Il diaconato in Italia n° 192
(maggio/giugno 2015)
ANALISI
I diaconi e il nuovo abbraccio misericordioso del mondo
di Enzo Petrolino
Se desideriamo veramente comprendere il diaconato, dobbiamo ricollocarlo dentro il quadro complessivo dell'insegnamento del Concilio Vaticano II. Papa Giovanni annunciò la convocazione di un concilio il 25 gennaio 1959, alla fine della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani. Solo cinque giorni più tardi, egli diceva al clero di Roma che uno dei suoi intendimenti principali era promuovere l'unità della Chiesa, ma vista in modo nuovo. Così affermava: «Noi non intendiamo nominare un tribunale che giudichi il passato. Non vogliamo provare chi avesse ragione e chi torto. Le responsabilità sono state divise. Tutto ciò che vogliamo dire è "Ritroviamoci insieme e poniamo fine alle nostre divisioni"».
Quella stessa settimana, egli presagì il grande esame di coscienza al quale papa Giovanni Paolo II invitò la Chiesa a fine millennio, ammettendo errori precedentemente commessi e chiedendo per essi perdono. Riguardo agli atteggiamenti che in passato i cattolici avevano tenuto verso i fratelli e le sorelle cristiani di altre chiese, papa Giovanni disse: «Gli errori da cui noi cattolici non siamo, ahimè, esenti, consistono nel non aver pregato sufficientemente Dio di appianare le strade che convergono verso la Chiesa di Cristo; nel non aver sentito carità piena; nel non averla sempre praticata verso i nostri fratelli separati, preferendo il rigore delle argomentazioni erudite, logiche, incontrovertibili da opporre all'amore tollerante e paziente, che ha in sé un proprio inoppugnabile potere di persuasione; nell'aver preferito la rigidità filosofica delle sale congressuali alla serenità cordiale delle Controversie di san Francesco di Sales».
È del tutto evidente che secondo papa Giovanni i cattolici avevano litigato troppo con gli altri cristiani, e li avevano per contro amati troppo poco. Era suo intendimento, quindi, ripristinare il primato dell'amore nella vita cristiana: Convincete le persone con l'amore! Fate che la Chiesa cattolica sia conosciuta perché possiede la pienezza dell'amore! L'amore tollerante e paziente - diceva - ha «in se stesso il potere inoppugnabile della persuasione». L'amore per gli altri cristiani era destinato a ripristinarsi con l'ecumenismo, e l'amore per il mondo intero avrebbe trovato posto in misura crescente nei maggiori documenti del Concilio. La Dei Verbum si apriva affermando che il Concilio intendeva «proporre la genuina dottrina sulla divina rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l'annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» (Dei Verbum, n. 1). Dovremmo di nuovo osservare, qui, il desiderio di aiutare il mondo a trovare l'amore. La Lumen Gentium esordisce dicendo che Cristo è la luce dell'umanità, che è Lui il lumen gentium e «questo santo concilio... ardentemente desidera con la luce di Lui splendente sul volto della Chiesa illuminare tutti gli uomini annunziando il Vangelo ad ogni creatura» (LG 1). La Chiesa è ancora una volta descritta come un grande sacramento di salvezza, una «unione intima di vita, carità e verità» che Cristo ha stabilito per farne strumento di «redenzione per tutti» (LG 9). Tanto il Concilio desiderava sottolineare questo nuovo spirito di solidarietà con il mondo che esso si propose di produrre un documento specificata mente dedicato a "la Chiesa nel mondo contemporaneo". E mentre molti vescovi premevano perché questo documento avesse la connotazione decisamente minore di una "dichiarazione" o addirittura di una "lettera", l'arcivescovo Karol Wojtyla fu tra coloro che insistettero perché questo testo avesse espressamente l'importanza e il significato di tutto un nuovo atteggiamento verso il mondo, e fosse posto nella categoria primaria dei documenti e designato col nome di "costituzione". La Gaudium et Spes divenne così, a pieno titolo, una della quattro costituzioni chiave del Vaticano II, assieme alla Dei Verbum, alla Lumen Gentium e alla Sacrosanctum Concilium.
