Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
PASTORALE
Servitori della Parola
di Carlo Caffarra
Il mistero della volontà di Dio
«Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare Se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della natura divina (cf. Ef 2,18; 2Pt 1,4)». Questo testo conciliare è la sintesi e il fondamento di questa prima riflessione. Al centro sta "il mistero della volontà" di Dio, la sua decisione cioè di comunicare Se stesso all'uomo per mezzo del Verbo incarnato. È questa decisione la ragione che spiega tutta la realtà creata; di tutto ciò che esiste essa è l'intima intelligibilità. La realizzazione di questo "mistero della sua volontà", di questo progetto di Dio implicava necessariamente che Dio ne parlasse all'uomo: glielo rivelasse. La ragione è molto semplice: l'uomo è una persona, un soggetto libero ed intelligente; non può vivere il suo rapporto con Dio se non intelligentemente e liberamente. Intelligentemente significa che deve conoscere ciò a cui è chiamato.
Fermiamoci un momento a fare ora una considerazione di enorme importanza, che deriva da quanto ho detto finora. Dio rivela Se stesso ed il mistero della sua volontà non semplicemente donando all'uomo la conoscenza di questo stesso mistero, ma lo rivela realizzandolo. La Rivelazione di Dio è parola ed avvenimento: la parola fa conoscere ciò che accade, e l'avvenimento realizza ciò che la parola dice. «Questa economia della rivelazione» insegna la Dei Verbum «avviene con avvenimenti e parola tra loro intimamente connessi» [intrinsice inter se connexis] (ib.). È una parola efficace: compie ciò che dice. È una parola viva: fa accadere una storia. Non approfondisco ulteriormente questo punto. Lo riprenderemo più avanti.
Mi preme sottolineare ora un dato essenziale. Quando dico "parola di Dio" connoto non in primo luogo un libro. Connoto Dio stesso nell'atto di realizzare il mistero della sua volontà: atto che è parola e auto-donazione. «La Parola di Dio non è soltanto annuncio e promessa, non è soltanto la parola onde Dio chiana l'uomo, è invece Dio stesso in quanto effettivamente si dona, è la Persona di Dio che finalmente si dà. E Dio, nel compimento di quell'alleanza che è veramente l'unione nuziale onde Egli e l'uomo si danno in reciproco possesso, sussisterà nella stessa natura umana e si chiamerà Gesù. La Parola non sarà più un linguaggio divino, ma sarà la Persona sussistente del Verbo che ha posto le sue tende fra noi» (D. Barsotti, Il Mistero cristiano e la parola di Dio, LEF Firenze s.d., p. 31). La Parola di Dio è Gesù stesso. Il già citato n. 2 della Dei Verbum conclude: «La profonda verità, sia su Dio sia sulla salvezza dell'uomo per mezzo di questa rivelazione risplende in noi in Cristo, il quale nello stesso tempo è il mediatore e la pienezza dell'intera rivelazione». E quindi con Lui tutto è stato detto e fatto. Ora si tratta per l'uomo di ascoltare quanto è stato detto, di partecipare sempre più profondamente al mistero di Cristo, finché Egli sia «tutto in tutti».
Non possiamo negare che la tradizione che sta immediatamente alle nostre spalle non ha aiutato i cattolici, clero e laici, a strutturarsi una spiritualità biblica. La nostra spiritualità per secoli è stata in qualche modo costretta ad abbeverarsi ai rigagnoli delle numerose devozioni e ad una teologia dove la riflessione filosofica, astratta, pur tanto necessaria, aveva però finito per emarginare il dato biblico riducendolo sovente a semplice corollario per confermare i nostri risultati razionali. Questa preminenza della filosofia sulla Scrittura si manifesta anche nella prassi tipografica del Messale Romano. Infatti, fino alla riforma liturgica promossa dal Vaticano II il canone romano evidenziava a grandi caratteri soltanto le parole Hoc est enim corpus meum e Hic est enim calix sanguinis mei... Lasciava invece in piccolo, e quindi nell'ombra, le parole che manifestano il comando di Gesù e costituiscono i gesti caratteristici del convito eucaristico: Prendete e mangiate... Prendete e bevete...
