Evangelizzare prima forma di carità


Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

EMERGENZE


Evangelizzare prima forma di carità
di Enzo Cozzolino

Sono da dieci anni operatore per il recupero tossicodipendenti, scendo alla stazione la sera da tanti anni per i nostri fratelli senza fissa dimora ed ho vissuto, grazie a Dio, diverse e significative esperienze missionarie in Bosnia, con don Enzo Mango. Inoltre Africa, Brasile, Guatemala, e praticamente ho vissuto in Romania l'esperienza più forte con tantissimi campi lavoro da me organizzati e che hanno visto in quindici anni la partecipazione di tanti sacerdoti, suore e molti giovani.
Poi le varie emergenze: terremoto Assisi, L'Aquila, l'alluvione di Vicenza etc. Ora sto in Caritas a Napoli nel servizio di Direttore. I poveri sacramento di Dio, diceva Paolo VI. Don Tonino Bello, servo di Dio e vescovo secondo il cuore di Dio, diceva che il luogo teologico preferito dell'incontro con Dio sono i poveri. L'amore preferenziale per i poveri esige innanzitutto che ci accorgiamo di loro. E questo chiede saper "ascoltare" e "vedere"!
L'ultima indagine sulle problematiche giovanili, pubblicata su Vita pastorale, dice che l'87% dei giovani tra i 18 e 27 anni non crede alle istituzioni e tra queste al terzo posto la Chiesa. Il dialogo medio genitori-figli in una intera giornata è poco più di quattro minuti, mentre il non dialogo con il computer in una famiglia media è di 3 ore e 40 minuti circa. Dati sconcertanti. Profetico il cardinale Crescenzio Sepe a volere il giubileo per Napoli occasione di dialogo dentro e fuori la Chiesa, tra credenti e non credenti. Egli ha chiamato a raccolta tutti gli uomini di buona volontà. L'ascolto profondo ci provoca, ci scomoda, ci tira fuori dall'indifferenza, ci spinge a fare la nostra parte per tentare di dare una risposta alle richieste che l'altro ci fa o, almeno, fargli sentire la nostra vicinanza, quando sperimentiamo la nostra impotenza.
L'ascolto è un atteggiamento fondamentale non solo dei singoli cristiani, ma di tutta la comunità ecclesiale. Allora bisogna attrezzarsi perché coloro che non sono ascoltati da nessuno, o sono messi a tacere perché senza alcun potere, trovino nelle nostre comunità luoghi e persone disponibili ad accoglierli, a farsi loro voce. I Centri di Ascolto e gli Osservatori delle Povertà e delle Risorse sono strumenti che si pongono in questa prospettiva. Ascoltare non è facile. Quante volte sperimentiamo un non ascolto da parte dell'altro o un ascolto superficiale e ne soffriamo! Quante volte siamo noi a sfiorare l'altro, a non dargli un ascolto profondo! Ascoltare richiede fare spazio all'altro dentro di noi, essere capaci di spostare le nostre difficoltà, i nostri pensieri, le nostre ricchezze o povertà, fare silenzio dentro di noi perché la voce dell'altro arrivi. Dobbiamo imparare ed esercitarci ad ascoltare l'altro e soprattutto metterci in ascolto dei poveri quindi di Cristo.

