Il corposo brano evangelico odierno ruota attorno all'affermazione iniziale dal tenore perentorio: «Non crediate che io sia venuto ad abolire [...], ma a dare pieno compimento». Più volte nello scritto di Matteo ritorna questa volontà di Cristo; anzi, Matteo è l'evangelista per eccellenza che spulcia dalla letteratura del Primo Testamento ciò che vede realizzato nel Nuovo. VITA PASTORALE N. 1/2014
VI Domenica del Tempo ordinario
Sir 15,15-20
1Cor 2,6-10
Mt 5,17-37
UNA SCELTA RADICALE
Prima di snocciolare una lunga esemplificazione al riguardo, si diletta di proporre simile enunciato. Con esso si evidenzia che nella missione storica di Gesù, nelle sue parole e nei suoi gesti, si ha la piena rivelazione e attuazione della "legge" nelle sue intenzioni profetiche: la sua autorevole reinterpretazione dei comandamenti, attraverso le antitesi, non ha lo scopo di abolire niente, ma di manifestare e realizzare le sue intenzioni originali e profonde.
Del resto, tale metodologia è quanto mai utile anche nei confronti del dettato evangelico nell'oggi della Chiesa, in quanto dev'essere portato a compimento, e non solo enunciato.
Va inoltre osservato che tale prospettiva abbraccia la complessità delle leggi, senza esclusioni di sorta: neppure una lettera alfabetica o un apice ornamentale escono da questa logica: ciò che è considerato minimo, posto nell' ottica della totalità, assume la sua importanza.
Certo, non in sé stesso, ma in relazione a Cristo e alla sua interpretazione del complesso legislativo, che viene rapportato alla volontà di Dio da adempiere. E non solo nelle realtà irrinunciabili, ma anche in quelle ritenute accessorie e quasi inutili. Eppure, con il tempo, nella storia, possono assumere tutt'altra valenza. Da qui l'ultima sentenza: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». Dal contesto immediato si capisce che questa "giustizia" è nella linea del "compimento" profetico della legge in Gesù e della sua integra e coerente attuazione da parte dei discepoli.
Il resto del lungo brano evangelico è costituito da una serie di esemplificazioni, che riguardano la traduzione concreta dei suddetti principi. Una prospettiva da non trascurare nell'ottica cristiana, proprio per non perdere di vista l'essenziale nella sovrabbondanza delle prescrizioni, ma anche per non sminuire, magari inconsapevolmente, tutto ciò che aiuta nell'attuazione della volontà del Padre. Questo "di più" di Cristo, nelle esemplificazioni, è reso con l'apparente antitesi: "Avete inteso che fu detto [...] ma io vi dico». In verità, il "fu detto" rispecchia maggiormente il piano giuridico, molto caro alla tradizione ebraica; il "ma io vi dico" si radica meglio nella libertà evangelica, che è creativa, in quanto non si ferma alla pura osservanza legale. Da questo punto di vista risulta sintomatica l'affermazione del Siracide, che figura come prima lettura: "Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: ad ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà». Con la clausola finale: "A nessuno Dio ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare».
Indubbiamente sullo sfondo si stagliano ancora molte mentalità da correggere e da sintonizzare con questo dettato, nel senso che la logica tanto del "minimo indispensabile", quanto quella dell'eroismo non richiesto ispira ancora parecchi comportamenti, anzi, l'intera configurazione di persone osservanti, spesso persino tra gli "ecclesiastici". Il convincimento interiore, che determina la libertà di scelta, permane, in molti casi, come un miraggio.
Tra le esemplificazioni prospettate si può cogliere ancora quella relativa al "non uccidere", che a tutt'oggi si esibisce come autogiustificazione nelle confessioni sacramentali. Questa legge non viene certo abolita, ma piuttosto allargata nella sua traduzione concreta, abbracciando le offese personali anche a parole, oggi assai diffuse! La creatività dell'amore, che supera la pura legalità, conduce al gesto paradossale della riappacificazione con gli altri, prima di accostarsi alla mensa eucaristica. Nella celebrazione ora tale intento diventa prassi rituale, non al punto da essere considerata "cerimonia", bensì gesto autentico di riconciliazione e di pace. Ma quanti se ne avvalgono, tenendo conto che, in forza della routine, ci si accosta all'eucaristia magari pieni di malanimo verso i con fratelli con cui si è bisticciato?
Vanno ancora segnalate, tra i "di più" della giustizia cristiana, le scelte radicali indicate dalla medesima pagina evangelica ad ampliamento del detto sull'adulterio operato nel cuore («Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo!»): si tratta di affermazioni iperboliche, che evidenziano la volontà di sacrificare una parte di sé, pur di salvarsi, evitando la Geenna.
Anche l'ultima esemplificazione circa i giuramenti (che, purtroppo, imperversano nella prassi ecclesiale, nonostante il perentorio divieto evangelico), evidenzia, da una parte, la necessità di non abusare dell'autorità di Dio, coprendola con il riferimento a lui per salvaguardare la veridicità delle parole e degli impegni umani; dall'altra, la riaffermazione dell'essenzialità del linguaggio umano ("sì, sì; no, no"), senza ulteriori orpelli, per una chiarezza di rapporti che esprime la sapienza della verità, richiamata da Paolo nella seconda lettura. Ed è questa sapienza, che non crocifigge il Signore della gloria, ma l'acclama presente, a trovare attuazione in ogni celebrazione eucaristica.
(commento di Gianni Cavagnoli, docente di teologia liturgica)
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VI Domenica del Tempo ordinario (A)
ANNO A - 16 febbraio 2014
L'INVITO A FARE