In breve, la riflessione teologica sulla presenza, alla luce della filosofia aristotelica, si era giustamente preoccupata di individuare la forma del sacramento. Preoccupazione che, concentrando l'attenzione sulla cosa, finì per mettere in ombra il gesto e il contesto qualificante del sacramento eucaristico che è appunto il convito, la condivisione dello stesso pane spezzato. Le conseguenze rituali e pastorali le conosciamo molto bene: una per tutte, la prassi abituale della comunione al di fuori della Messa. La riforma promossa dal Vaticano II non si è certo limitata ad evidenziare tipograficamente il comando di Gesù. Di fronte alla convinzione aberrante della Messa 'buona' dall'offertorio alla comunione, la riforma conciliare ha posto al centro del culto, e quindi anche dello studio e della pastorale, la parola di Dio.
«La sacra teologia si basa, come su un fondamento perenne, sulla parola di Dio scritta, insieme con la sacra Tradizione... Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e tutta l'istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la parola della Scrittura... Perciò è necessario che tutti i chierici, in primo luogo i sacerdoti di Cristo e quanti, come i diaconi e i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato» (DV 24 e 25). La nostra fede è fondata sulla parola di Dio: «L'annuncio di Gesù non è un semplice parlare di Gesù, né la pura offerta di una dottrina e neanche solamente una nuova proposta di vita, ma un evento che crea comunione con il Signore nella sua comunità, la Chiesa» (Comm. Episc. per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, Questa è la nostra fede, 15). Segno visibile e permanente di questo ritorno alla Scrittura è il ripristino dell'ambone nelle nostre chiese. Luogo liturgico che dal XV secolo era sintomaticamente scomparso e sostituito dal pulpito, luogo della predicazione principalmente a carattere catechistico, parenetico e devozionale.
«La Chiesa è discepola e testimone di tutta la parola di Dio, poiché è discepola e testimone di Cristo, pienezza di tutta la rivelazione. Perciò in Cristo religiosamente ascolta e fiduciosamente proclama la voce di Dio che si leva dal creato, i presentimenti e gli echi della sua parola nella storia e nella cultura dei popoli, la rivelazione del suo mistero e del suo patto con Israele e della eterna alleanza con il nuovo popolo di Dio, la profezia della pace eterna con lui» (Rinnovamento della Catechesi, 14). Per essere corretti ed efficaci servitori della parola bisogna essere prima di tutto autentici discepoli di questa stessa parola. Soltanto una seria spiritualità biblica può dare vita ad un autentico cristiano e non ad un semplice devoto.
Ancora una volta la prassi che sta immediatamente alle nostre spalle ci ha abituati ad una forma di ascesi che, nelle sue forme esteriori, non si distingue molto dalla spiritualità di altre religioni, soprattutto orientali. Spiritualità concentrate quasi unicamente sul dominio di sé stessi e, pertanto, tendenti a favorire una religiosità intimistica, alla ricerca di un vago benessere, di pace interiore, di fuga dalle faticose problematiche della vita quotidiana. Una spiritualità non fondata sulla Bibbia, cioè sulla storia della salvezza, conduce a considerare questa vita, le realtà materiali di questo mondo, non come lo strumento della nostra santificazione, ma come ostacolo. Questo spiega, almeno in parte, perché ancora oggi, molti hanno la sensazione di non pregare quando celebrano la liturgia. La preghiera è ancora per molti sinonimo di intimismo e di azione individuale. C'è ancora qualcuno che sostiene che l'altare rivolto al popolo non permette a chi presiede di pregare con attenzione, come se la Messa fosse una preghiera privata del prete.