Il pontificato degli ultimi anni di Giovanni Paolo II è stato in molti modi come il completamento vivente della Gaudium et Spes. Quel testo, su cui egli personalmente lavorò con altri vescovi e teologi nelle commissioni di stesura del Concilio, è davvero la chiave di lettura per gran parte del suo operare da papa. Il protendersi verso gli uomini che egli ha mostrato nei suoi frequenti viaggi apostolici aveva lì le sue radici, come anche il suo desiderio di tutelare i diritti di ogni essere umano, di qualunque religione ed in qualsiasi circostanza. Il suo cuore raggiungeva tutto quanto Dio aveva fatto, ed egli rendeva così visibile l'autentico spirito "cattolico", secondo la visione del grande gesuita francese Henri de Lubac (1896-1991), il quale ebbe grande influenza su di lui e lavorò anche alla Gaudium et Spes. De Lubac disse nel 1938 che la Chiesa Cattolica desidera «portare ad unità ogni cosa per la sua salvezza e santificazione» e che «nulla di autenticamente umano, qualunque sia la sua origine, può esserle estraneo».
Richiamiamo qui alcune parole di Giovanni Paolo II ai capi religiosi riuniti ad Assisi nel 2002; «Con rinnovato stupore, osserviamo la varietà di manifestazioni della vita umana, dalla complementarietà fra uomo e donna, alla molteplicità dei diversi doni appartenenti alle diverse culture e tradizioni che formano un universo linguistico, culturale ed artistico multiforme e versatile. Questa molteplicità è chiamata a formare un tutto coeso, in un contatto e in un dialogo che porterà ricchezza e gioia a tutti… Ora è tempo di superare definitivamente quelle tentazioni di ostilità che non sono mancate nella storia religiosa dell'umanità. Infatti, quando queste tentazioni si attaccano alla religione, mostrano un volto profondamente immaturo della religione stessa. Il vero sentimento religioso porta piuttosto a percepire in un modo o nell'altro il mistero di Dio, fonte di bontà, ed allo scaturire del rispetto e dell'armonia tra i popoli; la religione è, in realtà, l'antidoto principe contro la violenza e il conflitto»[1].
Queste parole comunicano un senso profondo dell'unità che accomuna ogni autentico sforzo religioso orientato verso l'unico mistero di Dio. La Chiesa è posta in mezzo ad un mondo tenuto insieme dal suo stesso tendere verso la piena realizzazione. Privilegiata da tale consapevolezza, essa esiste per aiutare tutti a trovare questo destino comune. Ogni cosa che essa opera è per la salvezza del mondo, di cui essa stessa è parte integrante.
E le cose non stavano esattamente così. In realtà, qui andiamo dritto al cuore dell'insegnamento della Gaudium et Spes, là dove di fatto una battaglia combattuta per decenni nella dottrina cattolica veniva a dichiararsi vinta dai "grandi di cuore". Si racconta che un giorno, quando fu chiesto a papa Giovanni cosa il nuovo Concilio avrebbe concretamente fatto, egli raggiunse una finestra e, aprendola, disse: «Ecco quello che farà». La Chiesa era stata per lungo tempo una fortezza posta a difesa contro il mondo, e papa Giovanni voleva ora aprire porte e finestre, ed abbassare i ponti levatoi per riprendere il contatto con il mondo, nella piena consapevolezza che esso è, di fatto, il mondo di Dio.
Potremmo a ragione dire, sullo sfondo appena delineato, che la Gaudium et Spes ha rappresentato come il coronamento del Vaticano II. Talvolta si dice che è un testo ormai datato, ma in realtà la Gaudium et Spes non può mai essere superata, in quanto sfida la Chiesa di ogni epoca a leggere "i segni dei tempi" e a darvi risposta (GS 4). Si tratta di una sfida destinata a rimanere attuale in ogni generazione. In effetti, la stessa Gaudium et Spes cerca di raccogliere questa sfida nella metà degli anni Sessanta, e lo fa nella sua seconda parte che, per ovvie ragioni, oggi può apparire un po' datata, ma ciò vale solo per questa Parte II. La Parte I, che espone i principi fondamentali del rapporto Chiesa-mondo, non perderà mai la sua freschezza, e merita di essere continuamente letta e riletta perché se ne possano cogliere ed assorbire tutte le prospettive. «Il Popolo di Dio, mosso dalla fede per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). Ne consegue che la Chiesa non dà semplicemente qualcosa al mondo, ma essa anche apprende il mondo. La Gaudium et Spes riconosce: «La Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallo sviluppo umano… È dovere di tutto il Popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, capire ed interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la Verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta» (GS 44).
