XVII Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 26 luglio 2015
XVII Domenica del Tempo ordinario

2Re 4,42-44
Ef 4,1-6
Gv 6,1-15
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CRISTO, RISORSA
DEI CREDENTI

Il secondo libro dei Re racconta uno dei fioretti di Eliseo, che segue quelli della moltiplicazione dell'olio della vedova, della risurrezione di un ragazzo, dello scampato pericolo di un piatto avvelenato e precede la guarigione di Naaman il Siro. L'episodio racconta di un uomo che offre, obbedendo alla Legge, le primizie del raccolto. L'offerta è descritta nei particolari, 20 pani d'orzo, cioè la razione per 20 persone. Il comando di distribuirlo alla gente suscita l'obiezione dell'uomo che informa il lettore che il numero delle persone era di 100. L'obiezione è superata da Eliseo che riferisce che quel comando era del Signore, di cui lui parlava come messaggero. Facendo come era stato comandato, il risultato è che tutto avviene come aveva detto il Signore.
La sproporzione fra 20 e 100 sembra al lettore non così eccezionale, dividendo si può realizzare il risultato, anche se resta difficile spiegarsi come possa avanzare ancora qualcosa. Il miracolo è forse proprio quello di ricevere un pane e condividerlo con chi sta accanto. Il pane che l'uomo porta con sé è un'offerta a Dio, appartiene a lui come primizia, è santo. Dio non chiede, però, che si ammuffisca sull'altare o sia mangiato solo da qualche privilegiato, lo vuole condividere con tutti. Se Dio lo dona, non ha senso che poi ognuno se lo tenga per sé.
Il miracolo è quello per cui la regola dell'aritmetica si arrende alla regola della necessità della gente di sfamarsi. Ho negli occhi un'intervista raccolta in una periferia di Madrid a uno dei tanti capofamiglia che, non avendo più lavoro e risorse, doveva lasciare la casa; poche parole e molte lacrime e le parole erano solo: che faccio? Dove vado? Dove porto la mia famiglia? Molte lacrime e poche parole che sono comuni a tantissime persone, sempre di più, condannate dall'aritmetica. Davvero è improponibile la strada di Eliseo? Chi, se non quelli che hanno nella condivisione del pane il segno della loro fede, deve spingere per questo?

Paolo continua nella sua lettera agli Efesini con un'esortazione, che è conseguenza di quanto aveva prima esposto sulla loro nuova condizione di figli di Dio, di uomini nuovi, ecc. Il ragionamento di Paolo un po' sorprende, perché non deduce dalla nuova condizione un comportamento che ha come riferimento Dio, ma gli altri, quelli che fanno parte della comunità. Il modo di vivere nella Chiesa è la risposta alla vocazione cristiana. Inoltre la consapevolezza della chiamata, l'esserne degni si traduce nell'impegno a conservare l'unità.
L'unità si conserva e si costruisce vivendo con umiltà, dolcezza, magnanimità. L'unità di cui si parla è quella voluta dallo Spirito, che i cristiani devono conservare, dunque non si tratta di un sentimento, ma di una realtà oggettiva che si riceve e si custodisce. Tutto si conclude con parole che appaiono come una contemplazione del fondamento del1'unità, si noti !'insistenza su "uno."
Come fa un cristiano a raccontare la sua fede, la sua speranza, come fa a raccontare che pensa la sua vita come una risposta alla chiamata di Dio, di un unico Dio? Come mostrare che ha consapevolezza di essere chiamato? Conservando l'unità. Se questa è un dono, la responsabilità di conservarla è un impegno che chiede che ognuno metta in campo tutta l'umanità di cui è capace. Metterci tutta l'umiltà, cioè la disponibilità a riconoscere nel prossimo gli stessi doni di Dio che riconosce in sé stesso; tutta la dolcezza, cioè la mitezza di chi si affida a Dio e ne vuole imitare la misericordia; la magnanimità, cioè una virtù che è di Dio, capace di riconoscere e giudicare il male, ma sempre disposto al perdono e, nel caso della vita comunitaria, alla riconciliazione. L'ultimo elemento, quello della sopportazione, non si riferisce a una forma di ipocrita convivenza, ma è una forma di amore che spinge all'accoglienza dell'altro.

Il testo della moltiplicazione dei pani, tratto dal vangelo di Giovanni, è un racconto essenziale nella narrazione evangelica, presente in tutti e quattro i vangeli, e cinque volte nei sinottici. Giovanni dà un valore straordinario a questo episodio, lo presenta come un segno e anticipa nella sua narrazione, la cena eucaristica. Sono messi in scena in ordine Gesù, la folla e i discepoli che si mettono seduti su un'altura. Gesù stesso distribuisce il pane e i pesci; solo lui lo può fare. Non c'è qui nessuna connotazione negativa dei discepoli, che non possono fare quello che Gesù fa, non possono fare altro che constatare la necessità e tentare qualche soluzione. Se una soluzione c'è, quella nasce dalla disponibilità a condividere quel che un ragazzo mette a disposizione; ma non basta la condivisione, qui la proporzione non è 20 a 100, ma 5 a 5.000. La fame della folla, il bisogno di pane, dice che qui si sta parlando delle risposte essenziali per la vita dell'uomo.
Non c'è nessuno che può rispondere a questa fame, quello che si ha a disposizione è importante e necessario, utile a Cristo, ma sarebbe follia e causa di catastrofe, voler soddisfare quella folla solo con le risorse della folla. Gesù prende l'iniziativa, non c'è nulla da rimproverare ai discepoli, che, però sono chiamati a collaborare. Gesù moltiplica le risorse, Gesù e solo lui distribuisce il pane e i pesci; è lui la risorsa della folla. È lui la risorsa dei credenti e dell'umanità intera. Cristo è la risorsa, bisogna ricordarselo.

VITA PASTORALE N. 6/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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