IV Domenica di Avvento (C)


ANNO C - 20 dicembre 2015
IV Domenica di Avvento

Mic 5,1-4a
Eb 10,5-10
Lc 1,39-45
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LA GIOIA
DI CHI CREDE IN DIO

La lettura del brano di Michea è un po' difficile. Non si parla, infatti, di una città, ma di un clan, quello di Efrata, molto piccolo con centro a Betlemme. Iesse, il padre di Davide, era un Efrateo. Nella condizione disperata in cui versava il popolo, Michea riprende le fila della storia e ricorda la promessa fatta a Davide. La condizione difficile, anche se molto grave, non è infinita, le porrà fine uno della stirpe di Davide. Il limite della disperazione è data dalle parole: fino a quando colei che deve partorire partorirà. Quando questo re nascerà, sarà per il popolo il pastore che lo radunerà e lo governerà. La presenza di Betlemme ha indotto i commentatori cristiani a evidenziare i riferimenti alla nascita di Gesù a Betlemme.
C'è sempre qualche momento nella vita del credente, ma anche di chi non lo è, in cui si fanno i conti con la consapevolezza di essere piccoli, di non essere né grandi e né potenti. A volte ci si arrende alle vicende della vita, invocando come motivo il fatto di essere Betlemme e non Gerusalemme. Le parole del profeta Michea ricordano che piccolo e grande sono dimensioni del cuore, chi fa nascere qualcosa di buono, cerca una risposta, si impegna per riportare un po' di bene nella vita propria e degli altri, quello è grande. Per un cristiano si è grandi se si riesce a far nascere Cristo, cioè se si è Betlemme.

La lettura del brano della lettera agli Ebrei resta nella memoria soprattutto per le parole: «Ecco io vengo per fare la tua volontà», parole che ritornano due volte nel brano di oggi e che sono messe sulla bocca di Cristo. È la citazione di un salmo, che serve per una catechesi sull'incarnazione. La caratteristica, che rende il sacrificio di Cristo superiore a tutti gli altri, è quella di mettere in gioco sé stesso, decidendo di fidarsi della volontà del Padre. Cristo, diventando uomo, mette in gioco sé stesso e riapre agli uomini la strada della relazione con Dio. Il risultato dell'azione di Cristo è la nostra santificazione, in una parola il nostro ridiventare famiglia di Dio.
Festeggiamo l'incarnazione di Cristo perché attraverso di essa noi siamo diventati nuovamente capaci di essere in relazione con Dio, di essere segno della sua presenza. Capaci di stare con Dio, questo è l'elemento caratteristico dei cristiani, cioè decisi a farlo entrare nell'orizzonte della nostra vita come uno con cui confrontarsi e non come un elemento di sfondo.
Entrare in relazione significa mettere in gioco sé stessi, coinvolgersi con tutta la propria umanità, stando bene attenti a una religiosità che non tocca la vita. Fretta e gioia sono due aspetti che colpiscono più di altri chi legge la pagina del vangelo di Luca. Prima di tutto la fretta di Maria, che l'evangelista sottolinea. La fretta è una caratteristica dei testimoni, così i discepoli di Emmaus senza indugio corrono a Gerusalemme per raccontare che hanno visto il Signore risorto. La presenza di Cristo mette in movimento chi la sperimenta.
L'ingresso di Maria nella casa di Zaccaria trasforma le mura di quella casa in un tempio. Infatti, Elisabetta è riempita di Spirito Santo e benedice, riconoscendo la presenza di Dio nel grembo di Maria.
Il segno della presenza è la sensazione della gioia che esplode nella casa; la gioia di Elisabetta, che benedice; la gioia di Giovanni, che inizia nel grembo materno la sua missione di indicare Cristo presente nel mondo; infine la gioia di Maria, che Elisabetta lega direttamente alla fede che Maria ha avuto nell'adempimento di ciò che il Signore ha detto. Il salto di Giovanni nel grembo di Elisabetta conferma Maria nella sua scelta e la rende consapevole, ancora di più, che quello che sta accadendo è un salto nella storia della salvezza, una trasformazione inimmaginabile, che fa sussultare di meraviglia e di gioia. Chi produce questi sentimenti è solo Dio. Lo Spirito Santo che si diffonde è la caratteristica del tempo nuovo che inizia con il sì di Maria.

Ci si può chiedere se si fa parte di questo tempo nuovo. Chi ne fa parte, come Maria, Elisabetta, Zaccaria e, infine, tutta la Chiesa, è pieno di Spirito Santo. La pienezza dello Spirito insegna il linguaggio della benedizione, che nasce dal riconoscimento della presenza di Cristo, come in Elisabetta, e fa nascere il desiderio di alzarsi e correre per raccontarla, come in Maria. La presenza dello Spirito produce la meraviglia come in Giovanni che salta nel grembo della madre.
Il salto di Giovanni è quello di ogni credente che sperimenta come la presenza di Cristo introduce nella vita una novità inattesa. Salta di meraviglia il credente che, alla presenza del Signore, si scopre capace di cose straordinarie che mai avrebbe pensato. La presenza dello Spirito produce la gioia della fede nelle promesse del Signore.
Nella gioia di chi crede, ognuno è in grado di identificarsi. Beata sei tu, Maria, perché hai creduto. È una beatitudine, quella della fede di cui oggi si sente un grande bisogno; nell'era del dubbio e del sospetto, potersi fidare, avere qualcuno su cui contare, pensare che la vita non è solo un caso, ma che è sostenuta da un disegno d'amore. Fidarsi che c'è Dio a sostenere il passo, a frenare la caduta; pensare che Dio voglia avere a che fare con ognuno e si renda presente nella vita di ciascuno come ha fatto con Maria. Questo è fonte di gioia.

VITA PASTORALE N. 10/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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