Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)
EDITORIALE
La preghiera di intercessione, via alla santità ministeriale
di Giuseppe Bellia
Presentare un numero monografico sulle "testimonianze di santità diaconale" richiede prima di tutto di chiarire che cosa s'intende per santità. Non si tratta di convenire su una definizione carica di buon senso che sa tenersi lontana dagli estremismi devoti e dall'enfasi eroiche di superdotati dello spirito. È forse più utile ricercare ogni volta qual è il senso più coinvolgente che di generazione in generazione e da cultura a cultura si offre come il più plausibile dal punto di vista biblico e neotestamentario in specie, per rintracciare l'opera dello Spirito nei credenti. Per questo mi sembra che nel nostro tempo si debba privilegiare come santità ciò che è più conforme a Cristo; santo è chi imita il Verbo che si è fatto carne per darsi al mondo in puro dono, secondo quella toccante parola del vangelo di Giovanni dove Gesù, nel suo discorso di addio, grida al Padre: «Per loro io consacro/santifico me stesso, perché siano anch'essi consacrati/santificati nella verità» (Gv 17,19).
La santità è predicato di Dio, il solo santo e santificatore, perché è unico, è a parte; e di questa separatezza ne dovevano partecipare coloro che erano "consacrati", cioè separati, tenuti da parte, come era richiesto ai leviti (Lv 19,2 e Nm 3,11-13). Una consacrazione di genere e di mansione questa che era solo un simbolo di quella consacrazione assoluta e definitiva operata dal Figlio che, diversamente dai funzionari religiosi dell'Antica Alleanza, non ha interpretato e realizzato la consacrazione come distacco dal mondo, ma come immolazione volontaria a vantaggio del mondo. Anzi, in questo consacrarsi in favore del mondo è racchiuso il senso più autentico della missione apostolica, come anche del servizio ministeriale. Infatti, proprio in quell'inarrivabile pericope giovannea si legge: «Consacrali nella verità ... Come tu hai mandato me nel mondo anch'io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17,17-18)
Il legame inscindibile tra consacrazione, missione e servizio percorre tutta la teologia del quarto vangelo che evidenzia volutamente il primato della santificazione rispetto al ministero e la priorità della sequela sulla diaconia. Infatti, in uno dei punti cruciali della sua narrazione, proprio nel momento in cui il maestro accetta l'invito del Padre a immolarsi, perché ha compreso che è giunta la sua ora, Giovanni trova opportuno e coerente inserire queste parole del Signore: «Se uno mi vuoi servire mi segua» (12,26), definendo così in modo nuovo il senso della santità richiesta al ministro della Nuova Alleanza. Cogliere il movimento unitario che lo Spirito imprime all'obbedienza del Figlio che, a beneficio dei suoi e di tutti gli uomini, si consacra all'amore del Padre, consente di estendere lo sguardo anche sulla reale natura della invocazione conclusiva di Gesù nell'ultima cena; il brano rivela che la sua preghiera sacerdotale si configura come potente preghiera d'intercessione. Una modalità di preghiera che rivela la mediazione salvifica di Cristo che illumina anche la natura del ministero cristiano; eppure, spesso, è obliata e sottostimata. Intercedere significa stare tra le parti, mettersi di mezzo, intromettersi per evitare incomprensioni, divisioni e fratture insanabili; è un interporsi per fare pace, per riconciliare. Questo primato della intercessione sacerdotale affidato alla preghiera è ciò che significa l'adagio conciliare riferito alla vita spirituale dei presbiteri, ma che vale anche per la santificazione di vescovi e diaconi: la santità dei ministri si realizza nell'esercizio ordinario del loro ministero (PO 5). Essere per il mondo senza essere del mondo è la santità richiesta al discepolo e, a maggior titolo, al ministro inviato in missione. Questi, sostenuto dalla preghiera di Gesù che intercede presso il Padre, non deve separarsi come i leviti dal mondo esterno, ma operare per la salvezza del mondo secondo la sapienza rivelata da Cristo: «non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno» (17,15). Un atteggiamento questo che richiede non tanto doti umane di equilibrismo sociale o di prudenza pastorale ma, come ricordava don Milani, postula un atteggiamento di vera compromissione con il mondo fino al dono di sé che non ha nulla a che fare con la "mondanizzazione" dell'impegno ministeriale praticato da generosi e disinvolti pastori d'anime. Questa difficile opera di mediazione si compie con le opere della fede e quindi, in modo eminente, attraverso la preghiera d'intercessione che ingloba in sé ogni azione ministeriale conforme al Vangelo.
