Ascensione del Signore (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 4/2017)



ANNO A – 28 maggio 2017
Ascensione del Signore

At 1,1-11
Ef 1,17-23
Mt 28,16-20
(Visualizza i brani delle Letture)


PORTARE OVUNQUE
IL GIOIOSO ANNUNCIO

«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino al« la fine del mondo». Queste parole sigillano nel vangelo di Matteo la vicenda di Gesù. Sono le sue parole ultime prima che venga elevato al cielo.

Su questo evento convergono oggi le letture. Nella prima, con consumata abilità, Luca, indirizzandosi allo stesso interlocutore del suo Vangelo, Teofilo (alla lettera: amico di Dio), si riallaccia a quanto ha già narrato: al capitolo 24 l'ascensione è collocata nel giorno stesso di Pasqua. Nella diversa cornice temporale dei "quaranta giorni", anch'essa liturgica, all'interno di un "prologo" denso, ci offre il racconto dettagliato dell'ultimo stare a mensa di Gesù con i suoi, delle parole relative alla promessa del battesimo in Spirito Santo. Luca insiste già subito su colui che è il vero protagonista nella vicenda della comunità nascente. Tant'è che degli apostoli stessi dice che Gesù se li è scelti per mezzo dello Spirito Santo. Ovviamente insiste anche sul rapporto che Gesù ha coltivato con essi nei giorni dopo la risurrezione, durante i quali si è mostrato loro e li ha ammaestrati. Ora, appunto, stando a tavola, ordina che non si allontanino da Gerusalemme, ma attendano lì, nella città santa, il compiersi della promessa.
Meraviglia che in un contesto così solenne i suoi gli chiedano se è quello il tempo in cui ricostruirà il regno d'Israele. Segno paradossale di un'intelligenza inadeguata di quanto Gesù ha detto e ha fatto. Si tratta però, forse, di una domanda retorica, che consente all'autore di esplicitare quanto di lì a poco accadrà: riceveranno la forza dello Spirito e gli saranno testimoni sino ai confini della terra. Detto questo, Gesù viene elevato verso l'alto e una nube lo sottrae ai loro occhi. L'evento teofanico - la nube è emblema dello Spirito - ha la sua interpretazione nelle parole di due uomini in bianche vesti che li distolgono dal fissare il cielo e li avvertono: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo». Il tempo della Chiesa, tempo dell'azione dello Spirito, sta dunque tra l'ascendere di Gesù e il suo ritorno. La comunità, costituita nello Spirito, vivrà da questo momento in poi la tensione della sua attesa.

Il mistero di Cristo e della Chiesa, la glorificazione cosmica di lui e il compiersi del suo corpo che essa è, sta al centro dell'inno costituito da Ef 1,20-23. Lettera che oggi viene proclamata a partire dal versetto 17. L'autore chiede a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, di elargire ai membri della comunità capacità adeguate per comprendere il mistero sovrabbondante di grazia a cui sono stati chiamati. Il linguaggio è enfatico, addirittura iperbolico, tanta è l'efficacia del dono elargito. Ne è parte integrante la glorificazione di Cristo, non solo risuscitato dai morti, ma fatto sedere alla destra del Padre nei cieli. Proprio questa espressione ci risulta altrimenti espressiva dell'ascensione del Signore. Nel contesto di una esaltazione cosmica, di una gloria compiuta, al di là di ogni gerarchia angelica - Paolo si rivela sensibile al linguaggio del giudaismo coevo cui indulge l'immaginario della stessa comunità di Efeso - Cristo appare nella pienezza del potere acquisito che si riverbera sui credenti e sulla Chiesa cui è stato dato come il "capo". La Chiesa poi è suo pleroma, la pienezza di lui. Il tema del "frattempo", pur se diversamente, segna il testo della lettera agli Efesini. In esso la gloria di Cristo investe già i credenti e ne caratterizza l'incedere verso la pienezza del corpo ecclesiale.

Il "frattempo", il compiersi della comunità nell'attesa della venuta del Signore è tematizzato anche nella lettura evangelica. La collocazione spaziale è altra. Non la mensa, ma il monte; non Gerusalemme, ma la Galilea. Queste discrepanze, che rivelano una lettura teologica diversa dell'evento, non ne cambiano il nocciolo duro. Gli undici che seguono Gesù in questo che è l'atto conclusivo della loro esperienza di lui, gli si prostrano davanti, cioè lo riconoscono e lo adorano come il Signore. E tuttavia, anche in questo contesto narrativo, serpeggia il dubbio. La glorificazione in atto, la partecipazione piena al potere che è proprio del Padre, è testimoniata dalle parole di commiato di Gesù. Non diversamente da quanto poeticamente e immaginificamente è espresso nel testo della lettera agli Efesini, anche la chiusa di Matteo conferma che gli è stato dato ogni potere.
Le parole di Gesù riguardano la missione, il frattempo appunto, il fare discepoli tutti gli uomini della terra. Gli undici sono chiamati a battezzarli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Quello che altrove è un battesimo nel nome di Gesù, qui è esplicitato in forma trinitaria. E al compito di battezzare si accompagna quello di insegnare a mettere in pratica quanto Gesù ha loro comandato. Potremmo pensare concluso il racconto. Leggerlo quasi come un disposto operativo. In verità, anche in Matteo c'è spazio per l'intimità di vita: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo».
L'attesa non è nel segno della solitudine e dell'abbandono. Egli rimane cuore pulsante della comunità dei discepoli d'ogni tempo. Non lo sostituiscono gli undici che pure ricevono il comando di portare dovunque la lieta novella di lui risorto e glorificato. Forti della sua presenza, l'attesta no nell'umiltà del loro servizio. Né le parole di Gesù sono rivolte soltanto a loro. Anche a noi egli resta vicino tutti i giorni nella compiutezza del suo corpo glorioso.


--------------------
torna su
torna all'indice
home