Il diaconato in Italia n° 179
(marzo/aprile 2013)
IL PUNTO
La diaconia e la Chiesa
di Andrea Spinelli
Quando sento pronunciare la parola "diaconia", confesso che non penso immediatamente ai diaconi, anche se la comune etimologia dei due vocaboli potrebbe farli sentire collegati nella loro genesi. In realtà r1are di diaconia mi conduce ad una visione molto ampia, ad un orizzonte quasi illimitato, dove i diaconi costituiscono un piccolo gregge. Parvus grex, sed grex, qualcuno potrebbe affermare, ma il piccolo gregge dei diaconi ordinati è parte integrante del popolo di Dio, come del resto tutti i membri della Chiesa, radicati tramite il Battesimo nel Signore che dice di sé: «Ecco, io sono in mezzo a voi come colui che serve (come il diacono)» (Lc 22,27).
Ecco allora che la diaconia è innanzi tutto una caratteristica fondamentale di ogni battezzato, di ogni figlio di Dio, di ogni discepolo, che come il Maestro, venuto a servire e non a essere servito, cerca di imitarlo e non è tranquillo finché non capisce che la sua diaconia è come la diaconia del Maestro, il diacono per eccellenza. Prevengo una possibile obbiezione: con tale modo di pensare tu sminuisci il senso e la forza della diaconia ordinata. Credo di no: in un contesto di diaconia diffusa, l'anelito alla diaconia ordinata mi sembra acquistare forza e significato. Non è privilegio di pochi servire, bensì dovere gioioso di tutti e, perché tale dovere sia sentito irrinunciabile e qualificante da chi segue Cristo, non è inutile che ci sia qualcuno che lo assume come ministero "a tempo pieno" in semplicità di cuore e umiltà.
L'obbiettivo fondamentale rimane quello che tutti esercitino la diaconia, perché si costruisca una vera comunità di fratelli, che gareggiano nello stimarsi a vicenda e nell'essere gli uni servi degli altri. Nella famiglia la diaconia dei coniugi e dei genitori è essenziale, perché l'uno e l'altra si servano così come sono e perché i figli vedano e capiscano che servire e servirsi è la garanzia della riuscita dello stare insieme. La diaconia è l'antidoto dello scoraggiamento, della depressione e del pessimismo: papa Francesco l'ha ricordato ai cardinali il giorno dopo la sua elezione. «Possiamo essere cardinali, vescovi, preti, diaconi, religiosi, laici, ma se non combattiamo il pessimismo e l'amarezza, che il maligno distribuisce a piene mani, non siamo cristiani».
Nella società, tramite la professione (qualunque essa sia) e l'impegno volontario, ognuno è chiamato, non solo a pensare al proprio sostentamento e alla propria egoistica soddisfazione, ma innanzi tutto a costruire rapporti sinceri e a vivere l'apertura all'altro nel segno del servizio, parola laica nel senso più abile del termine. Noi continuiamo a chiamarla diaconia, perché edifica dunque la società e in essa la Chiesa scopre di avere il segreto nella sua missione. Il giorno di inizio del ministero petrino, solennità di san Giuseppe, papa Francesco ci ha spiegato in modo lineare e comprensibile a tutti che cosa sia la diaconia: il verbo in questione è "custodire", ossia custodire il creato, custodire gli altri, custodire se stessi. La modalità della custodia è la bontà, la tenerezza, che non sono le caratteristiche dei deboli, degli inermi, anzi esigono forza e coraggio, sono la via maestra, umana e cristiana ad un tempo.
Nessuno può percorrere un' altra strada, se vuole edificare la società, nemmeno il papa. Certo noi parliamo di potere per chi è ai vertici, ma il vero potere è il servizio ed eccoci di nuovo a dover fare i conti con la diaconia. In un intervento, durante la quaresima di quest'anno nel duomo di Milano, il vicario generale ha proposto una riflessione interessante: il principe di questo mondo insinua nella nostra mente e nel nostro cuore l'idea che noi cristiani siamo insignificanti, irrilevanti e impotenti, perché non contiamo nulla e nessuno sembra ascoltarci. È proprio l'apparente irrilevanza insignificanza e impotenza, che ci garantisce di essere sulla strada percorsa dal Maestro, la via della Croce.
Ai piedi della croce la Madre e il discepolo non credono che la voce del principe di questo mondo sia la voce della verità, pertanto si ostinano a stare presso la croce di Gesù, convinti che lì c'è la risposta vera agli interrogativi di ogni essere umano. Tra i discepoli ognuno sceglie la sua strada, dopo aver capito che il fondamento è il servizio, la diaconia, il resto è la conseguenza, il successo nell'apparente insuccesso.
Tra i discepoli qualcuno sceglie la diaconia come orizzonte quotidiano e consacrato da un sacramento: i diaconi, coloro che non hanno l'esclusiva della diaconia, ma che nel popolo di Dio sono segno visibile della diaconia e con il Maestro e i fratelli si sentono «servi inutili, che hanno fatto e fanno quanto dovevano e devono fare». Non so se i teologi mi approvano, ma azzardo un paragone: come c'è il sacerdozio battesimale di tutti i credenti in Cristo e in esso trova posto il sacerdozio ministeriale, così c'è la diaconia battesimale di tutti i membri del popolo di Dio, nessuno escluso, e in esso si colloca la diaconia ministeriale ordinata, perché il servizio risplenda nella Chiesa e nel mondo, nonostante la fragilità dei ministri. La diaconia edifica, costruisce, cementa, irrobustisce la Chiesa, quindi non può mancare ed è indispensabile che ognuno se ne renda conto e non cerchi strade alternative.
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