Costituzione Pastorale "Gaudium et spes"
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
7 dicembre 1965
Commento mediante il Catechismo della Chiesa Cattolica
PARTE II
ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI
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Capitolo V
LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DEI POPOLI
Sezione II
LA COSTRUZIONE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
Le cause di discordia e i loro rimedi (n. 83)
[83a] Eliminare le cause di discordia che fomentano le guerre
[83b] Intervento delle istituzioni internazionali
La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali (n. 84)
[84a] La comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali
[84b] Le istituzioni internazionali provvedano ai diversi bisogni degli uomini
[84c] Promuovere il progresso in ogni luogo della terra e prevenire la guerra
Risolvere le più gravi questioni del nostro tempo (n. 84ca)
[84ca1] Rapimenti, presa di ostaggi, terrorismo, tortura
[84ca2] È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio
[84ca3] L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati,
il rispetto dei corpi dei defunti, l'odio
La cooperazione internazionale sul piano economico (n. 85)
[85a] Maggiore cooperazione internazionale in campo economico
[85b] Educazione e la formazione professionale
[85c] Rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali,
alla bramosia di dominazione
Alcune norme opportune (n. 86)
[86a] Nel lavoro l'origine del progresso
[86b] Dovere delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo
[86c] Formazione allo sviluppo
[86d] Revisione delle strutture economiche e sociali
La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico (n. 87)
[87a] A disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari
alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno
[87b] Diritti e doveri riguardo al problema demografico
[87c] Esortazione ad astenersi da soluzioni contrarie alla legge morale
per quanto riguarda il problema demografico
Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi (n. 88)
[88a] Impegno dei cristiani nell'edificazione dell'ordine internazionale
[88b] Incoraggiamento al volontariato
[88c] Formazione adeguata al volontariato
Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale (n. 89)
[89a] Contributo della Chiesa per il consolidamento della pace
[89b] Volontà di pronta collaborazione con la comunità internazionale
La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali (n. 90)
[90a] Impegno dei cristiani all'interno degli istituti
[90b] Collaborazione ecumenica
[90c] Creazione d'un organismo per salvaguardare dovunque la giustizia
e l'amore di Cristo verso i poveri
_______________ Capitolo VLa promozione della pace e la comunità dei popoliSezione IILa costruzione della comunità internazionale | |
n. 83 - Le cause di discordia e i loro rimedi
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[GS.83a] L'edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive disparità economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre nascono dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare ai motivi più reconditi, dall'invidia, dalla diffidenza, dall'orgoglio e da altre passioni egoistiche. | (CDS 502) Le esigenze della legittima difesa giustificano l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace (Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1102-1103; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2310). Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti. Il crescente numero di militari che operano in seno a forze multinazionali, nell'ambito delle «missioni umanitarie e di pace», promosse dalle Nazioni Unite, è un fatto significativo (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al III Convegno internazionale degli Ordinari militari (11 marzo 1994), 4: AAS 87 (1995) 74). (CDS 503) Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2313). I militari rimangono pienamente responsabili degli atti che compiono in violazione dei diritti delle persone e dei popoli o delle norme del diritto internazionale umanitario. Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell'obbedienza a ordini superiori. Gli obiettori di coscienza, i quali rifiutano in via di principio di effettuare il servizio militare nei casi in cui sia obbligatorio, poiché la loro coscienza li porta a respingere qualsiasi uso della forza oppure la partecipazione ad un determinato conflitto, devono essere disponibili a svolgere altri tipi di servizio: «Sembra ... giusto che le leggi provvedano con comprensione al caso di chi per motivi di coscienza ricusa di usare le armi, mentre accetta un'altra forma di servizio alla comunità umana» (1057 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79: AAS 58 (1966) 1103; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2311). (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.83b] Poiché gli uomini non possono tollerare tanti disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace. | (CDS 504) Il diritto all'uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall'aggressione. Nei conflitti dell'era moderna, frequentemente interni ad uno stesso Stato, le disposizioni del diritto internazionale umanitario devono essere pienamente rispettate. In troppe circostanze la popolazione civile è colpita, a volte perfino come obiettivo bellico. In alcuni casi viene brutalmente massacrata o sradicata dalle proprie case e dalla propria terra con trasferimenti forzati, sotto il pretesto di una «pulizia etnica» (1058) inaccettabile. In tali tragiche circostanze, è necessario che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione civile e che non siano mai utilizzati per condizionare i beneficiari: il bene della persona umana deve avere la precedenza sugli interessi delle parti in conflitto. (1058) (Giovanni Paolo II, Angelus Domini (7 marzo 1993), 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 1 (1993) 589; Id., Discorso al Consiglio dei Ministri OSCE (30 novembre 1993), 4: AAS 86 (1994) 751. (CDS 505) Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l'obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra: «Quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario, è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana. Si avverte oggi la necessità di trovare un nuovo consenso sui principi umanitari e di rafforzarne i fondamenti per impedire il ripetersi di atrocità e abusi (Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale (11 agosto 1999): L'Osservatore Romano, 12 agosto 1999, p. 5)».1059 Una particolare categoria di vittime della guerra è quella dei rifugiati, costretti dai combattimenti a fuggire dai luoghi in cui vivono abitualmente, fino a trovare riparo in Paesi diversi da quelli in cui sono nati. La Chiesa è loro vicina, non solo con la presenza pastorale e con il soccorso materiale, ma anche con l'impegno a difendere la loro dignità umana: «La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 1990, 3: AAS 82 (1990) 802). (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 84 - La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali
