Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008
Anno B – 2° novembre – Commemorazione di tutti i fedeli defunti
• Giobbe 19,1.23-27a • Romani 5,5-11 • Giovanni 6,37-40
• Giobbe 19,1.23-27a • Romani 5,5-11 • Giovanni 6,37-40
L'AMORE È PIÙ FORTE DELLA MORTE
Ieri, nella celebrazione della festa della comunione dei santi, abbiamo contemplato la Gerusalemme celeste, la sposa dell' Agnello tutta bella, senza macchia né ruga perché resa santa dal Signore (cfr. Ef 5,27; Ap 21,2); oggi siamo invitati dalla chiesa a fare memoria di tutti i morti. Festa di tutti i santi e memoria dei morti sono un'unica grande festa in cui si coglie il mistero della gloria e il mistero della croce, il mistero della vita eterna in Dio e il mistero della morte nella fede: il Cristo risorto trascina i morti nel fiume della vita della comunione dei santi...
Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (cfr. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto (cfr. Rm 6,4) nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito santo. È in questa consapevolezza, in questa visione che deriva dalla sola fede, che la morte finisce per apparire «sorella» - come la definiva Francesco d'Assisi -, per trasfigurarsi in un atto in cui si riconsegna a Dio, per amore e nella libertà, quello che lui stesso ci ha donato: la vita e la comunione. Per questo la chiesa della terra, ricordando i fedeli defunti, si unisce alla chiesa del cielo e in una grande intercessione invoca misericordia per chi è morto e sta davanti a Dio in giudizio per rendere conto di tutte le sue opere (cfr. Ap 20,12).
Il brano del vangelo secondo Giovanni che oggi ascoltiamo ci riporta alcune parole di Gesù, che risuonano come un promessa da ripetere nel nostro cuore per vincere ogni tristezza e ogni timore. Innanzitutto Gesù dice: «Chi viene a me, io non lo respingerò!». Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se la sua vita è contraddetta dal peccato e dalle cadute; è colui che si allontana e ritorna, che cade e si rialza, che riprende con fiducia il cammino di sequela. E Gesù non lo respinge, anzi, abbracciandolo nel suo amore gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna: «Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque crede nel Figlio abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (cfr. Gv 3,16.36). Ecco perché Paolo ha potuto scrivere: «Il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 6,23).
La memoria dei morti è dunque per i cristiani una grande celebrazione della fede nella resurrezione e nella vita eterna: quello che è stato confessato e cantato nella celebrazione delle singole esequie, viene riproposto in un unico giorno, per tutti i morti. La morte non è più l'ultima realtà per gli uomini, e quanti sono già morti, andando verso Cristo, non sono da lui respinti ma vengono risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui, il Risorto-Vivente. Davvero la morte è un passaggio, una Pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. E così oggi siamo più che mai chiamati a interrogarci sulla fede nella nostra resurrezione, di cui quella di Cristo è caparra e fondamento, ricordando le parole paradossali di Paolo: «Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto!» (1Cor 15,16). Talvolta infatti è più faticoso credere la nostra resurrezione che quella di Gesù Cristo...
Ha scritto Giovanni nella sua Prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli: chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14), parole che costituiscono un commento, frutto di grande intelligenza spirituale, a un'altra affermazione di Gesù: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24). È proprio così: se i cristiani non amano i fratelli, restano preda della morte; al contrario, amando mostrano di essere morti a se stessi e vivi in Cristo, vivi della vita di Dio seminata in loro. Sì, chi vive ogni giorno in questo amore fa l'esperienza di essere vincitore sulla morte, di passare già ora dalla morte alla vita, perché «l'amore è più forte della morte» (cfr. Ct 8,6).
Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (cfr. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto (cfr. Rm 6,4) nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito santo. È in questa consapevolezza, in questa visione che deriva dalla sola fede, che la morte finisce per apparire «sorella» - come la definiva Francesco d'Assisi -, per trasfigurarsi in un atto in cui si riconsegna a Dio, per amore e nella libertà, quello che lui stesso ci ha donato: la vita e la comunione. Per questo la chiesa della terra, ricordando i fedeli defunti, si unisce alla chiesa del cielo e in una grande intercessione invoca misericordia per chi è morto e sta davanti a Dio in giudizio per rendere conto di tutte le sue opere (cfr. Ap 20,12).
Il brano del vangelo secondo Giovanni che oggi ascoltiamo ci riporta alcune parole di Gesù, che risuonano come un promessa da ripetere nel nostro cuore per vincere ogni tristezza e ogni timore. Innanzitutto Gesù dice: «Chi viene a me, io non lo respingerò!». Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se la sua vita è contraddetta dal peccato e dalle cadute; è colui che si allontana e ritorna, che cade e si rialza, che riprende con fiducia il cammino di sequela. E Gesù non lo respinge, anzi, abbracciandolo nel suo amore gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna: «Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque crede nel Figlio abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (cfr. Gv 3,16.36). Ecco perché Paolo ha potuto scrivere: «Il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 6,23).
La memoria dei morti è dunque per i cristiani una grande celebrazione della fede nella resurrezione e nella vita eterna: quello che è stato confessato e cantato nella celebrazione delle singole esequie, viene riproposto in un unico giorno, per tutti i morti. La morte non è più l'ultima realtà per gli uomini, e quanti sono già morti, andando verso Cristo, non sono da lui respinti ma vengono risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui, il Risorto-Vivente. Davvero la morte è un passaggio, una Pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. E così oggi siamo più che mai chiamati a interrogarci sulla fede nella nostra resurrezione, di cui quella di Cristo è caparra e fondamento, ricordando le parole paradossali di Paolo: «Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto!» (1Cor 15,16). Talvolta infatti è più faticoso credere la nostra resurrezione che quella di Gesù Cristo...
Ha scritto Giovanni nella sua Prima lettera: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli: chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14), parole che costituiscono un commento, frutto di grande intelligenza spirituale, a un'altra affermazione di Gesù: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,24). È proprio così: se i cristiani non amano i fratelli, restano preda della morte; al contrario, amando mostrano di essere morti a se stessi e vivi in Cristo, vivi della vita di Dio seminata in loro. Sì, chi vive ogni giorno in questo amore fa l'esperienza di essere vincitore sulla morte, di passare già ora dalla morte alla vita, perché «l'amore è più forte della morte» (cfr. Ct 8,6).
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