Gaudium et spes – Parte I – Capitolo I





Costituzione Pastorale "Gaudium et spes"
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
7 dicembre 1965


Commento mediante il Catechismo della Chiesa Cattolica


PARTE I
LA CHIESA E LA VOCAZIONE DELL'UOMO

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Capito I
LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

L'uomo ad immagine di Dio (n. 12)
     [12a] Vera condizione dell'uomo: miserie, dignità, vocazione
     [12b] L'uomo è stato creato a immagine di Dio
     [12c] L'uomo per sua intima natura è un essere sociale

Il peccato (n. 13)
     [13a] L'uomo fin dagli inizi abusò della sua libertà, contro Dio
     [13b] L'uomo si trova diviso in se stesso
     [13c] Uomo: sublime vocazione e profonda miseria

Costituzione dell'uomo (n. 14)
     [14a] L'uomo sintetizza in sé gli elementi del mondo materiale
     [14b] L'uomo sperimenta le ribellioni del corpo
     [14c] Uomo: la sua anima spirituale immortale trascende l'universo

Dignità dell'intelligenza, verità e saggezza (n. 15)
     [15a] L'uomo partecipa alla luce della mente di Dio
     [15b] L'intelligenza conquista con vera certezza la realtà intelligibile
     [15c] L'uomo è condotto attraverso il visibile all'invisibile
     [15d] L'epoca nostra ha bisogno di sapienza e di vera saggezza
     [15e] L'uomo può contemplare nella fede il mistero del piano divino

Dignità della coscienza morale (n. 16)
     [16a] L'uomo ha una legge scritta da Dio dentro al cuore
     [16b] Coscienza: nucleo più segreto e sacrario dell'uomo
     [16c] Coscienza retta: allontana dal cieco arbitrio

Grandezza della libertà (n. 17)
     [17a] Vera libertà nell'uomo: segno privilegiato d'immagine divina
     [17b] Dignità dell'uomo: agire secondo scelte consapevoli e libere
     [17c] Ogni uomo dovrà rendere conto a Dio della propria vita

Il mistero della morte (n. 18)
     [18a] Morte: è il culmine dell'enigma della condizione umana
     [18b] Istinto del cuore: respinge l'idea di totale rovina e annientamento della persona
     [18c] Morte corporale: vinta dall'onnipotenza e misericordia del Salvatore
     [18d] Uomo in comunione perpetua con l'incorruttibile vita divina

Forme e radici dell'ateismo (n. 19)
     [19a] Uomo: Dio lo crea per amore e non cessa di dargli l'esistenza
     [19b] Il termine «ateismo» designa fenomeni assai diversi tra loro
     [19c] Ateismo: qualche valore umano prende il posto di Dio
     [19d] Ateismo: mai originario ma derivante da cause diverse

L'ateismo sistematico (n. 20)
     [20a] Ateismo: uomo unico fine a se stesso e artefice della propria storia
     [20b] Ateismo: liberazione soprattutto economico-sociale dell'uomo

Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo (n. 21)
     [21a] Scoprire le ragioni della negazione di Dio
     [21b] Senza base religiosa e fede si sprofonda nella disperazione
     [21c] Ciascun uomo rimane ai propri occhi un problema insoluto
     [21d] Rimedio all'ateismo: una testimonianza di fede viva e adulta
     [21e] Carità fraterna e unità dei fedeli rivelano la presenza di Dio
     [21f] La Chiesa rivendica un'effettiva libertà in favore dei credenti
     [21g] Atei: invito a considerare il Vangelo di Cristo con animo aperto

Cristo, l'uomo nuovo (n. 22)
     [22a] Cristo svela pienamente all'uomo la sua altissima vocazione
     [22b] Cristo uomo perfetto ci ha restituito la somiglianza con Dio
     [22c] Ognuno può dire: Cristo mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me
     [22d] Capaci di adempiere la legge nuova dell'amore
     [22e] Incontro alla risurrezione fortificati dalla speranza
     [22f] La vocazione ultima dell'uomo è quella divina
     [22g] In Cristo riceve luce l'enigma del dolore e della morte che ci opprime


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Capitolo I

 

LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA


n. 12 - L'uomo a immagine di Dio


Vera condizione dell'uomo: miserie, dignità, vocazione

[GS 12a] Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos'è l'uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione.
(CCC 355) "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 1,27). L'uomo, nella creazione, occupa un posto unico: egli è "a immagine di Dio" (I); nella sua natura unisce il mondo spirituale e il mondo materiale (II); è creato "maschio e femmina" (III); Dio l'ha stabilito nella sua amicizia (IV). (CCC 356) Di tutte le creature visibili, soltanto l'uomo è "capace di conoscere e di amare il proprio Creatore" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 12]; "è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" [Ibid., 24]; soltanto l'uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell'amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità. "Quale fu la ragione che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? Certo l'amore inestimabile con il quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei; per amore infatti tu l'hai creata, per amore tu le hai dato un essere capace di gustare il tuo Bene eterno" [Santa Caterina da Siena, Il dialogo della Divina provvidenza, 13].


L'uomo è stato creato a immagine di Dio

[GS 12b] La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene (9) quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio (10). «Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi» (Sal 8,5).

(9) Cf. Gen 1,26; Sap 2,23.
(10) Cf. Sir 17,3-10.
(CCC 357) Essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione. (CCC 358) Dio ha creato tutto per l'uomo [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 12; 24; 39], ma l'uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione: "Qual è dunque l'essere che deve venire all'esistenza circondato di una tale considerazione? È l'uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso agli occhi di Dio dell'intera creazione: è l'uomo, è per lui che esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione, ed è alla sua salvezza che Dio ha dato tanta importanza da non risparmiare, per lui, neppure il suo Figlio unigenito. Dio infatti non ha mai cessato di tutto mettere in atto per far salire l'uomo fino a sé e farlo sedere alla sua destra" [San Giovanni Crisostomo, Sermones in Genesim, 2, 1: PG 54, 587-588].


