Domenica delle Palme (C)

ANNO C - 24 marzo 2013
Domenica delle Palme

Is 50,4-7
Fil 2,6-11
Lc 22,14-23.56
DALL'OSANNA
AL TRADIMENTO

La lunga lettura del racconto lucano della passione stabilisce, nella domenica cosiddetta "dei rami", la soglia d'ingresso nella settimana più santa dell'anno. Settimana in cui tutta la Chiesa tace per far risuonare unicamente la narrazione di quei giorni che hanno portato Gesù dall'osanna al tradimento, dalla passione per il Regno alla passione per mano degli uomini, dalla morte ingiustamente violenta ad opera dei suoi nemici alla deposizione dalla croce per mano dei suoi amici.
La lettura del passio va capita su un doppio versante. Da una parte come narrazione e racconto di fatti. Un racconto in cui, in primo piano, c'è la storia del profeta di Nazaret, il suo corpo, i suoi legami più stretti, le sue relazioni più decisive, con i suoi amici e con i suoi nemici, intessute, tutte, di ultime e significative parole e intensi e provocatori silenzi. Nella storia si intrecciano il lucido accecamento di coloro che, nel momento in cui Dio si fa presente con la sua libertà, sentono minacciato il proprio potere o anche, semplicemente, le loro piccole sicurezze religiose, e l'altrettanto lucida consegna di sé da parte di Gesù a una sorte ingiusta.

Perché Gesù decide di consegnarsi alla morte, lui che aveva tanto amato la vita? La domanda appare superflua, la risposta del tutto immediata: accettare la logica della redenzione gli imponeva di bere il calice della sofferenza che il Padre aveva preparato per lui. Eppure, i racconti evangelici della passione non ci dicono questo. Insistono invece sul fatto che Gesù è convinto che, anche se la sua vita dovrà entrare nell'ombra di morte, la storia gli darà ragione: il regno di Dio arriverà presto al suo compimento e insieme all'Israele salvato il Messia potrà bere il vino nuovo del banchetto definitivo.
Isaia, d'altra parte, lo aveva preconizzato: al servo di Yahwè sarà chiesto di rendere la sua faccia dura come pietra e di non tirarsi indietro. Gli verrà chiesto dagli uomini, non da Dio. Dio sarà al suo fianco perché la sua fiducia non venga meno. Gesù crede e spera che la sua obbedienza perfino ai suoi nemici che pretendono di cancellare con lui le sue parole e, soprattutto, le sue speranze affretterà la vittoria di Dio. Per il Messia, presentare il dorso ai flagellatori e non sottrarsi agli insulti e agli sputi rappresenta il punto di non ritorno della fiducia piena e totale nell'avvento del Regno.
Il racconto della passione presenta una storia ricca di fatti e di personaggi. L'incipit, che ne stabilisce il significato e ne determina l'andamento, è il desiderio di Gesù che i suoi discepoli capiscano quanto sta per avvenire alla luce della sua predicazione. Quel racconto in cui paiono trionfare la cecità, la sopraffazione, la menzogna, la morte è infatti uno dei capitoli, l'ultimo, del suo annuncio del Regno. Per questo, si apre con lo svelamento da parte di Gesù del suo desiderio ultimo: la sua morte dev'essere capita come anticipo del banchetto escatologico. Così lui l'ha accettata e per questo gli è possibile elevare il calice di benedizione e condividere con i discepoli il pane del ringraziamento. Anche tutto il resto allora, il tradimento e l'indurimento del cuore, la viltà e la sopraffazione, la strafottenza e la violenza, la compassione e la benevolenza, tutto potrà divenire pane spezzato e condiviso, racconto dolente ma sobrio, tragico ma austero, di una morte infame narrata come benedizione.

Dai fatti di quei giorni che hanno portato Gesù a compiere fino in fondo la sua missione accettandone perfino la negazione, la fede cristiana non può prescindere. Per questo non può fare a meno di continuare a trasmetterli, per questo gli evangelisti hanno sentito il bisogno profetico di fissarli nella tradizione, per questo le Chiese non possono fare a meno di raccontarli nella liturgia e nella catechesi, nella predicazione missionaria e nella riflessione teologica. D'altra parte, però, il racconto della passione non è soltanto cronaca di fatti avvenuti.
Si tratta infatti di narrazione kerigmatica, di narrazione che porta in sé un annuncio che è insieme promessa e compimento perché raggiunge il profondo della storia individuale ed ecclesiale e diviene il fondamento, l'unico, sul quale è possibile costruire la cattedrale della fede: la Pasqua è il criterio assoluto della predicazione, è il punto di riferimento per ogni scelta morale, è l'unico mistero che può chiamarsi cristiano. In questo momento l'anno liturgico arriva al suo culmine. Tutto quello che viene prima deve portare qui, tutto quello che viene dopo prende significato e valore solo a partire da qui.

Ascoltare il racconto della passione non chiede compunzione né emozione. Non è stato scritto né viene continuamente proclamato per questo. Anzi, la misura con cui tutti e quattro gli evangelisti raccontano l'orrore dell'ingiustizia e la violenza della morte impone che il registro interiore con cui far risuonare la cronaca degli ultimi momenti della vita del Nazareno sia quello dell'intensità pacata e solenne: è la vera confessione di fede intorno alla quale ogni comunità cristiana è chiamata a riunirsi, a purificarsi e a decidersi. Nelle grandi composizioni musicali barocche il corale con cui termina la Passione è spesso dolce e pacato come una ninna nanna. Ormai tutto è finito e pacificato. La notte, il buio, la solitudine non fanno paura.

VITA PASTORALE N. 2/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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