Nel brano evangelico odierno inizia il discorso in parabole, che occupa tre domeniche di questo tempo ordinario. La sua importanza è data anche dalla differenziazione degli uditori, segnalata da Matteo. Infatti, le parabole sono rivolte alle folle, mentre la loro spiegazione è riservata ai discepoli: non per questione di privilegi riservati, quanto perché questi posseggono la chiave interpretativa del suo insegnamento e della sua attività, in cui si manifestano i segreti del regno di Dio. VITA PASTORALE N. 6/2014
XV Domenica del Tempo ordinario
Is 55,10-11
Rm 8,18-23
Mt 13,1-23
UN TERRENO BUONO
È quello che, immediatamente dopo la narrazione della prima parte della parabola del seminatore, Cristo afferma, forse in maniera un po' ostica, citando il profeta Isaia (6,9-10): l'incomprensione dei suoi contemporanei è il motivo, non lo scopo del suo parlare in parabole. In questo caso, il "perché" non è finale, ma causale, equivalendo all'ormai obsoleto "poiché". Sicché, «udrete sì, ma non comprenderete [...] poiché il cuore di questo popolo è diventato insensibile». Indicazione chiara anche per i fedeli attuali, che con facilità, se diventati insensibili, non riescono a percepire e far proprio il chiaro dettato evangelico, loro indirizzato, immergendosi in quel popolo di anonimi, per i quali non sussiste mai un motivo coraggioso di autentica conversione.
Al centro della parabola sta il seminatore, identificato con Cristo, ma anche con tutti coloro che escono nell'immenso campo del mondo a spargere la Parola. Il narratore si sofferma nel descrivere l'insuccesso della semina, che però lascia spazio pure a quella parte che cade nel terreno buono e dà frutto, il cento, il sessanta, il trenta per uno. È in funzione di questo risultato, ottenuto al di là di tutti i limiti incontrati, che si rassoda la speranza, connotato fondamentale di questa azione caratteristica del mondo agricolo. In fondo, si arguisce, se non si semina, non nasce nulla! Se anche si corre il rischio di seminare a vuoto, spargendo il seme in un terreno per nulla adatto, tuttavia bisogna farlo, proprio perché qualcosa attecchisca.
Due sono le caratteristiche essenziali di questa semina: anzitutto la larghezza, cioè l'abbondanza. L'apostolo Paolo ha coniato questo assioma: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2Cor 9,6). Infatti, l'abbondanza nel seminare esprime visibilmente il dono agli altri, senza risparmio, come Cristo. Inoltre, parafrasando ancora l'insegnamento paolino, si viene invitati alla gratuità, così sintetizzata: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). La semina della Parola non deve mai essere contrassegnata né dalla rassegnazione né dalla stanchezza, specialmente se di continuo ostentata sbuffando di fronte agli altri. Ci sono persone dedite al ministero, preti compresi, che fanno pesare il servizio che svolgono. Non c'è peggiore biglietto di presentazione! Solo la dedizione disinteressata, tradotta nella gioia e nella serenità, conferisce all'azione missionaria quella speranza, che la rende in sé stessa efficace.
Ai discepoli viene fornita la spiegazione della parabola, che ne è la reinterpretazione alla luce probabilmente delle problematiche vissute dalle comunità cristiane delle origini. Si parte da una considerazione di estrema concretezza: sì, è giusto spandere con larghezza la semente, senza attendersi particolari risultati. Ma è chiaro che, se il terreno è adatto a recepirla, vi è assodata la garanzia della fruttuosità.
Ed ecco, allora, la quadruplice esemplificazione. Anzitutto, il seme seminato lungo la strada, che neppure attecchisce perché chi l'ha ricevuto non comprende questo dono, e pertanto viene rubato dal Maligno. Da ultimo viene appunto presentato chi riceve questa parola e la comprende, portando frutto, e cioè il terreno buono. In breve, l'identikit dell'ascoltatore ideale risulta dalla sovrapposizione di questa attitudine di fronte alla Parola: l'ascolta e la comprende, cioè la mette in pratica in forma attiva e perseverante. Sulla base di questo ideale vengono presentate quelle situazioni di infedeltà, che caratterizzano la Chiesa di Matteo.
Due sono le modalità concrete che contrastano l'ascolto della Parola seminata. Anzitutto il terreno pietroso: qui si ha una risposta accogliente, ma momentanea, ossia di breve durata. C'è un problema di impazienza, di mancanza di radici, che viene messo in luce nei momenti di persecuzione e di tribolazione. Inoltre il terreno disseminato di rovi: qui c'è stata sia l'accoglienza, sia una certa durata di tempo, ma altre realtà che convivono con la Parola finiscono per avere il sopravvento e la soffocano: le preoccupazioni materiali e soprattutto l'illusione della ricchezza. Nel suo insieme la spiegazione della parabola sottolinea che il regno di Dio non si stabilirà mai senza la collaborazione umana, non verrà mai imposto, ma ha necessità di essere accolto dall'uomo e di produrre il frutto corrispondente. Così, secondo l'immagine di Isaia, la Parola non ritornerà a Dio senza effetto.
L'odierno insegnamento della Parola può essere riassunto con le parole dell'Apostolo, presentate dalla seconda lettura: «La creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio». E ciò avverrà in ogni celebrazione.
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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XV Domenica del Tempo ordinario (A)
ANNO A - 13 luglio 2014
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