L'uomo per sua intima natura è un essere sociale

[GS 12c] Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen1,31).
(CCC 369) L'uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio: in una perfetta uguaglianza per un verso, in quanto persone umane, e, per l'altro verso, nel loro rispettivo essere di maschio e di femmina. "Essere uomo", "essere donna" è una realtà buona e voluta da Dio: l'uomo e la donna hanno una insopprimibile dignità, che viene loro direttamente da Dio, loro Creatore [Gen 2,7.22]. L'uomo e la donna sono, con una identica dignità, "a immagine di Dio". Nel loro "essere-uomo" ed "essere-donna", riflettono la sapienza e la bontà del Creatore. (CCC 370) Dio non è a immagine dell'uomo. Egli non è né uomo né donna. Dio è puro spirito, e in lui, perciò, non c'è spazio per le differenze di sesso. Ma le "perfezioni" dell'uomo e della donna riflettono qualche cosa dell'infinita perfezione di Dio: quelle di una madre [Is 49,14-15; 66,13; Sal 131,2-3] e quelle di un padre e di uno sposo [Os 11,1-4; Ger 3,4-19]. (CCC 371) Creati insieme, l'uomo e la donna sono voluti da Dio l'uno per l'altro. La Parola di Dio ce lo lascia capire attraverso diversi passi del testo sacro. "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gen 2,18). Nessuno degli animali può essere questo "pari" dell'uomo [Gen 2,19-20]. La donna che Dio "plasma" con la costola tolta all'uomo e che conduce all'uomo, strappa all'uomo un grido d'ammirazione, un'esclamazione d'amore e di comunione: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gen 2,23). L'uomo scopre la donna come un altro "io", della stessa umanità.

n. 13 - Il peccato


L'uomo fin dagli inizi abusò della sua libertà, contro Dio

[GS 13a] Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore (11). Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione.

(11) Cf. Rm 1,21-25.
(CCC 396) Dio ha creato l'uomo a sua immagine e l'ha costituito nella sua amicizia. Creatura spirituale, l'uomo non può vivere questa amicizia che come libera sottomissione a Dio. Questo è il significato del divieto fatto all'uomo di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male, "perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti" (Gen 2,17). "L'albero della conoscenza del bene e del male" (Gen 2,17) evoca simbolicamente il limite invalicabile che l'uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare. L'uomo dipende dal Creatore, è sottomesso alle leggi della creazione e alle norme morali che regolano l'uso della libertà. (CCC 397) L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo [Rm 5,19]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.


L'uomo si trova diviso in se stesso

[GS 13b] Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato (12). Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza.

(12) Cf. Gv 8,34.
(CCC 398) Con questo peccato, l'uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l'uomo era destinato ad essere pienamente "divinizzato" da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare "come Dio" (Gen 3,5), ma "senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio" [San Massimo il Confessore, Ambiguorum liber: PG 91, 1156]. (CCC 399) La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originale [Rm 3,23]. Hanno paura di quel Dio [Gen 3,9-10] di cui si son fatti una falsa immagine, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative [Gen 3,5]. 


Uomo: sublime vocazione e profonda miseria

[GS 13c] Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l'esperienza.
(CCC 400) L'armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell'anima sul corpo è infranta [Gen 3,7]; l'unione dell'uomo e della donna è sottoposta a tensioni [Gen 3,11-13]; i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all'asservimento [Gen 3,16]. L'armonia con la creazione è spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo [Gen 3,17.19]. A causa dell'uomo, la creazione è soggetta alla schiavitù della corruzione (Rm 8,20). Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell'ipotesi della disobbedienza [Gen 2,17] si realizzerà: l'uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto [Gen 3,19]. La morte entra nella storia dell'umanità [Rm 5,12]. (CCC 401) Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera "invasione" del peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele [Gen 4,3-15]; la corruzione universale quale conseguenza del peccato [Gen 6,5.12; Rm 1,18-32]; nella storia d'Israele, il peccato si manifesta frequentemente soprattutto come infedeltà al Dio dell'Alleanza e come trasgressione della Legge di Mosè; anche dopo la redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato si manifesta in svariati modi [1Cor 1-6; Ap 2-3]. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa richiamano continuamente la presenza e l'universalità del peccato nella storia dell'uomo: "Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo cuore, si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13].

n. 14 - Costituzione dell'uomo


L'uomo sintetizza in sé gli elementi del mondo materiale

[GS 14a] Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore (13).

(13) Cf. Dn 3,57-90.
(CCC 362) La persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio simbolico, quando dice: "Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). L'uomo tutto intero è quindi voluto da Dio. (CCC 363) Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine anima indica la vita umana, [Mt 16,25-26; Gv 15,13] oppure tutta la persona umana [At 2,41]. Ma designa anche tutto ciò che nell'uomo vi è di più intimo [Mt 26,38; Gv 12,27] e di maggior valore [Mt 10,28; 2Mac 6,30], ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio: "anima" significa il principio spirituale nell'uomo.


L'uomo sperimenta le ribellioni del corpo

[GS 14b] Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno. E tuttavia, ferito dal peccato, l'uomo sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (14) e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore.

(14) Cf. 1Cor 6,13-20.
(CCC 364) Il corpo dell'uomo partecipa alla dignità di "immagine di Dio": è corpo umano proprio perché è animato dall'anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel corpo di Cristo, il tempio dello Spirito [1Cor 6,19-20;  15,44-45]. "Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora, non è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. (CCC 353) Dio ha voluto la diversità delle sue creature e la loro bontà propria, la loro interdipendenza, il loro ordine. Ha destinato tutte le creature materiali al bene del genere umano. L'uomo, e attraverso lui l'intera creazione, sono destinati alla gloria di Dio.


Uomo: la sua anima spirituale immortale trascende l'universo

[GS 14c] L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (15) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose.

