La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2016)
III Domenica di Avvento
Is 35,1-6a.8a.10
Gc 5,7-10
Mt 11,2-11
(Visualizza i brani delle Letture)
LA SALVEZZA È VICINA
L'immagine offerta dal profeta è quella della fioritura del deserto. Il popolo sconfitto e deportato sarà testimone di un prodigio. Dio lo consolerà, lo farà rifiorire come fiorisce dopo le piogge la steppa arida. Il deserto assumerà l'aspetto dei luoghi più belli e ubertosi: il Libano, il Carmelo, Saron. In ciò si vedrà la potenza, la magnificenza del Dio d'Israele. Da qui le parole ben note: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio. [...] Egli viene a salvarvi». La dinamica salvifica del suo agire è espressa dal profeta nel rovesciamento d'ogni condizione d'indigenza. Ciechi, muti, storpi saranno risanati. Una strada "santa" si aprirà per consentire ai deportati un festoso ritorno verso Sion.
L'Avvento è tempo di attesa gaudiosa. E questa domenica cesella la gioia, la declina in tutte le sue sfaccettature. Le parole del profeta raggiungono anche noi e ci aiutano a sconfiggere perplessità e dubbi: sì, il Signore viene! La sua venuta è vicina! Quest'ultimo è il messaggio della lettera di Giacomo che invita alla perseveranza. Il modello è l'agricoltore che aspetta fiducioso il frutto della terra, irrorata dalle prime e dalle ultime piogge. Nello stile fattivo che lo contraddistingue, egli non ricorre a un'analogia statica. La terra non fruttifica da sé, ma grazie a chi la coltiva con pazienza e accetta il dono della pioggia che cade sul seme appena collocato e poi sul frutto così da condurlo a maturazione piena. La stessa tenacia egli chiede ai suoi destinatari. Chiede pure che non si lamentino gli uni degli altri, che prendano a modello di "sopportazione e costanza" i profeti. Se vogliamo, possiamo cogliere l'invito all'esercizio della profezia nella tenace e caparbia sua dimensione di testimonianza spes contra spem.
L'appello alla gioia, l'esortazione a un'attesa fattiva trovano il loro culmine nel brano di Matteo oggi proclamato. Di nuovo è in scena Giovanni Battista. Può sembrarci strano che, ormai in carcere, egli mandi i suoi discepoli a interrogare Gesù. In verità nella sezione del vangelo che abbraccia i capitoli 11 e 12, il problema è quello di Gesù, dell'accoglienza e del suo riconoscimento da parte del suo popolo. In particolare il capitolo 11 ci attesta una sorta di residua tensione tra i discepoli del Battista e i discepoli di Gesù. I primi sono ancora legati al loro leader. Da qui la domanda che l'evangelista pone sulle loro labbra circa la sua identità messianica. Gesù non risponde direttamente, ma li invita a riferire quanto odono e vedono. Attestano la sua identità messianica le opere che compie: i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati. Gesù aggiunge: «E beato è chi non trova in me motivo di scandalo». Egli, dunque, è l'atteso. Ai prodigi riconducibili al brano di Isaia che abbiamo proclamato, qui si aggiunge un'altra espressione chiave del ministero di Gesù: l'annuncio, il lieto annuncio ai poveri.
Si potrebbe pensare chiuso il discorso. Ma, a sorpresa, Gesù alle folle parla di Giovanni. Nell'elogio che tesse lo riconosce come uomo autentico, testimone autentico, profeta autentico. Giovanni è il messaggero che prepara la via all'eletto, al Messia. Gesù lo dice come il più grande dei nati da donna e tuttavia aggiunge che il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui. Sono a confronto le due economie, quella della preparazione e quella del compimento. Giovanni è identificato come colui che chiude il tempo della Legge e dell'attesa messianica e introduce al tempo della sua consumazione, dell'avvento del Regno annunciato e inaugurato da Gesù. Non si tratta di stabilire gerarchie, quanto di additare la novità che l'annuncio e l'opera di Gesù comportano. I versetti che seguono, nello stesso capitolo 11, esprimono con chiarezza il conflitto, la difficoltà ad accettare sia Giovanni che Gesù. Emerge il tema della stoltezza di una generazione che è incapace di cogliere il dono definitivo della salvezza.
Nell'economia gaudiosa di questa terza domenica la nostra attenzione necessariamente deve spostarsi sul lieto annuncio ai "poveri", sulla buona novella del Regno che Gesù predica e avvia. Poveri sono certamente gli indigenti, quelli in qualche modo spinti al margine sia da un deficit fisico, sia da un deficit economico, morale. E, in qualche modo, tutti rientriamo nella categoria, non fosse altro che per lo stesso nostro limite creaturale. Eppure occorre come comunità raccogliere l'invito, l'appello a evangelizzare i poveri. Occorre uscire dal nostro benessere, dal nostro presunto quieto vivere per aprirci ai bisogni, alle necessità, alle sofferenze degli altri. Occorre compiere le opere del Regno, quelle stesse che connotano Gesù, chinandosi su quanti soffrono povertà ed esclusione. Occorre esercitare con coraggio la profezia, ossia consolare, confortare, accompagnare, additare il Signore che viene: la salvezza è vicina!
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III Domenica di Avvento (A)
ANNO A – 11 dicembre 2016
VIENE IL SIGNORE,
La terza domenica d'Avvento è nel segno della gioia. Tradizionalmente la si indica dall'incipit del canto d'ingresso: gaudete in Domino. La prima lettura è tratta dalla cosiddetta "piccola apocalisse" (34-35), considerata, assieme ad altri brani, un'aggiunta al primo Isaia, e connessa alla predicazione del Deutero-Isaia, un profeta vissuto circa due secoli dopo e autore dei capitoli 40-55. Testimone della rovina d'Israele, della deportazione e dell'esilio, egli rivolge al popolo, sgomento e confuso, parole di conforto, assicurando la fedeltà di Dio alla sua promessa. I versetti estrapolati dal capitolo 34 suonano nel segno della gioia e dell'esultanza.
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