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[GS.84a] Dati i crescenti e stretti legami di mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune richiedono che la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali, tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in uno stato di intollerabile miseria. | (CDS 506) I tentativi di eliminazione di interi gruppi nazionali, etnici, religiosi o linguistici sono dei delitti contro Dio e contro la stessa umanità e i responsabili di tali crimini devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia (1061). Il secolo XX è stato contrassegnato tragicamente da diversi genocidi: da quello degli armeni a quello degli ucraini, da quello dei cambogiani a quelli avvenuti in Africa e nei Balcani. Tra essi spicca l'olocausto del popolo ebraico, la Shoah: «i giorni della Shoah hanno segnato una vera notte nella storia, registrando crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo» (1062). La Comunità internazionale nel suo complesso ha l'obbligo morale di intervenire in favore di quei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti. Gli Stati, in quanto parte di una Comunità internazionale, non possono restare indifferenti: al contrario, se tutti gli altri mezzi a disposizione si dovessero rivelare inefficaci, è «legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore» (1063). Il principio della sovranità nazionale non può essere addotto come motivo per impedire l'intervento in difesa delle vittime (1064). Le misure adottate devono essere attuate nel pieno rispetto del diritto internazionale e del fondamentale principio dell'uguaglianza tra gli Stati. La Comunità internazionale si è anche dotata di una Corte Penale Internazionale per punire i responsabili di atti particolarmente gravi: crimine di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione. Il Magistero non ha mancato di incoraggiare ripetutamente tale iniziativa (1065). (1061) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 7: AAS 91 (1999) 382; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 7: AAS 92 (2000) 362. (1062) Giovanni Paolo II, Regina coeli (18 aprile 1993), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVI, 1 (1993) 922; cfr. Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (16 marzo 1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998. (1063) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 11: AAS 92 (2000) 363. (1064) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (16 gennaio 1993), 13: AAS 85 (1993) 1247-1248; Id., Discorso pronunciato in occasione della Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, organizzata dalla FAO e dall'OMS (5 dicembre 1992), 3: AAS 85 (1993) 922-923; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 9: AAS 96 (2004) 120. (1065) Cfr. Giovanni Paolo II, Angelus Domini (14 giugno 1998): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 1 (1998) 1376; Id., Discorso al Congresso mondiale sulla pastorale dei diritti umani (4 luglio 1998), 5: L'Osservatore Romano, 5 luglio 1998, p. 5; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 7: AAS 91 (1999) 382; cfr. anche Pio XII, Discorso al VI Congresso internazionale di diritto penale (3 ottobre 1953): AAS 45 (1953) 730-744. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.84b] Per conseguire questi fini, le istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte, provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale (cui appartengono l'alimentazione, la salute, la educazione, il lavoro), quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e là: per esempio, la necessità di aiutare la crescita generale delle nazioni in via di sviluppo, o ancora il sollievo alle necessità dei profughi in ogni parte del mondo, o degli emigrati e delle loro famiglie. | (CDS 507) Le sanzioni, nelle forme previste dall'ordinamento internazionale contemporaneo, mirano a correggere il comportamento del governo di un Paese che viola le regole della pacifica ed ordinata convivenza internazionale o che mette in pratica gravi forme di oppressione nei confronti della popolazione. Le finalità delle sanzioni devono essere precisate in modo inequivocabile e le misure adottate devono essere periodicamente verificate dagli organismi competenti della Comunità internazionale, per un'obiettiva valutazione della loro efficacia e del loro reale impatto sulla popolazione civile. Il vero scopo di tali misure è quello di aprire la strada alle trattative e al dialogo. Le sanzioni non devono mai costituire uno strumento di punizione diretto contro un'intera popolazione: non è lecito che per le sanzioni abbiano a soffrire intere popolazioni e specialmente i loro membri più vulnerabili. Le sanzioni economiche, in particolare, sono uno strumento da utilizzare con grande ponderazione e da sottoporre a rigidi criteri giuridici ed etici (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (9 gennaio 1995), 7: AAS 87 (1995) 849). L'embargo economico deve essere limitato nel tempo e non può essere giustificato quando gli effetti che produce si rivelano indiscriminati. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.84c] Le istituzioni internazionali, tanto universali che regionali già esistenti, si sono rese certamente benemerite del genere umano. Esse rappresentano i primi sforzi per gettare le fondamenta internazionali di tutta la comunità umana al fine di risolvere le più gravi questioni del nostro tempo: promuovere il progresso in ogni luogo della terra e prevenire la guerra sotto qualsiasi forma. In tutti questi campi, la Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d'intensificare i tentativi intesi a sollevare l'immane miseria. | (CDS 508) La dottrina sociale propone la meta di un «disarmo generale, equilibrato e controllato» (1067). L'enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono (1068). Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente; tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non-proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni (1069). Il Magistero, inoltre, ha espresso una valutazione morale del fenomeno della deterrenza: «L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle» (1070). Le politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale. (1067) Giovanni Paolo II, Messaggio per il 40º anniversario dell'ONU (14 ottobre 1985), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 (1985) 988. (1068) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi (1º maggio 1994), I, 9-11, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 13. (1069) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2316; Giovanni Paolo II, Discorso al Mondo del Lavoro, Verona, Italia (17 aprile 1988), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 1 (1988) 940. (1970) Catechismo della Chiesa Cattolica, 2315. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 84ca - Risolvere le più gravi questioni del nostro tempo | |