(15) Cf. 1Sam 16,7; Ger 17,10.
(CCC 360) A motivo della comune origine il genere umano forma una unità. Dio infatti "creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini" (At 17,26; Tb 8,6): "Meravigliosa visione che ci fa contemplare il genere umano nell'unità della sua origine in Dio [...]; nell'unità della sua natura, composta ugualmente presso tutti di un corpo materiale e di un'anima spirituale; nell'unità del suo fine immediato e della sua missione nel mondo; nell'unità del suo "habitat": la terra, dei cui beni tutti gli uomini, per diritto naturale, possono usare per sostentare e sviluppare la vita; nell'unità del suo fine soprannaturale: Dio stesso, al quale tutti devono tendere; nell'unità dei mezzi per raggiungere tale fine; [...] nell'unità del suo riscatto operato per tutti da Cristo" [Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus; Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 1]. (CCC 365) L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come la "forma" del corpo; [Concilio di Vienne (1312): DS 902] ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo composto di materia è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura. (CCC 366) La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio [Pio XII, Lett. enc. Humani generis: DS, 3896; Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 8] - non è "prodotta" dai genitori - ed è immortale: [Concilio Lateranense V (1513): DS 1440] essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale. (CCC 367) Talvolta si dà il caso che l'anima sia distinta dallo spirito. Così san Paolo prega perché il nostro essere tutto intero, "spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore" (1Ts 5,23). La Chiesa insegna che tale distinzione non introduce una dualità nell'anima [Concilio di Costantinopoli IV (870): DS 657]. "Spirito" significa che sin dalla sua creazione l'uomo è ordinato al suo fine soprannaturale, [Concilio Vaticano I: DS 3005; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22] e che la sua anima è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con Dio [Pio XII, Lett. enc. Humani generis (anno 1950): DS 3891]. (CCC 368) La tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore, nel senso biblico di "profondità dell'essere" ("in visceribus": Ger 31,33), dove la persona si decide o non si decide per Dio [Dt 6,5; 29,3; Is 29,13; Ez 36,22; Mt 6,21; Lc 8,15; Rm 5,5]. 

n. 15 - Dignità dell'intelligenza, verità e saggezza


L'uomo partecipa alla luce della mente di Dio

[GS 15a] L'uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutto l'universo delle cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio. Con l'esercizio appassionato dell'ingegno lungo i secoli egli ha fatto certamente dei progressi nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali
(CCC 380) "Padre santo, … a tua immagine hai formato l'uomo, alle sue mani operose hai affidato l'universo, perché, nell'obbedienza a te, suo Creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato" [Preghiera eucaristica IV, Messale Romano]. (CCC 381) L'uomo è predestinato a riprodurre l'immagine del Figlio di Dio fatto uomo - "immagine del Dio invisibile" (Col 1,15) - affinché Cristo sia il primogenito di una moltitudine di fratelli e sorelle [Ef 1,3-6; Rm 8,29]. (CCC 2293) La ricerca scientifica di base e anche la ricerca applicata costituiscono un'espressione significativa della signoria dell'uomo sulla creazione. La scienza e la tecnica sono preziose risorse quando vengono messe al servizio dell'uomo e ne promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti; non possono tuttavia, da sole, indicare il senso dell'esistenza e del progresso umano. La scienza e la tecnica sono ordinate all'uomo, dal quale traggono origine e sviluppo; esse, quindi, trovano nella persona e nei suoi valori morali l'indicazione del loro fine e la coscienza dei loro limiti.


L'intelligenza conquista con vera certezza la realtà intelligibile

[GS 15b] Nell'epoca nostra, poi, ha conseguito successi notevoli particolarmente nella investigazione e nel dominio del mondo materiale. E tuttavia egli ha sempre cercato e trovato una verità più profonda. L'intelligenza, infatti, non si restringe all'ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata.
(CCC 159) Fede e scienza. "Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero" [Concilio Vaticano I, Dei Filius, c. 4: DS 3017]. "Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36]. (CCC 2467) L'uomo è naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla: "A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, […] sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità" [Dignitatis humanae, 2]. (CCC 2465) L'Antico Testamento attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità [Pr 8,7; 2Sam 7,28]. La sua legge è verità [Sal 119,142]. La sua "fedeltà dura per ogni generazione" (Sal 119,90) [Lc 1,50]. Poiché Dio è il "Verace" (Rm 3,4), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità [Sal 119,30].


L'uomo è condotto attraverso il visibile all'invisibile

[GS 15c] Infine, la natura intelligente della persona umana può e deve raggiungere la perfezione. Questa mediante la sapienza attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo che se ne nutre è condotto attraverso il visibile all'invisibile.
(CCC 2466) In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), egli è la "luce del mondo" (Gv 8,12), egli è la verità [Gv 14,6]. Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre (Gv 12,46). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi [Gv 8,31-32] e che santifica [Gv 17,17]. Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità (Gv 14,17) che il Padre manda nel suo nome [Gv 14,26] e che guida "alla verità tutta intera" (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: "Sia il vostro parlare sì, sì; no, no" (Mt 5,37). (CCC 2470) Il discepolo di Cristo accetta di "vivere nella verità", cioè nella semplicità di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità. "Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità" (1Gv 1,6). (CCC 337) È Dio che ha creato il mondo visibile in tutta la sua ricchezza, la sua varietà e il suo ordine. La Scrittura presenta simbolicamente l'opera del Creatore come un susseguirsi di sei giorni di "lavoro" divino, che terminano nel "riposo" del settimo giorno [Gen 1,1-2,4]. Il testo sacro, riguardo alla creazione, insegna verità rivelate da Dio per la nostra salvezza [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 11], che consentono di "riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 36].


L'epoca nostra ha bisogno di sapienza e di vera saggezza

[GS 15d] L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi. Inoltre va notato come molte nazioni, economicamente più povere rispetto ad altre, ma più ricche di saggezza, potranno aiutare potentemente le altre.
(CCC 1954) L'uomo partecipa alla sapienza e alla bontà del Creatore, che gli conferisce la padronanza dei suoi atti e la capacità di dirigersi verso la verità e il bene. La legge naturale esprime il senso morale originale che permette all'uomo di discernere, per mezzo della ragione, quello che sono il bene e il male, la verità e la menzogna: "La legge naturale è iscritta e scolpita nell'anima di tutti i singoli uomini; essa infatti è la ragione umana che impone di agire bene e proibisce il peccato. […] Questa prescrizione dell'umana ragione, però, non sarebbe in grado di avere forza di legge, se non è la voce e l'interprete di una ragione più alta, alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi" [Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum]. (CCC 1917) Spetta a coloro che sono investiti di autorità consolidare i valori che attirano la fiducia dei membri del gruppo e li stimolano a mettersi al servizio dei loro simili. La partecipazione ha inizio dall'educazione e dalla cultura. "Legittimamente si può pensare che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 31].