Non c'è nell'esempio lasciatoci da Cristo, e non ci dovrebbe essere nella vita della Chiesa, una mediazione stratificata e gerarchica che prevede un relazionarsi tra livelli corrispondenti di valore mondano, com'è diventato di abitudine nella prassi ecclesiastica; si accetta come qualcosa di naturale, di ovvio che l'alto clero abbia relazione con i potenti di turno, mentre ai preti di periferia e ai diaconi resta da mediare con poveri ed emarginati. Gesù ha santificato se stesso accettando l'impotenza assoluta della croce perché ha creduto che la sua mediazione sacerdotale si compiva per la sua obbedienza per mezzo dell'opera misteriosa dello Spirito.
L'intercessione del vescovo Carlo Maria
I lettori comprenderanno che questi pensieri orientano verso la figura alta di uno degli antichi maestri che in questi giorni ci ha lasciato. Tralascio quindi di presentare i pregevoli contributi sui diaconi testimoni di santità, per rendere omaggio a un padre della Chiesa che molti di noi hanno avuto la grazia di conoscere attraverso i libri o di frequentare di persona. Non voglio qui parlare delle occasioni che a Roma, a Gerico o a Milano mi hanno permesso di apprezzarne la ricca personalità e la rara testimonianza evangelica, ma parlando di santificazione come preghiera d'intercessione, mi sembra prezioso ricordare quello che il nostro cardinale ha detto di questa preghiera e quello che lui ha fatto come intercessore nella sua esistenza teologica. «Ho deciso di vivere gli ultimi giorni della mia vita qui, a Gerusalemme, in una incessante intercessione per i bisogni delle sorelle e dei miei fratelli della Chiesa di Milano e per tutto il mondo. La preghiera di intercessione è dunque la mia priorità, la mia principale quotidiana occupazione». Così si esprimeva in una conferenza nell'Università di Gerusalemme già nel 2008.
Un pensiero già a lungo frequentato come si può leggere in diversi suoi scritti, dialoghi e interventi. Nel 2004 scriveva: «Intercedere vuoi dire mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta di articolare un bisogno davanti a Dio... stando al riparo... Neppure semplicemente assumere la funzione di arbitro o di mediatore, cercando di convincere uno dei due che ha torto e che deve cedere... giungere a un compromesso. Intercedere è un atteggiamento molto più serio e coinvolgente: è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione» (Verso Gerusalemme, 139).
Una riflessione riproposta cinque anni dopo: «Tutta la preghiera di intercessione si gioca su questo fatto, che Cristo è il vero intercessore. Questa forma di preghiera va vista nella sua ampiezza, non è una piccola elemosina che chiediamo a Dio, per una determinata situazione; essa è veramente un fatto globale, al cui termine c'è l'intercessione di Cristo piena, completa e totale, che salva l'umanità. E noi entriamo in questa intercessione. È l'ignoranza della intercessione di Cristo che non ci fa stimare molto questo tipo di preghiera». E ancora, facendo scorgere la consolazione che questa partecipazione alla mediazione di Cristo procura al discepolo, ricorda: «Gesù continua la sua azione di intercessione, per noi e per l'umanità non ha pregato solo sulla terra. Egli continua a vivere questa offerta di sé al Padre per la salvezza del mondo. Perciò la forza di questa salvezza è invincibile» (Qualcosa di così personale, 130 e 137).
La sua convinzione profonda era che l'intercessione è necessaria perché corrisponde all'intimo essere divino: Dio è fatto così. La preghiera d'intercessione rivela che Dio è colui che «in se stesso è dono, è essere l'uno per l'altro, è uscita da sé, è preoccupazione per l'altro, è volere che l'altro sia». Rendiamo grazie a Dio che ha suscitato per il suo popolo pastori sapienti che, partecipando della "sconfitta" di Cristo, hanno realizzato un'opera d'intercessione che non spegne la profezia conservando accesa la speranza anche in questi giorni opachi.
torna su
torna all'indice
home