Dall'ascolto al servizio il percorso della fede


Il diaconato in Italia n° 178
(gennaio/febbraio 2013)

EDITORIALE


Dall'ascolto al servizio il percorso della fede
di Giuseppe Bellia

Educare alla fede non è un'impresa da poco. È una disciplina che nasce e si sviluppa imparando a dare ascolto all'altro. Da questo stato d'animo che dispone all'apertura del cuore e all'accoglienza l'uomo impara a fare spazio alla Parola e al percorso della fede che dispone al servizio. Non si dà dunque una vera relazione di fede tra l'uomo e Dio che non parta dalla disponibilità concreta del credente a mettersi in ascolto. La fede esige dunque la pazienza dell'ascolto che richiede tempo e luogo adeguati, senza dei quali si ha un'accoglienza formale che resta in superficie che non porta alla comunione, come ricorda l'episodio emblematico di Marta e Maria (Lc 10,38-42).
È uno di quei racconti densi di motivi teologici e sapienziali che hanno ispirato una varietà di sottolineature da parte dei commentatori che, specie nel passato, si sono lasciati catturare da intenti moralizzanti ma fuorvianti; per esempio quello di leggervi un ipotetico confronto tra due diverse tipologie di atteggiamenti spirituali. Maria era così divenuta l'eminente modello di chi aveva scelto la parte «migliore», identificata nella vita contemplativa, mentre Marta restava l'esemplare icona «meno buona» del generoso e utile servizio femminile consacrato alla vita attiva.
L'esito di questo raffronto tra l'ascolto e il servizio, tra la contemplazione e l'azione, non è presente nel testo. Non ci sono due diversi modi di servire o di amare: c'è una sola e sapiente modalità di accoglienza del Signore. Luca voleva segnalare ai discepoli la possibilità paradossale di un'ospitalità tanto sollecita nel ricevere quanto poco attenta nell'ascoltare chi si riceve. Analizzando il testo da vicino si vede che l'evangelista inserisce il cammino di Gesù verso Gerusalemme tra due diversi casi di ospitalità: il viaggio, che era cominciato con la mancata accoglienza in un villaggio di samaritani (9,52-53), si concluderà con la richiesta di ospitalità nella casa del pubblicano Zaccheo a Gerico (19,1-10).
In questa non casuale sequenza narrativa di episodi di accoglienza/ospitalità, l'evangelista Luca ci dice che «Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa» (Lc 10,38). L'ammirazione per il tradizionale e lodato ruolo femminile di servizio è evidente; tanto più che sua sorella Maria aveva assunto un comportamento disdicevole per la mentalità del tempo, rimanendo insieme agli uomini, accoccolata ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola. L'ospitalità autentica non sì accontenta quindi di offrire un servizio, di svolgere un compito ma cerca la relazione e perciò suppone sempre l'accoglienza dell'altro e dunque il suo ascolto, perché desidera la sua compagnia. L'affannarsi del ministro nel servizio pastorale, se è separato dall'ascolto dell'altro, della sua parola, procura solo un penoso stato di preoccupazione. Nel giudizio del rabbi galileo è il vano agitarsi di chi ha scelto la parte «non buona», lasciandosi sopraffare dalle «troppe cose, dai molti servizi» (10,40) che finiscono per far trascurare proprio l'ospite che si è ricevuto con generosa e zelante sollecitudine.
Senza dimenticare che proprio questo agitarsi a fin di bene, procura a Marta quello scatto di umanissimo disappunto che la indispone verso Maria e la spinge a far biasimare pubblicamente la sorella dal Maestro: «che non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che venga ad aiutarmi» (10,40). Il tono imperativo da capofamiglia, o da autorevole superiora, la porta a dare ordini anche a Gesù «dille», supponendo di avere l'ovvio e pieno assenso del maestro per un atteggiamento che lei giudicava socialmente scorretto. Nel suo virtuoso affannarsi non aveva capito la novità introdotta da Gesù per il mondo femminile del suo tempo, chiamato a seguirlo e a vivere la libertà del discepolato alla maniera del mondo maschile, come segnala espressamente Luca nel suo Vangelo.