L'uomo può contemplare nella fede il mistero del piano divino

[GS 15e] Col dono, poi, dello Spirito Santo, l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e a gustare il mistero del piano divino (16).

(16) Cf. Sir 17,7-8.
(CCC 684) Lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato, Gesù Cristo [Gv 17,3]. Tuttavia è l'ultimo nella rivelazione delle Persone della Santa Trinità. San Gregorio Nazianzeno, "il Teologo", spiega questa progressione con la pedagogia della "condiscendenza" divina: "L'Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un'espressione un po' ardita. […] Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progressso "di gloria in gloria", la luce della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza" [San Gregorio Nazianzeno, Oratio 31 (Theologica 5), 26: (PG 36, 161-164)]. (CCC 683) "Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo" (1Cor 12,3). "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!" (Gal 4,6). Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. È lui che ci precede e suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la vita, che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa: Il Battesimo "ci accorda la grazia della nuova nascita in Dio Padre per mezzo del Figlio suo nello Spirito Santo. Infatti coloro che hanno lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, ossia al Figlio; ma il Figlio li presenta al Padre, e il Padre procura loro l'incorruttibilità. Dunque, senza lo Spirito, non è possibile vedere il Figlio di Dio, e, senza il Figlio, nessuno può avvicinarsi al Padre, perché la conoscenza del Padre è il Figlio, e la conoscenza del Figlio di Dio avviene per mezzo dello Spirito Santo" [Sant'Ireneo di Lione, Demonstratio praedicationis apostolicae, 7].

n. 16 - Dignità della coscienza morale


L'uomo ha una legge scritta da Dio dentro al cuore

[GS 16a] Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (17).

(17) Cf. Rm 2,14-16.
(CCC 1796) La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto. (CCC 1777) Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale [Rm 2,14-16] le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive [Rm 1,32]. Attesta l'autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i comandi. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire Dio che parla.


Coscienza: nucleo più segreto e sacrario dell'uomo

[GS 16b] La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (18). Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale.

(18) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico sulla retta formazione della coscienza cristiana nei giovani, La famiglia è la culla, 23  marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 271.
(19) Cf. Mt 22,37-40; Gal 5,14.
(CCC 1778) La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E' attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della Legge divina: La coscienza "è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. […] Essa è la messaggera di colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo" [John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5: Certain Difficulties felt by Anglicans in Catholic Teaching, v. 2 (Westminster 1969)]. (CCC 1779) L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione: "Ritorna alla tua coscienza, interrogala. […] Fratelli, rientrate in voi stessi e in tutto ciò che fate fissate lo sguardo sul Testimone, Dio" [Sant'Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 8, 9: PL 35, 2041].


Coscienza retta: allontana dal cieco arbitrio

[GS 16c] Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.
(CCC 1780) La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità (sinderesi), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio. (CCC 1781) La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui il testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare incessantemente con la grazia di Dio: "Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (1Gv 3,19-20). (CCC 1782) L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto "ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 3].

n. 17 - Grandezza della libertà


Vera libertà nell'uomo: segno privilegiato d'immagine divina

[GS 17a] Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.

(20) Cf. Sir 15,14.
(CCC 33) L'uomo: con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all'infinito e alla felicità, l'uomo si interroga sull'esistenza di Dio. In queste aperture egli percepisce segni della propria anima spirituale. "Germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile alla sola materia" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 18; 14], la sua anima non può avere la propria origine che in Dio solo. (CCC 1734) La libertà rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari. Il progresso nella virtù, la conoscenza del bene e l'ascesi accrescono il dominio della volontà sui propri atti. (CCC 1738) La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana, particolarmente in campo morale e religioso [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Tale diritto deve essere civilmente riconosciuto e tutelato nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico [Dignitatis humanae, 7].


Dignità dell'uomo: agire secondo scelte consapevoli e libere

[GS 17b] Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti.
(CCC 1739) Libertà e peccato. La libertà dell'uomo è finita e fallibile. Di fatto, l'uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d'amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell'umanità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell'uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà. (CCC 1735) L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali.


Ogni uomo dovrà rendere conto a Dio della propria vita

[GS 17c17c] Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male (21).

(21) Cf. 2Cor 5,10.
(CCC 1736) Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie: Il Signore infatti chiede ad Adamo dopo il peccato nel giardino: "Che hai fatto?" (Gen 3,13). Così pure a Caino [Gen 4,10]. Altrettanto fa il profeta Natan con il re Davide dopo l'adulterio commesso con la moglie di Uria e l'assassinio di quest'ultimo [2Sam 12,7-15]. Un'azione può essere indirettamente volontaria quando è conseguenza di una negligenza riguardo a ciò che si sarebbe dovuto conoscere o fare, per esempio un incidente provocato da una ignoranza del codice stradale. (CCC 1737) Un effetto può essere tollerato senza che sia voluto da colui che agisce; per esempio lo sfinimento di una madre al capezzale del figlio ammalato. L'effetto dannoso non è imputabile se non è stato voluto né come fine né come mezzo dell'azione, come può essere la morte incontrata nel portare soccorso a una persona in pericolo. Perché l'effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, per esempio, di un omicidio commesso da un conducente in stato di ubriachezza.

n. 18 - Il mistero della morte


Morte: è il culmine dell'enigma della condizione umana

[GS 18a] In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.
(CCC 1006) «In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo» (Conc. Vat. II, Gaudium et Spes, 18). Per un verso la morte corporale è naturale, ma per la fede essa in realtà è «salario del peccato» (Rm 6,23; Gn 2,17). E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua risurrezione [Rm 6,3-9; Fil 3,10-11]. (CCC 1007) La morte è il termine della vita terrena. Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta un'urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza. "Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza […] prima che ritorni la polvere alla terra, com'era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato" (Qo 12,1.7).


