La prima lettura dal libro di Giosuè è tratta dal capitolo 24, che rievoca la storia della salvezza d'Israele. Mentre Giosuè racconta la storia nel popolo si rinnova la memoria, si rivivono le emozioni che lo avevano reso capace di giungere fino alla terra. L'obiettivo è di rinnovare la propria fede in Dio e il patto contratto con lui. Era accaduto che, in una situazione di tranquillità, a contatto con le culture di altri popoli, vivendo in pace, la memoria delle persone era come sbiadita. Quello che Dio aveva fatto in loro favore sembrava meno decisivo. L'attualità delle relazioni, il desiderio d'integrazione forse avevano fatto immaginare a qualcuno che il loro Dio, tanto diverso dalle divinità degli altri, fosse d'impaccio. Con parole di provocazione, Giosuè sfida tutti a chiudere con colui che li aveva liberati e condotti fino alla terra e adottare le divinità di altri popoli; dichiara che lui non farà mai una scelta così scellerata e ottiene una presa di coscienza collettiva, che si esprime con un atto di fede corale. VITA PASTORALE N. 7/2015
XXI Domenica del Tempo ordinario
Gs 24,1-2a.15-17.18b
Ef 5,21-32
Gv 6,60-69
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DEL PANE DI VITA
Uno dei mantra del nostro tempo, un marchio di omologazione culturale, esibito spesso senza che sia richiesto o necessario farlo, è la professione di ateismo, o meglio, come si ama dire con un termine per sé con significati diversi da quelli che gli sono ascritti, di laicità. La laicità, confusa con il laicismo, è un passaporto per entrare in territori dove credere in Dio potrebbe essere un problema. Se a voi sembra male credere, dice Giosuè, dopo aver raccontato che cosa Dio ha fatto per loro, fate! Io, però, non mi dimentico di Dio. E se uno pensa a quanta energia e coraggio, voglia di vivere e vita regala Dio, certo non lo vende per essere accettato in qualche salotto. Nei momenti importanti della vita non interessa tanto essere omologabili, quanto avere un orizzonte.
La lettura della lettera agli Efesini riporta un altro brano della parte parenetica di questo scritto. Paolo parla delle relazioni fra i cristiani, in modo particolare nel matrimonio. La lettura di questo testo non è difficile, ma è problematica. Apre a tante questioni. L'Apostolo non si mette a discutere il funzionamento della società, il diritto matrimoniale; ma sceglie di dare un'anima al modo normale di fare, di dare un significato diverso alle parole. Per raggiungere questo obiettivo chiede ai cristiani di avere come punto di riferimento la relazione di Cristo con la Chiesa. Siate sottomesse, chiede alle donne, ma come la Chiesa a Cristo; siate signori, dice agli uomini, ma come lo è Cristo per la Chiesa. La prospettiva cambia, le parole cambiano. Paolo ha una grande fiducia nella capacità e responsabilità di ognuno. Uno dei verbi che gira nella riflessione della Chiesa, grazie a Papa Francesco, è quello di abitare. Un verbo umile, si abita ciò che c'è. Questo brano di Efesini è un esempio riuscito dell'abitare, perché Paolo non si mette a discutere il funzionamento della società, a contestare i suoi fondamenti giuridici, ma chiede di abitarla da cristiani.
Le ultime parole del discorso del pane di vita sono il contenuto del Vangelo di questa domenica. L'apertura è la reazione dei discepoli alle parole con cui Gesù aveva presentato sé stesso come vero cibo e bevanda di vita eterna. L'introduzione della reazione dei discepoli, fin qui silenziosi, serve a mostrare una sorta di reazione negativa alla rivelazione di Cristo che non risparmia nemmeno quelli che cominciavano a credere in lui. Nella risposta Gesù fa riferimento alla conclusione della sua missione, e serve ad avvisare i discepoli che tutto quello che sta dicendo e che accadrà ha bisogno della fede per essere compreso e accolto. Parlando dello Spirito, Gesù spinge i discepoli a capire le cose oltre le evidenze, al di là della debolezza dell'esperienza. In ogni caso la difficoltà dell'annuncio spinge molti ad allontanarsi e il culmine del discorso si raggiunge quando, in risposta alla domanda retorica di Gesù che chiede ai discepoli più vicini se per caso vogliano abbandonarlo anche loro, Pietro pronuncia la sua professione di fede. Seppur retorica, la domanda se anche loro vogliano andare via è significativa della necessità di prendere posizione di fronte al mistero.
Nelle parole dei discepoli che constatano come l'insegnamento di Gesù sia duro, nell'allontanamento di alcuni dal gruppo di quelli che seguono il maestro, in seguito al discorso del pane di vita, c'è un rimprovero comune, sempre presente. Ascoltare la Parola non è aggiungere qualche informazione in più, saperne qualcosa di più, ma lasciare agire un principio diverso nella propria esistenza, il principio dello Spirito. Lasciar agire lo Spirito significa superare gli orizzonti dell'esperienza e della fragilità; è riconoscere che non è vero che non c'è niente altro di più di quello che viviamo. Si pensa che bisogna accontentarsi di esperienze di corto respiro, di amori di breve durata, di sogni molto piccoli e si risponde a chi chiede se non sia il caso di desiderare qualcosa di più, che per quanto insoddisfacente questa è l'unica vita che si ha. Far agire lo Spirito è cambiare modo di guardare e giudicare, di pensare e progettare. È normale che si desideri lasciar perdere; come lo è, però, con Pietro, sentire che è anche l'unico modo vero di vivere. Da chi andremo, Signore, senza una Parola che racconti la nostra vita in modo diverso da quello triste con cui noi la raccontiamo a noi stessi?
(commento di Luigi Vari, biblista)
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XXI Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 23 agosto 2015
IL DISCORSO