Da queste sensazioni, scorrettamente fondate, nascono tante altre critiche alla liturgia riformata dal concilio Vaticano II. Si ha nostalgia di quel silenzio durante il quale ciascuno recitava le proprie preghiere secondo i propri gusti, mentre il prete 'diceva' la sua Messa. Paradossalmente persino la proclamazione liturgica della Parola viene talvolta percepita come disturbo. Si preferisce leggerla per proprio conto ed interpretarla secondo il proprio sentire. Ora, la spiritualità biblica non si identifica con la semplice ascesi. La Bibbia non è un'antologia di belle frasi di saggezza, ma una storia incarnata nel tempo, in una determinata cultura, con un determinato linguaggio. Presenta quindi un testo che ha bisogno dell'esegesi, cioè di una corretta interpretazione. Il che richiede uno sforzo di ricerca per entrare nel significato delle parole, dei gesti, delle persone. La Bibbia non si può interpretare in base ai propri stati d'animo del momento. Soltanto da una corretta esegesi nasce un cristiano corretto e non un fanatico ed esasperato spiritualista. Un cristiano dall'autentica spiritualità biblica si trova a suo agio su questa terra, fra gli uomini, nella consapevolezza che questo mondo non è il regno del demonio, ma il luogo dell'incontro con quel Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 2,16).
Il vero cristiano non è un fondamentalista; egli sa bene che il messaggio, la Parola, non si identifica semplicemente con le parole. Chi si forma correttamente alla scuola della Bibbia possiede il senso della storia, non un atteggiamento pregiudiziale verso le scienze umane, non teme il nuovo, non rimpiange il passato. Il vero cristiano, abituato a cercare il tesoro nel vasto campo della Bibbia, sa usare la testa, sa cercare insieme ed è fondamentalmente disposto al dialogo. Il vero cristiano impregnato dalle Scritture non può essere settario e intransigente. «Il vangelo è da annunciare, non da imporre. Neppure il Figlio di Dio l'ha imposto: l'ha proposto a tutti, l'ha testimoniato con la sua vita, ma non è mai ricorso alla violenza per farlo accettare. Ha sollecitato il consenso e ha accettato il rifiuto. Il messaggio dell'amore non si annuncia se non attraverso l'amore. È proprio la proclamazione del vangelo a spingere il cristiano al dialogo con tutti; a illuminare i credenti nel discernere i semi del Verbo ovunque si trovino; a coltivare gli elementi di verità e di grazia, sparsi nelle varie tradizioni» (Comm. Episc. per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, op. cit., n. 9). È la spiritualità biblica che conduce a valorizzare maggiormente l'essenziale che unisce, anziché ciò che divide. Non è sufficiente leggere comunque tante pagine bibliche. Anche i Testimoni di Geova e i predicatori televisivi citano continuamente la Bibbia, ma con risultati deleteri sotto tutti i punti di vista. Una corretta esegesi è indispensabile.
Il servizio della Parola
Dobbiamo ora riflettere sul servizio che la Chiesa deve rendere alla Parola di Dio: il ministero della Parola. L'apostolo Paolo scrive ai Colossesi: «pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo […] che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo» (4,3-4).
È delineato chiaramente il servizio alla Parola. È un'opera che Dio stesso continua a compiere attraverso il suo apostolo. Questi non decide né tempi né luoghi. È solo mezzo attraverso cui il mistero di Cristo è fatto conoscere, poiché «è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione»(1Cor 1,21). «Gesù non ha aperto una scuola per lo studio della Legge a Gerusalemme, come uno dei tanti rabbi del suo tempo; non si è ritirato a vita nel deserto, come facevano in quegli anni alcuni pii ebrei in attesa della salvezza d'Israele; non ha scelto di fondare un movimento di resistenza politica contro l'invasore romano, come gli zelati e i sicari... la sua attività si è svolta in modo autonomo, come predicazione itinerante, attraverso gesti e segni, miracoli e parole, sino alla fine detta sua vita terrena; sino atta pienezza dell'amore e al compimento supremo sulla croce» (Comm. Episc. per la dottrina della fede, dell'annuncio e della catechesi, op. cit., n. 2).
Se l'urgenza di una nuova evangelizzazione sollecita le comunità cristiana ad una profonda revisione della loro pastorale, resta pur sempre vero che il luogo privilegiato in cui la Parola risuona, si fa sacramento, presenza di Cristo, e opera efficacemente la salvezza, è la celebrazione liturgica. «Evangelizzare è la grazia, la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia...» (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 14).