Istinto del cuore: respinge l'idea di totale rovina
e annientamento della persona

[GS 18b] Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore.
(CCC 1008) La morte è conseguenza del peccato. Interprete autentico delle affermazioni della Sacra Scrittura [Gn 2,17; 3,3.19; Sap 1,13; Rm 5,12; 6,23] e della Tradizione, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell'uomo (Concilio di Trento, Decretum de peccato originali, can. 1: DS 1511). Sebbene l'uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato [Sap 2,23-24]. «La morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato» [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes, 18], è pertanto «l'ultimo nemico» (1Cor 15,26) dell'uomo a dover essere vinto. (CCC 1009) La morte è trasformata da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subito la morte, propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa (Mc 14,33-34; Eb 5, 7-8), egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. L'obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione (Rm 5,19-21).


Morte corporale: vinta dall'onnipotenza e misericordia del Salvatore

[GS 18c] Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato (22), sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa.

(22) Cf. Sap 1,13; 2,23-24; Rm 5,21; 6,23; Gc 1,15.
(CCC 1010) Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. "Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno" (Fil 1,21). "Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui" (2Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente "morto con Cristo", per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo "morire con Cristo" e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore: "Per me è meglio morire per (eis) Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente. […] Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo" [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1-2]. (CCC 1011) Nella morte, Dio chiama a sé l'uomo. Per questo il cristiano può provare nei riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: "il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo" (Fil 1,23); e può trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull'esempio di Cristo [Lc 23,46]: "Ogni mio desiderio terreno è crocifisso; […] un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: "Vieni al Padre!" [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 7, 2]. "Voglio vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire" [Santa Teresa di Gesù, Poesia, 7]. "Non muoio, entro nella vita" [Santa Teresa di Gesù Bambino, Lettere (9 giugno 1897)].


Uomo in comunione perpetua con l'incorruttibile vita divina

[GS 18d] Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla morte mediante la sua morte (23). Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

(23) Cf. 1Cor 15,56-57.
(CCC 1012) La visione cristiana della morte [1Ts 4,13-14] è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa: "Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo" [Prefazio dei defunti, I: Messale Romano]. (CCC 1013) La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell'uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando è "finito l'unico corso della nostra vita terrena", [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. "È stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta" (Eb 9,27). Non c'è "reincarnazione" dopo la morte. (CCC 1014) La Chiesa ci incoraggia a prepararci all'ora della nostra morte ("Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore": antiche Litanie dei santi), a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi "nell'ora della nostra morte" (Ave Maria) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: "In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?" [De imitatione Christi, 1, 23, 5-8]. "Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente pò skappare. Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali: beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte seconda nol farà male" [San Francesco d'Assisi, Cantico delle creature].

n. 19 - Forme e radici dell'ateismo


Uomo: Dio lo crea per amore e non cessa di dargli l'esistenza

[GS 19a] L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore.
(CCC 28) Nel corso della loro storia, e fino ai giorni nostri, gli uomini in molteplici modi hanno espresso la loro ricerca di Dio attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc). Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d'espressione sono così universali che l'uomo può essere definito un essere religioso: "Dio creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17,26-28). (CCC 29) Ma questo "intimo e vitale legame con Dio" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19] può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall'uomo. Tali atteggiamenti possono avere origini assai diverse [Ib., 19-21]: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l'ignoranza o l'indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze [Mt 13,22], il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell'uomo peccatore a nascondersi, per paura, davanti a Dio [Gen 3,8-10] e a fuggire davanti alla sua chiamata [Gn 1,3].


Il termine «ateismo» designa fenomeni assai diversi tra loro

[GS 19b] Con il termine « ateismo » vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a negare Dio.
(CCC 2124) Il termine ateismo indica fenomeni molto diversi. Una forma frequente di esso è il materialismo pratico, che racchiude i suoi bisogni e le sue ambizioni entro i confini dello spazio e del tempo. L'umanesimo ateo ritiene falsamente che l'uomo "sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20]. Un'altra forma dell'ateismo contemporaneo si aspetta la liberazione dell'uomo da una liberazione economica e sociale, alla quale "si pretende che la religione sia di ostacolo, per natura sua, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura e fallace, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena" [Gaudium et spes, 20]. (CCC 2123) "Molti nostri contemporanei […] non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano l'intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]. (CCC 159) Fede e scienza. "Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero" [Concilio Vaticano I, Dei Filius, c. 4: DS 3017]. "Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36].



Ateismo: qualche valore umano prende il posto di Dio

[GS 19c] Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine sovente, o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio.
(CCC 2112) Il primo comandamento condanna il politeismo. Esige dall'uomo di non credere in altri dèi che Dio, di non venerare altre divinità che l'Unico. La Scrittura costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono "argento e oro, opera delle mani dell'uomo", i quali "hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono...". Questi idoli vani rendono l'uomo vano: "Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Sal 115,4-5.8; cf. Is 44,9-20; Ger 10,1-16; Dn 14,1-30; Bar 6; Sap 13,1-15,19). Dio, al contrario, è il "Dio vivente" (Gs 3,10; Sal 42,3), che fa vivere e interviene nella storia. (CCC 2113) L'idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C'è idolatria quando l'uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. "Non potete servire a Dio e a mammona", dice Gesù (Mt 6,24). Numerosi martiri sono morti per non adorare "la Bestia" [Ap 13-14], rifiutando perfino di simularne il culto. L'idolatria respinge l'unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina [Gal 5,20; Ef 5,5]. (CCC 2114) La vita umana si unifica nell'adorazione dell'Unico. Il comandamento di adorare il solo Signore semplifica l'uomo e lo salva da una dispersione senza limiti. L'idolatria è una perversione del senso religioso innato nell'uomo. Idolatra è colui che "riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia anziché a Dio" [Origene, Contra Celsum, 2, 40: PG 11, 861].