Quando l'agitazione s'impossessa del cuore, anche la mente ne resta turbata, non comprende fino a diventare ottusa. La risposta di Gesù d'altra parte è precisa e netta e non può essere resa innocua, come si continua a fare nelle diverse traduzioni. Si ritiene plausibile una interpretazione edificante che, a partire dalla traduzione di Girolamo, fa venir meno quello stupore per il giudizio inusitato e fermo del Maestro che ancora oggi dovrebbe chiamare a riflettere l'intero mondo ecclesiale. Ascoltiamo ancora le parole di Gesù: «Marta, Marta tu ti affanni per molte cose e ne resti turbata, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta» (10,41-42). La figura di Marta «distolta dai molti servizi» è un episodio importante e quanto mai istruttivo a livello ministeriale perché mostra come un'accoglienza formalmente ineccepibile, appare agli occhi del Maestro carente dell'unica cosa necessaria: quella che ha preferito Maria e che Gesù loda perché ha scelto non la parte migliore, ma quella buona che nessuno le potrà togliere.
L'icona di Marta e Maria può servire da paradigma per valutare l'importanza dell'ascolto nel percorso di fede che porta al servizio che rischia di essere visto come un affannarsi anonimo e scomposto che non costruisce alcuna relazione fraterna. Dietro certe forme di servizio può nascondersi a volte un modello d'identità autosufficiente che esibisce il proprio sacrificarsi, la propria bravura o la propria pretesa superiorità morale, senza entrare in comunione effettiva con l'altro che si riceve. Si può allora fare il bene, così come si può praticare l'elemosina e addirittura distribuire i propri beni ai poveri, senza avere la carità come ricorda san Paolo (1Cor 13,3). Accogliere l'altro richiede quel primato dell'ascolto che trasfigura anche il dovere dell'ospitalità che, da accoglienza formale e impersonale, diviene contemplazione del mistero della Parola fatta carne, del Dio che si fa presente in mezzo a noi per fare comunione e consegnarci un esempio di gaudiosa fraternità.
Questo percorso virtuoso della Parola nel cuore dell'uomo non conosce l'affanno perché, come si legge (Sap 6,14-15) il suo principio più autentico è il desiderio di ascoltare per essere istruiti, perché «l'anelito per l'istruzione è amore» (6,17). L'amore poi, secondo il sapiente, fa osservare le leggi divine e, a sua volta, il rispetto del volere di Dio diviene per l'uomo una garanzia di incorruttibilità, un pegno di salvezza che rende vicini a Dio. E il saggio conclude il percorso della fede ricordando che il desiderio della sapienza, cominciato con il semplice e praticabile desiderio di ascolto «innalza fino al regno» (Sap 6,18-20).
Se l'accoglienza viene dall'ascolto della parola che permette l'incontro con Dio, dischiudendo il cuore dell'uomo all' agapê divino, allora accade che l'uomo si apre veramente all'altro e sa porsi al suo servizio, come capirà lo stesso Pietro agli albori della vita cristiana. Come si ricorderà, a motivo dei contrasti sorti nella comunità di Gerusalemme nell'assistenza ai più bisognosi, il lodevole servizio delle mense rischiava di vanificare la comunione fraterna: a quel punto il capo degli apostoli ristabilisce il primato dell'ascolto e della preghiera comunitaria come fondamento necessario di ogni forma di amore e di condivisione: «non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense». La «diaconia della parola» (At 6,2-4) esercitata dai pastori è potenza divina che dispone i fratelli all'amore fraterno più puro, a spezzarsi per gli altri, a prestarsi gli uni gli altri amorevole servizio e assistenza. Accogliere l'ospite che ci parla di Cristo spiegandoci le Scritture ci permette di essere accompagnati dal Risorto lungo la via, come ricorda l'episodio pasquale di Emmaus quando i discepoli riconobbero d'essere stati visitati dal loro Signore nel gesto eucaristico del pane spezzato (24,13-35). Qualcosa del genere mi sembra che stia accadendo anche ai nostri giorni. Penso che il nobile e grandioso esempio di amore ecclesiale di papa Benedetto che ha scelto di salire sul monte della preghiera, possa essere accolto come un monito profetico per una Chiesa, lacerata da contese e discordie, ma chiamata a essere come Maria modello di fede che riconosce il primato efficace della Parola. Possa il Dio della pace benedire il suo umile gesto e donargli di rendere partecipe il suo servizio petrino della stessa trasfigurazione gloriosa e nascosta del Figlio amato che ci ha chiesto di ascoltare.

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