I Domenica di Quaresima
Gen 2,7-9;3,1-7
Rm 5,12-19
Mt 4,1-11
TENTAZIONE DIFFUSA
Una premessa appare quanto mai opportuna. La Quaresima è un itinerario comunitario, che si percorre insieme per fare Pasqua, cioè per "passare oltre" quello che solitamente compiamo di sbagliato. È evidente, in questa prospettiva, che si deve esprimere la volontà di superare certi comportamenti erronei, partendo dalla verifica serena e spassionata di noi stessi, compiuta alla luce della Parola. Per questo va evidenziato il segno della cenere, imposta sul capo nel giorno in cui inizia questo cammino, per significare tale volontà di conversione, scaturita dalla comprensione della fugacità della vita. Da qui la doppia formula che accompagna il rito: «Convertitevi e credete al Vangelo!»; «Ricordati che sei polvere». Tale cammino ha ogni anno una sua specifica valenza, determinata dalla Parola proclamata nelle cinque domeniche che la contrassegnano: per quest'anno del Lezionario è di impronta catecumenale/battesimale.
La prima domenica s'incentra sempre sull'episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto, riportato dai vangeli sinottici. Già l'esordio è caratteristico, perché presenta Gesù che viene condotto dallo Spirito nel deserto, subito dopo il battesimo. È chiaro che si tratta di un'esplicita impostazione di vita, all'insegna delle prove da subire. Queste, infatti, ci accompagnano quotidianamente, tant'è che una richiesta specifica del Padre nostro è: «Non abbandonarci nella tentazione!». Colui che si frappone, che s'intromette a turbare le nostre scelte battesimali è chiamato "diavolo", in quanto appare come colui che contrasta apertamente ciò che ci si propone di attuare. L'episodio delle tentazioni di Gesù, in Matteo e Luca, rappresenta un'autentica catechesi di vita, in quanto concretizza quel "rinuncio" che tutti (e ciascuno) pronunceranno nella veglia pasquale. Per credere, bisogna saper rinunciare, cioè scegliere apertamente Cristo, superando qualsiasi suggestione contraria, che cerca di trascinarci altrove.
Partendo dalla verità quotidiana della fame, che si fa sentire nella vita, il tentatore prospetta l'illusione che tutto si risolva nel superamento di simile problema, che ancora attanaglia l'umanità. Ed ecco la suggestione, che si diparte da quel: «Se tu sei il Figlio di Dio», evocato dall'insidiatore, quasi a dire: «Questo lo puoi fare!». E difatti Gesù lo compirà, a livello di segno, allorché moltiplicherà il pane per le folle affamate. Ma la risposta di Cristo non si lascia attendere: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». A dire: non c'è solo questa tipologia di fame, quella del cibo materiale, ma anche quella della Parola, intesa nel senso più vasto del termine. Richiamando una prova dell'antico popolo nel deserto, Cristo invita quanti percorrono il cammino quaresimale a verificarsi sulla propria capacità di allargare gli orizzonti, mettendo alla prova la propria fame della volontà di Dio (cf Gv 4,34). È fame d'amore, di vicinanza agli altri, di valori... di tutto ciò che costituisce "bene". Altrimenti si corre il pericolo dell'ingordigia, dell'insaziabilità, dell'egoistico pensare solo a sé stessi.
La seconda tentazione avviene in uno stupendo scenario, che è la sommità del tempio, su cui il tentatore pone idealmente Cristo con la sollecitazione a buttarsi giù, creando una spettacolarità senza pari per coloro che potrebbero, pure idealmente, radunarsi a contemplare simile portento. È evidente che la tentazione è subdola, nel senso che richiama un "essere messia" e un cristianesimo all'insegna del meraviglioso. Tale connotato certo permane, ma non per fare spettacolo: principalmente per riconoscere ciò che Dio compie per noi e, conseguentemente, ciò che noi riceviamo da lui, davvero strabiliante. Non è facile ammettere questa priorità dell'Altro. Ecco perché Cristo ribatte: «Non metterai alla prova il Signore tuo Dio». Equivarrebbe, infatti, a farlo tacere, a umiliarlo.
La terza tentazione rappresenta il culmine della suggestione diabolica, non solo perché è collocata idealmente sul monte più alto, con la possibilità di acquisire, almeno in visione, tutti i regni della terra, ma anche perché asseconda la capacità dell'uomo di misconoscere il posto che Dio ha nella vita, con l'acquisizione di altri idoli, costruiti con le proprie mani: possesso, avidità, potere. Insomma, tutto ciò che può rendere Dio un surrogato, magari nelle "pratiche" religiose stesse. Idolatrare è una tentazione quanto mai diffusa. Perciò l'imperativo di Cristo si fa violento: «Vattene, satana!», perché solo Dio bisogna adorare. Nasce sotto sotto pure l'interrogativo di quanto certe adorazioni non possano celare la subdola volontà di impossessarsi di un piacevole "oggetto" sacro, più che di una persona con cui confrontarsi.
Cristo è il nuovo Adamo, cioè il prototipo dell'umanità scaturita dalla sua Pasqua e prospettata dall'Apostolo nella seconda lettura. Chi cade, chi pecca, cedendo alle suggestioni diaboliche, ha sempre la possibilità di convertirsi, di cambiare rotta, di riprendersi non appena supera le insinuazioni. Questo cedimento sta alle origini dell'umanità, identificata nell'Adamo primitivo, che determina come conseguenza il ritrovarsi nudo, cacciato da Dio. In questa eucaristia d'inizio Quaresima rendiamo allora grazie al Padre, perché sempre ci libera, allorché, non riuscendo a resistere alla tentazione, purtroppo soccombiamo.
VITA PASTORALE N. 2/2014
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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