La prima lettura, dal primo libro dei Re, riporta uno dei tanti racconti che riguardano il profeta Elia. Nel paese c'è carestia, ogni briciola è preziosa e il profeta chiede a una vedova, che per condizione è in difficoltà anche in tempo di abbondanza, prima l'acqua e poi anche il pane. La risposta della vedova commuove il lettore, che si chiede perché Elia non rinunci alla sua richiesta. Quanto la povertà ha oscurato il dovere di ospitalità in quella donna? In una parola quanto la prova mortale ha diminuito la sua dignità. La risposta traspare dalle parole della donna, che sono piene di consapevolezza e dignità. A lei, che conserva integra la sua umanità, risponde Dio con il miracolo della farina e dell'olio. Oltre questo livello di lettura ci sono segnali di qualcosa di più, specie nelle parole di Elia che dice alla donna di non temere e di fare come le ha chiesto. Non temere è un invito che, nella Bibbia, è rivolto a tutti quelli che devono fare qualcosa d'importante; ospitare il profeta, non venir meno alla propria umanità, non essere prigioniera dei propri calcoli è la vocazione della donna. VITA PASTORALE N. 9/2015
XXXII Domenica del Tempo ordinario
1Re 17,10-16
Eb 9,24-28
Mc 12,38-44
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FIERA DELLE VANITÀ
La necessità come motivo per venir meno alla propria dignità è invocata spesso da molti; agire secondo la propria umanità è a volte svantaggioso, è un vero atto di fede e suppone un calcolo interiore per cui si può rinunciare anche a un vantaggio per restare esseri umani. Nessuno avrebbe biasimato la vedova se avesse preferito un giorno di vita di più per sé stessa e per il figlio al dovere dell'ospitalità, un giorno di più è, però, di meno di una vita assicurata finché la pioggia non bagnerà di nuovo la terra. Dio chiede di non avere timore di investire sulla propria umanità; un discorso attualissimo in un occidente in affanno nei confronti del futuro, che preferisce assicurarsi un'ora di più, in grande deficit di umanità o, più semplicemente, con un'idea di uomo senza umanità. Risuonano per il credente le parole del profeta: «Non temere di essere uomo».
Diversamente dal sommo sacerdote che ogni anno, nello Yom kippur, entrava nel tempio portando il sangue dei sacrifici per invocare il perdono per il popolo, Gesù si presenta davanti a Dio e parla a favore nostro, non portando il sangue degli animali, ma portando se stesso. Il suo sacrificio è efficace e annulla il peccato. Inizia un tempo nuovo, non dominato dal peccato, ma dall'attesa della salvezza. Un tempo dominato dall'attesa della salvezza e libero dal peccato significa che è un tempo in cui la domanda prevalente non è quella di come evitare di fare il male, ma di come raccontare il bene; un tempo in cui la preoccupazione non è quella di evitare la morte, ma di come costruire la vita. Questo cambia tutto, cambia il modo di vivere, cambia le relazioni perché, liberi dal peccato, diventiamo capaci di coraggio e di speranza; liberi dalla sensazione di doverci nascondere da Dio, troviamo in lui un Padre cui affidare anche i nostri fallimenti. Il tempo di salvezza è un tempo in cui uno pensa se stesso impegnato a vivere nel modo migliore possibile, con la certezza che Cristo è dalla sua parte e continuamente lo accredita davanti al Padre, e lo fa in maniera efficace.
Il brano del vangelo di Marco aiuta il lettore a vedere una scena con gli occhi di Cristo, che osserva le cose come facciamo noi, che è colpito da scene e comportamenti particolari, che è capace di sorridere per i comportamenti ridicoli, come, nel caso del modo di camminare degli scribi e dei farisei, del loro pavoneggiarsi, del loro far conto sulla stima e il rispetto degli altri, soprattutto della loro ipocrisia. Sono descritti come palloni gonfiati, che dentro hanno solo aria, che non credono in niente e non hanno nessuna moralità. L'allusione al divorare le case delle vedove fa riferimento al fatto che spesso si presentavano come legali per difendere i loro diritti, fino a divorare i loro beni con le loro parcelle.
L'accenno alle vedove permette a Marco di inserire una piccola narrazione, che ha al centro il comportamento di una vedova. La scena si svolge nella stanza del tesoro, dove le persone si presentavano e dichiaravano al sacerdote la loro offerta e lo scopo; l'atmosfera era quella di un mercato in cui si dichiaravano ad alta voce le proprie intenzioni. Niente di meglio per organizzare una fiera delle vanità. La vedova povera sembra che non c'entri niente, non ha niente da urlare, solo getta due monetine, che fanno un soldo e va via. Gesù trascura i comportamenti degli altri e interpreta il gesto della donna, aggiungendo informazioni che sottolineano il valore della sua elemosina, quello che ha messo nel tesoro è quasi niente, ma è tutto quello che aveva per vivere. Il gesto della donna è così un atto di fede in Dio e nella sua provvidenza. Il suo gesto restituisce il senso anche all'offerta degli altri, ricorda a tutti quelli che gettano soldi nel tesoro che il senso di quell'azione è di affidarsi a Dio e di farlo seriamente.
La fiera delle vanità è il titolo di un famoso romanzo della letteratura inglese, che ha la caratteristica di essere un racconto privo di personaggi positivi, ma pieno solo di persone che cercano il loro successo e la loro affermazione. È un tema inquietante, che spesso fa capolino anche nella vita della Chiesa, presente nella catechesi del Papa, che allude spesso a questo fenomeno come a una piaga. Nessuno può dire di essere immune dalla tentazione di entrare a far parte di questa fiera.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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XXXII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 8 novembre 2015
L'ANTIDOTO ALLA