La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 11/2016)
Maria SS. Madre di Dio
Nm 6,22-27
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21
(Visualizza i brani delle Letture)
DI GESÙ, SUO FIGLIO
La prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, ci mette dinanzi alla manifestazione di Dio che fa risplendere il suo volto, lo rivolge verso il suo popolo, gli dona pace. La benedizione sacerdotale per antonomasia, quella che Dio stesso trasmette a Mosè perché così benedicano il popolo Aronne e i suoi figli, ha appunto una valenza epifanica, dice una manifestazione, un riverbero del mistero di Dio a favore del suo popolo.
Altrettanto epifanico è il notissimo testo di Gal 4,4-7. Come abbiamo detto già a Natale, Gal 4,4 viene riferito quasi si trattasse della più antica testimonianza mariana del Nuovo Testamento. In verità qui Paolo nell'espressione "nato da donna" intende indicare non tanto la persona concreta della madre del Signore, quanto piuttosto la pienezza della condizione umana che il Figlio di Dio assume proprio nascendo da una donna. Non so se l'espressione recepisce anche la sottile misoginia che della donna fa un puro strumento ai fini della generazione; il nascere da donna suggerisce comunque l'abbassamento, la kenosi della totale condivisione della nostra stessa carne.
Nella contrapposizione nato da donna / nato sotto la legge e riscatto di quelli nati sotto la legge / per l'acquisizione dell'adozione filiale, emerge d'altra parte la condizione propria del Figlio di Dio che accede a una storia, a una cultura, a un popolo. L'aspetto epifanico sta nella condizione nuova consequenziale al dono del suo Spirito. È lui a gridare nei nostri cuori: Abbà! Padre! I credenti in lui hanno superato la condizione servile; non sono più schiavi, ma figli ed eredi per grazia. La prossimità del Figlio alla condizione umana per così dire si ribalta rendendoci simili a lui, suoi fratelli, figli del medesimo Padre, invocato con un termine intimo e affettuoso.
La lettura evangelica propone il testo, già ascoltato nel giorno di Natale, relativo alla manifestazione ai pastori. In esso la madre di Gesù appare caratterizzata da quell'accogliere e meditare la parola che secondo Luca è tratto caratterizzante il/la discepolo/a. La statura di Maria ne emerge splendidamente: «Maria custodiva tutte queste cose, meditando le nel suo cuore». In verità syneterei va ben oltre il custodire, esprimendo la memoria fattiva che raccoglie ogni parola/evento discernendo, ordinando, mettendo insieme così da penetrarne la pienezza di senso. E aggiungiamo il "cuore" come luogo di raccolta e di confronto. Il cuore non evocativo di sensibilità melensa. Il cuore, biblicamente parlando, è indicatore prospettico di globalità antropologica. Indica la persona nella sua compiutezza.
Fermiamo, infine, la nostra attenzione sui versetti conclusivi della pericope relativi alla circoncisione. Per lunghissimo tempo abbiamo trascurato la prossimità, anzi l'appartenenza di Gesù al suo popolo. Eppure, sin dalle prime battute, nel suo ingresso nel mondo, ad essere posta in evidenza è la contiguità, la prossimità al popolo cui appartiene. Matteo ne ha introdotto l'annuncio citando l'Antico Testamento. Si è avvalso, al pari di Luca, del modulo veterotestamentario dell'annuncio di una nascita prodigiosa. Di Maria come di Giuseppe abbiamo visto sottolineata l'appartenenza alla stirpe di Davide. Gesù è stato indicato come il Messia atteso, colui nel quale trovano compimento le promesse e l'alleanza.
Ed ecco la narrazione di oggi ci mette di fronte al gesto identificante l'appartenenza al popolo di Dio, la circoncisione. Gesù è ebreo perché di madre ebrea ed, essendo maschio, viene segnato nella carne. Stante la tradizione d'Israele, si tratta della conditio sine qua non per appartenere al popolo eletto.
Il gesto, richiesto già ad Abramo (cf Gen 17,10ss.), viene solennemente recepito in Lv 12,3. I genitori di Gesù lo osservano come si conviene ad ogni famiglia israelita. E ancora segnaletico dell'appartenenza di Gesù a Israele è il nome che riceve, quello stesso rivelato dall'angelo a Maria e, in sogno, a Giuseppe. Riacquisire l'identità di Gesù, riconoscerne l'ebraicità per noi oggi è imperativo.
Vale lo stesso per l'ebraicità di Maria. Maria si nutre della fede d'Israele, la modula e rielabora in fedeltà e creatività. Tale è il senso del suo canto, il Magnificat, eco profonda della preghiera d'Israele, del suo fiducioso abbandono al Dio dell'alleanza. È sulla scia di questa tradizione di fede che ella può, alla fine, oltrepassare il privilegio della sua maternità nella carne (cf Lc 11,27-28) e divenire "modello" alla nuova famiglia dei discepoli e delle discepole (cf Lc 8,19-21; At 1,14).
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Maria SS. Madre di Dio
ANNO A – 1° gennaio 2017
PARTECIPE DEL MISTERO
La solennità odierna celebra Maria nella sua maternità divina. È epigono di quella attenzione al co-protagonista del mistero di volta in volta celebrato che, ad esempio, nella liturgia bizantina si ritrova in tutte le feste del Signore, nessuna esclusa. Celebrato nel Natale il Figlio di Dio, portiamo l'attenzione su colei dalla quale egli ha assunto la carne e il sangue. Celebriamo Maria con l'epiteto di Theotokos, "Deipara", ossia la indichiamo come colei che ha generato Dio fattosi uomo. Ed è attribuendo alla divinità ciò che è proprio dell'umanità e viceversa, che ci rivolgiamo alla Madre di Gesù chiamandola, appunto, Madre di Dio. Nel farlo, tuttavia, l'attenzione di fondo è diretta al manifestarsi del Figlio di Dio. In crescendo sono le sue epifanie, le sue manifestazioni quelle che la liturgia ci propone.
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