Il ripristino del ministero diaconale
Il Concilio insegna che noi penetreremo più a fondo la verità rivelata che ci è stata affidata se sapremo ascoltare le voci e i bisogni del mondo di oggi, e ciò per una ragione duplice e piuttosto complessa: innanzitutto, Cristo stesso ci ha detto che dobbiamo cercarlo nei poveri - «ciò che avete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli l'avrete fatto a me» (Mt 25,40); in secondo luogo, Cristo è anche il Salvatore del mondo di oggi, e proprio dove esso soffre, là Egli lo risana o vuole risanarlo. Più comprendiamo, guidati dallo Spirito Santo, le sfumature dei bisogni umani, meglio comprenderemo le sfumature del Vangelo. San Girolamo una volta disse: «l'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». La Gaudium et Spes rivela che esiste un modo profondo in cui l'ignoranza del mondo di oggi è ignoranza di Cristo. «La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, a questo soltanto mira: che venga il Regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità... Il Signore è il fine della storia umana, il "punto focale dei desideri della storia e della civiltà", il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (GS 45).
Queste parole si trovano al culmine della prima parte della Gaudium et Spes. Quello che probabilmente è il passo decisivo dell'intero testo si trova a metà strada nel percorso verso questo punto, esattamente al paragrafo 22. Certamente sembra che questo paragrafo abbia avuto un impatto straordinario su papa Giovanni Paolo II. Egli non mancava mai di citarne una frase in ognuno dei testi importanti da lui scritti: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell'uomo» (GS 22). L'idea di fondo, ed anche il motivo di base della Gaudium et Spes, è che ogni essere umano è un enigma finché Cristo non viene a svelarne il mistero; ogni cuore umano lo attende, consciamente o inconsciamente; ogni cuore non trova pace che in Lui. «Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22).
Quindi non ci sono due destini, uno per gli esseri umani lasciati alle loro cure naturali ed uno solo per pochi eletti; no, tutti siamo chiamati ad un unico comune destino, che è divino: la visione di Dio facci a faccia. De Lubac aveva avuto ragione! Inoltre, Dio nella sua misericordia assicura che ogni essere umano abbia la possibilità di abbracciare l'unica via a questa realizzazione di pienezza, entrando nella predicazione e nei sacramenti della Chiesa, ma questo avviene implicitamente in qualche momento della vita di ogni essere umano, in un modo che sfugge alla nostra comprensione ma che è certamente conosciuto da Dio. E così deve essere, perché possa realizzarsi in pienezza. In definitiva, c'è un legame senza soluzione di continuità fra la Chiesa ed il mondo nell'insegnamento del Vaticano II - nessuna separazione, nessuna divisione.
La Chiesa esiste ovunque nel mondo, per portarlo alla salvezza e dire l'abbraccio d'amore che permette a tutte le cose di esistere. Come abbiamo visto, questo costituiva un atteggiamento del tutto nuovo, o un atteggiamento ritrovato, e possiamo ben comprendere che il Concilio volesse consolidare questo nuovo atteggiamento in ogni modo possibile. E uno dei modi con cui il Concilio cercò di supportare questo nuovo atteggiamento della Chiesa di fronte al mondo fu proprio il ripristino del ministero diaconale.
L'antico modello del diacono dei primi secoli, i secoli che sono stati il modello seguito per tante riforme conciliari, esemplifica perfettamente il nuovo atteggiamento. La Chiesa primitiva mostra diaconi che svolgevano un ministero nel cuore della vita ecclesiale, stando presso l'altare, e un ministero anche nel cuore degli affari del mondo, stando spesso in mezzo ai poveri e ai bisognosi ed amministrando i fondi caritativi della chiesa e la missione verso gli altri. Nelle loro persone, essi esprimevano la non-separazione fra Chiesa e mondo, movendosi agevolmente dall'una verso l'altro. Ecco perché io vorrei dire: "Diaconi, aiutateci!" E sostengo che i diaconi sono segni di unificazione, veri segni di solidarietà.