(CCC 2297) I rapimenti e la presa di ostaggi fanno regnare il terrore e, con la minaccia, esercitano intollerabili pressioni sulle vittime. Essi sono moralmente illeciti. Il terrorismo minaccia, ferisce e uccide senza discriminazione; esso è gravemente contrario alla giustizia e alla carità. La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contraria al rispetto della persona e della dignità umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale [Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: DS 3722-3723]. (CDS 514) Il terrorismo va condannato nel modo più assoluto. Esso manifesta un disprezzo totale della vita umana e nessuna motivazione può giustificarlo, in quanto l'uomo è sempre fine e mai mezzo. Gli atti di terrorismo colpiscono profondamente la dignità umana e costituiscono un'offesa all'intera umanità: «Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo» (1081). Tale diritto non può tuttavia essere esercitato nel vuoto di regole morali e giuridiche, poiché la lotta contro i terroristi va condotta nel rispetto dei diritti dell'uomo e dei principi di uno Stato di diritto (1082). L'identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle religioni, alle Nazioni, alle etnie, alle quali i terroristi appartengono. La collaborazione internazionale contro l'attività terroristica «non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici» (1083). È necessario anche un particolare impegno sul piano «politico e pedagogico» (1084) per risolvere, con coraggio e determinazione, i problemi che, in alcune drammatiche situazioni, possono alimentare il terrorismo: «Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui si semina l'odio, i diritti vengono conculcati e le situazioni di ingiustizia troppo a lungo tollerate» (1085). (1081) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 5: AAS 94 (2002) 134. (1082) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119. (1083) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119. (1084) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 8: AAS 96 (2004) 119. (1085) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 5: AAS 94 (2002) 134. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) | |
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| (CCC 2297 - ripetizione) I rapimenti e la presa di ostaggi fanno regnare il terrore e, con la minaccia, esercitano intollerabili pressioni sulle vittime. Essi sono moralmente illeciti. Il terrorismo minaccia, ferisce e uccide senza discriminazione; esso è gravemente contrario alla giustizia e alla carità. La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contraria al rispetto della persona e della dignità umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale [Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: DS 3722-3723]. (CDS 515) È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio (1086): così si strumentalizza anche Dio e non solo l'uomo, in quanto si ritiene di possedere totalmente la Sua verità anziché cercare di esserne posseduti. Definire «martiri» coloro i quali muoiono compiendo atti terroristici è stravolgere il concetto di martirio, che è testimonianza di chi si fa uccidere per non rinunciare a Dio e al Suo amore e non di chi uccide in nome di Dio. Nessuna religione può tollerare il terrorismo e, ancor meno, predicarlo (1087). Le religioni sono impegnate, piuttosto, a collaborare per rimuovere le cause del terrorismo e per promuovere l'amicizia tra i popoli (1088). (1086) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, dell'arte e della scienza, Astana, Kazakhstan (24 settembre 2001), 5: L'Osservatore Romano, 24-25 settembre 2001, p. 16. (1087) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, 7: AAS 94 (2002) 135-136. (1088) Cfr. Decalogo di Assisi per la pace, n. 1, contenuto nella Lettera inviata da Giovanni Paolo II ai Capi di Stato e di Governo il 24 febbraio 2002: L'Osservatore Romano, 4-5 marzo 2002, p. 1). (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.84ca3] L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati, il rispetto dei corpi dei defunti, l'odio | (CDS 512) L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati - nonostante il fatto che la loro giovanissima età non ne deve permettere il reclutamento - va denunciata. Essi sono costretti con la forza a combattere, oppure lo scelgono di propria iniziativa senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze. Si tratta di bambini privati non solo dell'istruzione che dovrebbero ricevere e di un'infanzia normale, ma anche addestrati ad uccidere: tutto ciò costituisce un crimine intollerabile. Il loro impiego nelle forze combattenti di qualsiasi tipo deve essere fermato; contemporaneamente, bisogna fornire tutto l'aiuto possibile per la cura, l'educazione e la riabilitazione di coloro che sono stati coinvolti nei combattimenti (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11: AAS 91 (1999) 385-386). (CCC 2300) I corpi dei defunti devono essere trattati con rispetto e carità nella fede e nella speranza della risurrezione. La sepoltura dei morti è un'opera di misericordia corporale [Tb 1,16-18]; rende onore ai figli di Dio, templi dello Spirito Santo. (CCC 2303) L'odio volontario è contrario alla carità. L'odio del prossimo è un peccato quando l'uomo vuole deliberatamente per lui del male. L'odio del prossimo è un peccato grave quando deliberatamente si desidera per lui un grave danno. "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste" (Mt 5,44-45). (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa e CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica) |
n. 85 - La cooperazione internazionale sul piano economico
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[GS.85a] La solidarietà attuale del genere umano impone anche che si stabilisca una maggiore cooperazione internazionale in campo economico. Se infatti quasi tutti i popoli hanno acquisito l'indipendenza politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere affermare che essi siano liberati da eccessive ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva, e che sfuggano al pericolo di gravi difficoltà interne. | (CDS 428) I racconti biblici sulle origini mostrano l'unità del genere umano e insegnano che il Dio d'Israele è il Signore della storia e del cosmo: la Sua azione abbraccia tutto il mondo e l'intera famiglia umana, alla quale è destinata l'opera della creazione. La decisione di Dio di fare l'uomo a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27) conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni (cfr. Gen 5) e su tutta la terra (cfr. Gen 10). Il Libro della Genesi mostra, inoltre, che l'essere umano non è stato creato isolato, ma all'interno di un contesto di cui fanno parte integrante lo spazio vitale, che gli assicura la libertà (il giardino), la disponibilità di alimenti (gli alberi del giardino), il lavoro (il comando di coltivare) e soprattutto la comunità (il dono dell'aiuto simile a lui) (cfr. Gen 2,8-24). Le condizioni che assicurano pienezza alla vita umana sono, in tutto l'Antico Testamento, oggetto della benedizione divina. Dio vuole garantire all'uomo i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili.Cds (CDS 430) L'alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto «padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,4), apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. La storia salvifica induce il popolo di Israele a pensare che l'azione divina sia ristretta alla sua terra, tuttavia si consolida a poco a poco la convinzione che Dio opera anche tra le altre Nazioni (cfr. Is 19,18-25). I Profeti annunceranno per il tempo escatologico il pellegrinaggio dei popoli al tempio del Signore e