Il primo diacono "fidei donum"


Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)

BRASILE


Il primo diacono "fidei donum"
di Franco e Loredana Scaglia

Sono Franco e con mia moglie Loredana, alla fine del 2005, dopo un breve corso di formazione al CUM di Verona, partivo per il Brasile, con due preti e una giovane coppia torinese per un'esperienza di missione in appoggio alla diocesi di Belèm, secondo un progetto concordato dal card. Poletto con il vescovo del luogo. Siamo stati scelti da Dio per una serie di coincidenze: siamo senza figli, Loredana era già in pensione e io potevo prendere un'aspettativa dal mio lavoro di insegnante. Così, senza nostri meriti, il diaconato torinese si è aperto alla missione ad gentes. Per noi è stato immergerci nelle gravi necessità del Terzo Mondo e delle chiese più povere di clero, come non potevamo neppure immaginare dalle riviste missionarie, e vedere quanto il Vangelo è forza per gli uomini di tutti i paesi.
Prima di tutto, invece che portare i nostri schemi di vita e di chiesa, abbiamo dovuto inculturarci. Abbiamo trovato un laicato attivo e vivace, e ai più disponibili abbiamo dato la possibilità di formarsi con corsi adatti. Non è facile descrivere il luogo. Belèm è una capitale del Nord Brasile dove ogni anno dalla campagna affluiscono molte migliaia di famiglie, in cerca di lavoro e vita migliore. Spesso queste speranze non si avverano e quelle persone restano in condizioni precarie per molto tempo: in una favela le case sono povere, la fragilità famigliare è grande, il lavoro si trova difficilmente. I molti figli, anche di unioni diverse, trascorrono il giorno per la strada, perché la scuola offre poche ore e un livello di cultura bassissimo. Manca l'acqua potabile e i servizi sanitari sono praticamente riservati ai ricchi. C'è molta violenza, specialmente di notte, e la droga tenta i giovani offrendo un rifugio ai gravi problemi quotidiani.
Insieme a tutto ciò, intorno a noi e alle nostre comunità c'erano molte chiese protestanti di varie denominazioni. In Brasile le parrocchie sono formate da varie comunità, cioè quartieri o villaggi separati, ognuno con la sua chiesetta, dove la domenica, anche senza prete, si fa una celebrazione a cura dei ministri laici. Ogni comunità ha la sua catechesi e le sue liturgie. Una "rete" tra le comunità lega le persone più attive della parrocchia. La diocesi ha momenti di formazione dei diaconi, dei preti e di incontro tra il clero. Ha un seminario che promette molte vocazioni, anche se a spese della diocesi stessa (e la diocesi di Torino ha aiutato quella di Belèm anche in questo aspetto). In questo ambiente, io mi occupavo della catechesi (formazione di catechisti, organizzazione di ritiri e strumenti, preparazione ai sacramenti), di varie celebrazioni al posto dei pochi preti e della cura di famiglie povere (a qualcuna abbiamo costruito una nuova casa al posto della sua catapecchia). Inoltre, io seguivo il canto liturgico, dato che i brasiliani hanno liturgie molto vivaci e amano la musica. Loredana si occupava della Pastoral della criança, un gruppo che visita le famiglie con figli piccoli, le riunisce periodicamente, fornisce aiuti concreti, ascolto e consigli per la cura dei figli, che spesso arrivano inaspettati o in coppie improvvisate.
Per circa un anno abbiamo vissuto una vita comune con i due sacerdoti e l'altra coppia. Poi, don Benigno Braida è tornato in Italia per ragioni di salute e noi siamo andati a vivere presso la chiesa principale della parrocchia (Matriz), dove mancava una presenza. Questo ci ha dato l'occasione di stare a contatto quotidiano con la gente che cerca, presso la chiesa, una presenza amica. I brasiliani ci sono entrati nel cuore per il loro sincero gusto della conversazione gratuita, senza paure o fretta. Questo ci ha permesso di mostrare che la fede si vive anche in coppia.
Il nostro ruolo era anche di fare parte di una équipe, che ogni settimana si riuniva (i preti, le coppie e le suore vicine a noi) e dalla quale scaturiva ogni decisione e orientamento. Il card. Poletto aveva inaugurato qui le unità pastorali, e anche la nostra era un'unità pastorale, sebbene con ritmi e condizioni diverse da quelli torinesi. Ci siamo trovati a collaborare quasi senza conoscerci, ma ora ci rendiamo conto che questo è il futuro della chiesa.
Auguriamo ad altri diaconi la disponibilità di fare un'esperienza simile, sicuramente utile anche ai preti torinesi che volessero provare. Spesso gli amici che abbiamo lasciato dicevano: «Dio ti benedica». E noi ora ci portiamo dentro la benedizione dei poveri: ciò che abbiamo imparato è molto più di quanto abbiamo dato.


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