Ateismo: mai originario ma derivante da cause diverse

[GS 19d] Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti l'ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.
(CCC 2566) L'uomo è alla ricerca di Dio. Mediante la creazione Dio chiama ogni essere dal nulla all'esistenza. Coronato "di gloria e di splendore" (Sal 8,6), l'uomo, dopo gli angeli, è capace di riconoscere che il nome del Signore è grande su tutta la terra (Sal 8,2). Anche dopo aver perduto la somiglianza con Dio a causa del peccato, l'uomo rimane ad immagine del suo Creatore. Egli conserva il desiderio di colui che lo chiama all'esistenza. Tutte le religioni testimoniano questa essenziale ricerca da parte degli uomini [At 17,27]. (CCC 2567) Dio, per primo, chiama l'uomo. Sia che l'uomo dimentichi il suo Creatore oppure si nasconda lontano dal suo volto, sia che corra dietro ai propri idoli o accusi la divinità di averlo abbandonato, il Dio vivo e vero chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera. Questo passo d'amore del Dio fedele viene sempre per primo nella preghiera; il passo dell'uomo è sempre una risposta. A mano a mano che Dio si rivela e rivela l'uomo a se stesso, la preghiera appare come un appello reciproco, un evento di alleanza. Attraverso parole e atti, questo evento impegna il cuore. Si svela lungo tutta la storia della salvezza.

n. 20 - L'ateismo sistematico


Ateismo: uomo unico fine a se stesso e artefice della propria storia

[GS 20a] L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione. Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira all'uomo.
(CCC 1792) All'origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell'autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità. (CCC 1785) Nella formazione della coscienza la Parola di Dio è la luce sul nostro cammino; la dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in pratica. Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza rapportandoci alla croce del Signore. Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati della testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall'insegnamento certo della Chiesa [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 14].


Ateismo: liberazione soprattutto economico-sociale dell'uomo

[GS 20b] Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena. Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani.
(CCC 2124) Il termine ateismo indica fenomeni molto diversi. Una forma frequente di esso è il materialismo pratico, che racchiude i suoi bisogni e le sue ambizioni entro i confini dello spazio e del tempo. L'umanesimo ateo ritiene falsamente che l'uomo "sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20]. Un'altra forma dell'ateismo contemporaneo si aspetta la liberazione dell'uomo da una liberazione economica e sociale, alla quale "si pretende che la religione sia di ostacolo, per natura sua, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura e fallace, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena" [Gaudium et spes, 20]. (CCC 2125) Per il fatto che respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, l'ateismo è un peccato contro la virtù della religione [Rm 1,18]. L'imputabilità di questa colpa può essere fortemente attenuata dalle intenzioni e dalle circostanze. Alla genesi e alla diffusione dell'ateismo "possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione" [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]. (CCC 2126) Spesso l'ateismo si fonda su una falsa concezione dell'autonomia umana, spinta fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20]. In realtà, "il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione" [Gaudium et spes, 21]. La Chiesa sa "che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano" [Gaudium et spes, 21].

n. 21 - Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo


Scoprire le ragioni della negazione di Dio

[GS 21a] La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato (24), con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo.

(24) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29 (1937), pp. 65-106 [in parte Dz 3771-74]; PIO XII, Encicl. Ad Apostolorum Principis, 29 giugno 1958: AAS 50 (1958), pp. 601-614; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 451-453; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 651-653.
(CCC 2127) L'agnosticismo assume parecchie forme. In certi casi l'agnostico si rifiuta di negare Dio; ammette invece l'esistenza di un essere trascendente che non potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire niente. In altri casi l'agnostico non si pronuncia sull'esistenza di Dio, dichiarando che è impossibile provarla, così come è impossibile ammetterla o negarla. (CCC 2128) L'agnosticismo può talvolta racchiudere una certa ricerca di Dio, ma può anche costituire un indifferentismo, una fuga davanti al problema ultimo dell'esistenza e un torpore della coscienza morale. Troppo spesso l'agnosticimo equivale a un ateismo pratico.


Senza base religiosa e fede si sprofonda nella disperazione

[GS 21b] La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi. Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione.
(CCC 1700) La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di Dio (articolo 1); ha il suo compimento nella vocazione alla beatitudine divina (articolo 2). E' proprio dell'essere umano tendere liberamente a questo compimento (articolo 3). Con i suoi atti liberi (articolo 4), la persona umana si conforma, o non si conforma, al bene promesso da Dio e attestato dalla coscienza morale (articolo 5). Gli esseri umani si edificano da se stessi e crescono interiormente: di tutta la loro vita sensibile e spirituale fanno un materiale per la loro crescita (articolo 6). Con l'aiuto della grazia progrediscono nella virtù (articolo 7), evitano il peccato e, se l'hanno commesso, si affidano, come il figlio prodigo [Lc 15,11-31], alla misericordia del nostro Padre dei cieli (articolo 8). Così raggiungono la perfezione della carità. (CCC 1699) La vita nello Spirito Santo realizza la vocazione dell'uomo (capitolo primo). E' fatta di carità divina e di solidarietà umana (capitolo secondo). E' gratuitamente concessa come una Salvezza (capitolo terzo).


Ciascun uomo rimane ai propri occhi un problema insoluto

[GS 21c] E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato. A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile.
(CCC 306) Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l'esistenza, ma anche la dignità di agire esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno. (CCC 307) Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua Provvidenza, affidando loro la responsabilità di "soggiogare" la terra e di dominarla [Gen 1,26-28]. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l'opera della creazione, perfezionandone l'armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze [Col 1,24]. Allora diventano in pienezza "collaboratori di Dio" (1Cor 3,9; 1Ts 3,2) e del suo Regno [Col 4,11].


Rimedio all'ateismo: una testimonianza di fede viva e adulta

[GS 21d] Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo (25). Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle.

(25) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 12 [pag. 129ss].
(CCC 2464) L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto ad impegnarsi nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza. (CCC 2468) La verità in quanto rettitudine dell'agire e del parlare umano è detta veracità, sincerità o franchezza. La verità o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nei propri atti e nell'affermare il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia. (CCC 2469) "Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero confidenza reciproca, cioè se non si dicessero la verità" [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 109, 3, ad 1]. La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e la discrezione. Per giustizia, "un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità" [Summa theologiae, II-II, 109, 3, c].


