Un testo programmatico, quello di Luca, e al contempo paradigmatico. Forte è la preoccupazione del terzo evangelista per la sua Chiesa che va richiamata alla perseveranza e va incitata a non perdere di vista i fondamenti della propria fede e della propria speranza. Si tratta di una comunità che ha già alle sue spalle un cammino di formazione e un processo di organizzazione, ma che rischia di perdere di vista quale sia il centro gravitazionale intorno al quale trovare la propria stabilità. È il pericolo costante cui vanno soggette le Chiese: mettere al centro sé stesse e non più Gesù, il Cristo. VITA PASTORALE N. 5/2013
XII Domenica del Tempo ordinario
Zc 12,10-11;13,1
Gal 3,26-29
Lc 9,18-24
NON C'È ALTRI CHE DIO
Per questo, Luca colloca il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli nel contesto molto preciso della preghiera di Gesù. Il richiamo alla necessità di perseverare nella preghiera percorre tutto il suo vangelo e non può quindi stupire l'attenzione costante dell'evangelista a presentare Gesù come modello di colui che prega senza stancarsi. Nel rimando alla preghiera di Gesù, posto all'inizio del dialogo tra Maestro e discepoli e della predizione della passione, c'è però qualcosa di più che non una semplice raccomandazione a saper vedere in Gesù un modello esemplare di perseveranza nella preghiera. Tutto il brano trova infatti il suo senso nella questione di chi o di che cosa debba essere messo al centro. La pratica della preghiera suppone allora una risposta implicita, ma chiara e forte, a questa questione. Pregare significa riconoscere che al centro non c'è nessun altro se non Dio. Per Gesù, al centro della vita, della sua vita come della vita del mondo, non c'è altri che Dio. Per questo egli è il Cristo di Dio, colui che Dio ha inviato per portare al mondo la divina misericordia.
E per i discepoli? Hanno capito chi lui è, hanno cioè capito perché lui prega? O ne hanno fatto, anche loro come tutti gli altri, un personaggio di rilievo, da seguire e da cui aspettarsi qualcosa? Chi è Gesù? La domanda è cruciale e invece troppo spesso viene data per scontata. È una domanda posta a tutti, anche se solo alcuni, ora come allora, possono rispondere ad essa con piena verità. Eppure, è necessario partire proprio da quella domanda e da tutte le possibili risposte che ad essa vengono date. Con grande sapienza ecclesiale, Luca ricorda che il percorso che Gesù fa fare ai suoi discepoli parte proprio da lì. Cosa dicono le folle, cosa sperano, cosa aspettano, di che cosa sentono il bisogno: la Chiesa dovrebbe domandarselo tutte le volte che vede tanta gente accalcarsi nei santuari o accorrere a eventi di massa perché spinta dal bisogno di credere a qualcuno, di sperare in qualcosa. Solo a partire da questo confronto i discepoli possono prendere le misure della loro stessa fede e cogliere tutto il significato di quel: "Ma voi...».
La fede in Gesù come Cristo di Dio non è un modo di pensare indistinto, una religiosità qualsiasi, un modo come un altro di vivere una tradizione religiosa nella quale si nasce e si muore per puro caso. Chiede una disciplina dura, perché chiede di accettare quel: «Ma voi, chi dite che io sia?». Chiede cioè di distinguersi dalla gente e dalla folla. Non per altezzosa sufficienza, non per essere diversi a tutti i costi, non per snobbismo religioso, ma perché la vera risposta a quella domanda non sta in una semplice dichiarazione del catechismo.
La fede cristologica impone di considerare Gesù come colui che Dio ha investito della missione di annunciare la venuta definitiva del suo Regno e segna perciò la fine di ogni altra attesa e di ogni altra speranza. Non soltanto, però. La predizione della sua passione da parte di Gesù conferma quanto i profeti avevano già presagito: rivolgersi al Cristo di Dio significa guardare a colui che hanno trafitto. Guardare non soltanto a un legno a forma di croce a cui è appeso un uomo messo a morte più di duemila anni fa, ma a un legno a cui continua ad essere appesa un'umanità ingiustamente sconfitta dal male e dalla prepotenza e a cui continua ad essere inchiodata una storia che sembra vanificare ogni aspettativa di speranza.
La fede nel Cristo di Dio non si esaurisce in un'affermazione dottrinale anzi, a volte, chiede con severità di astenersi da ogni dichiarazione, di prendere con coraggio e decisione sulle proprie spalle le croci dell'oggi e di perdere la propria vita per il Cristo di Dio. Gesù non pretende dai suoi discepoli che s'impegnino in una disputa teorica sulla giusta risposta da dare alla domanda cruciale per la fede, ma esige che chi lo riconosce come Cristo faccia propria la sua causa. Al prezzo di una sequela che arriva fino alla croce.
In questi anni in cui tanto si è parlato di Dio e di sacro, di Chiesa e di verità, ma troppo poco, forse, si è volto lo sguardo verso colui che è stato trafitto, la domanda cruciale è stata accantonata. Ascoltare che cosa "la gente" vuole e si aspetta dal Messia, provare a capire perché in tanti accorrono ad ascoltare l'appello alla speranza e l'annuncio della misericordia che un Papa che viene dall'altra parte del mondo non si stanca di pronunciare ogni volta che vede davanti a sé le folle: da qui la Chiesa deve ripartire se vuole mettersi alla sequela del suo Signore. Ben sapendo che a quel: «Ma voi chi dite che io sia?» segue un monito severo, una predizione dolorosa, una consegna impegnativa. Forse Luca ha ragione: solo quando si persevera con fiducia e costanza nella preghiera, tutto questo può diventare plausibile.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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XII Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C - 23 giugno 2013
AL CENTRO DELLA VITA