I nostri vescovi hanno precisato: «Comunicare il vangelo è il compito fondamentale della Chiesa. Questo si attua, in primo luogo, facendo il possibile perché attraverso la preghiera liturgica la parola di Signore contenuta nelle Scritture si faccia evento, risuoni nella storia, susciti la trasformazione del cuore dei credenti» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia CVMC 32). Dicevo sopra che la Parola di Dio è efficace ed è viva: è per mezzo del servizio della Chiesa ad essa che la parola di Dio è oggi efficace e viva. E quindi è capace di salvare chi vi aderisce con fede anche oggi.
La Parola di Dio è efficace e viva perché nella Chiesa è presente ed operante il Signore Risorto. È questa presenza che impedisce alla Parola di Dio scritta, alla S. Scrittura di trasformarsi in un puro documento letterario e storico; ed impedisce alla Tradizione ecclesiale di essere la mera trasmissione di una dottrina o di una morale insegnateci da Gesù. Non è dunque per mezzo dei dottori che interpretano scientificamente la Scrittura, che Dio parla oggi ai credenti, ma è mediante l'apostolo che rende testimonianza. Fuori dalla Chiesa si trasforma inevitabilmente Cristo nel cristianesimo, una Persona in un insegnamento. Le Sacre Scritture, in unione con la Santa Tradizione, sono la regola suprema della fede della Chiesa: sono state infatti ispirate da Dio e consegnate per iscritto, una volta per sempre; comunicano immutabilmente la Parola di Dio stesso e fanno risuonare la voce dello Spirito Santo nelle parole dei Profeti e degli Apostoli. La Scrittura è la regola suprema della fede della Chiesa. Evidentemente, non è la Scrittura sola, isolata, ma non sono neppure la Scrittura e la Tradizione, messe accanto e che si assommino; è la Scrittura unita con la Tradizione (una cum). Tutto il valore del Vaticano II consiste nell'aver voluto superare questi due concetti: la Scrittura unitamente alla Tradizione è la regola suprema della fede della Chiesa. Questa regola suprema non è né la Scrittura sola, isolata, né la Scrittura e la Tradizione giustapposta, ma la Scrittura congiuntamente alla Tradizione, compresa, interpretata, resa esplicita, confermata dalla Tradizione, che trasmette fedelmente la Parola di Dio nella Chiesa.
La Scrittura, consegnata per iscritto una volta per sempre, ha un carattere unico di immutabilità. È dunque la regola suprema ed immutabile della fede della Chiesa; la sua ispirazione, la sua immutabilità ne fanno una roccia su cui si appoggia la fede della Chiesa. La Scrittura comunica immutabilmente la Parola di Dio stesso. Nella lettura e nell'annuncio dei testi della Scrittura, la Chiesa ha la certezza di comunicare la Parola stessa di Dio. Le parole dei Profeti e degli Apostoli, che la Scrittura contiene, fanno infine risuonare nella Chiesa la voce stessa dello Spirito Santo.
La Scrittura, pertanto, è la regola ispirata, immutabile, certa e viva, la regola suprema della fede a condizione di essere letta e intesa nella Tradizione vivente della Chiesa. La Scrittura infatti non è stata ispirata e depositata per essere fine a se stessa, per restare un codice isolato; è stata ispirata da Dio nella Chiesa e per la Chiesa, comunità dei credenti, affidata da Dio alla Chiesa attraverso gli autori ispirati e le decisioni che concernono il canone, e per la Chiesa, al fine di conservarle immutabilmente la Parola stessa di Dio e di permettere che risuoni sempre in essa la voce dello Spirito Santo.
La Scrittura è descritta nella costituzione DV come il luogo in cui Dio Padre viene amorosamente incontro ai figli per intrattenersi con loro. Questa visione dell'incontro personale del Padre con i figli e della loro conversazione amichevole, ricorda la parabola del figliol prodigo (Lc 15, 20) e fa della Scrittura un luogo vivo di incontro e di dialogo, in cui si manifesta l'amore di Dio per gli uomini. La Scrittura non è un codice di leggi, un libro di storia, una raccolta di sentenze o un manuale di dottrine, ma la testimonianza viva dell'amore di Dio che viene incontro agli uomini e conversa con loro.
