ANNO C - 3 febbraio 2013
IV Domenica del Tempo ordinario
Ger 1,4-5.17-19
1Cor 12,31-13,13
Lc 4,21-30
IV Domenica del Tempo ordinario
Ger 1,4-5.17-19
1Cor 12,31-13,13
Lc 4,21-30
A NAZARET
GESÙ È RIFIUTATO
GESÙ È RIFIUTATO
Confronto a viso aperto anche fino allo scontro definitivo o disponibilità alla conciliazione e alla sopportazione? Il problema è sempre cruciale e, se il testo di Geremia e quello di Luca ci mettono di fronte al coraggio di opporsi anche a prezzo della vita, l'apostolo Paolo sembra invece invitare a un atteggiamento capace di sopportare tutto in nome di un amore sempre e comunque più grande. Tutti sappiamo che non si tratta tanto o soltanto di una "questione di scuola" da svolgere durante i corsi di teologia morale, ma di una tensione che attraversa il nostro quotidiano e, personalmente o indirettamente, ci chiama in causa e, a volte, addirittura ci lacera.
Dio richiede a Geremia un atteggiamento di lotta e un'obbedienza alla sua parola che lo porterà a confrontarsi con l'infedeltà del popolo e a opporsi all'autorità del re di Giuda, al potere dei sacerdoti e all'opinione della gente. Si dirà che è una situazione estrema. In realtà, però, anche tanti uomini e donne "comuni" sono stati e sono capaci di affrontarla quando una cecità di regime arriva a compromettere il futuro di interi popoli. L'opposizione a viso aperto al nazi-fascismo, la difesa degli ebrei dopo la promulgazione delle leggi razziali è storia che abbiamo sentito raccontare anche dai nostri nonni e dai nostri genitori. E figure come quella di Nelson Mandela o Aung San Suu Kyi possono restare sconosciute soltanto a coloro che, pervicacemente, si rifiutano di uscire dall'involucro d'indifferenza e di cinismo che garantisce loro di vivere al livello zoologico e non umano.
Il vangelo di Luca narra l'opposizione che Gesù incontra a Nazaret. Come dare fiducia al profeta, anche credere alla messianicità di Gesù non è né scontato né evidente. L'ombra della croce, cioè del rifiuto, si allunga a ritroso sulla storia di Gesù fino a raggiungere le sue prime battute. Chi è Gesù e perché egli è l'evangelo di Dio? Gesù è il figlio di Giuseppe, appartiene cioè a un preciso momento della storia del suo popolo. Gesù è un nazareno e appartiene perciò, non solo etnicamente, ma anche religiosamente, a un certo modo di capire e vivere la fede nel Dio della Bibbia. Gesù è un osservante delle prescrizioni religiose del suo popolo, è cresciuto nella fede sinagogale, attento alla parola e alla preghiera. Gesù sa scrutare le Scritture come fanno i rabbi per capirne e spiegarne il senso vitale ed esistenziale. Per lui, le Scritture non sono lettera morta, sono promesse che vanno verso il loro compimento. Per questo la spiegazione delle Scritture dovrebbe ingenerare sempre meraviglia: non ingessa il presente, apre al futuro.
Gesù, però, ha anche la pretesa di sentire e attestare che nella sua persona e nella sua opera le profezie messianiche prendono corpo e attualità, che in lui continua la grande tradizione profetica di E1ia ed E1iseo, che avevano insegnato che Dio agisce facendosi presente non in modo totalitario né totalizzante, ma nella prospettiva di un "oltre" verso cui andare. Proprio su questo punto si innesca la reazione di rifiuto e di rabbia della gente di Nazaret: perché Gesù, se davvero è il Messia, non agisce in loro favore? Come se il favore di Dio si misurasse con la logica delle clientele. Gesù pretende di affermare che il Messia non renderà mondano il modo di agire di Dio, non accrediterà un'immagine di Dio che è tipica di una religiosità atea. Sono gli uomini che devono riconoscere il Messia, non è Dio che deve progettare un Messia a misura delle aspettative e delle pretese degli uomini.
Il modo in cui Dio interviene nella storia resta misterioso: perché, se Dio è Signore della storia, coloro che dominano e coloro che sono ad essi asserviti non sono disposti a modificare le proprie posizioni o a rinunciare ai propri privilegi e rifiutano di adattarsi alla richiesta di sincerità e giustizia che viene dalla parola di Dio? Essa chiede attenzione, disponibilità al cambiamento, trasformazione, pentimento: di questo cambio radicale Israele non è stato capace né all'epoca di Geremia, né al tempo di Gesù. Ne sono forse capaci coloro che si servono del loro potere per affamare intere popolazioni o per perseguitare chi li richiama alla giustizia, per condannare all'esclusione sociale o per privare della parola chi li invita al confronto? C'è forse un popolo, una tradizione religiosa, una Chiesa che non ha prodotto intransigenza e intolleranza, indurimento del cuore e incapacità di dare ascolto al grido dei poveri?
