Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)
RIFLESSIONI
Santità diaconale?
di Andrea Spinelli
Il punto di domanda non vi tragga in inganno, poiché non esprime alcun dubbio circa il fatto che anche i diaconi, come tutti i battezzati, devono essere santi. «Siate santi, poiché io sono santo» (Lv 11,44-45): l'invito del Signore è forte e chiara la motivazione. Dunque la santità è una chiamata universale, che oggi, forse più di ieri, abbiamo compreso non avere sorta di eccezioni: è banale, ma lo diciamo, dall' "ultimo" (passi l'attributo) cristiano, sperduto sulla faccia della Terra, sconosciuto ai più, ma ben conosciuto a Dio, il Santo dei santi, al fedele più in vista, al papa se vogliamo, la santità è un imperativo, una realtà costitutiva, conditio sine qua non!
Allora come possiamo ipotizzare una santità particolare? La risposta immediata può essere la seguente: la fantasia del Creatore è stata, è e sarà così infinita che nessun essere umano ha il medesimo aspetto fisico, nessun volto è copia perfetta di un altro (forse nemmeno quello dei gemelli monozigoti!), allo stesso modo la fantasia dello Spirito è così grande che nessun essere umano ha la medesima fisionomia spirituale, lo stesso volto di santità... Fin qui siamo ancora nel campo dell'umanità in quanto tale, ma, se scendiamo al ruolo, che ogni essere umano accoglie e sceglie per sé nella grande famiglia dei figli di Dio, possiamo (non per necessità) immaginare figure concrete di santità, parzialmente diverse fra loro, secondo i carismi e i ministeri, tutti accolti ed esercitati «per l'utilità comune» (1Cor 12,7).
Dunque è lecito parlare di santità diaconale, ossia di un modo particolare di incarnare e vivere la santità da parte di chi è diacono ordinato, nella comunità e per la comunità. Innanzi tutto ci viene in aiuto l'etimologia della parola "diacono"; servitore! Il termine ha significato attivo: servitore per scelta, non per imposizione esterna, servitore non servo, non schiavo, obbligato a servire perché conquistato e asservito! Anche qui anticipo, meglio sento l'obbiezione: «Tutti devono essere servitori, compreso il papa servus servorum Dei». È vero, ma per il diacono il servizio è la sua identità, capace, senza presunzione, di imitare Cristo servo. Tutti pertanto devono servire, ma se il diacono non serve, non è nemmeno diacono, usurpa una "qualifica", dà una controtestimonianza. Non dobbiamo certo fare i salti mortali per scoprire in che cosa consista la santità diaconale, tuttavia possiamo cercare di capire qualcosa nella semplicità e senza la pretesa di giungere a una definizione, tanto bella formalmente quanto astratta, degna di stare in un manuale. Mi viene in mente quanto afferma Francesco di Sales (1567-1622) nella sua Introduzione alla vita devota (parte I, cap 3), proprio nel testo che leggiamo nell'ufficio delle letture il 24 gennaio, memoria del santo vescovo e dottore della Chiesa. «Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione. La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa».
Siamo tra il XVI e il XVII secolo, in un ambiente diverso dal nostro, eppure Francesco di Sales ha questa intuizione "spirituale": la santità, meta di tutti, non può e non deve essere raggiunta allo stesso modo da tutti, la modalità cambia! Il santo si chiede: «Ti sembrerebbe, Filotea, cosa fatta bene che un vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Di un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile?». Non esistevano a quei tempi i diaconi permanenti, nonostante il Concilio di Trento avesse deliberato che ogni grado del ministero deve essere esercitato in modo proprio e autonomo.
Il problema qui non ci tocca, tuttavia possiamo farci anche noi la stessa domanda: sarebbe conveniente e soprattutto giustificato che il diacono vivesse da una parte come un religioso fedele ai consigli evangelici professati pubblicamente, dall'altra come un laico immerso quasi esclusivamente o addirittura totalmente nelle faccende materiali? Certo che no, risponderebbe Francesco di Sales, perché la santità assume molteplici aspetti e perfeziona lo stato concreto in cui il diacono si trova. A questo proposito ci viene incontro la definizione, che nella riflessione degli ultimi decenni vede il diacono come il ministro della soglia, colui cioè che permette di entrare e uscire dal "tempio" sia a chi ne è, per così dire, il custode, sia a chi si affaccia, desideroso di entrare. Ancora il santo mette in guardia dall'errore del considerare la santità una realtà univoca, con una faccia sola, così che tutti, se vogliono diventare santi, devono percorrere la medesima strada...
