Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
RIFLESSIONI
Una diaconia al vaglio dei poveri
di Giovanni Chifari
Nelle molteplici stagioni dell'Ecclesia la tensione cristologica e pneumatologica può essere interpretata come criterio e paradigma della conformazione e assimilazione a Cristo e della docilità all'azione dello Spirito che insiste in ogni modo per far nuove tutte le cose, convertendo menti e cuori, insegnando, guidando e ammaestrando verso la verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Recentemente papa Francesco si è indirettamente collegato a questi discorsi, offrendo, nella prima omelia di fronte ai cardinali, nella Cappella Sistina, una triplice scansione di verbi che riassumono l'indole della Chiesa: «Camminare, edificare e confessare», aggiungendo: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Similmente potremmo dire che senza diaconia c'è solo attivismo, frenesia pastorale, inutile agitazione connotata forse ideologicamente o eticamente ma non esperienzialmente.
In diversi tempi e momenti tuttavia l'opera dello Spirito, con la sua freschezza e le sue sorprendenti e inattese sterzate non ha fatto mancare occasioni di cambiamento. Puntualmente, nella Chiesa ciò è coinciso con una nuova riscoperta dei poveri e della povertà e con il riconoscimento del volto di Cristo in loro. Situazioni dall'alto valore testimoniale che interpellano ogni uomo, richiamandolo ad un movimento che dall'esterno lo riporta sempre all'interno, verso il suo centro, dove l'osservazione e l'analisi dei fatti contingenti della storia diviene possibilità per un discernimento spirituale del proprio tempo.
Se consideriamo secondo questo criterio i tempi più recenti, riscontreremo nel Concilio Vaticano II un luogo dove in effetti il moto dello Spirito ha sospinto verso questa direzione. Fra le diverse proposte maturate nell'assise conciliare, la riflessione sulla povertà e l'accento posto sui poveri ha costituito uno dei tratti trasversali alle varie costituzioni conciliari in grado di illuminare il discorso sulla diaconia, sul servizio che edifica la Chiesa. La povertà quindi come luogo teologico e segno sacramentale: In quanto prerequisito antropologico, e non esclusivamente sociologico, la povertà è già quella condizione personale ed ecclesiale che può favorire l'esperienza del libero e gratuito auto-comunicarsi divino, l'irruzione verticale di un Dio che mediante la sua Parola intende tessere e alimentare una relazione con l'uomo e la sua Chiesa. Azione che culmina nella povertà dell'incarnazione del Figlio (cf. Fil 2,7) e nel suo farsi anche storicamente povero fra i poveri (cf. 2Cor 8,9), diacono e servo di tutti. Aspetti già richiamati dalla Dei Verbum e che nella Lumen Gentium saranno suggeriti come parametro per discernere l'identità e la natura stessa della Chiesa, la sua sempre necessaria conversione e il cammino di conformazione e assimilazione a Cristo (LG 8). La povertà di Cristo e il suo essere presente nei poveri, purifica la diaconia, scrostando ogni autoreferenzialità e autocompiacimento, offrendo una via, stretta, di autenticità e fedeltà al suo Vangelo. Così una Chiesa povera fra i poveri e povera per i poveri, non solo nelle pubblicità dell'8x1000, ma al vaglio della quotidianità, vivrà la propria fede in Cristo, gustando l'esemplarità normativa del Maestro e Signore, che si è fatto servo, come l'esperienza di un amore che non si può contenere (cf. Rm 5,5) e che quindi si riversa in un servizio che non lascerà il segno per la sua rilevanza etica ma per la disponibilità del soggetto e del corpo ecclesiale ad essere possibilità di prolungamento dell'azione salvifica di Dio nella storia.