un'era di pace tra le Nazioni (cfr. Is 2,2-5; 66,18-23). Israele, disperso nell'esilio, prenderà definitivamente coscienza del suo ruolo di testimone dell'unico Dio (cfr. Is 44,6-8), Signore del mondo e della storia dei popoli (cfr. Is 44,24-28). (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.85b] Lo sviluppo d'un paese dipende dalle sue risorse in uomini e in denaro. Bisogna preparare i cittadini di ogni nazione, attraverso l'educazione e la formazione professionale, ad assumere i diversi incarichi della vita economica e sociale. A tal fine si richiede l'opera di esperti stranieri, i quali nel prestare la loro azione, si comportino non come padroni, ma come assistenti e cooperatori. Senza profonde modifiche nei metodi attuali del commercio mondiale, le nazioni in via di sviluppo non potranno ricevere i sussidi materiali di cui hanno bisogno. Inoltre, altre risorse devono essere loro date dalle nazioni progredite, sotto forma di dono, di prestiti e d'investimenti finanziari: ciò si faccia con generosità e senza cupidigia, da una parte, e si ricevano, dall'altra, con tutta onestà. | (CDS 433) La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1911). Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale (881). La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà (882). L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno (883). (881) Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 5: AAS 58 (1966) 743-744; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 268.281; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 63: AAS 59 (1967) 288; Id., Lett. apost. Octogesima adveniens, 16: AAS 63 (1971) 413; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, L'Église face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'Intolérance qui y est associée, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2001. (882) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 279-280. (883) Cfr. Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 2: AAS 57 (1965) 879-880. (CDS 434) Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale (884), ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli (885), nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana (886). Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza (887). Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione (888). La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti. (884) Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 438-439. (885) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 292; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52: AAS 83 (1991) 857-858. (886) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 284. (887) Cfr. Pio XII, Allocuzione natalizia (24 dicembre 1939): AAS 32 (1940) 9-11; Id., Discorso ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli (6 dicembre 1953): AAS 45 (1953) 395-396; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 289. (888) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 9-10: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 737-738. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.85c] Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo. | (CCC 2438) Varie cause, di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi "alla questione sociale […] una dimensione mondiale" [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 9]. Tra le nazioni, le cui politiche sono già interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa indispensabile allorché si tratta di bloccare "i meccanismi perversi" che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti [Ibid., 17; 45]. A sistemi finanziari abusivi se non usurai [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35], a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, "ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte" [Ibid., 28]. (CDS 446) La soluzione del problema dello sviluppo richiede la cooperazione tra le singole comunità politiche: «Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l'intesa e la collaborazione» (925). Il sottosviluppo sembra una situazione impossibile da eliminare, quasi una fatale condanna, se si considera il fatto che esso non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di «meccanismi economici, finanziari e sociali» (926) e di «strutture di peccato» (927) che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli. Queste difficoltà, tuttavia, devono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo non è solo un'aspirazione, ma un diritto (928) che, come ogni diritto, implica un obbligo: «La collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud» (929). Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d'origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà. (925) Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et Magistra: AAS 53 (1961) 449; cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1945): AAS 38 (1946) 22. (926) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 16: AAS 80 (1988) 531. (927) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 36-37. 39: AAS 80 (1988) 561-564. 567. (928) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268; Id., Lett. ap. Octogesima adveniens, 43: AAS 63 (1971) 431-432; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32-33: AAS 80 (1988) 556-559; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 836-838; cfr. anche Paolo VI, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969), 22: AAS 61 (1969) 500-501; Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno di dottrina sociale della Chiesa (20 giugno 1997), 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 1554-1555; Id., Discorso ai Dirigenti di Sindacati di Lavoratori e di grandi Società (2 maggio 2000), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 (2000) 726. (929) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32: AAS 80 (1988) 556. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 86 - Alcune norme opportune
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[GS.86a] In vista di questa cooperazione, sembra utile proporre le norme seguenti: a) Le nazioni in via di sviluppo tendano soprattutto ad assegnare, espressamente e senza equivoci, come fine del progresso la piena espansione umana dei cittadini. Si ricordino che questo progresso trova innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e nella ingegnosità delle popolazioni stesse, visto che esso deve sì far leva sugli aiuti esterni, ma, prima di tutto, sulla valorizzazione delle proprie risorse nonché sulla propria cultura e tradizione. In questa materia, quelli che esercitano sugli altri maggiore influenza devono dare l'esempio. | (CCC 2439) Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurar impedite in conseguenza di tragiche vice si i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state nde storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate. (CDS 447) La dottrina sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo: «In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 33: AAS 83 (1991) 835). Tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all'impossibilità di accedere al mercato internazionale (Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61: AAS 59 (1967) 285-287), vanno annoverati l'analfabetismo, l'insicurezza alimentare, l'assenza di strutture e servizi, la carenza di misure per garantire l'assistenza sanitaria di base, la mancanza di acqua potabile, la corruzione, la precarietà delle istituzioni e della stessa vita politica. Esiste una connessione tra la povertà e la mancanza, in molti Paesi, di libertà, di possibilità di iniziativa economica, di amministrazione statale capace di predisporre un adeguato sistema di educazione e di informazione. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.86b] b) È dovere gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo ad adempiere i compiti sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle revisioni interne, spirituali e materiali, richieste da questa cooperazione universale. Così bisogna che negli scambi con le nazioni più deboli e meno fortunate abbiano riguardo al bene di quelle che hanno bisogno per la loro stessa sussistenza dei proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti. c) Spetta alla comunità internazionale coordinare e stimolare lo sviluppo, curando tuttavia di distribuire con la massima efficacia ed equità le risorse a ciò destinate. Salvo il principio di sussidiarietà, ad essa spetta anche di ordinare i rapporti economici mondiali secondo le norme della giustizia. | (CCC 2440) L'aiuto diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali, causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi con i paesi meno sviluppati [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 16]. E' necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 26]. Questi principi vanno applicati in una maniera tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel terzo mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri. (CDS 448) Lo spirito della cooperazione internazionale richiede che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale (932); infatti, esiste «qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità» (933). La cooperazione è la via che la Comunità internazionale nel suo insieme deve impegnarsi a percorrere «secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana» (934). Ne deriveranno effetti molto positivi, come per esempio un aumento di fiducia nelle potenzialità delle persone povere e quindi dei Paesi poveri e un'equa distribuzione dei beni. (932) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 44: AAS 59 (1967) 279. (933) (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 34: AAS 83 (1991) 836. (934) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58: AAS 83 (1991) 863. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.86c] Si fondino istituti capaci di promuovere e di regolare il commercio internazionale, specialmente con le nazioni meno sviluppate, e destinati pure a compensare gli inconvenienti che derivano dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le nazioni. Accanto all'aiuto tecnico, culturale e finanziario, un simile ordinamento dovrebbe mettere a disposizione delle nazioni in via di sviluppo le risorse necessarie ad ottenere una crescita soddisfacente della loro economia. | (CDS 449) All'inizio del nuovo millennio, la povertà di miliardi di uomini e donne è «la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana» (935). La povertà pone un drammatico problema di giustizia: la povertà, nelle sue diverse forme e conseguenze, si caratterizza per una crescita ineguale e non riconosce a ogni popolo «l'eguale diritto "ad assidersi alla mensa del banchetto comune"» (936). Tale povertà rende impossibile la realizzazione di quell'umanesimo plenario che la Chiesa auspica e persegue, affinché le persone e i popoli possano «essere di più» (937) e vivere in «condizioni più umane» (938). La lotta alla povertà trova una forte motivazione nell'opzione, o amore preferenziale, della Chiesa per i poveri (939). In tutto il suo insegnamento sociale la Chiesa non si stanca di ribadire anche altri suoi fondamentali principi: primo fra tutti, quello della destinazione universale dei beni (940). Con la costante riaffermazione del principio della solidarietà, la dottrina sociale sprona a passare all'azione per promuovere «il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (941). Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d'iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri (942): ai poveri si deve guardare «non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo» (943). (935) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 14: AAS 92 (2000) 366; cfr. anche Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 1: AAS 85 (1993) 429-430. (936) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33: AAS 80 (1988) 558. Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 47: AAS 59 (1967) 280. (937) Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 6: AAS 59 (1967) 260; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28: AAS 80 (1988) 548-550. (938) Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 20-21: AAS 59 (1967) 267-268. (939) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latino-Americano, Puebla (28 gennaio 1979), I/8: AAS 71 (1979) 194-195. (940) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22: AAS 59 (1967) 268. (941) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38: AAS 80 (1988) 566. (942) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 55: AAS 59 (1967) 284; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44: AAS 80 (1988) 575-577. (943) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2000, 14: AAS 92 (2000) 366. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.86d] d) In molti casi è urgente procedere a una revisione delle strutture economiche e sociali. Ma bisogna guardarsi dalle soluzioni tecniche premature, specialmente da quelle che, mentre offrono all'uomo certi vantaggi materiali, si oppongono al suo carattere spirituale e alla sua crescita. Poiché « non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio » (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca in sé e nelle sue migliori tradizioni qualcosa di quel tesoro spirituale che Dio ha affidato all'umanità, anche se molti ignorano da quale fonte provenga. | (CCC 2441) Alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e l'apertura alla trascendenza [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 51]. (CDS 450) Il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri (944). Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale - fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico -, sia all'interno dei singoli Paesi indebitati - corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: pur riaffermando il principio che il debito contratto va onorato, bisogna trovare le vie per non compromettere il «fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso» (945). (944) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, 51: AAS 87 (1995) 36; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 4: AAS 90 (1998) 151-152; Id., Discorso alla Conferenza dell'Unione Interparlamentare (30 novembre 1998): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 2 (1998) 1162-1163; Id., Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 9: AAS 91 (1999) 383-384. (945) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 838; cfr. anche il documento Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale, pubblicato dalla Pontificia Commissione «Iustitia et Pax» (27 dicembre 1986), Città del Vaticano 1986. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 87 - La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico
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[GS.87a] La cooperazione internazionale è indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un rapido incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la cooperazione intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si possa procurare e mettere a disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e attuassero una più giusta distribuzione della proprietà terriera. | (CCC 2371) "Sia chiaro a tutti che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati solo a questo tempo e non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma riguardano sempre il destino eterno degli uomini" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 51]. (CCC 2372) Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. E' legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l'incremento della popolazione. Può farlo con un'informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all'iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell'educazione dei propri figli [Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37; Id., Lett. enc. Humanae vitae, 23]. In questo campo non è autorizzato a intervenire con mezzi contrari alla legge morale. (CDS 94) Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l'inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i «segni dei tempi» (163). La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell'agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell'incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all'interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo. Giovanni XXIII, nell'enciclica «Mater et magistra» (164)), «mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana» (165). Le parole-chiave dell'Enciclica sono comunità e socializzazione (166): la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell'amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un'autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità. (163) Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 267-269. 278-279. 291. 295-296. (164) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 401-464. (165) Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 23, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988, p. 26. (166) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 415-418. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.87b] Nei limiti della loro competenza, i governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il problema demografico della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione sociale e familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che cattolici competenti in tutte queste materie, in particolare nelle università, proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino maggiormente. | (CDS 234) Il giudizio circa l'intervallo tra le nascite e il numero dei figli da procreare spetta soltanto agli sposi. È questo un loro diritto inalienabile, da esercitare davanti a Dio, considerando i doveri verso se stessi, verso i figli già nati, la famiglia e la società (258). L'intervento dei pubblici poteri, nell'ambito delle loro competenze, per la diffusione di un'appropriata informazione e l'adozione di opportune misure in campo demografico, deve essere compiuto nel rispetto delle persone e della libertà delle coppie: non può mai sostituirsi alle loro scelte (259); tanto meno lo possono fare le varie organizzazioni operanti in questo settore. Sono moralmente condannabili come attentati alla dignità della persona e della famiglia tutti i programmi di aiuto economico destinati a finanziare campagne di sterilizzazione e di contraccezione o subordinati all'accettazione di tali campagne. La soluzione delle questioni connesse alla crescita demografica deve essere piuttosto perseguita nel simultaneo rispetto sia della morale sessuale sia di quella sociale, promuovendo una maggiore giustizia e autentica solidarietà per dare ovunque dignità alla vita a cominciare dalle condizioni economiche, sociali e culturali. (258) Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 50: AAS 58 (1966) 1070-1072; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2368; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37: AAS 59 (1967) 275-276. (259) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2372. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.87c] Poiché molti affermano che l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale intervento dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni contrarie alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in virtù del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e alla generazione della prole, la decisione circa il numero dei figli da mettere al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non può in nessun modo essere lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e veramente umano, nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un po' dappertutto un miglioramento dei mezzi pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto una formazione religiosa o almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano opportunamente informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che potranno aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che sia ben accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la morale. | (CDS 233) Circa i «mezzi» per attuare la procreazione responsabile, vanno anzitutto rifiutati come moralmente illeciti sia la sterilizzazione sia l'aborto (521). Quest'ultimo, in particolare, è un abominevole delitto e costituisce sempre un disordine morale particolarmente grave (522); lungi dall'essere un diritto, è piuttosto un triste fenomeno che contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale (523). Va pure rifiutato il ricorso ai mezzi contraccettivi nelle loro diverse forme (524): tale rifiuto si fonda su una corretta e integrale concezione della persona e della sessualità umana (525) ed ha il valore di un'istanza morale a difesa del vero sviluppo dei popoli (526). Le stesse ragioni di ordine antropologico giustificano, invece, come lecito il ricorso all'astinenza periodica nei periodi di fertilità femminile (527). Rifiutare la contraccezione e ricorrere ai metodi naturali di regolazione della natalità significa scegliere di impostare i rapporti interpersonali tra coniugi sul reciproco rispetto e sulla totale accoglienza, con positivi riflessi anche per la realizzazione di un ordine sociale più umano. (521) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490-491. (522) Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1072-1073; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2271-2272; Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 21: AAS 86 (1994) 919-920; Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 58.59.61-62: AAS 87 (1995) 466-468. 