Un altro santo, quasi coetaneo, ci aiuta a capire qualcosa ancora, intendo Vincenzo de' Paoli (1581-1660). In alcune lettere circa l'impegno di servire Cristo nei poveri afferma: «Se nell'ora della preghiera dovete portare una medicina o l'aiuto a un povero, andatevi tranquillamente... non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Dio ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio». I diaconi a quei tempi non c'erano, ma c'erano! Intendo dire che il loro ministero era svolto da altri nella Chiesa, dalle varie congregazioni maschili e femminili, alle quali, come nel caso di Vincenzo de' Paoli, era presentata con il doveroso impegno della preghiera l'urgenza del servizio ai poveri nelle più svariate forme.
E i diaconi oggi? Certo non si santificano solo con l'espressione liturgica del loro ministero, ma soprattutto con l'uscire dal "tempio", con l'essere in mezzo alla gente, con il prendersi cura dei poveri, non esclusi quelli, che, pur ricchi di beni materiali, sono poveri di risorse spirituali e ripiegati su se stessi. Non molto tempo fa mi è venuto tra le mani, casualmente, tra alcuni libri destinati a essere carta da riciclare un testo dal titolo: Scaricatore di porto e prete - un testimone che ci interroga. Il libro, del 1968, narra la vita di un francese, André Bergonier, vittima di un incidente mortale sul lavoro a 36 anni, prete da pochi mesi. Scorrendo il testo mi sono soffermato sul capitolo V, Diacono a Marsiglia: mantenere una presenza della Chiesa là dove è assente. Egli fu ordinato diacono il16 ottobre 1960 e tale rimase per cinque anni. «Ho deciso immediatamente di non andare oltre il diaconato... non si tratta per me di fare una teoria sul diaconato. Parto dal fatto che oggi il diacono ha gli stessi doveri del prete e che partecipa come lui al sacerdozio del vescovo. Dunque è un impegno totale e definitivo al servizio della chiesa... sul piano umano è una scelta nella propria vita... penso con convinzione che in questo mondo sono i preti che occorrono. Il fatto di restare diacono non è affatto per me una soluzione, né una soluzione del problema. Domando di poter vivere come diacono le condizioni di vita del mondo operaio... la vita di questi diaconi non sarà un problema posto nella Chiesa? Senza ribellioni né chiasso, ma modestamente e in silenzio». Il libro contiene riflessioni e lettere del protagonista, di cui ho riportato qualche frase e che rivelano sia la ricerca personale sia la convinzione che l'orizzonte della sua vocazione è stare in mezzo alla gente, condividerne pienamente la vita. Per questo, ordinato diacono e destinato a Marsiglia, fece lo scaricatore di porto, impegno tenuto anche con il presbiterato. Certo un'esperienza del passato, anche se recente, alla vigilia e durante il Concilio, vissuta proprio quando i padri conciliari votavano il ripristino del diaconato permanente. Una vicenda che ci conferma non tanto il ruolo del diacono quanto piuttosto la testimonianza del diacono in mezzo alla gente, anche solo come presenza. «Ha lasciato parte di sé a tutti, ma era più a suo agio con i semplici e i poveri. Con lui ci si sentiva in comunione nel profondo. Rendeva la Chiesa più accessibile, come vivrebbe il Cristo attualmente» (op. cit. p. 121).
