Anno A - 14 agosto – Esaltazione della Santa Croce


Enzo Bianchi
GESÙ, DIO-CON-NOI, COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Il vangelo festivo (Anno A)
Edizioni San Paolo, 2010


Anno A - 14 agosto – Esaltazione della Santa Croce

• Numeri 21,4b-9 • Filippesi 2,6-11 • Giovanni 3,13-17

L'AMORE CROCIFISSO

Celebriamo oggi la festa dell'Esaltazione della santa Croce, la cui origine risale all'adorazione che a Gerusalemme veniva un tempo riservata il Venerdì santo allo strumento di esecuzione di Gesù Cristo; in seguito tale festa fu legata alla memoria del ritrovamento della croce. Occorre però intendersi con chiarezza: adorare la croce non significa venerare uno strumento di morte, quale essa è; no, significa fissare lo sguardo sul mistero paradossale che compie la nostra salvezza, il mistero dell'amore manifestatosi sulla croce, amore del Padre che ha donato il Figlio per la vita del mondo e amore del Figlio che ha consegnato se stesso per noi.

Per invitarci a contemplare questo mistero la chiesa ha scelto un breve brano tratto dal quarto vangelo, costituito da alcune parole rivolte da Gesù a Nicodemo, un maestro fariseo esperto nelle Scritture, cui segue una riflessione dell'evangelista. Gesù fa una rivelazione a prima vista enigmatica: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Nel deserto, durante l'esodo, Mosè aveva elevato un serpente di bronzo (cfr. Nm 21,4-9): guardando a quell'immagine i figli di Israele erano preservati dalla morte che li colpiva a causa dei serpenti velenosi; come il serpente era «un segno di salvezza» (Sap 16,6), così lo sarà il Figlio dell'uomo una volta innalzato. Ma cosa significa essere innalzato? Significa certamente essere elevato da terra, e Gesù lo sarà sul legno della croce (cfr. Gv 8,28); ma significa anche essere innalzato da Dio (cfr. Gv 12,32), che prenderà Gesù nella sua gloria e lo farà Signore universale (cfr. Fil 2,9-11). Sono così unite in una mirabile sintesi la croce e la gloria: la croce segna la fine dell'esistenza terrena di Gesù e, nello stesso tempo, manifesta la sua identità di Figlio disceso dal cielo e poi nuovamente innalzato da Dio al cielo.

Se questa è una lettura frutto della fede, va ricordato che nella storia la morte di Gesù non è stata neppure rivestita dalla gloria del martirio, come quella del suo maestro Giovanni il Battista, bensì è stata una morte vergognosa e infamante: «lo scandalo della croce» (Gal 5,11), «la follia della croce» (cfr. 1Cor 1,18.23), per usare le parole di Paolo. Al tempo di Gesù, infatti, la morte in croce era intesa dagli ebrei come morte riservata al maledetto da Dio (cfr. Dt 21,23; Gal 3,13); era il supplizio estremo inflitto dai romani a chi veniva giudicato nocivo al bene comune. Ecco come è morto Gesù: appeso tra cielo e terra perché - si pensava rifiutato da Dio e dagli uomini, condannato dal potere religioso legittimo come nemico della comunità dei credenti e dal potere imperiale come malfattore. Dovremmo ricordarlo ogni volta che siamo tentati di ridurre la croce a un simbolo religioso...

Eppure Gesù ha saputo trasformare anche la croce in luogo glorioso, luogo in cui egli ha amato noi uomini fino all'estremo (cfr. Gv 13,1), luogo in cui è morto per noi, per donarci la vita eterna e la salvezza. E questo perché la fine sulla croce non è stata per lui il risultato di una casualità o di una fatalità cieca; al contrario, questa morte è stata nient'altro che l'esito di un'esistenza vissuta nella libertà e per amore degli uomini, perché solo l'amore di Dio narrato da Gesù può trasformare uno strumento di morte in una fonte di vita. È in questo senso che l'evangelista commenta in modo contemplativo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna, ... perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». E l'antifona al vangelo tradizionale nelle chiese d'occidente fa eco: «Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo».

Scriveva con grande intelligenza di fede il teologo Giuseppe Colombo: «Non è la croce a fare grande Gesù Cristo; è Gesù Cristo che riscatta persino la croce, la quale è propriamente da comprendere, non retoricamente da esaltare». Sì, è la croce che va letta attraverso l'amore vissuto da Gesù, non Gesù attraverso la croce!



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