V Domenica di Quaresima
Ez 37,12-14
Rm 8,8-11
Gv 11,1-45
DELL'AMICO LAZZARO
Come in un crescendo, la rivelazione di Cristo e l'accostamento a lui da parte dei catecumeni e dei battezzati, che si pongono in discussione attraverso il terzo scrutinio, raggiungono il culmine. Nel brano evangelico odierno egli si autoproclama, infatti, risurrezione e vita e convalida questa sua identità mediante il risveglio dell'amico Lazzaro. Il contesto amicale non va trascurato, perché determina fortemente tutta la scena, che vede come protagoniste le due sorelle di Lazzaro (nome che emblematicamente significa "Dio aiuta"), fortemente ispirate dall'emotività. Ed è nella condivisione di questa situazione di angoscia, certificata dalla morte, che anche Cristo scoppia in pianto, facendo esclamare ai Giudei: «Guarda come lo amava!».
Simile contesto va tenuto presente, perché il "segno" (termine caratteristico di Giovanni) che Cristo pone venga rettamente interpretato. Giungere a lui, per accoglierlo come l'«Io sono», in questo frangente «la risurrezione e la vita», passa attraverso il soffrire personalmente la condizione della stirpe di Abramo: solo così si è in grado di venire incontro a quelli che subiscono la prova (cf Eb 2,14-18).
Si va facendo strada, nella ministerialità di fatto esistente nella Chiesa, mai purtroppo convalidata a livello istituzionale, il compito di chi si accolla la consolazione di quanti sono nel pianto, già testimoniata dal brano evangelico odierno, che segnala i Giudei presenti in casa di Maria a Betania per consolarla. Genuino ministero, che rivela la profondità dei sentimenti umani di fronte al dramma della morte, vissuto non nelle formalità da espletare, ma nella vicinanza alla persona.
Si tratta di morte vera, quella di Lazzaro, attestata anche dal fatto che, all'arrivo di Gesù, si è compiuta da quattro giorni e il cadavere già manda cattivo odore, come osserva la concreta Marta. Tale certificazione, nel dialogo tra Gesù e i suoi discepoli, viene portata sul piano simbolico e identificata con il sonno, che conosce quindi il risveglio. Non solo. Ma questo sonno della morte trova condivisione da parte dei discepoli, che dichiarano: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Condivisione ricercata pure da Marta, che si aggrappa a Cristo nel dramma umano che sta vivendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Quante volte questa constatazione, piena di fiducia, viene espressa di fronte a certe tipologie di morte, soprattutto di persone in giovane età. La risurrezione e la vita passano attraverso simile "assunzione" del dramma umano, che "fa morire" anche i sopravvissuti insieme ai defunti, tanto il legame affettivo è forte.
La valenza simbolica del sonno, poi, immette nella visione della vita definitiva/eterna come un risveglio in Dio e nella sua vita in pienezza. D'altro canto, tale "risurrezione" si attua nei confronti di tante modalità di esistenza, che sono rese sonnacchiose dall'egoismo umano (la "carne", come ancora testimonia l'ultima versione Cei della Bibbia), richiamato dall'Apostolo nella seconda lettura.
Da qui il riferimento a quello spezzone di inno liturgico, riportato da Paolo in altra parte del suo epistolario: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14). L'invito è riferito a coloro che partecipano alle opere delle tenebre e spengono la loro esistenza. La Quaresima ci fa operare in Cristo questo risveglio da tutto ciò che frena l'operosità dei figli, illuminati dalla fede e sostenuti dal coraggio; da tutto ciò che fascia l'uomo e non lo rende libero, ma schiavo della morte: «Liberatelo e lasciatelo andare!».
La risurrezione vera e propria di Lazzaro, cioè il suo risveglio all'esistenza fisica sintetizzato nell'imperativo "Vieni fuori!", urlato da Cristo di fronte al sepolcro in cui era stato posto, anticipa quello che avverrà la mattina di Pasqua per Cristo stesso, allorché verrà risuscitato dal Padre ed entrerà nella pienezza della vita. Allora non vi saranno, come qui, testimoni, ma tutto avverrà nel nascondimento del mistero, segnalato soltanto dal gran terremoto che lo accompagna (cf Mt 28,2).
La ripresa della vita in Lazzaro presenta il connotato irrinunciabile della fede, richiesta più volte da Cristo: «Credi questo? Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». E ancora, nella preghiera al Padre prima del "segno": «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. lo sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Alla fine «molti dei Giudei credettero in lui», dopo aver visto questo segno.
In altri termini, per l'evangelista è la fede che dà significato pieno all'esistenza andando oltre i confini naturali della storia, che limitano nel tempo l'esistere umano. L'aprire le tombe e il far uscire dai sepolcri, secondo la testimonianza di Ezechiele nella prima lettura, e di cui l'episodio di Lazzaro è anticipo profetico e garanzia, esprime simbolicamente la chiamata a quella vita "oltre", che non conosce limite di tempo. In verità, «"vita eterna" non si riferisce primariamente al tempo, ma alla qualità della vita. "Vita eterna" significa pienezza della vita, illimitatezza di una felicità che s'intravvede già nelle esperienze positive della vita attuale. La vita eterna non prende il posto della vita terrena, ma inizia già in essa. Non è un sostituto della vita attuale, ma il suo compimento» (F.-J. Nocke).
VITA PASTORALE N. 3/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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