«Supponiamo che, in una delle vostre riunioni...»: la retorica apostolica colpisce al cuore. Quale delle nostre assemblee ecclesiali può infatti ritenersi esente dal peccato della discriminazione, incantati come siamo dal fascino dei ricchi di fama, di parole, di ruoli sociali prima ancora che di denaro? Le cronache quotidiane degli ultimi mesi, poi, non ci hanno dato tregua, martellandoci un giorno dopo l'altro con notizie che non fanno certo onore a chi sa di essere stato chiamato a servire Dio e non la ricchezza. Un profeta come Isaia vedrebbe intorno a sé, in questo tempo buio, tanti smarriti di cuore. Solo i profeti, si sa, si accorgono di loro e si preoccupano per loro. Non per filantropia, ma per senso di responsabilità nei confronti di Dio stesso. I cuori smarriti, infatti, hanno perso la fiducia perché non riescono più a vedere Dio all'opera nella storia. Per questo, mostrare attenzione e cura nei loro confronti è un fatto teologico, non etico; prima che a beneficio degli uomini va a favore di Dio, perché dice qualcosa di lui. VITA PASTORALE N. 7/2012
XXIII Domenica del Tempo ordinario
Is 35,4-7a
Gc 2,1-5
Mc 7,31-37
DAL VOLTO UMANO
In un tempo di crisi, crisi culturale e politica, oltre che economica e finanziaria, in cui molti preferiscono prendere le distanze dalle Chiese, quelli che restano pagano per la loro fedeltà il prezzo dello smarrimento. Forse la "nuova evangelizzazione" dovrebbe partire proprio da loro, dagli smarriti di cuore. Non abbiamo bisogno di recuperare postazioni ormai definitivamente perdute o di mirare ad anacronistici quanto effimeri trionfi mediatici. Anzi, prendendo a prestito proprio le parole dell'apostolo Giacomo, potremmo insistere sul fatto che il criterio della nuova evangelizzazione non può che essere la scelta dei poveri secondo lo spirito delle beatitudini, l'invito a coloro che, «poveri agli occhi del mondo, sono invece ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano».
È del tutto casuale che il Sinodo per la nuova evangelizzazione si apra nei giorni in cui la memoria ecclesiale è abitata dal ricordo dell'apertura del Vaticano II, il concilio in cui, per la prima volta, gli uomini di Chiesa hanno parlato di scelta preferenziale per i poveri e hanno riscoperto che, con il mondo, la Chiesa poteva parlare la lingua della consolazione e non quella dell'arroganza, poteva vantare di conoscere il lessico della fiducia e della misericordia, poteva svelare agli uomini e alle donne di un mondo soggiogato dalla sopraffazione e dalla violenza, dalle guerre e dalle ingiustizie, il Dio dal volto umano al quale Gesù di Nazaret ha reso testimonianza. Evangelizzazione è parola che ha strettamente a che fare con "Vangelo", cioè con l'annuncio messianico. Isaia lo preconizza con forza visionaria, Gesù lo compie con parole e gesti profetici. Giacomo insiste sul fatto che i veri ricchi sono gli eredi del Regno. Solo l'annuncio del tempo del Messia è parola che produce consolazione nel cuore di coloro che hanno smarrito la fiducia. Per Marco allora, che intesse tutto il suo vangelo intorno alla testimonianza della messianicità di Gesù, il racconto della guarigione del sordomuto va ben al di là della narrazione di un episodio.
La collocazione geografica del miracolo, il tipo di guarigione, il modo in cui Gesù la opera, l'invito a mantenere il segreto e il fatto che, nonostante ciò, la fama di Gesù si diffonde sono elementi che conferiscono alla narrazione un valore paradigmatico. Non si tratta di un fatto, per quanto straordinario, della vita di Gesù, ma di un segno che attesta che il regno di Dio non è più solo sogno profetico, speranza rivolta a un futuro di cui non ci spetta sapere altro se non che accadrà, ma è ormai storia di Dio dentro la storia degli uomini. Il tempo in cui i sordi odono e i muti parlano è arrivato.
Dopo la morte di Gesù, il vangelo del Regno supera i confini della Palestina e, quando Marco scrive il suo racconto, è già giunto al cuore dell'impero. Pure Gesù aveva "sconfinato". È un'immagine molto bella che va al di là di ogni specificazione geografica. Il Dio-con-noi, che accetta fino in fondo le regole del confinamento storico, è in realtà un Dio che sconfina. Anzi, proprio al di fuori dei confini avviene qualcosa che restituisce a chi non l'ha più il diritto a una vita di relazione. Lo restituisce all'ascolto e alla parola.
Marco accompagna i suoi lettori in questo cammino kerigmatico: all'annuncio di Gesù Messia non si può credere senza accettare di fare un cammino lungo e attento, perché il Regno è una realtà che deve venire fuori poco a poco, una realtà che incontra opposizione passo dopo passo, una realtà che dovrà confrontarsi con il momento finale della croce. È più facile credere in Gesù come guaritore che non in Gesù come Messia. Dovremmo ricordarlo spesso: il Vangelo è parola di grazia e di verità, ma è parola difficile da ascoltare e da predicare. Per questo ci vuole il "sospiro" di Gesù accompagnato da quella parola potente, "Effatà", e ci vuole la fisicità della vita sacramentale che rende possibile l'ascolto e la parola efficaci, crea la relazione, restituisce alla propria vita di sempre con la forza della testimonianza. Molti discepoli di Gesù, oggi come sempre, compiono gesti messianici nel segreto della loro storia di uomini e donne di Dio e infondono coraggio agli smarriti di cuore.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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XXIII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 9 settembre 2012
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