Carità fraterna e unità dei fedeli rivelano la presenza di Dio

[GS 21e] Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri. Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi. Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo (26) e si presentano quale segno di unità.

(26) Cf. Fil 1,27.
(CCC 2473) Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. "Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio" [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1]. (CCC 2474) Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto i ricordi di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della verità scritti a lettere di sangue: "Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente…" [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1]. "Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri […]. Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen". [Martyrium Polycarpi, 14, 2-3].


La Chiesa rivendica un'effettiva libertà in favore dei credenti

[GS 21f] La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio.
(CCC 2104) "Tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa, e, una volta conosciuta, ad abbracciarla e custodirla" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. E' un dovere che deriva dalla "stessa natura" degli uomini [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Non si contrappone ad un "sincero rispetto" per le diverse religioni, le quali "non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini" [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 2], né all'esigenza della carità, che spinge i cristiani "a trattare con amore, prudenza e pazienza gli uomini che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 14]. (CCC 2105) Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo individualmente e socialmente. E' "la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. Evangelizzando senza posa gli uomini, la Chiesa si adopera affinché essi possano "informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità" [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 13] in cui vivono. Il dovere sociale dei cristiani è di rispettare e risvegliare in ogni uomo l'amore del vero e del bene. Richiede loro di far conoscere il culto dell'"unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica ed apostolica" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. I cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 13]. La Chiesa in tal modo manifesta la regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane [Leone XIII, Lett. enc. Immortale Dei; Pio XI, Lett. enc. Quas primas].


Atei: invito a considerare il Vangelo di Cristo con animo aperto

[GS 21g] Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto. La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino. Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci hai fatto per te », o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te» (27).

(27) S. AGOSTINO, Confess., I,1: PL 32, 661.
(CCC 2106) "Che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Tale diritto si fonda sulla natura stessa della persona umana, la cui dignità la fa liberamente aderire alla verità divina che trascende l'ordine temporale. Per questo "perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. (CCC 2107) "Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e comunità religiose venga riconosciuto e rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 6]. (CCC 2108) Il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire all'errore, [Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum] né un implicito diritto all'errore [Pio XII, Discorso ai partecipanti al quinto Convegno nazionale Italiano dell'Unione dei Giuristi cattolici (6 dicembre 1953)], bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all'immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia religiosa, da parte del potere politico. Questo diritto naturale "deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico della società così che divenga diritto civile" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. (CCC 2109) Il diritto alla libertà religiosa non può essere di per sé né illimitato, [Pio VI, Breve Quod aliquantum (10 marzo 1791)] né limitato semplicemente da un "ordine pubblico" concepito secondo un criterio "positivistico" o "naturalistico" [Pio IX, Lett. enc. Quanta cura: DS 2890]. I "giusti limiti" che sono inerenti a tale diritto devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile secondo "norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo" [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 7].

n. 22 - Cristo, l'uomo nuovo


Cristo svela pienamente all'uomo la sua altissima vocazione

[GS 22a] In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (28) (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice.

(28) Cf. Rm 5,14. Cf. TERTULLIANO, De carnis resurr., 6: "Tutto quello che il fango significava, si riferiva a Cristo, l'uomo futuro": PL 2, 802 (848); CSEL 47, p. 33, l. 12-13.
(CCC 423) Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è "venuto da Dio" (Gv 13,3), "disceso dal cielo" (Gv 3,13; 6,33), "venuto nella carne" (1Gv 4,2); infatti "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità [...] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" (Gv 1,14; 1,16). (CCC 422) "Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5). Ecco la Buona Novella riguardante Gesù Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1): Dio ha visitato il suo popolo [Lc 1,68], ha adempiuto le promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza [Lc 1,55]; ed è andato oltre ogni attesa: ha mandato il suo Figlio prediletto (Mc 1,11).


Cristo uomo perfetto ci ha restituito la somiglianza con Dio

[GS 22b] Egli è «l'immagine dell'invisibile Iddio» (Col 1,15) (29) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata (30) per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo (31) ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (32).

(29) Cf. 2Cor 4,4.
(30) Cf. CONCILIO DI COSTANTINOP. II, can. 7: "Né il Verbo Dio passato nella natura della carne, né la carne si trasformata nella natura del Verbo": Dz 219 (428) [Collantes 4.026]. - Cf. anche CONC. DI COSTANTINOP. III: "Come la santissima, immacolata, animata sua carne deificata non fu distrutta (theótheisa ouk anèrethè), ma rimase nel suo proprio stato e modo d'essere": Dz 291 (556) [Collantes 4.071]. Cf. CONC. DI CALCED.: "Dev'essere riconosciuto inconfusamente, immutabilmente, senza divisione, inseparabilmente in due nature": Dz 148 (302) [Collantes 4.012].
(31) Cf. CONC. DI COSTANTINOP. III: "Così non stata distrutta la sua volontà umana": Dz 291 (556) [Collantes 4.071].
(32) Cf. Eb 4,15.
(CCC 424) Mossi dalla grazia dello Spirito Santo e attirati dal Padre, noi, riguardo a Gesù, crediamo e confessiamo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Sulla roccia di questa fede, confessata da san Pietro, Cristo ha fondato la sua Chiesa [Mt 16,18; San Leone Magno, Sermo , 4, 3: PL 54, 151; Sermo 51, 1: PL 54, 309; Sermo 62, 2: PL 54, 350-351; Sermo 83, 3: PL 54, 432]. (CCC 479) Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre, la Parola eterna, cioè il Verbo e l'immagine sostanziale del Padre, si è incarnato: senza perdere la natura divina, ha assunto la natura umana. (CCC 483) L'incarnazione è quindi il mistero dell'ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell'unica Persona del Verbo.


Ognuno può dire: Cristo mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me

[GS 22c] Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi (33) e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme (34) ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.