La conversione e il cambiamento sono infatti gli atteggiamenti più difficili da richiedere agli uomini, siano essi padroni senza scrupoli o asserviti al padrone di turno. Sono gli atteggiamenti più difficili, ma anche i più necessari. La rigidità, l'intransigenza, l'opposizione, l'odio fino alla morte nascono dal rifiuto di accettare la lotta interiore per una conversione e una trasformazione permanenti. L'inno alla carità propone la non-violenza come condizione fondamentale dell'amore fraterno e come unità di misura sia dell'azione dei profeti sia della legittimità di coloro che, da capi o da sudditi, cementano lo status quo. Desiderare la conversione e il cambiamento, scegliere la non-violenza: lì la signoria di Dio si fa storia.
Dio richiede a Geremia un atteggiamento di lotta e un'obbedienza alla sua parola che lo porterà a confrontarsi con l'infedeltà del popolo e a opporsi all'autorità del re di Giuda, al potere dei sacerdoti e all'opinione della gente. Si dirà che è una situazione estrema. In realtà, però, anche tanti uomini e donne "comuni" sono stati e sono capaci di affrontarla quando una cecità di regime arriva a compromettere il futuro di interi popoli. L'opposizione a viso aperto al nazi-fascismo, la difesa degli ebrei dopo la promulgazione delle leggi razziali è storia che abbiamo sentito raccontare anche dai nostri nonni e dai nostri genitori. E figure come quella di Nelson Mandela o Aung San Suu Kyi possono restare sconosciute soltanto a coloro che, pervicacemente, si rifiutano di uscire dall'involucro d'indifferenza e di cinismo che garantisce loro di vivere al livello zoologico e non umano.
Il vangelo di Luca narra l'opposizione che Gesù incontra a Nazaret. Come dare fiducia al profeta, anche credere alla messianicità di Gesù non è né scontato né evidente. L'ombra della croce, cioè del rifiuto, si allunga a ritroso sulla storia di Gesù fino a raggiungere le sue prime battute. Chi è Gesù e perché egli è l'evangelo di Dio? Gesù è il figlio di Giuseppe, appartiene cioè a un preciso momento della storia del suo popolo. Gesù è un nazareno e appartiene perciò, non solo etnicamente, ma anche religiosamente, a un certo modo di capire e vivere la fede nel Dio della Bibbia. Gesù è un osservante delle prescrizioni religiose del suo popolo, è cresciuto nella fede sinagogale, attento alla parola e alla preghiera. Gesù sa scrutare le Scritture come fanno i rabbi per capirne e spiegarne il senso vitale ed esistenziale. Per lui, le Scritture non sono lettera morta, sono promesse che vanno verso il loro compimento. Per questo la spiegazione delle Scritture dovrebbe ingenerare sempre meraviglia: non ingessa il presente, apre al futuro.
Gesù, però, ha anche la pretesa di sentire e attestare che nella sua persona e nella sua opera le profezie messianiche prendono corpo e attualità, che in lui continua la grande tradizione profetica di E1ia ed E1iseo, che avevano insegnato che Dio agisce facendosi presente non in modo totalitario né totalizzante, ma nella prospettiva di un "oltre" verso cui andare. Proprio su questo punto si innesca la reazione di rifiuto e di rabbia della gente di Nazaret: perché Gesù, se davvero è il Messia, non agisce in loro favore? Come se il favore di Dio si misurasse con la logica delle clientele. Gesù pretende di affermare che il Messia non renderà mondano il modo di agire di Dio, non accrediterà un'immagine di Dio che è tipica di una religiosità atea. Sono gli uomini che devono riconoscere il Messia, non è Dio che deve progettare un Messia a misura delle aspettative e delle pretese degli uomini.
Il modo in cui Dio interviene nella storia resta misterioso: perché, se Dio è Signore della storia, coloro che dominano e coloro che sono ad essi asserviti non sono disposti a modificare le proprie posizioni o a rinunciare ai propri privilegi e rifiutano di adattarsi alla richiesta di sincerità e giustizia che viene dalla parola di Dio? Essa chiede attenzione, disponibilità al cambiamento, trasformazione, pentimento: di questo cambio radicale Israele non è stato capace né all'epoca di Geremia, né al tempo di Gesù. Ne sono forse capaci coloro che si servono del loro potere per affamare intere popolazioni o per perseguitare chi li richiama alla giustizia, per condannare all'esclusione sociale o per privare della parola chi li invita al confronto? C'è forse un popolo, una tradizione religiosa, una Chiesa che non ha prodotto intransigenza e intolleranza, indurimento del cuore e incapacità di dare ascolto al grido dei poveri?
La conversione e il cambiamento sono infatti gli atteggiamenti più difficili da richiedere agli uomini, siano essi padroni senza scrupoli o asserviti al padrone di turno. Sono gli atteggiamenti più difficili, ma anche i più necessari. La rigidità, l'intransigenza, l'opposizione, l'odio fino alla morte nascono dal rifiuto di accettare la lotta interiore per una conversione e una trasformazione permanenti. L'inno alla carità propone la non-violenza come condizione fondamentale dell'amore fraterno e come unità di misura sia dell'azione dei profeti sia della legittimità di coloro che, da capi o da sudditi, cementano lo status quo. Desiderare la conversione e il cambiamento, scegliere la non-violenza: lì la signoria di Dio si fa storia.
VITA PASTORALE N. 1/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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