Queste poche parole segnano un passaggio da una concezione magica della malattia, nel caso la lebbra, a un'osservazione medica. Il sacerdote, dopo che i sintomi sono presenti non fa che dichiarare la presenza del male con tutte le conseguenze, che sono anch'esse paragonabili a un protocollo, quindi a una serie di indicazioni per evitare contagi o altro. L'aspetto più duro di queste conseguenze è quello dell'isolamento, della condizione di esclusione sociale, determinata dall'obbligo di dimora fuori dalla città e da quello di manifestare la propria presenza. Non si parla di magie o altro per essere guariti, solo si osserva che se si guarirà, si potrà riprendere la vita normale. VITA PASTORALE N. 2/2015
VI Domenica del Tempo ordinario
Lv 13,1-2.45-46
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45
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CHE GUARISCE E SALVA
L'impressione è quella di una resa di fronte alla malattia, che presto diventa sintomo di un male più profondo, diventa una maledizione. L'analisi del male vede molti esperti, anche se cambiano le lebbre. Ogni tempo ne conosce qualcuna; oggi si sentono molti esperti denunciare un fenomeno che si potrebbe definire la lebbra dello spirito, intendendo l'incapacità di fiducia, di spiritualità, la chiusura degli orizzonti, che produce isolamento e solitudine. Basta difendersi, cercare di non esserne infettati? Basta la diagnosi e l'applicazione di un protocollo?
Paolo dice una cosa che farebbe alzare i capelli a molti che fanno del non piacere una regola di vita, quasi una garanzia di autenticità della vita cristiana. Il brano si riferisce alle norme a proposito del cibo e delle bevande e Paolo chiede di non fissarsi su queste cose, perché non si fa altro che rendere numerose le polemiche a scapito del Vangelo. L'essenziale, il Vangelo, ha già di suo una forza dirompente, non è necessario moltiplicare le difficoltà. Per questo Paolo dice che lui cerca di piacere a tutti, non come un adulatore, ma come uno che ha chiaro che lo scopo della predicazione è la salvezza e non lo scontro. Paolo è disposto a soffrire e morire per il Vangelo, non per difendere diete o regole alimentari, o altro. L'ultima frase sull'imitazione non è una frase di un superbo, ma quella di uno che cerca di essere fedele a un modello e incoraggia i suoi compagni a fare come lui, passo dopo passo. Cristo per molti resta inarrivabile, il cristiano non lo è mai. Ci sono momenti del dibattito ecclesiale in cui sarebbe salutare se qualche Paolo si alzasse e chiedesse di che cosa si stia parlando e domandasse se si ha consapevolezza di che cosa si vuole, se è chiaro che l'obiettivo è la salvezza delle persone. Ci sono momenti della vita cristiana in cui bisognerebbe chiedersi se il modello è Cristo e se si possa incoraggiare qualcuno con la propria testimonianza.
Il lebbroso è il protagonista del brano di Marco, che inizia con una trasgressione della legge, perché il lebbroso si avvicina a Gesù e si prostra davanti a lui, contrariamente alla legge del Levitico. L'atteggiamento e le parole del lebbroso riconoscono a Gesù un potere che è solo di Dio. Solo Dio può guarire dalla lebbra come solo lui può risuscitare dai morti. Il parallelismo fra lebbra e morte è ben testimoniato nella Bibbia. La scena è un riconoscimento da parte del lebbroso di Gesù come di Dio. La reazione di Gesù è descritta come commozione profonda, accompagnata dal gesto di toccare il malato con la mano, fuori da ogni regola, e dalla parola: lo voglio, che esprime la sovranità di Gesù sul male. La mano che si stende è nell'Antico Testamento un gesto che appartiene a Dio. La preghiera e la fiducia hanno avuto il loro effetto che è la purificazione, non solo della carne, ma della persona, che riprende a vivere. Il comando del silenzio e quello di presentarsi ai sacerdoti per testimoniare sono in lieve contraddizione e costituiscono un ostacolo narrativo che andrà preso in considerazione.
La situazione di blocco che si era notata nel Levitico e confermata dalla tradizione che vedeva la lebbra come la morte, cioè il male come una condizione permanente da cui è impossibile uscire, trova qui una soluzione non teorica. Gesù non parla dell'ingiustizia di certe condizioni, non denuncia, ma entra in un movimento inatteso provocato dalla trasgressione del lebbroso. Il primo passo è del "morto", che non può accettare le cose come stanno e fa il primo passo, con fiducia, perché pensa di potersi accostare senza essere richiamato ai suoi doveri, e con fede perché non si accosta a uno qualunque, ma a uno che riconosce come qualcuno che ha a che fare con Dio. Il primo passo è questo della fiducia e della fede, che non può essere eliminato. Nel desiderio di bene delle persone c'è la prima sconfitta del male; nel desiderio di vita c'è la prima condizione della vita. Fare chiarezza nel proprio cuore con la consapevolezza del proprio male, delle proprie fragilità, anche gravi, come nel caso del lebbroso e non arrendersi. È un passaggio necessario che Gesù chiede.
Gesù dice al desiderio di guarigione che lui la vuole. Qui è soprattutto la parola che fa guarire. Sottolineare che la parola di Gesù guarisce, purifica, libera dalla condizione della morte, non può non far pensare che quella parola resta viva e disponibile per ogni cristiano. Ognuno può accostarsi con fede e fiducia alla Parola ed esserne guarito, non troverà delle formule magiche, ma il sentiero della purificazione. Gesù posa la sua mano sull'uomo malato per le molte lebbre che lo aggrediscono, usando la sua parola che lo salva e lo guarisce.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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VI Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B - 15 febbraio 2015
UNA PAROLA