Quando incrocia la celebrazione delle grandi feste, il ritmo dell'anno liturgico ha una sospensione. Il tempo ordinario cede il passo alla memoria di un evento, sia esso storico o simbolico, che ha qualcosa da dire alla fede di ogni credente proprio per la sua unicità. Un evento come quello dell'assunzione di Maria al cielo non racconta certo un fatto, non soggiace cioè alle regole della cronaca, ma compone insieme una serie d'indicazioni e di simboli, di parole e di allusioni, e sostiene la fede, apre alla speranza, conferma nella carità. VITA PASTORALE N. 6/2013
Assunzione della Beata Vergine Maria
Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab
1Cor 15,20-27a
Lc 1,39-56
Messa vespertina nella vigilia
Messa del giorno
DELLA CHIESA E DI MARIA
L'immagine dell'assunzione di Maria riassume in un simbolo potente, quello di un corpo strappato alla dissoluzione, il significato della creazione e il destino della storia. Se i racconti mitici delle origini, che aprono il libro della Genesi, ci dicono che il mondo, abitato dal male, sperimenta la morte come ingiuria al dono della vita, la figura mitica della donna gravida vestita di sole annuncia il tempo del compimento finale in cui colui che viene alla vita è infine vittorioso perfino sulla morte. Tutte le tradizioni religiose abitano la linea di orizzonte tra cielo e terra. Quando rinunciano a collocarsi su quell'orizzonte in cui Dio è Signore «come in cielo, così in terra", si traducono in pericolose alienazioni dalla storia o in perniciose ideologie intramondane. Oggi è ormai acquisito che non solo l'al-di-là, ma anche l'al-di-qua può essere usato per stordire e anestetizzare e, pena il loro fallimento, le religioni sono chiamate a cercare parole di libertà proprio su quella linea di confine tra terra e cielo che a nessuno può essere preclusa.
L'assunzione di Maria è, in fondo, una di queste parole che la tradizione cristiano-cattolica ha pronunciato nel corso della sua storia recente. Una parola ambigua, come tutte le parole, una parola che va decodificata, una parola che può dire più di quello che, di volta in volta, riusciamo a cogliere. Il racconto lucano della visitazione ci aiuta in questo senso. Per dirla con un termine molto utilizzato oggi, l'episodio dell'incontro tra Maria ed Elisabetta è presentato dal narratore come un momento di empowerment nello Spirito che opera nelle due donne un'acquisizione di forza e di potenza. Lo Spirito, che è il protagonista assoluto della scena, dona alle due donne gravide la forza di riconoscerlo e la potenza di celebrarlo nel momento in cui dona loro la piena padronanza di sé stesse. Di questo empowerment nello Spirito dobbiamo cercare di capire i significati. Al centro dei racconti dell'infanzia con cui Luca apre il suo vangelo, c'è Maria, che gioca certamente un ruolo di protagonista letteraria, come Giuseppe lo gioca nel vangelo di Matteo. Né Maria né Giuseppe, però, vanno posti al centro dell'attenzione, che deve invece concentrarsi sull'unico vero protagonista di tutta la storia evangelica, Gesù.
La prima parte del brano, più narrativa, descrive l'incontro tra due donne gravide. Un incontro in cui donne-madri e bambini-profeti si relazionano l'un l'altro nel contesto di una visita. Il tema della visita è molto presente nella tradizione biblica, così radicata nell'antica cultura israelitica per la quale, come ancora oggi per i popoli del vicino oriente, l'ospitalità ha un valore sacro. La visita porta con sé sorpresa e gioia, chiama a reciproca benevolenza, suscita riconoscenza. Per questo la fede biblica vede nella "visita" un'immagine privilegiata per esprimere il modo con cui Dio si fa presente nella storia. Non è un caso, allora, che il primo gesto compiuto dal Messia, ancora nel seno di sua madre, è proprio quello di rendere visita a colei dal cui grembo sta per venire alla luce l'ultimo dei grandi profeti d'Israele. La linea d'orizzonte tra cielo e terra non viene oltrepassata solo dagli esseri umani spinti dall'esigenza di un oltre che vada dal basso verso l'alto. Viene attraversata anche da Dio stesso che, con la profezia, rende gravida la storia.
Così, quanto c'è di più naturale, una gravidanza, si trasforma nell'empowerment nello Spirito che rende due donne capaci d'innalzare a Dio la benedizione perché ciascuna delle due accetta la sua differenza: madre del profeta quella che appartiene al passato, madre del Messia quella che darà alla luce il futuro. Riconoscimento e benedizione: è la fede dei padri, quella di Abramo e della sua discendenza, che diviene, attraverso le due donne rese gravide dalla potenza di Dio, benedizione per tutte le generazioni.
La seconda parte della pagina evangelica passa dalla narrazione alla lode. Canto della Chiesa prima ancora che canto di Maria, il Magnificat è canto di quella porzione di umanità che sa di essere stata chiamata a confidare solo nella potenza di Dio. Quanto Maria dice e fa, altro non è che l'affermazione che ciò che Dio ha detto e fatto ha reso possibile attraversare quella linea di orizzonte. Perfino in modo irreversibile e definitivo, annientando, come dice Paolo, l'ultimo nemico, la morte. Festa di mezza estate, la celebrazione dell'assunzione di Maria al cielo è destinata a confondersi con tante storie circoscritte e con tante tradizioni locali che ben poco hanno a che fare con la fede biblica. Camminare sulla linea d'orizzonte tra cielo e terra non è facile. Non spetta a noi, d'altra parte, conoscere il tempo in cui Cristo consegnerà il Regno a Dio Padre e l'assunzione, da simbolo, diventerà realtà per tutta l'umanità.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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Assunzione della Beata Vergine Maria (C)
ANNO C – 15 agosto 2013
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IL MAGNIFICAT, CANTO