Se allora il fondamento sul quale edificare è Cristo e se l'architetto di tale costruzione è lo Spirito Santo, la modalità con la quale edificare sarà quella del servizio, di una diaconia fra i poveri e per i poveri capace di creare comunione, vicinanza e prossimità della Chiesa verso i suoi figli. Ora, povertà e diaconia trovano la loro sintesi più completa nell'eucarestia. Lì Colui che era ricco (cf. Fil 2,B) si è fatto povero e servo, non trattenendo niente per sé, neanche la vita (Mt 16,25; Lc 9,24). Fatto bastevole per connotare in senso cristologico la spiritualità del servizio: in Cristo che offre se stesso è data la somma diaconia e l'estrema povertà. La Chiesa nasce da questo sacrificio pertanto una diaconia che edifica la Chiesa dovrà essere necessariamente sacrificale ed eucaristica. Una diaconia cioè che continua la missione di Cristo, come prolungamento della sua umanità nella storia, lasciando alla gente la possibilità di vedere, toccare e gustare il Suo corpo, ed edificando nella gioia e nel ringraziamento.
In sintesi si può allora partire dall'Eucarestia alla quale si perviene attraverso la mediazione della Parola, per riconoscere in essa Gesù come il Cristo e diaconizzarlo tra i poveri e gli ultimi; oppure partire dai poveri, raccogliendo come invita la Gaudium et Spes «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, come pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (cf. GS 1), per poi ricomprendere il valore della diaconia sacramentale, così come ha fatto il Concilio che ha riscoperto e ripristinato il diaconato. Scelta certamente profetica cui però nel tempo non ha avuto seguito una riflessione teologica più convinta e una pastorale più attenta a non ridurre il diaconato a delle cose da fare oppure a compiti da svolgere. Si ripropone così la dialettica iniziale: diaconia e Chiesa. Che cosa è mancato o cosa manca ancora? Dove si è sancita quell'interruzione di continuità fra le intuizioni del Concilio Vaticano II e il seguito della storia? Domande che trovano un'illuminante interpretazione in un giudizio di Giuseppe Dossetti: il «limite reale» dell'ultimo Concilio, emergeva dal fatto che esso «era stato tutto pensato ancora in regime di cristianità e supponendo sostanzialmente ancora un regime di cristianità, dal quale si è allontanato per poche cose» .(G. Dossetti, Conversazioni, In dialogo, Milano 1994, p. 21-22).
Se la diaconia trova nell'eucarestia la sua sorgente e trae da essa la forza per edificare, si dovrà ripercorrere l'itinerario dall'ascolto della Parola all'Eucarestia per verificare cosa non è passato, cosa non è stato vissuto, cosa è stato spento e cosa è stato accolto. Eppure non sono mancati i moniti. Fra gli ultimi ricordiamo quello del Beato Giovanni Paolo II che vedeva nell'Eucarestia il «frutto di trasfigurazione dell'esistenza e l'impegno di trasformare il mondo secondo il Vangelo» (EE, 20).
Ma come giungere verso questa centralità dell'Eucarestia che è incontro con il Cristo risorto? Come lasciarsi da essa assimilare e trasformare per servire ed edificare la Chiesa? Una mediazione efficace è senz'altro quella della Parola. Come suggerisce la vicenda dei due di Emmaus è la Parola che prepara all'incontro/riconoscimento di Cristo nell'Eucarestia (cf. Lc 24,13-35). Ma lì è bene ricordarlo il Mediatore è il Cristo risorto stesso. Ciò significa che la Parola che conduce verso l'Eucarestia non è quella che rimane ancorata nella lettera ma è quella che consente di risalire all'incontro-relazione con Cristo, ermeneuta e centro delle Scritture. Una diaconia che non si edifica e non si costruisce sulla Parola non sarà allora in grado di edificare la Chiesa, perché agirà senza comprendere il senso profondo dell'eucarestia, dalla quale deriva il servizio.
Mancando questo passaggio, la diaconia sarebbe il risultato di un approccio religioso simile a quello delle confessioni cristiane o "religioni del Libro" per le quali il servizio è solo riproposizione nella vita di ciò che è scritto nel libro sacro. È evidente che così manca la relazione con quella sorgente che è fonte della Parola scritta, che è una Persona vivente. Come proprio tra le pagine di questa rivista è stato ben suggerito dal saggio di Domenico Concolino (178, p. 9), dalla parola scritta e attestata si deve poter risalire alla Parola eterna che ne è fonte, detto in altri termini all'incontro con Dio. Comprendiamo che in questa prospettiva la Scrittura adempierebbe la sua funzione di mediazione. Così dall'incontro e dalla comunione deriverebbe quel riconoscimento eucaristico dal quale sgorga poi il servizio che edifica.