Questa concezione viva della Scrittura, che il Concilio chiama semplicemente la Parola di Dio, permette di riconoscere in essa una forza ed un'energia che ne fanno il sostegno e il vigore della Chiesa, la solidità della fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e continua della vita spirituale per i cristiani. Sembra qui che il Concilio non abbia parole sufficienti per magnificare la funzione della Scrittura nella Chiesa. Tutto un vocabolario energico, vitale si sviluppa in questa frase: vis, virtus, sustentaculum, vigor, robur, cibus, fons purus et perennis.
«Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita» (Dt 5,3). L'ascolto della Parola di Dio non è un fatto riservato a pochi, un privilegio di alcune anime elette. È avvenimento che accade in ogni generazione (cf. Eb 3, 12ss), poiché ogni uomo è chiamato ad entrare nell'Alleanza. L'uomo ascolta la Parola di Dio dalla Chiesa (cf. Rm 10,14-17). È da questo servizio che la Chiesa rende alla Parola di Dio che dipende tutta la storia e la salvezza del mondo, fino a quando Cristo sarà tutto in tutti.
Tre modalità di servizio alla Parola
Ma ora vorrei precisare meglio in che modo la Chiesa svolge questo servizio. La prima fondamentale ed originale modalità è la celebrazione dei Divini Misteri: è la Divina Liturgia. Essa è la Parola di Dio viva ed efficace: essa realizza ciò che la Parola dice, oggi - qui - per noi. Realizzando, spiega la Parola detta "una volta per sempre". La Parola fa conoscere ciò che accade, vi dicevo sopra, e l'avvenimento realizza ciò che la parola dice. Questa intrinseca connessione, questa unità di Parola-Evento è l'azione liturgica: in modo eminente la celebrazione eucaristica. Senza la Liturgia la Parola di Dio resterebbe morta ed inefficace. Ne deriva che il primo ed originario luogo per «comprendere le Scritture» è la Divina Liturgia.
L'ultimo capitolo della Dei Verbum, che può essere considerato come una chiave per la comprensione di tutta la Costituzione, comincia con un paragone bellissimo e molto tradizionale tra la Scrittura e l'Eucaristia. La Chiesa venera la Sacra Scrittura come venera il Corpo del Cristo, specialmente nella liturgia. Là non vi è che una sola mensa in cui si trova il Pane di vita che la Chiesa prende per offrirlo ai fedeli: la mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo (mensa tam Verbi Dei quam Corporis Christi). Questo parallelo tra le due forme del Pane di vita, Parola ed Eucaristia, equilibra la dottrina e la liturgia. Talvolta v'è stata una tendenza a dare il primo posto al Sacramento, tanto che la Parola non aveva più nella liturgia che una funzione minore, di spiegare l'avvenimento essenziale: la presenza eucaristica del Cristo. Qui, l'affermazione che la mensa del Pane di vita è quella della Parola e del Sacramento situa meglio la Parola del mistero liturgico: essa è, come il Corpo del Cristo, una presenza, un atto, un nutrimento. L'Eucaristia resta certo una presenza, un atto e un nutrimento unici, ma la Parola si trova indissolubilmente unita ad essa, per manifestare l'opera del Cristo nella sua Chiesa.
Leggiamo nella Liturgia la narrazione della guarigione del cieco nato. L'evangelista Giovanni non è interessato a raccontare un miracolo, ma vuole porre un segno che suscita la fede. Ridare luce a un uomo cieco dalla nascita è segno sacramentale di Cristo che apre gli occhi non con la stringente logica della scienza, ma con la prospettiva sapienziale della fede. Ma non si entra nella Divina Liturgia se non attraverso la porta della fede, la quale nasce dalla predicazione della Parola di Dio: è la seconda, fondamentale modalità del servizio ecclesiale alla Parola. La predicazione della Parola di Dio si articola in tre momenti: il primo annuncio del mistero della volontà di Dio; la catechesi mediante la quale viene comunicata all'uomo la divina Rivelazione nella sua armonica interezza; la teologia mediante la quale l'uomo cerca una più profonda intelligenza della Divina Rivelazione: questa diventa Sacra Dottrina pensata umanamente.