I documenti del Vaticano sul Diaconato del 1998 (Norme fondamentali, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti) richiamano qualcosa di molto significativo che Giovanni Paolo II disse già nel 1993: «Un'esigenza particolarmente sentita dietro la decisione di restaurare il diaconato permanente era quella di una maggiore e più diretta presenza di sacri ministri in aree come la famiglia, il lavoro, la scuola, ecc, così come nelle varie strutture ecclesiali»[2]. Val la pena di ricordare il movimento dei Preti Lavoratori in Francia e in Belgio dopo la II Guerra Mondiale. Più di cento preti si unirono alla forza operaia per essere accanto ai lavoratori in vaste aree del mondo, e particolarmente per evangelizzare sul posto di lavoro i cattolici "lontani". Il movimento fu duramente soppresso da Roma nella metà degli anni Cinquanta, perché quel genere di impegno con il mondo era visto come sconveniente per i sacerdoti. Al tempo del Vaticano II, il movimento era ormai quasi estinto. La Presbyterorum Ordinis del Concilio rese onore a quei preti impegnati nel «lavoro manuale condividendo le condizioni di vita degli operai nel caso ciò risulti conveniente e riceva l'approvazione dell'autorità competente» (PO 8), ma quell'approvazione allora era stata abbondantemente ritirata. Possiamo forse obiettare che, avendo concluso per esperienza che il presbiterato non si coniuga bene con quel genere di impegno mondano, i vescovi hanno scoperto nel Vaticano II il ministero ordinato che si adatta ad esso, cioè il diaconato. Inoltre, potremmo suggerire che volendo in realtà assicurare, come dice Giovanni Paolo II, la presenza di ministri ordinati sul luogo di lavoro ed altrove, proprio per questo essi restaurarono il diaconato.
La Lumen Gentium traccia il portfolio dei compiti che caratterizzano il diacono. In riferimento alle prime fonti della Chiesa, essa dice che il diacono ha vari compiti liturgici, ma è anche «dedito ai doveri della carità e dell'amministrazione» (LG 29). Il diacono sta all'altare e prepara i doni con le mani pulite, ma sta anche dove il bisogno concreto è più grande, sporcandosi abbondantemente le mani. Quelli che la Chiesa tradizionalmente considera come i primi diaconi furono mandati a preoccuparsi di una poco equa distribuzione di cibo (At 6,1-6). Essendo visibilmente "a casa propria" in entrambi i luoghi, il diacono incarna il grande messaggio del Vaticano II, ossia che il mondo intero è assunto in ciò che succede all'altare e che il sacrificio dell'altare viene celebrato per la santificazione del mondo intero.
Dovremmo anche osservare cosa il Concilio dice sulla restaurazione del diaconato in Ad Gentes. Anche qui è sottolineato il legame diaconale tra opere di carità e altare, sebbene con un accento leggermente diverso, in quanto questo testo si apre con il riconoscere che ci sono laici che già svolgono la predicazione, l'amministrazione e il ministero caritativo del diacono. Questi uomini - afferma - potrebbero essere aiutati e rafforzati dall'ordinazione diaconale. «Siano conformati e stabilizzati per mezzo della imposizione delle mani tramandata dagli apostoli, e siano più saldamente congiunti all'altare, per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato»[3].
I documenti vaticani del 1998 inseriscono saldamente il diacono nello spirito della Gaudium et Spes, asserendo che egli «dovrebbe comunicare con le culture contemporanee e con le aspirazioni ed i problemi del suo tempo... In tale contesto, infatti, egli è chiamato ad essere segno vivente di Cristo Servo e ad assumere la responsabilità della Chiesa di "leggere i segni dei tempi ed interpretarli alla luce del Vangelo"»[4]. Tramite il suo impegno nella «famiglia, nel lavoro, nella scuola, etc.», per richiamare il profilo che Giovanni Paolo II fa del diacono, egli vive di fatto una particolare relazione con le aspirazioni ed i problemi del proprio tempo. Vede i segni dei tempi da vicino ogni giorno ma, come ma come ministro ordinato del Vangelo, è particolarmente chiamato a leggere i segni e ad interpretarli alla luce del Vangelo stesso, in modo da guidare opportunamente fratelli e sorelle cristiani, i quali sono portatori della stessa responsabilità. Propriamente compreso e vissuto, il diaconato dovrebbe farsi, allora, lievito per l'apostolato dei laici.
