L'Avvento si apre con le parole del profeta Isaia, che suggeriscono una delle preghiere più suggestive della Bibbia, la preghiera di chi attende la liberazione: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi». Il profeta aiuta il lettore a comprendere che la sensazione del cielo chiuso, che afferra l'uomo alla gola ogni volta che la durezza della vita e della storia lo coglie, come nel caso concreto dei destinatari della profezia, è una sensazione che non fa giustizia a Dio, che non si nega al popolo ma agisce nei suoi confronti creando, liberando, facendo alleanza. VITA PASTORALE N. 10/2014
I Domenica di Avvento
Is 63,16b-17.19b;64,2-7
1Cor 1,3-9
Mc 13,33-37
DI OGNI CRISTIANO
La sensazione di abbandono, di non avere più né padri né liberatori, dipende dalla fine della fiducia del popolo in Dio, Padre e redentore. E il popolo che ha chiuso il cielo, e non Dio che ha smesso di chiamarsi Padre e redentore. Se il lamento del popolo è di essere trattato come una cosa, un panno sporco, il profeta suggerisce che probabilmente è stato lui a trattare in quel modo Dio. È il comportamento del popolo ad aver oscurato i tratti di Dio Padre. Non si tratta di decidere di chi sono le colpe, ma di suggerire la soluzione alla crisi della relazione, recuperando i tratti personali di Dio.
Il profeta aiuta il popolo a fare questo, ricordando la presenza straordinaria di Dio nella storia, richiamando alla memoria la gioia che entra nel cuore dell'uomo che cerca di vivere la relazione con Dio e descrivendo senza sconti l'allontanamento da Dio. La strada per recuperare la relazione è ritrovarsi come persone, non vale molto ricordare a Dio di essere Padre, meglio affidarsi come un figlio, come l'argilla nelle mani del vasaio; non serve pretendere di essere liberati, meglio fidarsi che lui lo fa.
La seconda lettura, inizio della prima lettera ai Corinzi, si apre nel modo consueto con cui l'Apostolo inizia le sue lettere. Conoscendo il contenuto della lettera, però, queste parole di ringraziamento a Dio per i Corinzi non hanno nulla di formale; questa lettera, infatti, è scritta per affrontare gravi problemi della comunità di Corinto, che sembra portare in sé ogni tipo di difficoltà. L'Apostolo riconosce i doni presenti in quella comunità, soprattutto quelli della parola e della conoscenza, intendendo vera conoscenza la sapienza della croce. Riconosce, fra i segni della loro vivacità, quello dell'attesa del Signore. Una comunità piena di fede e ricca di doni. Paolo manifesta fiducia nel futuro di questa Chiesa, un futuro di comunione, garantito dalla fedeltà di Dio.
Iniziare con un grazie e con il riconoscere la ricchezza e l'abbondanza delle grazie di Dio, presenti nel cuore delle persone e nelle storie che esse vivono, non è scontato. Siamo prigionieri dell'analisi e dell'elenco spietato delle mancanze e delle inadeguatezze; Paolo, prima di dire ogni altra cosa, con tutta la consapevolezza di chi vede tutti gli aspetti della vita, dice che tutto quello che dirà poi ha senso solo se si conserva la consapevolezza della presenza di Dio, che è chiamato fedele. Ognuno può essere più o meno all'altezza della vocazione cristiana, ma Dio è fedele e riempie tutti di carismi, di parola e di sapienza perché ogni strada possa essere percorsa, correggendo la rotta, ma non negando il cammino.
Il vangelo della prima domenica di Avvento fa parte della seconda sezione del vangelo di Marco, quella in cui Gesù domanda a chi lo ha riconosciuto come Figlio di Dio, di seguirlo. Un importante atteggiamento del discepolo è quello della veglia, sviluppato con la similitudine dell'uomo che parte per un lungo viaggio e lascia ai suoi servi la responsabilità della casa. Il lettore nota che ci sono alcune disarmonie nella similitudine, fra le quali i servi che hanno un potere, espresso con il termine exousia; il viaggio del padrone descritto come lungo, ma che esige la veglia del portinaio che rimane sveglio come se il viaggio fosse di una notte soltanto; è interessante notare la descrizione della notte secondo lo schema delle veglie. Il ritmo del discorso è dato dalla sequenza degli imperativi, il tema è dato dalle implicanze del verbo vegliare descritto come atteggiamento fondamentale del portiere e poi come condizione di tutti i discepoli per non perdere il tempo giusto, definito come kairos, cioè tempo decisivo del ritorno del padrone dal viaggio.
È suggestivo il quadro che Marco fa della comunità cristiana: persone che hanno il potere di colmare il tempo dell'assenza. Se il mondo è la casa di Dio, ogni cristiano ha il compito di fare quello che può perché non si pensi che questa casa sia abbandonata. Un potere non riservato a qualcuno, ma concesso a tutti. Tutti possono, hanno la forza di mostrare che Dio non ha abbandonato la propria casa; possono compiere azioni che mostrano che il mondo è di Dio.
Fra tutti i compiti, quello del portinaio che riceve il mandato di restare sveglio mentre passano le ore della notte, con la consapevolezza di non poter dettare il tempo a Dio, ma deciso a coglierlo quando si presenta. Se nessuno aspettasse più Dio; se tutti fossero colti dal sonno! Se nessuno si preoccupasse più di mostrare che il mondo è di Dio! Ognuno può misurare la disperazione di questa condizione. Si capisce come Gesù ripeta di non addormentarsi, di vegliare; di come ponga ogni suo discepolo alla porta della notte, perché ogni ora abbia qualcuno che si accorga di Dio e non la dia vinta al sonno. C'è un modo più bello per descrivere la vita di un cristiano?
(commento di Luigi Vari, biblista)
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I Domenica di Avvento (B)
ANNO B - 30 novembre 2014
VEGLIARE È COMPITO