La Scrittura, illuminata dalla Tradizione, rappresenta il fondamento, la solidità e la giovinezza della teologia, che ha il compito di penetrare la verità intera del mistero del Cristo alla luce della fede. Viene qui proposta una bellissima visione della teologia, di una teologia profondamente radicata nella Parola di Dio scritta, congiunta alla Tradizione. Il Decreto sulla formazione dei sacerdoti, promulgato dal Concilio, applica questa visione ai seminari «Con particolare diligenza si curi la formazione degli alunni con lo studio della Sacra Scrittura, che deve essere come l'anima di tutta la teologia; premessa una appropriata introduzione, essi vengano iniziati accuratamente al metodo dell'esegesi, apprendano i massimi temi della divina rivelazione, e per la quotidiana lettura e meditazione dei libri santi ricevano incitamento e nutrimento. Nell'insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici...» (Decreto Optatam totius n. 16). Si possono immaginare i frutti ecumenici di una tale visione della teologia cattolica e di un tal programma per la formazione dei futuri sacerdoti.
Viene poi una frase importantissima nella Costituzione, una di quelle frasi chiave già notate altrove: «Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio; sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia». Il Concilio non esita a identificare Scrittura e Parola di Dio, a causa dell'ispirazione dei testi sacri. Vi è una progressione nella frase: la Scrittura contiene la Parola di Dio; la Scrittura ispirata è la Parola di Dio. Una tale affermazione pone la Scrittura in un posto unico nella Chiesa. Ecco perché lo studio della Scrittura è come l'anima della teologia; abbiamo già visto questa affermazione nel Decreto sulla formazione dei sacerdoti; il Concilio tiene a questa formula. Certo la Tradizione è unita alla Scrittura, che essa comprende, interpreta, rende esplicita e conferma; ma solo della Scrittura si può dire che è ispirata e dunque veramente la Parola di Dio. A giusto titolo dunque è anche l'anima di tutta la teologia.
La Parola della Scrittura deve ugualmente nutrire e fortificare il ministero della Parola: la predicazione, la catechesi, tutta la formazione cristiana, in cui l'omelia durante la liturgia deve svolgere un ruolo molto importante. Nella Scrittura il ministero della Parola trova nutrimento e salute, forza e santità (salubriter nutritur sancteque virescit). Il Concilio tiene ad affermare molto fortemente che tutta la vita della Chiesa è fondata sulla Scrittura, Parola di Dio, congiunta alla Tradizione e che essa ne trae tutto il nutrimento per la sua salute e tutta la forza per la sua santità. La Chiesa cattolica lega così fortemente tutta la sua vita alla Sacra Scrittura, Parola di Dio. La predicazione della Parola di Dio quindi svolge il suo servizio alla medesima con due finalità: introdurre l'uomo sempre più profondamente nell'intelligenza spirituale della Divina Rivelazione in un cammino che va dalla incredulità alla fede, dalla fede saputa alla fede pensata e vissuta; difendere la divina Rivelazione da quell'astuzia di pensieri umani che tendono ad adulterarla ed a trarre quindi in errore. La Costituzione termina con il voto che mediante la lettura della Sacra Scrittura «la Parola di Dio compia il suo corso e sia glorificata» (2Ts 3,1), che il tesoro della rivelazione affidato alla Chiesa si diffonda universalmente nel cuore di tutti gli uomini.
Un ultimo paragone tra la Scrittura e l'Eucaristia ci riporta al contesto dell'unità della Parola e del Sacramento, evocato all'inizio del capitolo VI. La vita della Chiesa cresce grazie alla comunione assidua dei cristiani all'Eucaristia; ugualmente la vita spirituale crescerà nella Chiesa grazie alla crescente venerazione della Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II avrà compiuto un lavoro immenso per far crescere nella Chiesa cattolica l'amore verso la Parola di Dio: «è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale» nella Chiesa cattolica ed un nuovo impulso della vita ecumenica «in vista dell'unità visibile di tutti i cristiani dall'accresciuta venerazione della Parola di Dio che permane in eterno».