Diaconi per la diakonia
Rimane adesso da chiarire quello che può essere lo specifico apporto dei diaconi. Essi mediante il loro servizio esprimono la mediazione ecclesiale del servo assimilato al Cristo diacono, non quindi a titolo personale ma in nome della Chiesa che come suggerisce la Lumen Gentium «riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l'indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» (LG 8). Del resto proprio Gesù diceva: «I poveri li avete sempre con voi» (Mt 26,11). E Lui, stando fra i poveri, si è fatto povero per i poveri. Monito per la Chiesa che in essi è chiamata a riconoscere il volto del suo Maestro e Signore.
Sempre la Lumen Gentium al n. 29, approfondisce i compiti dei diaconi, affermando giustamente che essi, «sostenuti dalla grazia sacramentale, nella diaconia della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio». Poi sono enumerati dei compiti ben precisi, che accompagnano l'uomo lungo tutto l'arco della sua esperienza di vita, dal battesimo al dies natalis al cielo. Ma non appare chiaro cosa realmente edifichi la Chiesa o quale profezia sia insita nella diaconia sacramentale dei diaconi. Il rischio è di riconoscere nel servizio del diacono un formalismo liturgico e rituale che di fatto interrompe quell'osmosi feconda che lega la Parola all'Eucarestia, perdendo ogni sorta di profezia. La diaconia in questo caso non edifica la Chiesa e sostanzialmente permane una situazione di stallo. Non si comprenderebbe cioè la ragion d'essere della presenza del diaconato nella Chiesa. Un chiaro ed evidente segno della mancanza di unitarietà tra Parola, Eucarestia e diaconia è dato da quel parametro che abbiamo segnalato come discriminante: i poveri e la povertà. Una Chiesa che dimentica i poveri ha intelligenza delle Scritture? Ha compreso l'Eucarestia? Che dire allora sulle situazioni degli immigrati, dei disoccupati, degli esodati, dei problemi delle famiglie e delle ingiustizie sociali ancora tollerate e sulle quali non sempre si ode una parola ferma e decisa di condanna o dei gesti concreti di vicinanza e prossimità?
L'approfondimento, in queste intense giornate, della storia ministeriale di Jorge Mario Bergoglio ha offerto degli spunti interessanti anche sulla diaconia. Egli volle, infatti, una Vicaria di sacerdoti che facevano vita comunitaria proprio in prossimità delle baraccopoli di Buenos Aires, convinto com'era che «bisogna lottare contro le povertà e non contro i poveri» e che proprio «negli slum (baraccopoli) la Chiesa mostra il suo volto di prossimità e misericordia». Una diaconia del concreto che nel consolare è capace anche di indignarsi e di protestare «per le ingiustizie che impediscono a pane e lavoro di arrivare a tutti», perché «la corruzione e il malcostume politico rappresentano uno schiaffo contro la povera gente». Mi veniva in mente qualcosa genere a proposito dei diaconi. Si potrebbe pensare a delle Comunità di sacerdoti e diaconi (almeno quelli celibi), poste lì dove sono gli immigrati, dove sono i barboni, i poveri, nei quartieri degradati che ogni città possiede. Certo ci vorrebbero più vocazioni al diaconato e una maggiore disponibilità delle chiese a coglierne l'effettivo ruolo sacramentale e il loro concorrere ad esplicitare e oggettivare l'identità della Chiesa, ma qualora questa fiducia ci fosse, questa presenza in comunità nei luoghi marginali rispetto alle geopolitiche mondiali, potrebbe essere evangelicamente incisiva. Comunità profetiche di una Chiesa vicina a chi soffre, partecipe tra gli uomini, capace di farsi carico dei loro problemi, delle loro fatiche e delle loro attese, perché si fa come loro, mangiando il loro pane e vivendo le loro gioie. Comunità fiduciosamente aperte alla Provvidenza divina, contemporanee del Vangelo.
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