(33) Cf. 2Cor 5,18-19; Col 1,20-22.
(34) Cf. 1Pt 2,21; Mt 16,24; Lc 14,27.
(CCC 608) Dopo aver accettato di dargli il battesimo tra i peccatori, [Lc 3,21; Mt 3,14-15] Giovanni Battista ha visto e mostrato in Gesù l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29.36). Egli manifesta così che Gesù è insieme il Servo sofferente che si lascia condurre in silenzio al macello [Is 53,7; Ger 11,19] e porta il peccato delle moltitudini [Is 53,12] e l'Agnello pasquale simbolo della redenzione di Israele al tempo della prima pasqua [Es 12,3-14; Gv 19,36; 1Cor 5,7]. Tutta la vita di Cristo esprime la sua missione: "servire e dare la propria vita in riscatto per molti"(Mc 10,45). (CCC 536) Il battesimo di Gesù è, da parte di lui, l'accettazione e l'inaugurazione della sua missione di Servo sofferente. Egli si lascia annoverare tra i peccatori [Is 53,12]; è già "l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29); già anticipa il "battesimo" della sua morte cruenta [Mc 10,38; Lc 12,50]. Già viene ad adempiere "ogni giustizia" (Mt 3,15), cioè si sottomette totalmente alla volontà del Padre suo: accetta per amore il battesimo di morte per la remissione dei nostri peccati [Mt 26,39]. A tale accettazione risponde la voce del Padre che nel Figlio suo si compiace [Lc 3,22; Is 42,1]. Lo Spirito, che Gesù possiede in pienezza fin dal suo concepimento, si posa e rimane su di lui [Gv 1,32-33; Is 11,2]. Egli ne sarà la sorgente per tutta l'umanità. Al suo battesimo, "si aprirono i cieli" Mt 3,16) che il peccato di Adamo aveva chiuso; e le acque sono santificate dalla discesa di Gesù e dello Spirito, preludio della nuova creazione. (CCC 523) San Giovanni Battista è l'immediato precursore del Signore, [At 13,24] mandato a preparargli la via [Mt 3,3]. "Profeta dell'Altissimo" (Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande [Lc 7,26] e l'ultimo [Mt 11,13]; egli inaugura il Vangelo [At 1,22; Lc 16,16]; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre [Lc 1,41] e trova la sua gioia nell'essere "l'amico dello sposo" (Gv 3,29), che designa come "l'Agnello di Dio [...] che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29). Precedendo Gesù "con lo spirito e la forza di Elia" (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, con il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio [Mc 6,17-29].


Capaci di adempiere la legge nuova dell'amore

[GS 22d] Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,23) (35) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore (36). In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della «redenzione del corpo» (Rm 8,23):

(35) Cf. Rm 8,29; Col 1,18.
(36) Cf. Rm 8,1-11.
(CCC 2786) Padre "nostro" è riferito a Dio. L'aggettivo, per quel che ci riguarda, non esprime un possesso, ma una relazione con Dio totalmente nuova. (CCC 2790) Grammaticalmente, "nostro" qualifica una realtà comune a più persone. Non c'è che un solo Dio ed è riconosciuto Padre da coloro che, mediante la fede nel suo Figlio unigenito, da lui sono rinati mediante l'acqua e lo Spirito Santo [1Gv 5,1; Gv 3,5]. La Chiesa è questa nuova comunione di Dio e degli uomini: unita al Figlio unico diventato "il primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29), essa è in comunione con un solo e medesimo Padre, in un solo e medesimo Spirito Santo [Ef 4,4-6]. Pregando il Padre "nostro", ogni battezzato prega in questa comunione: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola" (At 4,32).


Incontro alla risurrezione fortificati dalla speranza

[GS 22e] «Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11) (37). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza (38).

(37) Cf. 2Cor 4,14.
(38) Cf. Fil 3,10; Rm 8,17.
(CCC 728) Gesù rivela in pienezza lo Spirito Santo solo dopo che è stato egli stesso glorificato con la sua morte e risurrezione. Tuttavia, lo lascia gradualmente intravvedere anche nel suo insegnamento alle folle, quando rivela che la sua carne sarà cibo per la vita del mondo [Gv 6,27.51.62-63]. Inoltre lo lascia intuire a Nicodemo [Gv 3,5-8], alla Samaritana [Gv 4,10.14.23-24] e a coloro che partecipano alla festa delle Capanne [Gv 7,37-39]. Ai suoi discepoli ne parla apertamente a proposito della preghiera [Lc 11,13] e della testimonianza che dovranno dare [Mt 10,19-20]. (CCC 729) Solo quando giunge l'Ora in cui sarà glorificato, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo, poiché la sua morte e la sua risurrezione saranno il compimento della Promessa fatta ai Padri: [Gv 14,16-17.26; 15,26; 16,7-15; 17,26] lo Spirito di verità, l'altro Paràcletos, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.


La vocazione ultima dell'uomo è quella divina

[GS 22f] E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo, infatti, è morto per tutti (40) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.

(39) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].
(40) Cf. Rm 8,32.
(CCC 730) Infine viene l'Ora di Gesù [Gv 13,1; 17,1]: Gesù consegna il suo spirito nelle mani del Padre [Lc 23,46; Gv 19,30] nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in modo che, "risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre" (Rm 6,4), egli dona subito lo Spirito Santo "alitando" sui suoi discepoli [Gv 20,22]. A partire da questa Ora, la missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Gv 20,21; cf. Mt 28,19; Lc 24,47-48; At 1,8). (CCC 729) Solo quando giunge l'Ora in cui sarà glorificato, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo, poiché la sua morte e la sua risurrezione saranno il compimento della Promessa fatta ai Padri: [Gv 14,16-17.26; 15,26; 16,7-15; 17,26] lo Spirito di verità, l'altro Paràcletos, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.


In Cristo riceve luce l'enigma del dolore e della morte che ci opprime

[GS 22g] Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita (41), perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre! (42).

(41) Cf. Liturgia Paschalis Bizantina.
(42) Cf. Rm 8,15; Gal 4,6; Gv 1,12 e 1Gv 3,1-2.
(CCC 425) La trasmissione della fede cristiana è innanzitutto l'annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall'inizio, i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: "Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato" (At 4,20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo: "Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta" (1Gv 1,1-4). (CCC 638) "Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù" (At 13,32-33). La risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del mistero pasquale insieme con la croce: "Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, Ai morti ha dato la vita" [Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua].



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