La terza modalità fondamentale del servizio ecclesiale alla Parola di Dio può essere compresa partendo da un testo giovanneo. «Chi dice: "lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui, ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto» (1Gv 2,4-5). La verità di cui parla il testo giovanneo significa la stessa Divina Rivelazione o Parola che è lo stesso mistero del Verbo Incarnato quale si mostra nella sua vita, nelle sue opere e nelle sue parole. «La verità di cui parla è la manifestazione di se stesso agli uomini, e la salvezza da lui data all'uomo mediante la conoscenza di se stesso» (Apollinare di Laodicea). Ma quando l'uomo conosce veramente questa Divina Rivelazione? Quando ascolta la Parola di Dio? Quando "la verità è in lui"? quando essa diventa vita del credente; quando trasforma tutta la vita del credente, conformandola a Cristo stesso. In sintesi: quando il discepolo ama come Cristo ha amato.
La terza fondamentale modalità del servizio ecclesiale alla Parola di Dio è quindi il servizio della carità. Mediante questo servizio la Parola raggiunge il suo adempimento ultimo; diventa pienamente viva ed efficace. Essa non narra solo una storia passata, ma la storia oggi: non è solo descrittiva; è imperativa. Questo sono le tre modalità fondamentali con cui la Chiesa compie il suo servizio alla Parola di Dio. Non abbiamo tempo di studiare l'ultima armonia che esiste fra queste tre modalità.
All'interno del servizio ecclesiale alla Parola di Dio come si colloca il servizio diaconale? Mi piace iniziare da una "icona liturgica", poiché l'icona che è la Liturgia è e resta la fonte e il culmine di tutta la vita della Chiesa. Al centro dell'azione liturgica sta il santo Altare, tavola sulla quale sta il Santo Vangelo e la divina Eucarestia, mediante i quali la Sapienza Verbo incarnato ci dona lo Spirito che ci divinizza.
Il diacono prende dall'altare, dove permanente riposa, il Vangelo della grazia e della misericordia e lo porta con solennità regale all'ambone dove sarà proclamato da lui stresso, e da dove verrà mistagogicamente spiegato dal sacerdote ed ascoltato dai fedeli. Ecco: fissiamo questa immagine! Il servo del Vangelo, il diacono, sostiene e porta il santo Libro perché sia donato ai fedeli: in questa icona sta la risposta alla nostra domanda. Il diacono prepara il dono del Vangelo; meglio compie tutte le azioni che sono prerequisite all'annuncio del Vangelo stesso fatto dal sacerdote. Serve la Parola attraverso la praeparatio Evangelii. Preparare il Vangelo: cosa significa? Compiere con l'uomo, aiutare l'uomo a compiere il suo cammino fino dall'incontro con Cristo, come fece il diacono Filippo (cf. At 8,26ss).
Ma il diacono distribuisce anche il Corpo ed il Sangue del Signore: è al servizio della Carità. È nel Cristo infatti che gli uomini diventano capaci di comunione, e non solo di associazione: capaci di comunicare, non solo di associarsi. È l'icona della seconda modalità del servizio diaconale alla Parola di Dio. Il diacono serve la Parola di Dio perché diventa lo strumento della sua realizzazione. E la Parola di Dio si realizza nella carità. L'efficacità della Parola è l'esercizio della carità. Come entra la Parola di Dio nella nostra persona? Mediante la fede che accoglie la predicazione. Come la fede diventa operante? «per mezzo della carità» (Gal 5,6). La parola di Dio quindi diventa vita per mezzo della carità. Non penso che sia ora compito mio scendere ad ulteriori e più precise esemplificazioni. Forse non è neppure bene farlo. Ogni comunità, anzi ogni persona che il vostro ministero vi fa incontrare si presenta con problemi e difficoltà e bisogni non identici. È veramente servo della Parola chi si è votato alla carità, poiché la Parola di Dio non ci rivela che una sola realtà: l'Amore.
(Dal Discorso ai diaconi di Bologna, gennaio 2005)
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