Per una comunicazione autentica


Il diaconato in Italia n° 173
(marzo/aprile 2012)

PAROLA


Per una comunicazione autentica
di Luca Bassetti

Matteo 14,13-21
«Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini».
La meta desiderata di ogni comunicazione autentica, di ogni vera testimonianza che consegna all'altro l'eco della Parola originaria è lo sviluppo di una relazione che tenda ad una compiuta comunione. La Parola dell'origine scaturisce infatti da un incontro nel quale nasce un legame nel quale si fa esperienza di una comunione donataci oltre ogni nostra ricerca.
La comunione più profonda tra le persone non è in partenza qualcosa che si costruisca con l'abilità della diplomazia o con l'attrattiva della simpatia. Essa nasce misteriosamente come accoglienza dell'amore donato, fiorisce come relazione sorprendente e inattesa nella quale i due si ritrovano misteriosamente uniti da una realtà che li trascende, da una terzietà che li lega. L'amore-relazione è infatti una realtà che ciascuna delle due parti può scoprire in sé mentre la riconosce anche nell'altro, come movimento interiore, nuova dinamica della coscienza che è dato di percepire reciprocamente, quale presenza dell'altro in noi e di noi nell'altro e, da parte di entrambi insieme, quale terza realtà che non coincide con loro, ma li tiene piuttosto uniti nella distinzione delle loro rispettive identità.
Se la Parola originaria di Dio è esperienza di un incontro, di una relazione scoperta come novità, di una comunione ricevuta in dono, allora la sua testimonianza, per essere autentica e compiuta, dovrà essere profondamente pervasa dal desiderio della relazione con l'interlocutore e intenzionata dal bisogno di comunione con lui. Ogni compiuta comunicazione della Parola dell'amore ricevuto è strutturalmente tesa al desiderio di una comunione che si estenda ai destinatari.
In questo passo evangelico Gesù compie un gesto altamente significativo, che non è semplicemente anticipo, ombra dell'Eucaristia, ma prolungamento della predicazione alla folla in direzione di una comunione allargata tra tutti coloro che lo ascoltavano. Il contesto della narrazione matteana descrive un progressivo apparente fallimento della missione di Gesù in Galilea.
Come già si è visto l'incomprensione su di Lui tende a crescere, dal Battista alle città della Galilea, sino ai farisei, alle autorità del popolo e, addirittura, agli stessi discepoli, che faticano a seguirlo nella prospettiva della croce che egli comincia a intravedere (Mt 11-12). Gesù, confortato dalla rivelazione del cuore del Padre (Mt 11,25-27), spiega ai discepoli, disorientati dagli esiti di una missione così contrastata, quale sia la natura del regno di Dio così nascosto e del suo sviluppo, così lento e paziente, così ostacolato, ma al tempo stesso sicuro dell'energia divina che lo sostiene (Mt 13).
La manifestazioni di incredulità dei suoi compaesani (Mt 13,54-58) e la notizia della morte del Battista (Mt 14,1-13) inducono Gesù al ritiro: Egli sembra accettare una svolta, orientandosi alla via del nascondimento, mentre le folle tornano a cercarlo (Mt 14,13-14). Gesù si era già da tempo dedicato con intensità, e pazienza ai singoli poveri, ammalati e peccatori che si rivolgevano a lui. Si era speso nei rapporti diretti con persone che lo cercavano per il loro bisogno di qualcosa da lui, di una prestazione di aiuto, più che per la domanda di una relazione personale con lui (Mt 8-9). Nel suo uscire dal ritiro per concedersi alla folla, che ancora chiede qualcosa da lui, Egli avverte un bisogno più forte di comunione e compie un gesto volto a suscitare relazione tra tutti coloro che lo hanno cercato, incontrato e ascoltato.
Se fino ad allora Gesù si era trovato a gestire il suo rapporto con la gente solo nella direzione di relazioni personali, che si moltiplicavano in modo talvolta spossante, a questo punto della sua missione Egli vuole suscitare relazioni di comunione anche tra coloro che lo cercavano solo per ottenere qualcosa da lui. Il gesto che egli compie è finalizzato a creare comunione.
Gesù induce anzitutto coloro che aspettavano qualcosa da lui a donare essi stessi qualcosa, ad entrare in un movimento di disponibilità alla donazione e alla condivisione. Gesù in quel momento sembra non avere nulla da offrire; attende dalla gente che lo circonda il dono di una piccola parte della loro vita, del frutto anche modesto della loro fatica quotidiana. Egli li coinvolge così, gli uni verso gli altri, nell'unica dinamica della sua donazione. L'episodio è erroneamente, o impropriamente, denominato come moltiplicazione dei pani; in realtà l'azione compiuta non è indicata con il verbo "moltiplicare", ma con i verbi del "condividere" e dello "spezzare". Gesù innesca il gesto della frazione del pane, come sottrazione a sé per dare a chi gli è accanto, suscitando il gesto imitativo di coloro che ricevono da lui. I primi a ricevere sono i discepoli, in tal modo istituiti nella loro diaconia di comunione verso la folla. Il pasto consumato nella quiete della sera e nella serenità dell'erba verde (Sal 23) è segno di una comunione che ha ormai legato anche tra loro le persone che prima si rapportavano a Gesù solo personalmente, forse senza legami tra loro. Il servizio di amore di Gesù, che coinvolge prima i discepoli, poi l'intera folla, prolunga la testimonianza della parola nella direzione del suo più autentico compimento: l'esperienza di quella comunione dilatata che è già a fondamento dell'evento originario e che costituisce la meta più vera della sua comunicazione testimoniale.
In un tempo di legami fragili e di relazioni liquide è sempre più necessaria una diaconia della parola che favorisca l'incontro tra quanti cercano il Signore e dilati gli spazi della comunione. Solo nell'esperienza di relazioni comunitarie, preparate dall'ascolto della Parola e portate a compimento dal sacramento eucaristico, si apre la possibilità del riaccadere dell'evento originario dell'incontro con la Parola dell' Amore.




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