concepire delle procedure per operare su di esse, cf. ]. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 2000, p. 131.
[6] Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 1975: "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri".
[7] In questo percorso si è collocato il Seminario di studio su "La formazione dei diaconi permanenti", un tema di particolare interesse sollecitato dai delegati diocesani presenti al Convegno Nazionale di Assisi. Il Seminario che si è tenuto a Roma dal 18 al 19 febbraio 1999, è stato aperto a tutti i delegati vescovili incaricati per il diaconato ed ai responsabili della formazione e ha visto la partecipazione di 36 diocesi e 13 Regioni.
[8] Cf. Il diaconato in Italia, gennaio/febbraio 2006, n. 136.
[9] Cf. A. Altana, Editoriale, in Il diaconato in Italia, dicembre 1987, n. 68/69.
[10] Cf. G. Bellia, Editoriale, Una diaconia ingessata a che serve?, in Il diaconato in Italia, giugno 2000, n. 115.
[11] Cf. Il diaconato in Italia, dicembre 1987, n. 68/69.
[12] CEI, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, (21-02-2010), Invito al coraggio e alla speranza, 20 ...e un appello.
[13] Cf. Orientamenti e Norme. I diaconi permanenti in Italia, n. 9.
[14] Cf. A. Altana, Il diacono nella liturgia eucaristica, in Il diaconato in Italia, giugno 1982, n. 46-47; E. Petrolino, La ministerialità del diacono nel nuovo OMR, in Il diaconato in Italia, marzo/aprile 2005, n. 131.
[15] Editoriale, Il diaconato in Italia, maggio 1984, n. 54/55.
[16] Cf., Atti, La famiglia del diacono scuola di umanità, in Il diaconato In Italia, settembre/dicembre2016, n. 194/195.
[17] Cf. Il diaconato in Italia, aprile 1990, n. 78; luglio, 79; ottobre, 80.
----------
torna su
torna all'indice
home