Testimoniare è un'esperienza comunitaria
La Caritas parrocchiale è l'organismo pastorale istituito per animare la parrocchia, con l'obiettivo di aiutare tutti a vivere la testimonianza, non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa. L'idea stessa di Caritas parrocchiale esige, pertanto, una parrocchia "comunità di fede, preghiera e amore". Questo non significa che non può esserci Caritas dove non c'è "comunità", ma si tratta piuttosto di investire, le poche o tante energie della Caritas parrocchiale nella costruzione della "comunità di fede, preghiera e amore". Come se la testimonianza comunitaria della carità fosse insieme la meta da raggiungere e il mezzo, (o almeno uno dei mezzi), per costruire la comunione. Un esercizio da praticare costantemente. Ogni parrocchia, che è volto della Chiesa, concretizza la propria missione attorno all'annuncio della parola, alla celebrazione della grazia, e alla testimonianza dell'amore. È esperienza comune che ci siano, in parrocchia, una o più persone che affiancano il parroco nella cura e nella realizzazione di queste tre dimensioni. Sono gli "operatori" pastorali, coloro che "fanno" (opera) concretamente qualcosa. Dopo il Concilio Vaticano II, la pastorale si arricchisce di una nuova figura: colui che "fa perché altri facciano", o meglio, "fa, per mettere altri nelle condizioni di fare". È "l'animatore pastorale". La Caritas parrocchiale, presieduta dal parroco, è costituita da figure di questo tipo: un gruppo di persone (ma nelle piccole comunità può trattarsi anche di una sola persona) che aiuta il parroco sul piano dell'animazione alla testimonianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. L'obiettivo principale è partire da fatti concreti - bisogni, risorse, emergenze - e realizzare percorsi educativi finalizzati al cambiamento concreto negli stili di vita ordinari dei singoli e delle comunità/gruppi, in ambito ecclesiale e civile (animazione). Come giungere ad un così alto obiettivo? L'esperienza e la riflessione avviata negli ultimi anni portano a definire alcuni elementi cardine su cui fondare il lavoro di ogni caritas anche in parrocchia:
- la definizione dei destinatari/protagonisti del servizio di animazione: i poveri, la Chiesa e il territorio/mondo
- un metodo di lavoro basato sull'ascolto, sull'osservazione e sul discernimento, finalizzati all'animazione
- la capacità di individuare, tra tutte le azioni possibili, quelle in grado di collegare emergenza e quotidianità, cioè di intervenire nell'immediato e portare ad un cambiamento nel futuro
- la scelta di costruire e proporre percorsi educativi, in grado di incidere concretamente nella vita delle persone e delle comunità. Centrare sull'animazione e sul metodo pastorale il mandato della Caritas, ridimensionando le aspettative sul piano operativo, svincola la possibilità di costituire l'organismo pastorale dalle dimensioni e dalla situazione della parrocchia. In ogni contesto, infatti, seppure con modalità diverse, è possibile promuovere la cura delle tre relazioni, la conoscenza del contesto, la possibilità di scegliere insieme come agire, alla luce della missione della Chiesa nel mondo.

