C'è una letteratura sterminata su questo brano di Genesi, che la liturgia di questa domenica propone. Il tema è quello della solitudine dell'uomo che, vale la pena di ricordare, non è qui inteso come un maschio. Il termine ebraico tradotto con uomo ha a che fare con il suo essere fatto di terra e non con il suo sesso. Si tratta qui di una condizione preesistente alla differenziazione sessuale. L'uomo così inteso è solo nella creazione, perché non ha nessuno con cui entrare in relazione; nessuno degli esseri viventi che gli passano davanti è capace di questo. La Genesi parla di una rassegna di viventi da cui cercare un aiuto, ma questo non basta. Non serve solo chi aiuti questo 'adam, perché la sua solitudine s'interrompa. La soluzione è diventare due, la soluzione è la relazione. Il segnale che questa è la soluzione è che l'uomo fino ad ora muto, comincia a parlare. In modo suggestivo, un esegeta commenta che le prime parole dell'umanità sono state parole d'amore. Le ultime parole del brano dicono che i due desidereranno sempre di essere uno, che la relazione non si esaurisce nel confronto, ma si realizza nell'unità. VITA PASTORALE N. 8/2015
XXVII Domenica del Tempo ordinario
Gen 2,18-24
Eb 2,9-11
Mc 10,2-16
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DEL PROGETTO DI DIO
Questo è un brano molto bello e di straordinaria attualità, perché parla di qualcosa di cui oggi siamo molto consapevoli, cioè la necessità della relazione. Nello stesso tempo ci si rende conto di come queste relazioni rischiano di diventare sempre più virtuali, con il risultato che proprio il motivo della relazione, cioè la fine della solitudine, sia messo a rischio. Il viaggio, che il libro della Genesi permette di fare, è un cammino verso le sorgenti del nostro essere uomini, con una chiara affermazione che la relazione è prima di ogni cosa, che costa fatica (il sonno, la perdita di una parte di sé), ma permette di esistere. Lo scopo della relazione non si esaurisce nel distinguersi, ma è quello di ricostruire l'unità del genere umano. Una pagina, che certo fonda il discorso sul matrimonio, ma è molto di più. Un progetto che vale la pena di confrontare con quello che stiamo facendo noi di un uomo di plastica e di bit.
Non è certo artificiale l'immagine dell'uomo Gesù come descritto dalla lettera agli Ebrei, glorioso per la morte che ha sofferto a vantaggio di tutti. Il cammino della sofferenza riservato a Gesù, come lo chiama l'autore della lettera, non era evitabile per lui che doveva diventare il capo di quelli che camminano verso la salvezza. Camminare verso la salvezza, la vita del cristiano come una via, sono temi molto cari all'autore della lettera. Un capo condivide la condizione di quelli che guida, e quelli che fanno parte di quelli che camminano sono uomini e donne che conoscono la fatica del viaggio, che hanno a che fare con il dolore. Gesù, capo non evita la fatica del cammino, non elimina il dolore del viaggio, ma lo rende significativo; non è un cammino inutile, ma è cammino di salvezza. In questo viaggio Cristo santifica quelli che camminano con lui, che riconosce come figli di Dio, per questo non ha timore a chiamarli fratelli.
Un uomo che cammina verso la perfezione, guidato nel cammino da Cristo, che non lo conduce come un generale fa con un soldato, ma come un fratello fa con l'altro. La qualità del cammino è quanto più sorprende in queste parole, perché dicono che nessun cammino per essere vero può fare a meno della fatica, nemmeno quello dell'uomo Gesù, che conosce la sofferenza; dicono anche che nessun cammino si giustifica come un viaggio solitario, nemmeno quello dell'uomo Gesù, che soffre la morte a vantaggio di tutti. E proprio questo che spesso si mette in discussione, se cioè valga la pena di soffrire e di farlo a vantaggio degli altri; molti pensano che non ne valga assolutamente la pena. Chi vuole imitare l'umanità di Gesù, conoscere la gloria e l'onore non immagina e nemmeno desidera una vita senza fatiche, ferite, ma, soprattutto non immagina una vita senza gli altri.
Riprendendo la prima lettura, la pagina del vangelo di Marco riferisce di una disputa tra i farisei e Gesù a proposito del matrimonio, un argomento evidentemente anche allora sentito e controverso se i discepoli interrogano ancora Gesù dopo aver sentito la risposta data ai farisei. La disputa è sull'interpretazione di una norma mosaica a proposito del divorzio; Marco chiarisce che a loro non interessava nulla del pensiero di Gesù, ma volevano solo mettere in difficoltà; quale argomento per mettersi contro un mare di gente oppure per essere accusato di populismo?
Gesù risponde ridicolizzando un modo di parlare di cose importanti che si riduce a una disputa legale; li invita a ritrovare il progetto di Dio nelle cose che fanno; a riflettere che le norme erano una risposta ai loro cuori duri; ad avere nostalgia del sogno di Dio. Cita così la pagina della Genesi in cui la relazione si realizza nell'unità, e invita a riflettere che tornare indietro è negazione del sogno; è doloroso, un fallimento che nessuno dovrebbe desiderare. Nella risposta ai discepoli Gesù chiarisce la trappola dei farisei, precisandola e privandola del carattere arbitrario che poteva essere desunto dalla domanda dei farisei, che faceva intendere che un marito avesse il diritto assoluto di scrivere l'atto di ripudio. Quelli che accolgono senza sovrapposizioni il progetto di Dio entrano improvvisamente in scena, sono i bambini che i genitori presentano a Gesù. Diventano nelle sue parole il segno di quelli che accolgono il regno di Dio.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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XXVII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 4 ottobre 2015
AVERE NOSTALGIA