470-472. (523) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 21: AAS 86 (1994) 919-920; Id., Lett. enc. Evangelium vitae, 72.101: AAS 87 (1995) 484-485.516-518; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2273. (524) Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 51: AAS 58 (1966) 1072-1073; Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 14: AAS 60 (1968) 490-491; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370; Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: AAS 22 (1930), 559-561). (525) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 7: AAS 60 (1968) 485; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120. (526) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 17: AAS 60 (1968) 493-494. (527) Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 16: AAS 60 (1968) 491-492; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 32: AAS 74 (1982) 118-120; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370. (CCC 2372) Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. E' legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l'incremento della popolazione. Può farlo con un'informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all'iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell'educazione dei propri figli [Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37; Id., Lett. enc. Humanae vitae, 23]. In questo campo non è autorizzato a intervenire con mezzi contrari alla legge morale. (Commento CCC dal Catechismo della Chiesa Cattolica e CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 88 - Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi
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[GS.88a] I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale, nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo. | (CDS 436) Per realizzare e consolidare un ordine internazionale che garantisca efficacemente la pacifica convivenza tra i popoli, la stessa legge morale che regge la vita degli uomini deve regolare anche i rapporti tra gli Stati: «legge morale, la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante» (894). È necessario che la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, venga considerata effettiva e inderogabile quale viva espressione della coscienza che l'umanità ha in comune, una «grammatica» (895) in grado di orientare il dialogo sul futuro del mondo. (894) Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 16. (895) Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 732. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.88b] Sono, pertanto, da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico uso della Chiesa, attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario. | (CDS 437) Il rispetto universale dei principi che ispirano un «ordinamento giuridico in armonia con l'ordine morale» (896) è una condizione necessaria per la stabilità della vita internazionale. La ricerca di una simile stabilità ha favorito la graduale elaborazione di un diritto delle genti (897) («ius gentium»), che può essere considerato come «l'antenato del diritto internazionale» (898). La riflessione giuridica e teologica, ancorata al diritto naturale, ha formulato «principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati» (899), come l'unità del genere umano, l'uguaglianza in dignità di ogni popolo, il rifiuto della guerra per superare le contese, l'obbligazione di cooperare per il bene comune, l'esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti («pacta sunt servanda»). Quest'ultimo principio va particolarmente sottolineato per evitare «la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto» (900). (896) Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 277. (897) Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus: AAS 31 (1939) 438-439; Id., Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 16-17; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 290-292. (898) Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (12 gennaio 1991), 8: L'Osservatore Romano, 13 gennaio 1991, p. 5. (899) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 5: AAS 96 (2004) 116. (900) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 5: AAS 96 (2004) 117; cfr. anche Id., Messaggio al Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense (21 marzo 2002), 6: L'Osservatore Romano, 22 marzo 2002, p. 6. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.88c] Le collette e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera troppo rigida e uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale; ovunque la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri fratelli cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla all'esercizio provvido e ordinato dell'azione sociale e caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono impegnarsi al servizio delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in istituti specializzati. | (CDS 438) Per risolvere i conflitti che insorgono tra le diverse comunità politiche e che compromettono la stabilità delle Nazioni e la sicurezza internazionale, è indispensabile riferirsi a regole comuni affidate alla trattativa, rinunciando definitivamente all'idea di ricercare la giustizia mediante il ricorso alla guerra (901): «la guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia» (902). La Carta delle Nazioni Unite ha interdetto non solo il ricorso alla forza, ma anche la sola minaccia di usarla (903): tale disposizione è nata dalla tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Il Magistero non aveva mancato durante quel conflitto di individuare alcuni fattori indispensabili per edificare un rinnovato ordine internazionale: la libertà e l'integrità territoriale di ogni Nazione; la tutela dei diritti delle minoranze; un'equa condivisione delle risorse della terra; il rifiuto della guerra e l'attuazione del disarmo; l'osservanza dei patti concordati; la cessazione della persecuzione religiosa (Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1941): AAS 34 (1942) 18). (901) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 23: AAS 83 (1991) 820-821. (902) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 18: AAS 83 (1991) 816. (903) Cfr. Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945), art. 2.4; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 6: AAS 96 (2004) 117. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 89 -Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale
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[GS.89a] La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti. | (CDS 439) Per consolidare il primato del diritto, vale anzitutto il principio della fiducia reciproca (905). In questa prospettiva, gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle controversie devono essere ripensati in modo da rafforzarne la portata e l'obbligatorietà. Gli istituti del negoziato, della mediazione, della conciliazione, dell'arbitrato, che sono espressione della legalità internazionale, devono essere sostenuti dalla creazione di «un'autorità giuridica pienamente efficiente in un mondo pacificato» (906). Un avanzamento in questa direzione consentirà alla Comunità internazionale di proporsi non più come semplice momento di aggregazione della vita degli Stati, ma come una struttura in cui i conflitti possono essere pacificamente risolti: «Come all'interno dei singoli Stati ... il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale» (907). In definitiva, il diritto internazionale «deve evitare che prevalga la legge del più forte» (908). (905) Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1945): AAS 38 (1946) 22; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 (1963) 287-288). (906) Giovanni Paolo II, Discorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (13 maggio 1985), 4: AAS 78 (1986) 520. (907) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52: AAS 83 (1991) 858. (908) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 9: AAS 96 (2004) 120. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.89b] Per raggiungere questo fine in modo più efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta collaborazione con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in quella civile. | (CDS 440) Il cammino verso un'autentica «comunità» internazionale, che ha assunto una precisa direzione con l'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, è accompagnato dalla Chiesa: tale Organizzazione «ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace» (909). La dottrina sociale, in generale, considera positivamente il ruolo delle Organizzazioni inter-governative, in particolare di quelle operanti in settori specifici (910), pur esprimendo riserve quando esse affrontano in modo scorretto i problemi (911). Il Magistero raccomanda che l'azione degli Organismi internazionali risponda alle necessità umane nella vita sociale e negli ambiti rilevanti per la pacifica e ordinata convivenza delle Nazioni e dei popoli (912). (909) (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 7: AAS 96 (2004) 118. (910) Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 426. 439; Giovanni Paolo II, Discorso alla 20ª Conferenza Generale della FAO (12 novembre 1979), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) 1136-1137; Id., Allocuzione all'UNESCO (2 giugno 1980), 5. 8: AAS 72 (1980) 737. 739-740; Id., Discorso al Consiglio dei Ministri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) (30 novembre 1993), 3. 5: AAS 86 (1994) 750-751. 752. (911) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio alla Signora Nafis Sadik, Segretario Generale della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (18 marzo 1994): AAS 87 (1995) 191-192; Id., Messaggio alla Signora Gertrude Mongella, Segretario Generale della Quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla Donna (26 maggio 1995): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 1 (1995) 1571-1577. (912) Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 84: AAS 58 (1966) 1107-1108. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
n. 90 - La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali
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[GS.90a] Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i cristiani in campo internazionale è l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali. | (CDS 444) La Santa Sede - o Sede Apostolica (Cfr. CIC, canone 361) - gode di piena soggettività internazionale in quanto autorità sovrana che realizza atti giuridicamente propri. Essa esercita una sovranità esterna, riconosciuta nel quadro della Comunità internazionale, che riflette quella esercitata all'interno della Chiesa e che è caratterizzata dall'unità organizzativa e dall'indipendenza. La Chiesa si avvale di quelle modalità giuridiche che risultino necessarie o utili al compimento della sua missione. L'attività internazionale della Santa Sede si manifesta oggettivamente sotto diversi aspetti, tra cui: il diritto di legazione attivo e passivo; l'esercizio dello «ius contrahendi», con la stipulazione di trattati; la partecipazione a organizzazioni intergovernative, come ad esempio quelle appartenenti al sistema delle Nazioni Unite; le iniziative di mediazione in caso di conflitti. Tale attività intende offrire un servizio disinteressato alla Comunità internazionale, poiché non cerca vantaggi di parte, ma si propone il bene comune dell'intera famiglia umana. In tale contesto, la Santa Sede si giova particolarmente del proprio personale diplomatico. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.90b] Infine è auspicabile che i cattolici si studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere in seno alla comunità internazionale. | (CDS 445) Il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di un'antica e consolidata prassi, è uno strumento che opera non solo per la «libertas Ecclesiae», ma anche per la difesa e la promozione della dignità umana, nonché per un ordine sociale basato sui valori della giustizia, della verità, della libertà e dell'amore: «Per un nativo diritto inerente alla nostra stessa missione spirituale, favorito da un secolare sviluppo di avvenimenti storici, noi inviamo pure i nostri legati alle supreme autorità degli stati nei quali è radicata o presente in qualche modo la Chiesa Cattolica. È ben vero che le finalità della Chiesa e dello Stato sono di ordine diverso, e che ambedue sono società perfette, dotate, quindi, di mezzi propri, e sono indipendenti nella rispettiva sfera d'azione, ma è anche vero che l'una e l'altro agiscono a beneficio di un soggetto comune, l'uomo, da Dio chiamato alla salvezza eterna e posto sulla terra per permettergli, con l'aiuto della grazia, di conseguirla con una vita di lavoro, che porti a lui benessere, nella pacifica convivenza» (Paolo VI, Lett. ap. Sollicitudo omnium ecclesiarum: AAS 61 (1969) 476). Il bene delle persone e delle comunità umane è favorito da un dialogo strutturato tra la Chiesa e le autorità civili, che trova espressione anche tramite la stipula di mutui accordi. Tale dialogo tende a stabilire o rafforzare rapporti di reciproca comprensione e collaborazione, nonché a prevenire o sanare eventuali dissidi, con l'obiettivo di contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità nella giustizia e nella pace. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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[GS.90c] Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo della Chiesa universale, al fine di fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni. | (CDS 443) Il Magistero valuta positivamente il ruolo dei raggruppamenti che si sono formati nella società civile per svolgere un'importante funzione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai diversi aspetti della vita internazionale, con una speciale attenzione per il rispetto dei diritti dell'uomo, come rivela «il numero di associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato» (921). I Governi dovrebbero sentirsi incoraggiati da un simile impegno, che mira a tradurre in pratica gli ideali che ispirano la comunità internazionale, «in particolare mediante i concreti gesti di solidarietà e di pace delle tante persone che operano anche nelle Organizzazioni non Governative e nei Movimenti per i diritti dell'uomo» (922). (921) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 26: AAS 80 (1988) 544-547. (922) Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, 7: AAS 96 (2004) 118. (Commento CDS dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa) |
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