Ascoltare osservare discernete
Il Metodo Caritas è un metodo per rinnovare l'agire pastorale, per dare qualità alle relazioni, facendole uscire dall'individualismo, dall'improvvisazione e dall'estemporaneità, dalla ripetitività, da una logica semplicemente di aiuto per renderle fortemente promozionale. Tale metodo aiuta a non dimenticare la scelta preferenziale dei poveri nella comunità cristiana: valutando la povertà e il povero come limite, debolezza, fragilità; ma anche valutando la povertà e il povero come scelta, come ricchezza, dono e che dà qualità alla nostra spiritualità, ancorandola alla quotidianità, alla storia, agli ambienti e alla vita delle persone, riscoprendo il valore della vocazione cristiana.
Facendo riferimento ai compiti del diacono indicati da Paolo VI, potrà essere utile precisare alcune funzioni ritenute più urgenti per la nostra Chiesa: - la partecipazione del diacono a organismi pastorali diocesani. In taluni casi, l'apporto del diacono potrà esprimersi anche attraverso l'assunzione di una responsabilità diretta di una Commissione o Ufficio; il diacono in Caritas può avere qualsiasi incarico. Infatti anche diversi direttori Caritas sono diaconi.
- il coinvolgimento del diacono nel servizio pastorale di una zona, sia come membro del Consiglio Pastorale di zona e sia come animatore e coordinatore di uno specifico settore della pastorale, quale la catechesi, la liturgia, la pastorale familiare, la Caritas o altre;
- un aiuto diretto alla pastorale della parrocchia con il coordinamento di specifici settori o servizi affidati dal parroco insieme al Consiglio pastorale;
- l'animazione e guida pastorale di una piccola comunità cristiana o di una parrocchia priva della presenza del sacerdote;
- una possibile collaborazione, limitata nel tempo, ad una parrocchia missionaria affidata alla responsabilità di sacerdoti fidei donum della nostra diocesi. Una volta che il contenuto e lo spirito di carità hanno attraversato la catechesi e la liturgia in vera osmosi, tutto diventa più conseguente per quanto riguarda il ministero della diaconia. Il lavoro nella commissione pastorale per il servizio della carità (Caritas), è il luogo specifico di impegno del diacono, da sviluppare con stile progettuale, nella linea dell'educazione a partire dai fatti.
Partendo dalla conoscenza del territorio, dando periodicamente informazione sulle situazioni di povertà e di emarginazione (vecchie e nuove), sulle loro cause, la comunità cristiana è aiutata dal diacono a: organizzare azioni di attenzione alla persona, di sostegno, di assistenza a chi è in difficoltà, per capire la carità come servizio ed il servizio come disponibilità e risposta alle esigenze dei poveri. Proporre stili di vita improntati alla sobrietà, impegnandosi a destinare sistematicamente una percentuale del reddito familiare a finalità specifiche, per superare la mentalità "elemosiniera" e puntare alla condivisione. Promuovere servizi specifici come centri di ascolto, consultori, case di prima accoglienza, per affrontare in maniera razionale le problematiche, superare la mentalità assistenzialistica, e approdare ad una carità promozionale, che fa sentire la comunità soggetto di carità. Preoccuparsi di inserire nelle commissioni pastorali e nei vari servizi di carità persone semplici, diversamente abili, persone che .hanno avuto esperienze dolorose" e negative, per evidenziare il valore della persona, rendere i poveri soggetti di cammino pastorale e non solo oggetto di aiuto e di cure.
Questo significa inoltre affermare con i fatti che ogni persona è portatrice di valori. Predisporre dibattiti su problemi sociali come tossicodipendenza, anziani, immigrati, devianza minori le, immigrazione, per esprimere una carità aperta al territorio, ai problemi del mondo, una carità missionaria, coinvolgente anche i non credenti sulla strada della solidarietà diffusa. Promuovere piccole cooperative di servizio e di lavoro, per muoversi nella direzione di una carità liberante, che restituisce alla persona piena dignità e modo di prendere in mano la propria vita, realizzandosi sulla strada dell'autonomia.
Tutto questo, per far sì che il singolo e la comunità siano educati a passare da una carità episodica ad impegno costante, da gesti sporadici ed isolati a legami stabili, da una carità che dà cose, ad una carità che offre attenzione, tempo, spazi, energie, professionalità, come risposta ai bisogni di chi è in difficoltà e puntando a rimuoverne le cause. L'azione ed il metodo di lavoro che porta ad una testimonianza della carità assunta responsabilmente dalla comunità e realizzata all'interno della pastorale organica, ossia del cammino unitario e costante della Chiesa, è ciò che si intende per pastorale della carità. È un'azione che ha l'obiettivo di far sì che la carità - essenziale per la vita cristiana - sia vissuta nell'ordinarietà della vita dei singoli cristiani, delle famiglie e dell'intera comunità, in vista di realizzare la cultura della comunione ed il vivere da famiglia di Dio. I vescovi danno queste indicazioni: «Occorre favorire un insieme di convinzioni, di atteggiamenti, di rapporti interpersonali, che promuovano una vera cultura della comunione».
Si tratta quindi di educare, attraverso un'azione progettata e costante, ad una mentalità di carità che sia atteggiamento di ogni cristiano, in modo che ciascuno sia attento ai problemi, si senta coinvolto personalmente dalle attese, dalle istanze di liberazione e di giustizia di coloro che sono in difficoltà, senza accontentarsi di fermarsi alla semplice "elemosina" e "beneficenza" occasiona le. Ciò significa educare con gradualità e continuità i cristiani a condividere il disagio, portandoli a ripensare gli stili di vita personali e familiari, le priorità che si danno nell'uso delle cose, la capacità di ascolto effettivo degli altri e di mettere le proprie risorse (non sole cose, ma sensibilità, tempo, competenze, professionalità, ecc...) a disposizione di chi esperimenta la difficoltà. Il punto di arrivo della pastorale della carità è portare a vivere un amore solidale che spinge a sentirsi "tutti responsabili di tutti". Comunione, Carità e Corresponsabilità. Ciò che dovremmo fare in pratica: visitare incessantemente i poveri per ascoltare e per evangelizzare. Bisogna ascoltare le persone che spesso vengono relegate nel silenzio come ignoranti, barbare e stupide per conoscere le loro reali condizioni e necessità. Talora si negano ai poveri sia l'amicizia che il Vangelo. Non dobbiamo dimenticare che l'amore per i poveri è il segno dato da Gesù per manifestare la sua venuta del regno. È importante farci compagni, amici, parenti e fratelli dei poveri ed assumerci aspetti concreti di solidarietà e di aiuto, come si farebbe appunto con un amico caro o con un familiare che si trova in necessità; accompagnarli dal medico o in farmacia, a fare la spesa o al lavoro. Essere coltivatori di speranze: «Nessuno ha il diritto di sprofondare nella disperazione... come cristiani abbiamo il dovere di sperare attivamente». Dare la parola ai poveri. In politica, per invitare le autorità a sviluppare concreti progetti di aiuto. Tramite mass-media per sensibilizzare la gente ad aiutarli, facendo conoscere le loro necessità e situazioni. Informare i poveri sulle opportunità di contributi, aiuti, lavori, etc. Insegnare comportamenti igienici, modi di relazionarsi, educazione, un nuovo stile di vita, etc.