La non-separazione fra Chiesa e mondo è già esistente. I diaconi non la creano; è così che Dio l'ha voluta. Tuttavia, essi la rendono visibile e la incarnano come un segno chiaro e costante di richiamo per noi tutti nella Chiesa - e per chiunque nel mondo - che è Dio che ha voluto che così fosse. La storia evidenzia che la Chiesa ha certamente bisogno di questo richiamo visibile al suo interno, al fine di impedire che si crei una barriera tra se stessa e il mondo. Giovanni Paolo II diceva che, al tempo della sua restaurazione, «alcuni vedevano il diaconato permanente come un ponte fra pastori e fedeli» (Giovanni Paolo II, I diaconi servono il Regno di Dio). Potremmo anche dire che qui sta il legame stesso tra Chiesa e mondo, liturgia e vita, e così via. Questa terminologia ha un grande impatto e viene frequentemente utilizzata. Il termine ponte, però, pone anche qualche problema importante di identità. Si parla del diacono come di un ponte proprio per sottolineare la stretta connessione fra Chiesa e mondo, liturgia e vita, pastori e fedeli, come già enfatizzato.
Il pericolo, tuttavia, sta nel fatto che l'immagine stessa suggerisce un divario che necessita di essere colmato (e, inoltre, che esso non viene colmato finché non c'è un diacono) - il che non è in realtà la nostra visione fondamentale delle cose. Sì, c'era un divario tra Chiesa e mondo prima del Vaticano II, ma non avrebbe dovuto esserci; e se chiamiamo il diacono ponte per forza di cose corriamo il rischio di implicare che ovviamente un divario tra Chiesa e mondo, pastori e fedeli, ecc., in realtà esiste. Come afferma la CTI, l'idea del diaconato come medius ordo (ossia ponte, appunto) «potrebbe finire col sancire ed approfondire, attraverso quella funzione, il divario che avrebbe dovuto colmare». Io direi che è più fedele la visione del Vaticano II, particolarmente come è posta in Gaudium et Spes, che parla di una «non soluzione di continuità» o solidarietà tra Chiesa e mondo, e del diacono come di un segno splendido e speciale di questa continuità ininterrotta (o solidarietà).
In molti modi la realizzazione della Gaudium et Spes ci supera addirittura, e parte della lotta per rafforzare questo testo straordinario è sicuramente la lotta per acquistare chiarezza sul ministero e la vita dei diaconi, perché - come ho qui affermato - il programma che la Gaudium et Spes traccia è la vera Carta del Diaconato. La nostra lotta per la chiarezza in merito al diaconato è veramente parte di una lotta più grande tesa a consolidare l'insegnamento del Vaticano II, che Giovanni Paolo II ha identificato come «la grande grazia mandata sulla Chiesa nel 20° secolo» (Novo Millennio Ineunte, n. 57). È una grazia - egli intendeva dire con forza - che attende ancora di essere recepita pienamente, in modo che la Chiesa possa davvero essere, in questo nuovo secolo, come la Gaudium et Spes enfaticamente la definiva «l'universale sacramento di salvezza» che manifesta ed attualizza allo stesso tempo il mistero dell'amore di Dio per l'umanità[5].
La diaconia della misericordia
«Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre Vostro». Questo insegnamento che il Signore ha dato ai suoi discepoli nel Vangelo e che San Luca ha raccolto (Lc 6,36), è il messaggio che papa Francesco ha fatto risuonare sin dall'inizio del suo pontificato, tanto da indire un Giubileo della Misericordia[6]. Dobbiamo a lui, ed anche alla sua esortazione Evangelii Gaudium, l'aver operato quello che si può definire un ritorno al centro focale della vita cristiana. Infatti, è proprio di tutti i rinnovamenti della Chiesa e di ogni ritorno spirituale alle sorgenti l'operare questo "ri-convergere" sul Vangelo, da cui il peso della vita quotidiana ci distrae senza sosta.