All'inizio di quest'anno è morto un sacerdote-scrittore, Luisito Bianchi, autore tra gli altri di un grosso volume, un romanzo sulla Resistenza: La messa dell'uomo disarmato. Il testo è diviso in tre parti, con titoli importanti: Il gemito della Parola - Il silenzio della Parola - Lo svelamento della Parola. Nella prima parte un ex-novizio benedettino scrive al suo padre maestro, rimasto in ottimi rapporti: «Qualche mese prima dell'ordinazione, già diacono, ti eri confidato con l'abate. Sarebbe stato tuo desiderio rimanere per sempre diacono. - Non siamo monaci ortodossi - t'aveva risposto con un sorriso l'abate. - Eppure tutta la tradizione della Chiesa è per l'ordinazione dei diaconi permanenti. - avevi obbiettato. - Certo, ma la tradizione è un filone che a volte si smarrisce tra usi e pigrizie, considerati a loro volta tradizioni. Dovrebbe essere la Chiesa a riprendere il filone nascosto; tu chi sei per arrogarti questo diritto? - aveva concluso l'abate».
Siamo negli anni trenta del ventesimo secolo, non molti anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e l'accenno al diaconato permanente, pur in un contesto monastico, tradisce sia il desiderio che tale ministero sia appunto permanente sia la possibilità di un orizzonte più ampio, anche sociale, rispetto al presbiterato. Il prete-scrittore è stato insegnante e traduttore, ma anche prete operaio e inserviente d'ospedale, ha concluso la sua esistenza terrena come cappellano presso il monastero benedettino di Viboldone (Milano). Nel lungo romanzo (quasi 900 pagine), che consiglio di leggere, anche ai diaconi, tanti sono gli spunti che obbligano a riflettere, forse non sempre a condividere pienamente, ma certamente a lasciarsi interrogare e, anche se ovviamente non ci sono come protagonisti diaconi, a mio parere ce ne sono vari in altri ruoli, presbiteri, monaci, laici, credenti e non, capaci di stimolare la riflessione sulla santità diaconale. Bella figura è l'anziano arciprete del paese della pianura lombarda, luogo delle vicende narrate e soprattutto dei rapporti interpersonali, e ricchi di vitalità. Parlando di sé, in un dialogo con il giovane Franco, l'ex novizio protagonista, il sacerdote afferma di avere scritto, come diario, quarant'anni prima: «Mi si accusa di trascurare l'appartenenza visibile a una Chiesa visibile, perché avrei detto che non saremo giudicati su questo ma su quanto avremo fatto per dare da mangiare, da bere, da vestire a Cristo presente nell'uomo. Se non fossero accuse, direi che, con qualche precisazione, la penso esattamente così. Che cosa sarebbe una pratica religiosa se non servisse al riconoscimento di Dio nell'uomo? Un puro ritualismo, che troviamo in qualsiasi religione. Perché allora Cristo si sarebbe incarnato? È l'uomo che ha bisogno, eventualmente, di una pratica religiosa, non Dio. Ma il riconoscimento di Dio nell'uomo deve necessariamente passare attraverso una pratica religiosa? Un pezzo di pane, un bicchiere di acqua, un vestito non sono una pratica religiosa. Perché mi si accusa? Non cerco anch'io la verità? Se ci volessimo bene non ci accuseremmo, ma ci sosterremmo nello stesso cammino». Quanto detto è per aiutare Franco a capire, specie il fratello Piero, che si sottrae alla pratica religiosa e non ha incertezze nell'aiutare il prossimo togliendosi il vestito. «Perché volere sempre dare delle risposte ad ogni costo? Solo Dio può averle senza incertezze. Ma fermarsi qui presuppone che si voglia bene alla gente e la si riconosca amata da Dio. Altrimenti la si accusa».
Gli anni sono passati, anzi i decenni, ma la sostanza non cambia e ai diaconi, in modo tutto particolare, rimane il compito di andare in questa direzione per essere santi, senza ovviamente proclami o riconoscimenti di sorta, vita natural durante. È stato così per i diaconi delle origini cristiane e dei secoli immediatamente seguenti, con qualche esempio anche più tardi. Poi, scomparsi i diaconi come ministero permanente, altre figure, legittimamente, ne hanno preso la consegna. Ora i diaconi ci sono di nuovo, hanno una storia di quattro decenni: la Chiesa e il mondo sperano e attendono di vedere con i propri occhi la santità diaconale all'opera.
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