Conclusioni
Faccio, come prete, un esame di coscienza ad alta voce. Parlare dei poveri è sempre una provocazione sia personale che comunitaria. Che attenzione do ai poveri nel mio esistere quotidiano? La mia economia personale è vissuta in funzione delle necessità degli altri? Parlo solo dei poveri o soprattutto condivido la loro vita? E ancor prima sono capace di ascoltare, vedere le necessità degli altri e fare la mia parte, ad iniziare da chi Dio mi ha messo più vicino e mi ha affidato in modo particolare. Come sacerdote sono attento a che i poveri e gli umili trovino accoglienza nelle mia Comunità Parrocchiale? Nella parrocchia che sono chiamato a servire c'è la "scelta preferenziale" per i poveri? Ho riscoperto tanti motivi per ringraziare Dio; ma anche tanto, tanto lavoro da fare. Ancora, insieme. Ripeto insieme!
Affido sempre al grande profeta don Tonino Bello le parole conclusive (da La Chiesa del Grembiule): «A me piace moltissimo l'espressione Chiesa del Grembiule, cioè Chiesa del servizio. Sembra un'immagine un tantino audace, discinta, provocante, ma è al centro del Vangelo: Gesù, preso un asciugatoio, se lo cinse intorno alla vita. Poi, versata dell'acqua in un catino, cominciò a lavare i piedi dei discepoli (Gv 13, 3-12). [...] è questo l'unico paramento sacerdotale ricordato nel Vangelo. Le nostre Chiese, celebrano liturgie splendide, anche vere, ma quando si tratta di rimboccarsi le maniche, c'è sempre un asciugatoio che manca, una brocca che è vuota d'acqua, un catino che non si trova. Quando riprese le vesti, secondo il Vangelo, Gesù non depose l'asciugatoio: se lo tenne. Gesù è diacono permanente, è servo a tempo pieno». Vi ringrazio, cari diaconi, perché con la vostra bella presenza avete manifestato il cammino dell'uomo sulla via della Bellezza, cioè l'essere figli di una Chiesa prolungamento di Cristo nella Storia. Con gioia andate, anzi andiamo avanti. Siete il cuore di Dio e della Chiesa.

(Dalla relazione "Diaconato e Caritas", Napoli, ottobre 2011)


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