Il cuore del messaggio di Dio è la misericordia: sottolineando questa sconvolgente realtà che investe e trasfigura di novità ogni aspetto dell'esperienza umana, il papa non solo spalanca a tutti le porte di una ritrovata consolazione, ma invita anche ogni cristiano a rimettere Cristo al centro del proprio cuore, nonostante i propri limiti, e con l'assoluta certezza di poter contare sull'accoglienza misericordiosa della Sua grazia. «Gesù - afferma il papa - pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna» e la sua promessa al buon ladrone - egli aggiunge - «ci dà una grande speranza: ci dice che la grazia di Dio è sempre più abbondante della preghiera che l'ha domandata».•Ebbene, quando Dio si trova di fronte quelli che sono considerati i malvagi, i peccatori, i "senza speranza di conversione", non solo non li minaccia, non li punisce, non li castiga, ma li avvolge d'amore e di tenerezza.
Questa è la novità sconcertante che l'esortazione di papa Francesco ci ricorda con insistenza: «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia». Francesco ci chiama al superamento degli steccati chiusi sul cammino della salvezza che è il nostro cammino, al superamento degli schemi incrostati del nostro giudizio verso l'accoglienza inclusiva e fiduciosa dell'altro, al superamento del tempo verso l'eternità su questa strada dell'uomo che è, insieme, la strada del Cristo e la strada della Chiesa.
Che cosa è, dunque, la misericordia? Così papa Francesco la definisce: «La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora questo è compito specialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza» (EG 37). La misericordia è, dunque, la forma assunta dall'Amore per affrancare l'uomo dal peccato e sottrarlo al male, quando «sulla croce, Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia» (EG 285). Nel dono divino radicale che è l'invio del Figlio e la sua morte in croce, c'è la più palese manifestazione che il perdono di Dio precede il pentimento dell'uomo.
Misericordia, allora, non indica meramente un sentimento né si conclude in un gesto più o meno sporadico di disponibilità umana, ma in modo molto più pregnante e concreto essa è un'attività, un operare intenzionale ed efficace che rende riconoscibile una persona costantemente desiderosa di stabilire con noi un incontro rigenerante e gioioso. "Beati i misericordiosi", secondo papa Francesco, non significa ritagliarci un particolare momento di bontà verso gli altri, ma creare un habitus esistenziale: è solo quando abitualmente facciamo del bene e abitualmente aiutiamo gli altri che potremo anche noi trovare misericordia.
Dio si identifica con gli oppressi, le vittime della storia ed è partecipe della sofferenza verso i poveri ed i bisognosi. Alquanto significativo che in questo anno è stato inserito il Giubileo dei diaconi, il 29 maggio del prossimo anno, motivando tale scelta in quanto i diaconi per vocazione e ministero sono chiamati a presiedere la carità nella vita della comunità cristiana[7].
Ciò indica ai diaconi l'urgenza di assumere un servizio radicato nelle Beatitudini, che restituisca, attraverso il comportamento dei discepoli di Cristo, il volto del Cristo stesso, Cristo servo dolce e umile di cuore. Ne va del vero volto di Dio, volto che è dono e perdono. E ne va anche, di conseguenza, del vero volto dell'uomo.
Note
[1] Estratto del "Discorso di Sua Santità Papa Giovanni Paolo II ai Rappresentanti delle Religioni del mondo", Assisi, 24 gennaio 2002.
[2] Giovanni Paolo Il, Udienza Generale del 6 ottobre 1993, citata nell'Introduzione alla Dichiarazione Congiunta, n. 29.
[3] Concilio Vaticano II, Ad Gentes (Decreto sull'Attività Missionaria della Chiesa, 1965), n. 16. La CTI suggerisce che «c'è stato uno spostamento nelle intenzioni del Concilio» circa la restaurazione del diaconato dalla Lumen Gentium (1964) a Ad Gentes (1965). Per il primo documento, il diaconato sembrava primariamente essere uno strumento per garantire le importanti funzioni liturgiche in una situazione di diminuzione di preti, mentre per il secondo esso era una conferma, un rinforzo ed una più completa incorporazione dentro il ministero ecclesiale di quelli che di fatto esercitavano già il ministero di diaconi.
[4] Congregazione per il Clero, Direttorio, n. 43.
[5] Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 45.
[6] Cf. Bolla di Indizione del Giubileo Misericordiae vultus, Città del Vaticano, 11 aprile 2015, Vigilia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia.
[7] Cf. Pontifico Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, Presentazione del Giubileo della Misericordia, Misericordiosi come il Padre, Città del Vaticano, 5 maggio 2015.
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